Angelo Ficarra

8 luglio 1960

La battaglia di Palermo

Dalla cronaca delle lotte dell’8 luglio 1960

che sconfiggono il tentativo di riemersione fascista del governo Tambroni

alle prime riflessioni su recupero della memoria e della storia

nota introduttiva di giuseppe Carlo Marino

prefazione di Finella Giordano

in appendice

progetto di educazione alla cittadinanza

Angelo Ficarra

8 luglio 1960. La battaglia di Palermo.

Dalla cronaca delle lotte dell’8 luglio 1960 che sconfiggono il tentativo di riemersione fascista del

Governo Tambroni, alle prime riflessioni su recupero della memoria e della storia.

nota introduttiva di giuseppe carlo Marino

prefazione di Finella giordano

in appendice: Progetto di educazione alla cittadinanza.

impaginazione: gipe srl. Finito di stampare nel mese di luglio 2021

da officine grafiche soc. coop., palermo, per conto di

Associazione nazionale partigiani d’italia

“comandante Barbato” - palermo

(ente Morale D.l. n. 224 del 5 aprile 1945)

sede: c/o camera del lavoro cgil

via Meli, 3 - 90133 palermo

e-mail: anpisegreteriabarbato@gmail.com

sito web: https://palermo.anpi.it

con il contributo di

NOTA INTRODUTTIVA

di Giuseppe Carlo Marino

PREFAZIONE

di Finella Giordano

8 LUGLIO 1960. LA BATTAGLIA DI PALERMO

di Angelo Ficarra

i fatti

30 giugno - genova

5 luglio - licata

6 luglio - roma, porta san paolo

7 luglio - reggio emilia

8 luglio - palermo

Dal quotidiano L’Ora, 13-14 luglio 1960

8 luglio - catania

considerazioni

APPENDICE

governo Tambroni (Democrazia cristiana)

progetto di cittadinanza e di costituzione

competenze di cittadinanza

Aree dell’educazione alla cittadinanza

Valutazione formativa

Manifestazione in memoria dell’8 luglio 1960

RINGRAZIAMENTI

INDICE DEI NOMI

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69

INDICE

 

NOTA INTRODUTTIVA

di Giuseppe Carlo Marino

l’attenzione opportunamente rigorosa su questo testo

breve – al quale mi sembra da attribuire la natura, se si vuole

un po’ limitativa, di un “resoconto militante” di memoria –

è un’attenzione che mi sollecita ad alcune considerazioni

preliminari nel vararne la pubblicazione. nato come intervento-

quadro in un convegno del 2010, il testo di Angelo

Ficarra fornisce una puntuale esposizione analitica – mossa

dalla passione civile e dalle emozioni di un testimone – della

brutale repressione di cui si resero responsabili le cosiddette

“forze dell’ordine” l’8 luglio 1960, a tragico danno delle

forze popolari (in specie quelle del cantiere navale, degli

edili e di una massa rilevante di disoccupati) scese in campo,

per ufficiale mobilitazione dei sindacati e per speciale merito

della cgil, contro il tentativo autoritario neofascista del governo

Tambroni.

si tratta di fatti che già allora, nel 2010, si erano largamente

estraniati dalla memoria collettiva e che ancor più

oggi, a sessant’anni di distanza, rischiano l’oblio. Questo, per

almeno due motivi convergenti: il primo, il motivo generale,

è da riferirsi alla sempre più evidente difficoltà che incontra

la “memoria storica”, ossia la memoria elaborata dalla storiografia

(alla quale non si può addebitare la responsabilità

di avere trascurato del tutto l’argomento), a transitare e a radicarsi

nella “memoria collettiva”; il secondo, è da ricondursi

alla stessa debolezza e alle stesse lacune della memoria sto-

5

rica che delle vicende di quel fatidico anno di svolta che fu

il 1960 in italia ha tracciato (penso, tra gli altri, a scritti ed

interventi di Baldoni, crainz, De luna, ginsborg, ignazi,

lanaro, lepre, lupo, parodi, radi, Tranfaglia ed anche del

sottoscritto) un sommario e forse troppo generalista quadro

nazionale, semplificato nello scontro fascismo-antifascismo,

alla ricerca delle premesse del sessantotto e talvolta sotto

l’induzione interpretativa, appunto, dei successivi eventi sessantottini.

scontata l’opportunità di rimediare al più presto alle lacune

(e più ancora alle deformazioni interpretative alle quali

il racconto degli avvenimenti popolari di quest’isola, declassati

spesso a jacquerie, è solita pagare un prezzo elevato), sui

fatti di palermo del luglio 1960 c’è, come si dice, tutta una

storia ancora da scrivere ed è auspicabile che, al di là delle

rimembranze emozionali, sia una storia metodologicamente

corretta, come si dovrebbe. il che comporterebbe il ricorso

critico ad una massa notevole di fonti disponibili: la documentazione

ufficiale del Ministero dell’interno, gli interventi

parlamentari sull’argomento, la stampa nazionale e regionale

e la più varia pubblicistica del tempo, gli atti relativi agli esiti

processuali delle vicende con le sentenze della magistratura,

ecc. e, nella ricerca e nel metodo, dovrebbe essere sempre

chiara la consapevolezza delle specificità regionali di quel

che accadde in sicilia sia per gli attori della repressione e

delle violenze, sia per le sue vittime, perché è un dato di fatto

indiscutibile che l’appello all’antifascismo, lanciato contro

Tambroni dai sindacati dei lavoratori, cadde in sicilia all’indomani

di una fase piuttosto infelice che aveva visto i neofascisti

per la prima volta “sdoganati” in italia, ovvero al

governo della regione insieme ai comunisti e ai socialisti nel

corso della cosiddetta “operazione Milazzo”. ed è anche da

ricordare che se, come è vero, il tentativo autoritario di Tam-

6

broni fu sconfitto dal grande moto antifascista a livello nazionale

(anche, va sottolineato, in virtù del sacrificio dei caduti

siciliani), palermo non si sollevò dalla sindacatura di

salvo lima (1958-1963) che, con l’apporto determinante di

un personaggio come Vito ciancimino, diede stabilità all’insediamento

organico dei poteri mafiosi nel comune e poi

svolgimento al noto “sacco” della città, senza un’efficace

opposizione delle sinistre.

non c’è che dire: sull’argomento c’è molto da indagare,

da capire, da studiare, direi “laicamente”.

Adesso, questo piccolo libro, con la passione che contiene,

e con la sua calligrafia cronachistica, è qui pubblicato come

incentivo alla ricerca degli storici e come invito rivolto a

quanti hanno la responsabilità di insegnare la storia nelle

scuole a farsene direttamente e consapevolmente promotori.

Dà una buona speranza il fatto che un’insegnante competente

e appassionata come Finella giordano sia all’avanguardia

nel raccoglierlo.

7

 

PREFAZIONE

di Finella Giordano

il processo di nascita e sviluppo della memoria storica è

essenzialmente un processo di costruzione, confronto, conservazione

e trasmissione, sintesi operata a partire da ricordi,

testimonianze, esperienze dirette o indirette, materiali, documenti,

immagini, narrazioni, simboli riconosciuti, elementi

che si pongono come corrispondenze di una vita

anteriore, tasselli significativi di una storia individuale e collettiva,

letta ed interpretata in funzione del presente e con

esso dialogante in maniera plurale, attiva e critica.

in questo orizzonte teorico la memoria storica, sostenuta

dalla forza riflessiva del ricordo, costantemente attualizzato,

o il suo doveroso recupero, concepito ed espresso nelle varie

forme, si attestano quali strumenti di interazione tra passato

e presente, condivisione, legame tra ciò che siamo stati, ciò

che viviamo e il futuro in cui ci proiettiamo; nel loro palesarsi

e celarsi la memoria, il ricordo, il recupero si profilano

come atti di rielaborazione di momenti eroici e grandi imprese,

divenuti miti fondativi, o di eventi traumatici, scomodi

e problematici, spesso e intenzionalmente, sottoposti all’oblio

nella sua funzione liberatrice, in nome di una riconciliazione

ipocrita e fittizia che lacera e ferisce, distorce e

manipola, negando, in modo reiterato, alle vittime, troppo

spesso dimenticate, il diritto alla giustizia.

Questa cultura dell’amnesia crea, così, scissione e incompiutezze

nella ricomposizione delle memorie storiche, indi-

9

viduali, locali e collettive, generando zone d’ombra dai contorni

mai definiti e trame dai nodi irrisolti, ricoperte dal silenzio

e dall’oblio.

emblematico a riguardo e paradossale al contempo il

ruolo assunto dall’oblio nella creazione o nella mancata ricostruzione

della memoria. se la memoria storica si configura,

infatti, come l’insieme delle immagini e delle esperienze

del passato che una comunità conserva e riconosce in quanto

elementi significativi della propria storia, indispensabili per

fornire grandi motivazioni e strategie di comportamento alle

successive generazioni, esito conclusivo di un confronto su

cosa conservare e cosa consegnare all’oblio, allora quest’ultimo

assume lo stesso ruolo del ricordo, attestandosi quale

scelta intenzionale e deliberata dell’orientamento alla selezione

o alla rimozione da parte di chi è abilitato al racconto,

alla conservazione o all’archiviazione.

per contrastare questi “abusi della memoria”, dagli effetti

destabilizzanti per una comunità, capaci di veicolare tensioni

e malesseri sociali, si rivela sostanziale la capacità di attuare

una rielaborazione critica delle memorie, fondate sulle circostanze

vissute e sulla riappropriazione dei tempi e dei luoghi

testimoni degli accadimenti, confrontate all’interno di

prospettive di senso più ampie e di un vivo dibattito intergenerazionale,

collettivo e interpretativo; in questo rinnovato

scenario sarà possibile creare o ricollegare gli opportuni

nessi tra memoria e storia, restituendo autenticità e veridicità

alle esperienze liberate dagli stereotipi, smascherando i meccanismi

tra memoria e rimozione, memoria ed oblio, frutto

di negazioni e mistificazioni.

Queste riflessioni sembrano trovare eco e conferma in

alcune fondamentali tappe della memoria storica e collettiva

del popolo siciliano, segnate dalle lotte, anche eroiche, per

la giustizia sociale e per la difesa della dignità umana, per

l’emancipazione delle donne; una traccia che si snoda dal

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movimento dei Fasci dei lavoratori alla mobilitazione dei

contadini del primo dopoguerra, fino alla partecipazione alla

resistenza e alla guerra di liberazione dal nazi-fascismo per

approdare, infine, alle grandi manifestazioni popolari democratiche

e antifasciste del ’60 che si svilupparono in tutta italia

contro le forze repressive messe in atto dai governi

reazionari.

su queste pagine è calato un silenzio lungo e paralizzante

che ci ha privato di momenti alti di una testimonianza

umana fatta di altruismo, di solidarietà, ci ha privato di momenti

di profonda partecipazione; sono state spente le luci

della memoria grazie alle quali poteva essere reso omaggio

a chi ha dato lezione di civiltà e di umanità, a chi ha avuto il

merito di trasmettere valori con la forza delle idee, della lotta

e del sacrificio; sono state spente le luci della memoria impedendo,

così, che la rielaborazione collettiva del dolore e

della terribile devastante azione della violenza divenisse storia

e quindi patrimonio identitario del popolo siciliano.

Dobbiamo all’inarrestabile impegno di Angelo Ficarra e

alla sua passione militante lo sforzo esemplare di ricostruzione

e recupero di quel segmento della memoria storica precipuamente

legata ad eventi straordinari delle lotte del popolo

siciliano, nel tempo negata e rimossa dalla coscienza popolare,

dalla società civile, dalla storiografia, in un clima di terrore

e violenza che ne ha reso possibile la cancellazione.

ripercorrendo sullo stesso asse interpretativo e secondo

uno svolgimento unitario le esperienze politiche, storiche,

sociali che collegano i Fasci dei lavoratori alla resistenza e

quest’ultima alle giornate di mobilitazione popolare antifascista

del luglio ’60, contro un «manifesto tentativo di riemersione

fascista», Angelo Ficarra ha posto in passato e

continua a porre, con urgenza, in un anelito di speranza di

riscatto, indirizzata alle nuove generazioni, la necessità di riappropriarsi

dei tempi e dei luoghi custodi della memoria e di

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restituire vittime e responsabili, contesti e processi, forme di

lotta e coscienza di queste forme, alla memoria sociale e alla

comprensione della gente, affinché costituiscano pilastri fondanti

di ricostruzione critica e di condivisione esperienziale

in grado di promuovere valori di riferimento, orientativi dell’agire

politico.

Questo intendimento, ancora una volta, accompagna e

sorregge, nelle pagine di questo breve saggio, la narrazione

e la rievocazione delle lotte popolari del luglio ’60 in sicilia

e in particolare dei tragici avvenimenti della città di palermo,

che – insieme ai fatti di genova (giugno ’60), reggio emilia

e roma (luglio ’60) – rappresentarono un momento drammatico

della storia italiana, minacciata dalla svolta autoritaria

del governo presieduto dal democristiano Fernando Tambroni,

sostenuto dal Movimento sociale italiano, partito

erede del fascismo. in quelle rivolte di piazza, giovani delle

borgate, operai metalmeccanici, netturbini, tantissimi edili,

disoccupati, emarginati e poveri videro l’occasione per un

possibile riscatto sociale, per un radicale cambiamento delle

loro condizioni di vita, per una richiesta di libertà, democrazia

e rinnovamento, lottando in difesa della costituzione,

attestandosi, così, quali eredi della resistenza, dei suoi valori

e dei suoi ideali.

ri-costruire, dunque, quegli avvenimenti e quei processi

individuali e collettivi, enuclearne il senso, riconoscendoli

come elementi significativi della propria storia, stabilirne

connessioni o discontinuità nella loro integrazione o relazione

con il presente, si legittima, oggi, nel grigiore e nell’opacità

della nostra attualità, come operazione ineludibile,

fattore essenziale, strumento di ricerca per una continuità,

che attraverso la memoria storica possa definire la coscienza

di ciò che è accaduto al fine di interpretare ciò che è.

12

8 LUGLIO 1960

LA BATTAGLIA DI PALERMO

di Angelo Ficarra

la cronaca che qui presentiamo degli avvenimenti dell’8

luglio 1960, che sconfissero il tentativo di restaurazione fascista

del governo Tambroni è ricostruita dalla relazione da

me tenuta sullo stesso tema al convegno del 2 luglio 2010

nell’atrio della biblioteca comunale di palermo. le iniziative

per la ricorrenza allora del 50° anniversario del luglio 1960

partirono dal lodevole impegno della cgil e del circolo di

rifondazione comunista “Francesco Vella”. Ad essi va la

nostra gratitudine soprattutto per avere voluto avviare, col

ricordo doveroso dei caduti in quelle giornate di lotta, una

ampia, attuale ed approfondita riflessione sul rapporto tra

storia e politica.

lungo l’asse di questo rapporto abbiamo registrato come

grosse campagne di revisionismo storico abbiano, a vario titolo

in questi ultimi sessant’anni, fatto da sfondo e da sponda

a diverse operazioni politiche e ideologiche che hanno tentato

di demolire il patrimonio antifascista che costituisce la

base morale e politica del nostro stato repubblicano.

Allora, in quelle straordinarie e spontanee giornate di popolare

mobilitazione, i giovani si incontrarono con l’antifascismo

e ritrovarono i grandi ideali della resistenza, respinsero

con forza il tentativo di rigurgito fascista messo in atto dal

governo monocolore del democristiano Tambroni che si reggeva

con l’appoggio determinante, richiesto ed esplicito, del

13

Movimento sociale italiano. Fu una vittoria contro i residuati

nefasti della borghesia fascista e mafiosa, imboscata e infiltrata

nei gangli dello stato. certo una vittoria non definitiva e la

lunga teoria delle stragi che avrebbero continuato in Italia a

costellare la nostra storia ne sono triste conferma.

si trattò, soprattutto, di una risposta ad un violento manifesto

tentativo di riemersione fascista nato dalla crisi interna

delle forze di maggioranza democristiane che

governavano il paese e che costò la vita a diversi inermi cittadini

italiani. erano scesi in piazza in difesa della democrazia

e della costituzione animati dalla innata vocazione alla

difesa della libertà e della dignità umana oltre che dagli alti

ideali nati dalla resistenza.

Oggi nel ricordare innanzitutto quei caduti, vogliamo sottolineare

la insensata, cieca violenza che dappertutto anche

qui a Palermo come a Genova, Roma, Reggio Emilia, Catania

e Licata segnò quelle giornate. Violenza figlia di una antica

barbarie, lucida tragica conseguenza di una strategia del terrore

che tentò di segnare una terribile egemonia, di umiliare

i deboli quasi non fossero esseri umani, di cancellare non

solo le vittime ma anche di impedirne, rendendola perseguibile,

la memoria e con essa il sogno di una società umana.

Di fronte a questa violenza il silenzio e la rimozione della

“società civile”. i giovani di oggi nella loro stragrande maggioranza

non conoscono questa storia. possiamo dire che è

una storia sconosciuta a livello popolare. e tutto questo ci

deve fare riflettere.

Forse piangendo disperatamente le recinzioni in ferro

delle aiuole di via libertà, le vetrine infrante (forse anche

dalle sventagliate di mitra della polizia) e non i morti, la borghesia

ancora una volta affermava la sua cieca egemonia facendo

passare lo stereotipo della jacquerie, del ribellismo

della plebaglia, proseguendo così nella sua antica azione distruttrice

della identità di un popolo.

14

per tutto questo vogliamo e dobbiamo avviare una seria

ed ampia riflessione sui lunghi periodi di silenzio, per capire

quanta parte di quello stereotipo è passata dentro di noi.

Dobbiamo farlo a partire dalla testimonianza, dalla memoria

dei fatti e dei luoghi che sono stati teatro di eventi decisivi

per la nostra democrazia.

Tradizionalmente a Palermo, oltre alle commemorazioni

prima della sezione “Francesco Vella” del pci del Villaggio

santa rosalia e poi del circolo “Francesco Vella” di rifondazione

comunista, è stata quasi unicamente la cgil, in particolare

la FioM – il sindacato di quei metalmeccanici che per

primi nel 1960 si dovettero scontrare con la celere scelbiana

all’uscita dal cantiere navale, e degli edili della Fillea – ad organizzare

iniziative pubbliche in ricordo dei fatti, fino ad arrivare,

alcuni anni fa, a dedicare una via periferica ai caduti

dell’8 luglio ’60.

Nel 2001 viene prodotto lo splendido documentario di

Ottavio Terranova che ricostruisce quelle giornate, recuperando

preziose testimonianze di diversi protagonisti dell’epoca.

Documentario messo a disposizione di tutti dalla

generosità di Ottavio Terranova.

Da queste brevi considerazioni la necessità di riappropriarci

dei tempi e dei luoghi in cui queste tragedie si sono

verificate per restituirle alla collettività, alla pietà della gente;

per farne momento, certamente difficile ma necessario, di

rielaborazione critica, collettiva, aperta.

obiettivi certamente da definire meglio in un processo

di ricerca che deve  lkw di andare al di là di questo

momento e che comunque oltre ad essere emblematicamente

e ritualmente commemorativi, siano soprattutto

significativi di un modo nuovo di recupero collettivo della

memoria come ricerca identitaria delle proprie radici e della

propria storia.

15

i FATTi

1960: in italia la Democrazia cristiana in crisi al suo interno

decide di dare vita, per la prima volta dopo la lotta di

liberazione dal nazifascismo, ad un governo monocolore

guidato da Fernando Tambroni con l’appoggio esplicito e

decisivo dei fascisti del Msi. È l’espressione di una grave crisi

interna determinata dal contrasto di due anime della Dc.

la scelta della Dc inevitabilmente determina una pericolosa

e confusa deriva anticostituzionale che, scopriremo anni

dopo, quanto fosse permeata dai servizi segreti cosiddetti

deviati, da gladio e da un rigurgito fascista soprattutto in

termini anticomunisti.

A giugno il Msi, in cambio del suo appoggio al governo,

annuncia provocatoriamente di avere scelto genova, città

medaglia d’oro della resistenza, come sede del suo primo

congresso nazionale affidandone la presidenza onoraria ad

un ex prefetto fascista di genova che si era particolarmente

distinto durante l’occupazione nazifascista.

30 giugno - genoVA

con giorgio gimelli, presidente dell’Anpi, e Bruno pigna,

segretario della camera del lavoro, genova dà vita ad

un enorme spontaneo movimento antifascista unitario che

respinge ogni ipotesi di congresso fascista nella sua città.

centomila persone partecipano alla grande manifestazione

antifascista a genova. la manifestazione viene turbata

alla fine dalle cariche provocatorie della polizia che danno

luogo a violenti scontri.

2 luglio ore 1,40 del mattino: il prefetto di genova

chiama al telefono il segretario della cgil pigna, operaio metalmeccanico,

comunicando che il congresso del Msi non si

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sarebbe più svolto nella città di genova. il giornale L’Ora

di palermo nella sua edizione del 2 luglio titola su otto colonne

«genova ha vinto. Tambroni in difficoltà. gronchi ha

convocato Tambroni al Quirinale».

Ma Tambroni non molla, forte anche delle pressioni

dell’ambasciata americana in italia che spudoratamente sul

suo Rome Daily American aveva commentato i fatti di genova

scrivendo: «Tambroni sarebbe stato giustificato se avesse

chiamato le truppe a reprimere le manifestazioni quando divenne

chiaro che la polizia di genova non era in grado di

cavarsela».

Il Secolo d’Italia, organo del Msi, dopo un aperto elogio del

duro discorso in parlamento del ministro dell’interno giuseppe

spataro, scrive «primo segnale di ripresa e di riscatto

dopo le tristi giornate di genova», aggiungendo «alla piazza

scatenata e feroce non basta contrapporre discorsi è urgente

una energica azione di governo che alle parole faccia seguire

i fatti».

e i fatti sono venuti a partire da licata e poi da roma.

Da qui in avanti si registra una accelerazione nel comportamento

di polizia e carabinieri.

17

5 luglio - licATA

sciopero generale per il lavoro proclamato da un comitato

popolare, con in testa unitariamente la giunta comunale.

Tipica espressione di un fronte indistinto che tenta di scaricare

altrove le responsabilità della propria classe dirigente.

Tutti uniti contro un nemico lontano e indefinito. Atteggiamento

questo figlio di una cultura sicilianista che tanto

permea le suggestioni dell’allora governo Milazzo per un generico

qualunquista movimento del sud. Al grido di licata

non deve morire partecipano 20.000 persone.

già all’alba era presente uno schieramento particolare di

polizia, battaglioni di carabinieri e reparti speciali provenienti

da palermo, catania e Agrigento. Diverse forze dislocate

nelle campagne vicine, cingevano di assedio la città.

la cronaca dei quotidiani dell’epoca riporta che, a manifestazione

appena iniziata, era giunta all’ospedale civile di

Agrigento la richiesta telefonica che raccomandava di tenere

tutto pronto per numerosi ricoveri di urgenza e di provvedere

all’invio di autoambulanze che, in effetti sono giunte a

licata prima ancora che scoppiasse la battaglia.

«Vado in centro e seguo il corteo – è la testimonianza di

luigi Ficarra resa in un intervento rievocativo al comune

di palermo l’8 luglio 2006 – poi, seguendo gruppi di manifestanti,

ritorno verso la ferrovia e trovo che l’hanno occupata.

la polizia presente in forze notevoli non annuncia

l’attacco. sparano ad altezza d’uomo. Vidi cadere nel sangue,

a meno di un metro da me, un giovane lavoratore, che poi

seppi essere Vincenzo napoli. lottava per il pane ed ebbe

il piombo. È un eroe del lavoro che non c’era, l’eroe di una

lotta “mancata”».

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6 luglio - roMA, porTA sAn pAolo

Manifestazione per la democrazia e deposizione di una

corona al sacrario della resistenza.

Brutale carica della polizia e dei carabinieri a cavallo, inseguiti

ed arrestati fin dentro le case i borgatari romani.

7 luglio - reggio eMiliA

cinque morti: lauro Farioli, ovidio Franchi, emilio reverberi,

Marino serri, Afro Tondelli. una ventina di feriti.

la polizia spara sui manifestanti che cantano, spara proiettili

che bucano persino l’acciaio. si mitraglia ad altezza d’uomo.

Dopo 53 anni non c’è ancora un colpevole per i manifestanti

uccisi dalla polizia.

Massacri caparbiamente perseguiti dal governo Tambroni

in risposta alla sconfitta di genova. lo sbigottimento fu

enorme pari solo al miscuglio di sconforto e rabbia che suscitò

in noi.

Quello stesso pomeriggio fu proclamato dalla cgil per

l’indomani lo sciopero generale in difesa della democrazia.

la mattina dell’8 luglio all’apertura della seduta del senato

il presidente democristiano cesare Merzagora, formula una

proposta concreta per risolvere dignitosamente i conflitti in

atto. era una proposta di tregua dettagliatamente articolata

che prevedeva significativamente tra l’altro «le guardie, le

forze armate rimangono in caserma salvo i contingenti normalissimi

». Tambroni contrario, purtroppo si ostina sulla

strada della violenza.

sono ore convulse che ci testimoniano come la situazione

fosse arrivata sull’orlo del baratro. Tambroni non vuole andarsene

e si contrappone al parlamento. la Dc prende tempo.

i giornali riportano la notizia che Moro, a sentire le voci

messe in giro dai democristiani a Montecitorio, dormirebbe

19

fuori casa. A rileggere oggi queste parole, dopo l’assassinio

di Moro mentre giulio Andreotti è presidente del consiglio

e Francesco cossiga ministro degli interni, vengono i brividi.

È questo il clima da golpe che si respirava in quei giorni

del luglio 1960.

A palermo e un po’ ovunque in italia, per la prima volta

dalla caduta del fascismo, lo sciopero è caratterizzato da una

straordinaria, massiccia, inattesa partecipazione di giovani. i

giovani dalle magliette a strisce. il segnale di un ingresso così

significativo, di una imponente massa di ragazzi sulla scena

sociale e politica, in sicilia si era già avvertito a palermo poco

più di una settimana prima, il 27 giugno, in un grandioso sciopero

per lo sviluppo industriale e per migliori condizioni e

prospettive di vita. lo sciopero aveva registrato una furiosa

carica della polizia sui dimostranti all’altezza della cattedrale.

Ma era successo un fatto nuovo; per la prima volta i giovani

avevano respinto la violenza delle forze dell’ordine.

ricordo ancora l’impressione che mi fece quando vidi

quel 27 giugno, verso le sette di sera, imboccando la via Maqueda

dalla porta sant’Antonino, (venivo da via Archirafi

dove avevo sostenuto un esame di Fisica), diversi autobus

bloccati e abbandonati lungo la via.

20

8 luglio - pAlerMo

Quella mattina pio la Torre e nicola cipolla, con i compagni

della camera del lavoro si erano recati all’ingresso del

cantiere navale per informare gli operai della strage di reggio

e dello sciopero generale dalle ore 14.

la testimonianza di un anziano impiegato del cantiere

navale, recuperata da Marcello cimino in occasione del 20°

anniversario ci dice che «scioperarono tutti gli operai effettivi

ma vennero bloccati dalla polizia subito, all’uscita dai cancelli

a mezzogiorno. riescono però ad aggirare lo sbarramento

e a risalire la via dei cantieri fino al cavalcavia dove un più

forte cordone di polizia li ferma. segue un primo scontro a

base di gas lacrimogeni. gli operai si ricompattano in corteo

più avanti risalendo la via duca della Verdura. All’altezza del

fondo Amato, dove ora sorge l’istituto Tecnico industriale,

allora tutto voragini e macerie, altra carica della polizia, altra

sassaiola, altri gas lacrimogeni e altro aggiramento degli operai

che continuano la marcia verso piazza politeama dove il

caos era già cominciato.

«È il modus operandi della polizia che, per ordine del governo,

tenta di impedire lo sciopero e la manifestazione violando

le più elementari garanzie delle libertà costituzionali;

altro che mantenere l’ordine pubblico. già in piazza politeama

«migliaia di scioperanti, di giovani e di cittadini fin

dalle ore 13 sono cominciati ad affluire. la piazza dalle 14

in poi e per tutta la serata è divenuta l’epicentro di continui,

violenti scontri con i reparti di poliziotti e carabinieri.

«A mezzogiorno era cominciato l’esodo da tutti i cantieri

edili. Alle 14 in punto tutti i filobus e gli autobus dei trasporti

urbani erano rientrati, senza eccezione alcuna, nelle rimesse.

«Alle 14.30 cortei di giovani e di lavoratori, partendo dal

politeama, imboccavano la via ruggero settimo. A un certo

punto, alle spalle dei dimostranti piombavano una mezza

dozzina di jeep cariche di celerini i quali cominciavano a ca-

21

ricare violentemente. i dimostranti sparpagliatisi in gruppi»,

una parte del corteo scese per via emerico Amari, «organizzavano

la difesa.

«le jeep lanciate a pazza velocità venivano fatte segno a

lanci di sassi e di paletti di legno recuperati da cantieri edili.

il tratto dell’asse piazza politeama piazza Massimo era divenuto

un campo di battaglia».

Trascrivo dalla testimonianza di Manlio guardo, dottore

in chimica dirigente giovanile comunista, al quale, già arrestato

e caricato ammanettato su una camionetta della polizia

con altri due dirigenti del pci, giuseppe Messina e piero calcara,

un ufficiale urla: «Ho il diritto di ucciderla!».

«ore 15.05: all’angolo fra via principe di Belmonte e via

ruggero settimo scorgo un folto gruppo di dimostranti che

comincia a costruire una barricata. insieme con pio la Torre

mi caccio in mezzo alla calca, tentiamo di trascinare con noi

la folla in direzione del politeama, giovani e vecchi ci affrontano:

“che calma volete, gridano, chisti sparanu, chisti ammazzanu!”.

Tutti sapevano dell’eccidio di reggio, tutti temevano

il peggio, erano certi che il peggio sarebbe presto venuto.

«per bloccare i caroselli delle jeep, con tutti i mezzi di

fortuna disponibili compresi i bidoni di latta che allora spingevano

a mano i netturbini, si erano improvvisati degli sbarramenti.

Qui di fronte alla inattesa resistenza dei manifestanti

i reparti armati perdono la testa: oltre al lancio di candelotti

lacrimogeni e l’uso di idranti che erano entrati in funzione a

piazza politeama incominciano a sentirsi colpi di fucile e le

prime sventagliate di mitra.

«la furia incontrollata di chi dirigeva le forze di polizia è

esplosa verso le 17,15 del pomeriggio, quando la massa dei

dimostranti, dopo aver fatto fronte a numerose cariche, si è

attestata in via Maqueda.

Dirigenti sindacali e deputati regionali, ormai chiare le

gravi intenzioni della polizia, avevano tentato di fare inter-

22

venire il presidente della regione Majorana sul prefetto e il

questore per fare ritirare i reparti armati e consentire di riportare

la calma e sotto controllo la situazione. Ma tutto è

inutile. Altri reparti militari, sembra apparentemente scollegati

fra loro, nel frattempo entrano in azione vanificando

ogni tentativo di non fare precipitare la situazione.

la battaglia continuerà fino a tarda sera con un terribile

bilancio di violenza e di morte.

così ricorda quei terribili momenti giacomo Di giugno,

dell’ugp (unione goliardica palermitana), laureando in medicina:

«in piazza Verdi si era radunata una folla in gran

parte composta da coloro che cercavano di allontanarsi da

via ruggero settimo, dove poco prima erano stati lanciati

dei candelotti lacrimogeni. in quel momento la piazza era

calma. Ma all’improvviso gli armati scesero dai loro mezzi e

si lanciarono addosso alla gente picchiando all’impazzata

con i manganelli e i calci dei fucili. Alcuni cittadini furono

23

così abbattuti e lasciati per terra, molti altri furono afferrati

brutalmente e sospinti con calci e pugni sui camion. Allora

i giovani che erano fra la folla cominciarono a disselciare il

marciapiede e a lanciare sassi contro i poliziotti i quali furono

costretti a ritirarsi verso la via cavour. A questo punto

cominciarono a sparare dapprima in aria».

pare che sia proprio in questa fase che un colpo di fucile

sparato in aria da piazza Massimo alle spalle dei dimostranti

colpisca la signora rosa la Barbera mentre stava chiudendo

le persiane del suo balcone in via rosolino pilo, morirà l’indomani

in ospedale.

Ma ripigliamo a leggere la testimonianza di Di giugno: «A

questo punto cominciarono a sparare dapprima in aria. poi,

avvertendo le pallottole frusciare fra gli alberi piuttosto bassi

della piazza, mi resi conto che abbassavano il tiro. i dimostranti

cominciarono a diradarsi riparandosi nelle stradine adiacenti.

Anche io cominciai a fuggire per ripararmi. Mi trovai così

accanto ad un giovane bruno quasi della mia altezza e imboccammo

assieme via salvatore spinuzza, mi girai un momento

e vidi distintamente un poliziotto appostarsi all’angolo

e mirare verso di noi con un’arma da fuoco che aveva una

grossa canna, forse un mitra, e sparare. subito dopo vidi il

giovane che era accanto a me portarsi una mano al fianco e

contrarre il viso per il dolore. lo sorressi abbracciandolo e

lo condussi al riparo nel vicolo vicino. cominciai a chiamare

aiuto. nessuno dapprima venne perché la polizia continuava

a sparare. Finalmente si avvicinarono alcune persone che sollevarono

il ferito e lo caricarono su una macchina. seppi

dopo che si trattava di Andrea gangitano».

le cariche violente della polizia, i caroselli delle jeep che

erano sbucate da dietro il teatro Massimo, le bombe lacrimogene,

le sventagliate di mitra in piazza Massimo avevano sospinto

una parte dei dimostranti in via Maqueda e un’altra

massa verso via cavour.

24

Fra i dimostranti che si dirigono verso via Maqueda c’è

Francesco Vella, operaio edile, dirigente comunista della sezione

“Monte grappa”, ha un grandissimo ascendente fra i

giovani operai edili. siamo nel pieno del sacco edilizio di palermo

con un fortissimo controllo mafioso. si parla di pizzo

giornaliero per lavorare nei cantieri. Vella per i giovani edili

è certamente un importante punto di riferimento anche in

questa battaglia.

grazie alla testimonianza di Vincenzo sanfilippo, allora

fidanzato di Fina (figlia di ciccio Vella, che in seguito sposerà),

oggi sappiamo dell’atteggiamento premuroso, paterno

di ciccio verso i suoi giovani edili. grida, li esorta a mettersi

al riparo, a non farsi ammazzare. li sospinge dentro la via

Bari al sicuro dai colpi di fucile e di mitra che ormai la polizia

tira all’impazzata. i manifestanti non erano fuggiti neanche

quando chiazze di sangue e i corpi dei feriti accasciati al

suolo avevano dato la misura della tragedia.

si sono visti dei ragazzi correre contro i carabinieri, afferrare

le canne dei mitra con le mani e gridare «sparate, sparate

assassini». È qui che Francesco Vella viene colpito

vittima della sua grande generosità. È lillo roxas, dirigente

comunista nisseno, che ne rese allora testimonianza: «io ero

con ciccio Vella un minuto prima che un assassino in divisa

mirasse e lo ammazzasse». ciccio Vella cade amorevolmente

accolto fra le braccia di Vincenzo sanfilippo.

Avevo accennato in premessa come la “società civile” palermitana

non avesse avuto lo scatto di orgoglio di difendere

i suoi figli, come mostrasse ancora una volta tutta la sua subalternità

alla rappresentazione che mettono in scena i portavoce

della sua classe dirigente.

la sua classe dirigente è quella del sacco di palermo,

quella dei sindaci lima prima e ciancimino poi.

Questa “società civile”, che non aveva pianto le ville liberty

di via libertà fatte saltare in aria dalla borghesia ma-

25

fiosa, al contrario si dispera per le recinzioni in ferro bianco

delle aiuole calpestate l’8 luglio, le panchine in pietra rotte

le poche vetrine infrante ma non per i morti.

È la classe dirigente che plaude all’intervista rilasciata

meno di un anno prima dal suo cardinale, ernesto ruffini,

che dichiara che «la mafia non esiste. la mafia è una invenzione

dei comunisti».

Di questa rappresentazione in qualche modo si dichiara

testimone e vittima lo stesso quotidiano L’Ora quando, 5

giorni dopo l’8 luglio, scrive «che una più precisa conoscenza

e una più ponderata considerazione dei fatti hanno

fatto giustizia delle interessate voci allarmistiche e di certi

prevenuti stati d’animo che avevano attribuito ad alcuni episodi

di reazione da parte dei dimostranti un bilancio dimostratosi

poi del tutto sproporzionato».

L’Ora riporta diverse testimonianze e fra le altre quella

trasparente, genuina di giuseppe Malleo 15 anni, fontaniere

che vede all’angolo della via celso «un carabiniere che alzò

il moschetto e mi sparò addosso». Malleo morirà alcune settimane

dopo.

purtroppo lo stereotipo, costruito dalla classe dirigente di

questa città, che addossava tutte le colpe alla plebaglia era in

gran parte condiviso. era stato il Giornale di Sicilia che piangendo

le aiuole, le vetrine e le panchine rotte e non i morti

aveva parlato appunto di plebaglia. era addirittura arrivato a

far balenare una distinzione fra lavoratori e plebaglia per giustificare,

in qualche modo, la violenza scatenata dal governo

Tambroni a sostegno del quale si era apertamente schierato.

Ma questo non era successo a reggio a Torino a genova

dove, scrivono i giornali, «piazza De Ferrari ha l’aspetto tragico

delle giornate di guerra. colonne di fumo si alzano da

alcuni automezzi incendiati. il selciato era divelto in più

punti. Decine di seggiole e tavolini dei bar erano sparsi nella

strada, frantumati e contorti».

26

la città di genova non piange per le suppellettili che

erano andate distrutte.

la città di reggio a differenza di palermo piange i suoi

caduti.

la classe dirigente di questa città invece tenta di stendere

un velo di silenzio su quanto accadeva l’8 luglio dentro palazzo

comitini allora sede della prefettura. lo fa secondo

un antico canovaccio ormai collaudato che era pure servito

a rimuovere un altro terribile episodio di violenza proprio lì

accaduto nel 1944: la strage a colpi di bombe a mano e di

mitra di inermi cittadini di palermo fra cui moltissimi ragazzi

e bambini con 24 morti e 158 manifestanti feriti. sì proprio

lì davanti il palazzo comitini. la strage del pane come fu all’inizio

indicata, forse con un velo di vile lontano distacco

dalla tragedia forse anche per sottolinearne la povertà di appartenenza

e quindi anche la natura di colpevole vandea.

erano questi ancora altri aspetti terribili della violenza.

gli arrestati l’8 luglio a centinaia venivano scaricati lì, a

palazzo comitini, dalle camionette della polizia e dai cellulari

dei carabinieri e, a via di urla volgari e di “cornuti”, “sporchi

comunisti”, venivano spinti dentro il cortile della prefettura

dove erano costretti a passare fra due fila di poliziotti urlanti

che a sputi e a calci li indirizzavano per ammassarli e rinchiuderli

in una grande stanza in fondo.

il proposito di umiliare, di deprimere, di ridurre quella

gente a stracci umani, senza più una volontà, quasi senza rispetto

di se stessi, fu subito evidente.

27

DAl QuoTiDiAno L’ORA, 13-14 luglio 1960

giacomo Di giugno, 28 anni, laureando in medicina.

Ho visto uccidere il giovane Gangitano.

erano circa le ore 19. in piazza Verdi si era radunata una

folla in gran parte composta da coloro che cercavano di allontanarsi

da via ruggero settimo dove poco prima erano

stati lanciati dei candelotti lacrimogeni.

la gente aveva gli occhi rossi ed era confusa: stava ferma

a gruppi in vari punti della piazza.

un folto gruppo era davanti alla scalinata del Massimo.

Ad un certo punto da dietro il teatro, forse da via Volturno,

sopravvennero alcuni camion o jeep carichi di carabinieri

e agenti. in quel momento la piazza era calma.

Ma all’improvviso gli armati scesero dai loro mezzi e si

lanciarono addosso alla gente picchiando all’impazzata con

i manganelli e i calci dei fucili.

Alcuni cittadini furono così abbattuti e lasciati per terra,

molti altri furono afferrati brutalmente e sospinti con calci e

pugni sui camion. Allora i giovani che erano fra la folla cominciarono

a disselciare il marciapiede e a lanciare sassi contro

i poliziotti i quali furono costretti a ritirarsi verso la via cavour.

A questo punto cominciarono a sparare dapprima in aria.

poi, avvertendo le pallottole frusciare fra gli alberi piuttosto

bassi della piazza, mi resi conto che abbassavano il tiro.

i dimostranti cominciarono a diradarsi riparandosi nelle stradine

adiacenti.

Anche io, che ero con alcuni altri studenti e cittadini, fra

cui un signore anziano (forse un medico o un farmacista a

giudicare dai discorsi) cominciai a fuggire per ripararmi.

Mi trovai così accanto ad un giovane bruno quasi della mia

altezza e imboccammo assieme via salvatore spinuzza. Mentre

ci dirigevamo verso un vicolo che sbocca in via Bara, mi

28

girai un momento e vidi distintamente un poliziotto appostarsi

all’angolo della valigeria e mirare verso di noi con un’arma da

fuoco che aveva una grossa canna, forse un mitra, e sparare.

subito dopo vidi il giovane che era accanto a me portarsi una

mano al fianco e contrarre il viso per il dolore. lo sorressi abbracciandolo

e lo condussi al riparo nel vicolo vicino.

cominciai a chiamare aiuto. nessuno dapprima venne

perché la polizia continuava a sparare.

Finalmente si avvicinarono alcune persone che sollevarono

il ferito e lo caricarono su una macchina. seppi dopo

che si trattava di Andrea gangitano.

luigi candela, 25 anni, via immacolatella n. 108, allo sperone

- lucidatore.

Sono in grado di riconoscere il tenente che mi sparò.

sono lucidatore di pavimenti. guadagno circa 1.200 lire

a giornata. non sono sposato. Abito con i miei. Tutti i miei

fratelli lavorano.

non dico che stiamo bene, ma si lavora e si mangia, ecco.

come sono rimasto ferito durante i disordini di venerdì?

nel pomeriggio avevo deciso di andare a fare visita a mia

nonna, in vicolo Marotta. Quando sono giunto all’angola che

la via Bari forma con via Maqueda, vicino alla galleria delle

Vittorie, sentii clamori forti che provenivano dalla via napoli.

stavo per sbucare sulla via Maqueda quando mi venne incontro

un tenente della p.s. che mi puntò una pistola contro

le gambe e fece fuoco. lo saprei riconoscere tra diecimila

persone. giuro che ero completamente solo sulla strada, non

avevo né armi né bastoni in mano, non correvo, non gridavo.

il tenente subito dopo avere esploso il colpo diretto contro

di me girò il braccio di un palmo e continuò a fare fuoco

contro altri. io caddi in ginocchio. sentii un gran freddo al

29

piede destro. riuscì a stringermelo tra le mani. Mi guardai

attorno in cerca di aiuto e vidi il tenente che continuava a

sparare, calmo. Qualcuno che non ricordo mi prese in braccio,

mi caricò su una macchina, mi consegnò agli infermieri

del pronto soccorso in via roma.

poi andai a finire a Villa sofia. Mi hanno interrogato parecchie

volte. non vogliono credere che sarei capace di riconoscere

il tenente. invece vi assicuro che ne sarei capace,

parola d’onore.

carmelo Brotto, 17 anni, vicolo cusimano, studente.

Vidi sul ginocchio il buco della pallottola.

sono studente del V ginnasio. Mio padre è disperso in

guerra. Mia madre non lavora perché è ammalata. Ho un

fratello laureando in legge, ed un altro studente al terzo liceo.

ci aiutano i parenti di mio padre, pagandoci le tasse scolastiche

e comprandoci i libri di testo, non mi vergogno di dire

che è come se vivessimo a giornata. non sappiamo mai che

cosa succederà l’indomani. ecco come sono rimasto ferito

durante i disordini di venerdì.

Verso le ore sedici uscì di casa perché avrei dovuto comprare

il pane per i miei.

Ma i panettieri erano tutti chiusi. Mi accorsi che le strade

del centro erano piene di gente che gridava, correva, tornava

indietro... strinsi le distanze, diciamolo pure, per curiosità.

Mi trovai tra tutta quella gente, proprio all’angolo che la

via Maqueda forma con la via napoli. insomma, alla galleria

delle Vittorie.

È stato a quel punto che qualcuno mi ha sparato. chi?

non lo so proprio. ricordo solo di avere sentito un colpo

sul ginocchio destro, come di una pietra che arriva. subito

me lo toccai il ginocchio, ma non riscontrai nulla di anor-

30

male. un attimo dopo dovetti appoggiarmi a una saracinesca.

uno accanto a me gridò: “Ti hanno ferito?”.

io prima di rispondere volli sincerarmi e alzai il calzone.

Mi ricordo che in quel momento qualcuno vicino grido:

“Hanno ammazzato uno!”. Vidi sul ginocchio il buco della

pallottola. Mi si avvicinò uno con uno scooter e mi disse:

“Monta. Ti porto all’ospedale”. e sono andato con lui. Alla

guardia medica di via roma tentarono di togliermi la pallottola

spremendo la ferita. Quando videro che non potevano

fare nulla, mi mandarono qui a Villa sofia con una autoambulanza.

Qui il trattamento è stato buono. solo che abbiamo

avuto un sacco di interrogatori di polizia.

salvatore lipari, 14 anni, via Tavola Tonda, n. 5.

La mano entrò tutta dentro la ferita.

io non vorrei neanche parlare dei disordini di venerdì. i

medici dicono che la mia ferita non è da trascurare. Ancora

mi brucia, e come!

la prossima volta che sento parlare di sciopero neanche

esco. io sono rimasto ferito venerdì sera, molto tardi, durante

l’assalto al negozio spatafora, quello delle scarpe. passavo

di lì per combinazione. ero diretto a casa mia. Vidi

alcuni davanti al negozio e ci andai pure io.

Quando arrivai lì vicino vidi la lastra di vetro della vetrina

che stava cedendo. Mi tirai indietro e mi girai. Arrivai per

un pelo. Altrimenti il vetro mi sarebbe caduto sul collo.

invece mi sentii il piede destro caldo caldo. Me lo toccai

dove c’era il sangue e la mano entrò tutta dentro la ferita,

sino in fondo. Allora cominciai a gridare a tutti di muoversi,

di portarmi all’ospedale.

la prima macchina sulla quale mi caricarono incappò nell’asfalto

rotto di via roma e non si mosse più. io stesso do-

31

vetti sollecitare per essere caricato su un’altra auto che facesse

il giro dalla via Maqueda.

Meno male che almeno io non ho perso la testa! Al

pronto soccorso di via roma mi tamponarono le ferite e poi

mi mandarono in ospedale per il ricovero.

Manlio guardo, 26 anni, via Marchese ugo n. 58 - dottore

in chimica.

Un ufficiale mi urlò: “Ho il diritto di ucciderla!”.

ore 13.03: all’angolo fra via principe di Belmonte e via

ruggero settimo scorgo un folto gruppo di dimostranti che

comincia a costruire una barricata con quanto riesce a trovarsi

intorno.

insieme con il segretario della camera del lavoro pio la

Torre mi caccio in mezzo alla calca. cerchiamo di impedire

che si continui ad accumulare ostacoli sulla strada, intuiamo

che già questo costituirà un buon pretesto per la reazione

delle forze di polizia.

Ma quando tentiamo di trascinare con noi la folla in direzione

del politeama, giovani e vecchi ci affrontano: “che

calma volete, gridano, chisti sparanu, chisti ammazzanu!”.

Tutti sapevano dell’eccidio di reggio, tutti temevano il

peggio, erano certi che il peggio sarebbe presto venuto.

la nostra fatica tuttavia non è inutile.

riusciamo a farci seguire dalla maggioranza del gruppo fino

alla piazza. A questo punto un autocarro dei carabinieri carico

di uomini armati di moschetto o di mitra si avvia dal centro

della piazza verso la barricata improvvisata, mentre dai Quattro

canti di campagna giungono delle camionette della celere.

i carabinieri scendono dal camion, sono molti, il loro

sguardo è quello di uomini febbricitanti, qualcuno – appena

a terra – spiana l’arma. Dall’altra parte vola una sassata. una

voce grida: “no! Ai carabinieri no!”.

32

la gente sa chi ha sparato a reggio emilia e la vecchia

tradizione di rispetto per la benemerita non si è ancora

spenta in sicilia. più tardi verrà scossa alquanto.

Vedo il commissario nicolicchia avanzare alla testa dei

carabinieri, gli vado immediatamente incontro: “per carità,

gli dico, che i suoi uomini non perdano la testa senza ragione,

ci sono tutte le possibilità di evitare i guai”. “Va bene,

fa lui, cerchi di trattenerli”. e li tratteniamo, infatti, ma non

è che una beffa. Alle nostre spalle si è disposto un reparto

della celere, ed è la carica, violenta, spietata.

gli agenti digrignano i denti ed urlano come lupi. si avventano

su quelli che corrono e su gli altri che stanno fermi

e guardano, indiscriminatamente. in quel momento mi

rendo conto che questi uomini non sono, non possono essere

in un normale stato fisiologico.

in quel momento dal fondo di via emerico Amari si preparava

l’offensiva, evidentemente studiata a tavolino, nei minimi

particolari. una formazione di camionette, autocarri,

autocisterne munite di idranti, procedeva come su un campo

di esercitazione verso via ruggero settimo e piazza castelnuovo

con un massiccio coro di sirene.

gli idranti entravano in azione improvvisamente all’altezza

del teatro e nello stesso istante le jeep improvvisamente

acceleravano la marcia e si scagliavano sulla folla. poi

il grosso dell’autocolonna imboccava via libertà, le autocisterne

in testa con gli idranti in azione. credo che in parte

si trattasse di acqua colorata.

i gruppi di dimostranti temporaneamente dispersi tornavano

a costituirsi in piazza castelnuovo, ma non era finita.

sul marciapiede, dalla parte di via Dante, è schierato un altro

reparto di agenti al comando del commissario campagna e

del maresciallo Bertolozzi. si muovono. prevedo come andrà

a finire e mi rivolgo al commissario. immagino che il

suo comportamento non debba essere diverso da quello del

33

suo collega di prima. Ma l’immaginazione non è evidentemente

in questi frangenti la qualità più utile. la conversazione

si svolge all’inizio in modo normale.

Accanto a me sono adesso altri due giovani dirigenti del

pci, Messina e calcara. partecipano anch’essi. spieghiamo assieme

(quasi fosse necessario) che non vi è nessuna ragione

di arrivare a una strage, che si deve mantenere la calma, soprattutto

fra gli agenti, perché nessuno riuscirebbe a contenere

l’indignazione della folla se si insistesse con la violenza.

improvvisamente il tono cambia, mi si chiede di qualificarmi

e quando lo faccio. i due funzionari assumono un

comportamento arrogante e provocatorio, ci accusano perentoriamente

di essere sobillatori e istigatori alla violenza.

ormai l’intenzione è più chiara. Viene la dichiarazione d’arresto,

vengono le manette che – applicate in fretta e furia –

segano il polso sinistro producendo un dolore insopportabile.

il maresciallo Bertolazzo – prima evidentemente distratto

– mi urla dietro finalmente: “in nome della legge!”.

Veniamo caricati tutti e tre su una camionetta sopraggiunta.

con i polsi imprigionati ho avuto difficoltà a montare.

Questo ha ulteriormente imbestialito gli agenti che si sfogano

sulla mia schiena, gli altri non ricevono un trattamento diverso.

È questa per noi una avventura incredibile.

non ci dirigiamo verso la Questura, la nostra jeep continua

a partecipare all’azione del suo reparto come se nulla

fosse avvenuto. per oltre mezz’ora percorriamo la città da

un capo all’altro. Via Amari, via Wagner, via scordia, via

principe di Belmonte. Qui, ad una fermata durante la quale

gli agenti si avventano contro un portone chiuso, ha luogo

l’episodio più significativo e più mostruoso.

Mentre sono disteso sul fondo dell’auto, sotto i piedi degli

agenti con la sola testa fuori del bordo, un ufficiale che sta

fuori sulla strada mi viene vicino e ponendo la mano destra

sul fodero della pistola urla: “Delinquente, io ho il diritto di

34

ucciderla, ho il potere di ucciderla, la uccido!”. per buona sorte

la jeep in quell’istante riparte. se il diritto è solo una questione

di fatto allora la distanza è la migliore difesa.

i caroselli della nostra jeep continuano, ritorniamo in via

emerico Amari. ci fermiamo ad ogni piè sospinto. gli agenti

tremano. la paura è più che evidente sui loro volti, una paura

folle, quasi avessero dinanzi un esercito armato di cannoni piuttosto

che una folla assolutamente inerme. il resto è quello strano

stato di eccitazione che descrivevo al principio. cominciarono

a lanciare una quantità interminabile di candelotti lacrimogeni.

È un momento molto brutto per noi che non abbiamo occhiali

e non sappiamo come proteggerci, e dura a lungo. per

un miracolo finalmente ci allontaniamo dalla zona. sta per

raggiungere la “cairoli”, ci vorrà almeno un quarto d’ora. un

quarto d’ora di cariche, caroselli, aggressioni a tutti i passanti,

anche in posti lontanissimi dal teatro degli scontri, come al

palazzo di giustizia, dove bastonano un ragazzo che tiene in

mano un cono gelato.

Quando giungiamo in Questura un nugolo di agenti è disposto

lungo il colonnato. È un corridoio di colpi di ogni specie

e di insulti. i più giovani hanno la peggio. gridano e piangono.

Vi sono ragazzi di 14 e 15 anni. Mentre li perquisiscono continuano

a bastonarli. Finiamo tutti in una cella di cinque metri

quadrati e siamo in 25. È una fornace nella quale rimarremo

molte ore senza un sorso di acqua. Quando verso mezzanotte

saremo trasportati e rinchiusi nella sala colloqui dell’ucciardone

avrò modo di misurare gli effetti di quel trattamento.

siamo circa 330. Vi sono ragazzi che hanno perso la camicia

o se ne sono disfatti quando era in pezzi. ci mostrano

la schiena segnata da dieci, dodici, quindici colpi di manganello.

uno ha un gonfiore sul rene destro grosso come una

pagnotta e soffre orribilmente. un ragazzo ha una larga ferita

sanguinante sullo zigomo destro e non riuscirà a ricevere

alcuna cura. uno dei miei compagni, studente di medicina,

35

è ferito all’occhio destro, vi è un taglio profondo e una larga

ecchimosi. È stato un colpo di manganello.

un signore anziano, pelato [...] ha la schiena letteralmente

martoriata, è contrassegnato da una quantità di colpi. per gli

altri, tutti, è solo questione di misura.

lorenzo pizzolo, 22 anni, cortile della Mercede al capo

- pescivendolo.

La nuova carica seminò il caos.

Mi trovavo in via Maqueda, insieme ad altri lavoratori,

quando una nuova carica della polizia arrivò. il caos nella

zona: molti si diedero a scappare, io invece rimasi lì per non

lasciare solo gli altri che erano con me.

Ad un certo punto, all’angolo di via candelai una camionetta

della polizia si avvicinò al nostro gruppo e gli agenti,

sporgendosi dall’automezzo, cominciarono a picchiare con

i manganelli. il colpo più forte l’ho preso al gomito, ed è

stato così forte che sono caduto a terra.

Alcuni lavoratori mi hanno accompagnato al pronto soccorso,

lì mi hanno medicato ed avrebbero voluto che andassi

alla Feliciuzza. Ma ho preferito tornare a casa: non posso

permettermi di perdere qualche giorno di lavoro.

giovanni rosano, 21 anni, lavora nella sua “Tintoria Azzurra”

di via e. Amari, n. 61 - commerciante.

Fui colpito sulla soglia del mio negozio.

Ho ancora i segni dei colpi ricevuti: l’occhio diventato

nero e diverse cicatrici sulla fronte.

stavo qui sulla porta del mio negozio, e avevo abbassato

a metà la saracinesca, dato che in quel momento le cariche

si succedevano e non si riusciva a capire più niente.

36

una camionetta è salita sul marciapiede e ha preso a camminare

rasente al muro e gli agenti, sporgendosi, hanno

manganellato tutti quelli che arrivavano a tiro.

non ho potuto quindi evitare i colpi, così come è accaduto

ad altri che stavano dinnanzi al loro negozio.

Domenico Zangara, 22 anni, rione Quattro camere, edificio

c, scala D - cameriere.

Mi hanno massacrato in piazza e in questura.

sono cameriere in un ristorante di Mondello. sono sposato

e ho un bambino. il guadagno giornaliero è subordinato

alle mance. Ma non posso dire di passarmela bene, tutt’altro.

Venerdì è stato un gran brutto giorno per me e anche il sabato,

purtroppo, anche se non sono stato ferito da colpi di

arma da fuoco come tanti altri poveri diavoli.

in cambio sono stato bastonato come un cane e rinchiuso

all’ucciardone. un’esperienza che non auguro a nessuno.

Venerdì sono smontato dal lavoro alle ore 14. sono riuscito

a prendere a Mondello l’ultimo filobus per la città.

sono arrivato a piazza politeama alle ore 14.25 al più tardi.

Appena sceso dal filobus sono stato aggredito da sette

agenti che mi hanno subissato di manganellate gridando:

“Delinquente! Disonesto! state rovinando una città!”.

io disgraziatamente sono epilettico. sotto quella montagna

di legnate mi venne una crisi. ero come svenuto. sentivo

le legnate che arrivavano ma non avevo la forza di fare nulla.

ero come svenuto pur sentendo il dolore per i colpi.

Quando tornai in me ero dentro la Questura senza giacca

e senza camicia. Appena mi sono svegliato mi hanno preso

a calci: “Tu sei stato uno di quelli che hanno tirato le pietre!

Tu avevi un bastone in mano, ti abbiamo visto!”, gridavano

da tutte le parti. io dicevo di no e loro aumentavano la dose.

Mi hanno massacrato. sarei capace di conoscere due tra

37

quelli che hanno lavorato di più sulle mie spalle e sulla mia

faccia. Verso mezzanotte per fortuna quella tortura finì

(dopo nove ore passate tra scariche di pugni e senza vedere

un pezzo di pane né un bicchiere di acqua) perché ci caricarono

sui camion e ci portarono all’ucciardone.

eravamo quattrocento in un solo camerone. non ci potevamo

muovere. ci urinavamo uno sull’altro. il dolore era

terribile. Verso le 11.30 dell’indomani ci diedero un pezzo

di pane e un po’ di mortadella. Alle 17 altro pane e formaggini.

Abbiamo mangiato il pane e abbiamo gettato via i formaggini

avariati. per bere era disponibile soltanto l’acqua dei

gabinetti. una vera porcheria. Verso le ore 22 in vista della

libertà ci hanno pestato di santa ragione per l’ultima volta.

io presi un calcio nell’inguine, ma così forte che mi rotolai

a terra senza poter neanche gridare perché il respiro mi

mancò. poi, finalmente, abbiamo avuto un po’ di pace. liberi.

Tutti fuori.

Ho mio padre, gaetano, in carcere. È stato preso pure

venerdì. Ma a lui sono toccati i calci dei carabinieri. so che

è stato portato pare all’ucciardone e pare l’hanno incarcerato.

so pure che lo hanno denunziato per il saccheggio a

Bellanca & Amalfi.

È ancora dentro. chissà come andrà a finire.

8 luglio - cATAniA

nelle stesse ore, a testimonianza di un unico orientamento

deciso a spingere avanti e a far precipitare, nel tentativo

di renderla irreversibile, l’avventura tambroniana, viene

barbaramente ucciso a catania salvatore novembre di 22

anni. Decine di persone hanno assistito all’azione criminosa di

un agente di polizia che ha sparato mirando freddamente

38

contro un giovane che già ripetutamente colpito da manganellate

si era accasciato sanguinante dietro la saracinesca abbassata

del cinema olimpia: l’agente della polizia lo ha

raggiunto, gli ha sparato addosso due, tre colpi di pistola,

compiendo di fatto una esecuzione a morte.

poi chissà, quasi a modificare la scena del delitto, altri

agenti brutalmente, forse senza rendersene conto o forse

ubbidendo, colpevolmente, ad ordini di un superiore, trascinano

il corpo martoriato di salvatore in mezzo alla via lasciando

dietro una scia di sangue. scene di violenza e di

ordinaria follia.

riporto qui di seguito dei versi dedicati a salvatore novembre

dal poeta giovanni Torres la Torre di san piero

patti tratti da Il gioco si corregge. Versi profondi che ci testimoniano,

oltre un afflato umano e una grande sensibilità, una

estesa partecipazione della gente sul piano emotivo:

poserai, salvatore, sulle corone

che ognuno di noi

porterà alla tua casa.

una grande strada di uomini

di bimbi con piccole spalle fiorite

come un fiume di volontà

scenderà sotto le tegole

e ti dirà una parola:

andrò io domani

a portare il cartello con la scritta

no al fascismo

e ti prometto che farò

quello che tu facevi.

non sei morto per niente,

ho fatto un nodo al cuore

per ricordarmi quello che mi hai detto,

ho baciato il petto ove ti hanno sparato

e bruciava ancora.

39

Metto le dita tra i tuoi capelli

e sento che l’alba oggi non morirà,

sarà lunga,

smunto lenzuolo ove non poserai più

con la tua sposa a sedici anni

sognando una casa

senza il peso truce di due travi

messe in croce

senza nome.

la tua fame non aveva piatti di porcellana

ma odore di terra, di verdi ginestre

nei pomeriggi senza lavoro,

d’ombre di portoni alti e senza nome

che non risposero quando dicevi

ho una sposa e voglio lavorare.

poserai, salvatore, sulle corone

che ognuno di noi porterà sul petto

per sempre.

A Salvatore Novembre, 1960

di giovanni Torres la Torre

consiDerAZioni

Molti si meravigliarono allora della massa enorme di giovani

e giovanissimi che entravano prepotentemente sulla

scena politica.

Bisogna dire che quasi dappertutto in italia a quella battaglia

per la democrazia parteciparono, anche se a volte su

livelli diversi, primi momenti organizzati del movimento studentesco.

A licata i carabinieri caricano gli studenti del ginnasio

che partecipano alla manifestazione.

Allo sciopero dell’8 luglio a palermo partecipa in forma

organizzata l’ugp (unione goliardica palermitana), con il suo

40

presidente Fausto D’Alessandro che vede morire a pochi

passi da lui Andrea gangitano, e l’orup, l’organismo rappresentativo

degli studenti universitari con il suo presidente

Franco riccio.

Questa partecipazione era certamente anche frutto delle

prime lotte sociali che premevano, anche se non in forma

compiutamente politica, per una ampia estensione del diritto

allo studio, per la liberalizzazione dell’accesso agli studi universitari.

credo in sostanza che si sottovalutasse il fatto che si trattava

delle generazioni che da bambini avevano conosciuto

e patito i disastri e le conseguenze della nefasta guerra fascista

o ne avevano comunque avvertito l’eco.

non è stato messo abbastanza in evidenza che quelle

giornate del luglio 1960 difendendo la democrazia aprirono

la strada a quelli che saranno grandi movimenti di liberazione

e di civiltà che segneranno quegli anni.

Movimenti che contribuirono anche ad un certo rinnovamento

della stessa chiesa cattolica.

penso emblematicamente a Lettera ad una professoressa di

don Milani, o alle lotte e alle esperienze dei preti operai.

penso ai movimenti per la pace, alla possente esplosione

del movimento studentesco del 1968, di “studenti operai uniti

nella lotta”. penso alle lotte della classe operaia del 1969. lotte

tese alla conquista dei diritti dei lavoratori e della loro piena

capacità contrattuale, negati fin dalla lunga notte del fascismo.

oggi rendiamo solenne omaggio alla memoria dei caduti,

ai tanti feriti, ai fermati, agli arrestati, ai processati, ai condannati

a tanti anni di carcere. lo facciamo con commozione ma

senza retorica interrogandoci consapevoli del nostro ritardo.

consapevoli di avere cantato con tutti i giovani d’italia I

morti di Reggio Emilia ma di non aver saputo cantare i nostri

morti. lo facciamo avvertendo anche per questo la necessità

di una più profonda riflessione. solo dopo cinquanta anni

41

abbiamo posto allora, l’8 luglio del 2010, una lapide in via

Maqueda in memoria di questi martiri della libertà.

lo abbiamo fatto non solo unitariamente ma nutrendo

la speranza che potesse accadere uno scatto di orgoglio di

questa per altri aspetti meravigliosa città, perché sapesse recuperare

la sua storia, riconoscere la straordinaria positiva

valenza della testimonianza antifascista dei suoi figli, le conquiste

di civiltà che certamente quella battaglia determinò.

oggi lo facciamo nella consapevolezza di come questa

speranza sia legata e profondamente intrecciata al successo

della battaglia che sempre più ampie schiere di cittadini, di

giovani e di lavoratori hanno condotto in questi anni e conducono

contro il perverso intreccio mafia politica.

Battaglia che vogliamo e dobbiamo saper rendere definitiva.

Questa cronaca vogliamo pubblicarla oggi, non solo come

ausilio per il recupero della memoria di quei fatti per i giovani

di oggi e non solo per i giovani, ma anche con l’ambizione di

avviare una riflessione che partendo dal lavoro portato avanti

in questi ultimi anni dall’Anpi palermo “comandante Barbato”

e dalle Anpi siciliane, ci porti a dare una risposta a quella

che nei quaderni dell’Anpi abbiamo chiamato «la memoria negata,

la storia negata», come e perché ci è stata negata.

Di fronte alla constatazione della devastante azione distruttrice

della identità di un popolo non possiamo che pienamente

condividere e fare nostra l’affermazione di Milan

Kundera che «la battaglia dell’uomo contro il potere è la battaglia

della memoria contro l’oblio», è l’imperativo categorico

per una vera autentica liberazione dell’uomo, per una piena

affermazione e riappropriazione dei diritti dell’essere umano.

Questa riflessione ci deve aiutare a capovolgere la logica

che da millenni imbriglia e sottomette gli esseri umani: i diritti

umani non vanno richiesti. la richiesta sottende già un

concetto subalterno profondamente errato e contraddittorio

42

rispetto all’obbiettivo che si vuole sostenere. non dobbiamo

riconoscere a nessuno, a nessun potente, a nessun monarca,

a nessun governo comunque costituito il potere di “concedere”

i diritti umani.

Va scandagliato più a fondo questo concetto fondamentale

che consiste nel capovolgere il concetto di gerarchia

nella società, nella politica, e che è purtroppo diventato quasi

patrimonio genetico degli esseri umani. Questo imperativo

categorico ci deve portare a riappropriarci della memoria

che solo attraverso questo consapevole processo di conoscenza,

diventa storia.

storia degli esseri umani e non storia dei potenti.

la riflessione sull’8 luglio 1960, a partire dall’utilissimo

allora particolare confronto e approfondimento con nicola

cipolla, uno dei protagonisti di quella giornata, con la partecipazione

e la testimonianza di alcuni compagni edili. il

prezioso contributo delle testimonianze raccolte dal documentario

di ottavio Terranova, accesero tanti interrogativi

ma sopratutto l’impegno dell’Anpi palermo e dell’Anpi sicilia

maturato in questi anni, per dare vita non solo alle iniziative

per celebrare la resistenza e la liberazione, ma anche per

realizzare una serie di incontri per approfondire il tema del

recupero della memoria e della storia.

spinti anche dalle riflessioni e ripensamenti sulla condizione

umana e sulla “astoria” – sull’essere senza storia, sull’essere

cancellati dalla storia – di gran parte della umanità,

quella che ha subito e subisce, in ogni parte del mondo, la

violenza dei vecchi e nuovi conquistadores.

Violenza non solo brutalmente fisica dei potenti, ma ancora

più brutale disumana, perché più sottile violenza morale;

quella del taglio delle radici, della cancellazione della lingua,

della cultura; in poche parole cancellazione dalla storia, quasi

tentativo di eliminare le tracce, le impronte della terribile

colpa che accompagna la tragedia terribile dell’odierno caino.

43

recuperare la memoria, rielaborarla, condividerla, portarla

alla luce della storia, fare riemergere la condizione

umana è difendere la dignità umana. lungo questo percorso

gioioso, ma a volte difficile e anche doloroso, gli esseri

umani e sopratutto le donne hanno scritto le pagine più belle

della nostra storia. penso al grande movimento dei Fasci siciliani,

il primo grande movimento di lavoratori in italia e il

più grande movimento di lavoratori in europa alla fine

dell’ottocento dopo la comune di parigi (vedi Frankfurt Alghemain

1894). penso alle straordinarie pagine della resistenza

italiana ed europea che hanno riempito di ideali

morali e civili il momento più alto dell’antifascismo libertario

a cui si ispira la nostra costituzione.

gli scenari nuovi aperti dalla ricerca di questi anni e dai

risultati sanciti dal convegno dell’Anpi nazionale a napoli nel

gennaio del 2015, impongono nuovi e vasti impegni di ricerca

resi certamente difficili e problematici per il pesante ritardo

con cui siamo chiamati a fare i conti con la nostra storia.

Questo importante impegno lo dobbiamo all’Anpi, erede

– come ci ricordano carla nespolo e carlo smuraglia –

dell’enorme patrimonio storico, ideale, morale e politico

dell’antifascismo e della resistenza italiana.

La sicilia e il suo popolo ha un dovere storico, ha un’occasione

straordinaria di riscatto identitario, ha il dovere di

riscoprire popolarmente la sua storia a partire dai Fasci siciliani

e dalla partecipazione siciliana alla lotta di liberazione;

entrambe storie fin qui negate.

È un obiettivo che non possiamo mancare. È una conquista che è possibile solo attraverso un profondo

serio processo di ricerca, di conoscenza e perciò

stesso di “liberazione”. Che punti alla libertà e alla liberazione

degli oppressi.

ci troviamo di fronte a due importanti fatti storici che

certamente per la loro natura hanno inevitabilmente coin-

44

volto gran parte della popolazione siciliana, e di cui oggettivamente

non c’è memoria. Questa non è stata una acquisizione

semplice: per i Fasci siciliani nonostante due

interessanti convegni storici, importanti anche per l’ampia

partecipazione di storici da tutta italia, il primo ad Agrigento

per l’ottantesimo ed il secondo a palermo e a piana degli Albanesi

per il centenario, alla domanda “sai cosa sono i Fasci

siciliani?” ci siamo trovati quasi sempre di fronte ad un imbarazzato

silenzio.

per la partecipazione siciliana alla resistenza e alla lotta

di liberazione ci siamo trovati in sicilia di fronte allo disarmante

stereotipo: “che c’entra la sicilia; la resistenza è stata

al nord”.

un esempio per tutti: placido rizzotto, per oltre sessant’anni,

è stato ricordato come sindacalista ucciso dalla mafia,

mai come partigiano se non in questi ultimi anni, ad opera

dell’Anpi palermo in occasione dei funerali di stato celebrati

dopo il ritrovamento dei suoi resti.

la riflessione sulla mancanza assoluta di memoria in un

popolo è un punto nodale della nostra ricerca. per affrontarlo

ci serviremo delle riflessioni di Walter Benjamin sulla storia,

sempre di grande attualità politica. Dice Benjamin:«il vero pericolo

è l’oblio, la consegna del passato al conformismo. se il

conformismo vince, allora, neppure i morti saranno più al sicuro

dal nemico. e questo nemico non ha smesso di vincere».

Aggiunge Benjamin: «c’è una violenza obliante del nemico,

che sta distruggendo la memoria e non lascia al sicuro nemmeno

i morti. Anzi li continua ad uccidere nella memoria»1.

e qui c’è un passaggio delicato sul quale è necessaria una

seria profonda riflessione: il recupero della memoria come

1 Massimiliano Tomba, L’attualità politica di Walter Benjamin, relazione

tenuta in occasione del convegno “l’attualità politica di Walter Benjamin”,

che si è svolto a roma il 30 settembre 2009.

45

momento fondamentale di conoscenza diventa per Benjamin

uno straordinario atto di liberazione.

come Anpi ci eravamo già chiesti del perché non c’è memoria

né dei Fasci siciliani né della partecipazione siciliana

alla lotta di liberazione. ci siamo dati una prima risposta:

“risalendo a ritroso alla ricerca delle cause di tale rimozione

ci si imbatte nel clima seminato di terrore e di morte che ciò

ha reso possibile”. una scia di sangue ha macchiato per oltre

un secolo la nostra storia. strategia del terrore che serve a

segnare una terribile egemonia, a umiliare i deboli quasi non

fossero esseri umani, a cancellare non solo le vittime ma anche

ad impedirne, rendendola perseguibile, la memoria2.

Questo vale palesemente per il periodo dei Fasci siciliani

ma anche per quello che è successo in sicilia dopo l’ingresso

delle truppe angloamericane, soprattutto con riferimento sia

all’avvio della lunga stagione dell’eliminazione dei sindacalisti

che a quella delle stragi a partire da via Maqueda 1944,

e poi quelle del 1946 e del 1947 a portella della ginestra, gli

assalti con bombe a mano a diverse camere del lavoro.

ne sono tragica precisa testimonianza i tragici biblici

esodi di massa della fine dell’ottocento ai primi del novecento

e quello dopo portella della ginestra. È interessante

tenere presente che in sicilia il problema della transizione

degli apparati dello stato dal fascismo alla repubblica viene

di fatto avviato quando ancora la lotta di liberazione è in

corso e viene di fatto gestito dall’amministrazione militare

angloamericana e dai vari governi provvisori fino all’entrata

in vigore della costituzione.

È significativo che proprio in questo periodo è il secondo

governo Bonomi, con sottosegretario alla presidenza del

consiglio dei Ministri, proprio quel giuseppe spataro mi-

2 Angelo Ficarra (a cura di), Dai Fasci siciliani alla Resistenza, istituto poligrafico

europeo, palermo, 2014, p. 30.

46

nistro degli interni nel 1960 nel governo Tambroni, a nominare

agli inizi del 1945 un criminale di guerra, ettore Messana3,

a ispettore generale capo della polizia in sicilia. Va

detto che sono proprio Messana con gueli che sperimentano

in sicilia l’ispettorato di polizia come una particolare

struttura repressiva voluta dal fascismo negli anni Trenta e

poi duplicata tragicamente in Venezia giulia4.

se coniughiamo questi fatti, repressione violenta delle

lotte, stragi, buona parte dell’apparato dello stato ancora fascista

e anche in posizione preminente (Messana), incominciamo

a darci le prime risposte alla domanda fondamentale

che ci siamo posti: perché non c’è memoria.

siamo profondamente convinti che in questa direzione

vanno incanalati, con molta apertura e cautela, i nostri sforzi

di ricerca confortati in questo anche da quanto ci dice carlo

smuraglia nel suo recente Con la Costituzione nel cuore5 relativamente

al clima di chiusura sul tema della valutazione della

resistenza e del fascismo che si registra in italia nell’immediato

dopoguerra soprattutto da parte della magistratura. «si

usarono, in un primo periodo, due pesi e due misure. per i

partigiani, invece, ci fu poca comprensione e pochissima tolleranza,

tant’è vero che a pochi anni dalla liberazione vi fu

una vera ondata di processi per fatti commessi in connessione

con le vicende della guerra». più avanti ancora smuraglia

scrive: «lo dimostra la contemporaneità dei processi

dello stesso tipo, negli anni cinquanta, contro partigiani, in

varie sedi giudiziarie».

3 giuseppe casarrubea - Mario José cereghino, Tango Connection. L’oro

nazifascista, l’America Latina e la guerra al comunismo, Bompiani, Firenze-Milano,

2007, p. 141.

4 Vittorio coco, La mafia, il fascismo, la polizia, centro di studi ed iniziative

culturali pio la Torre, palermo, 2012.

5 carlo smuraglia con Francesco campobello, Con la Costituzione nel cuore.

Conversazioni su storia, memoria e politica, ed. gruppo Abele, Torino, 2018, p.

101.

47

Benjamin dice ancora di più «la possibilità di liberazione che

si attua nella lotta del adesso, riapre la possibilità di liberazione

che è stata sconfitta nella lotta passata, e che viene ora riattualizzata.

[...] solo in questa lotta la memoria è salva. no alla musealizzazione

o in un sempre più lungo e noioso calendario delle

giornate della memoria. la neutralizzazione del conflitto nel presente

non può non produrre la distruzione di quella memoria»6.

Queste riflessioni hanno un interessante riscontro e approfondimento

nella elaborazione che paulo Freire fa nella sua Pedagogia

degli oppressi, nella quale l’autore dice con forza «non c’è

memoria, non c’è educazione se non attraverso la liberazione

degli uomini dalla oppressione»7.

sulla scia di Freire dobbiamo assicurarci che il percorso di

recupero della memoria punti essenzialmente ad un vero profondo

momento di consapevole conoscenza, di disvelamento

della storia, quella fin qui negata. Avere fino in fondo coscienza

che senza la memoria siamo niente, senza la memoria

siamo schiavi!

nell’ambito della riflessione freiriana, la pratica educativa

si caratterizza per la sua valenza emancipatrice e dialogica, tesa

ad agire nella storia e cambiare la realtà sociale. ne emerge

un’idea di pedagogia militante, schierata a favore della liberazione

degli oppressi, ancorata al progetto di una società nella

quale le relazioni tra i soggetti possano essere liberate dal millenario

rapporto oppressore-oppresso e affrancate dallo sfruttamento,

dalla discriminazione e dalla violenza.

l’enorme valore morale e ideale dei Fasci siciliani, della partecipazione

siciliana alla resistenza e alle lotte per l’occupazione

delle terre che costituiscono insieme il più grande

movimento di massa impegnato nella lotta contro la mafia e i

suoi complici, deve diventare patrimonio identitario di un popolo

che lotta fino in fondo per la sua liberazione.

6 Ibidem.

7 paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, ed. gruppo Abele, Torino, 2018.

48

49

lapide posta a palermo, il giorno 8 luglio 2010

in via Maqueda, all’angolo con via del celso.

Voglio, con riconoscenza, ricordare il lavoro al quale si associò

anche il compagno nicola D’ippolito che con grande

sensibilità realizzò una splendida rievocazione, che andò in

scena, proprio la sera dell’8 luglio del 2010 da piazza politeama

con un suggestivo rullo di tamburi e con figure danzanti coperte

da cerone bianco; fece pausa in tutti i posti dove era caduto

un compagno deponendo un mazzo di fiori, fino all’ultimo

caduto il giovanissimo giuseppe Malleo, 16 anni, ucciso

in via Maqueda, angolo via celso, dove è stata posta la lapide

per i morti dell’8 luglio a palermo.

 

AppenDice

GOVERNO TAMBRONI (DEMOCRAZIA CRISTIANA)

coMposiZione

52

Ministeri Ministri Sottosegretari

Presidenza del

Consiglio dei ministri Fernando Tambroni Renato Tozzi Condivi,

Gustavo De Meo

Segretario del

Consiglio dei ministri Alberto Folchi /

Affari esteri Antonio Segni Carlo Russo,

Ferdinando Storchi

Interno Giuseppe Spataro Guido Bisori,

Oscar Luigi Scalfaro

Grazia e Giustizia Guido Gonella Lorenzo Spallino

Bilancio Fernando Tambroni

ad interim Angelo De Luca

Finanze Giuseppe Trabucchi Giacomo Piola,

Michele Troisi

Tesoro Paolo Emilio Taviani

Alfonso De Giovine,

Lorenzo Natali,

Guglielmo Schiratti,

Alfonso Tesauro

Difesa Giulio Andreotti

Alfredo Amatucci,

Giovanni Bovetti,

Enrico Roselli

Pubblica Istruzione Giuseppe Medici Maria Badaloni,

Angelo Di Rocco

Lavori Pubblici Giuseppe Togni Crescenzo Mazza,

Tommaso Spasari

Agricoltura e Foreste Mariano Rumor Giuseppe Salari,

Giacomo Sedati

Trasporti

Fiorentino Sullo

(fino all’11/04/1960)

Mario Ferrari Aggradi

(interim dall’11/04/1960)

Salvatore Foderaro,

Calogero Volpe

53

Poste e

Telecomunicazioni Antonio Maxia Augusto Cesare Fanelli,

Remo Gaspari

Industria e

Commercio Emilio Colombo

Nullo Biaggi

(fino al 24/06/60),

Filippo Micheli

Sanità Camillo Giardina Angela Gotelli

Commercio con

l’Estero Mario Martinelli Antonio Pecoraro

Marina Mercantile Angelo Raffaele

Jervolino Francesco Turnaturi

Partecipazioni Statali Mario Ferrari Aggradi Giuseppe Garlato

Lavoro e Previdenza

Sociale Benigno Zaccagnini Salvatore Mannironi,

Cristoforo Pezzini

Turismo e Spettacolo Umberto Tupini Domenico Magrì,

Gabriele Semeraro

Presidente del

comitato dei ministri

per il Mezzogiorno e

le zone depresse

(Ministero senza

portafoglio)

Giulio Pastore

(fino all’11/04/1960),

Fernando Tambroni

(interim dall’11/04/1960)

/

Rapporti fra Governo

e Parlamento

(Ministero senza

portafoglio)

Armando Angelini /

Riforma della pubblica

amministrazione

(Ministero senza

portafoglio)

Giorgio Bo

(fino all’11/04/1960)

I suoi compiti passano al

ministro per i rapporti

fra Governo e

Parlamento.

/

PROGETTO DI CITTADINANZA E DI COSTITUZIONE

(MoDAliTà Di coMpATiBiliTà)

proF.ssA FinellA giorDAno

l’Anpi palermo “comandante Barbato” ricorrendo questo

anno 2020 il 75° anniversario della liberazione dalla dittatura

fascista e il 60° anniversario delle drammatiche

giornate del luglio 1960 che videro in grave pericolo le nostre

istituzioni democratiche nate con la repubblica e dalla

resistenza, fa appello alla città di palermo, alle istituzioni e

alle forze della scuola e della cultura per uno sforzo comune

teso al massimo impegno per un significativo esteso recupero

della memoria e della storia.

A questo fine promuove, anche facendo riferimento al

protocollo di intesa rinnovato tra Miur e Anpi teso a sollecitare

un particolare impegno nel recupero di questa fase

della nostra storia, un significativo percorso progettuale per

conseguire, ai più alti livelli il raggiungimento dell’obiettivo

così definito nel protocollo con il Miur: «offrendo alle istituzioni

scolastiche di ogni ordine e grado un sostegno alla

formazione storica, dalla documentazione alla ricerca, per

lo sviluppo di un modello di cittadinanza attiva».

riteniamo che attorno a questi obiettivi possa essere definito,

col più ampio concorso di forze e nel più ampio rispetto

delle proprie autonomie, un programma per la definizione di

un adeguato percorso didattico atto a «divulgare i valori

espressi nella costituzione repubblicana e gli ideali di democrazia,

libertà, solidarietà e pluralismo culturale».

54

COMPETENZE DI CITTADINANZA

per quanto riguarda le competenze, le abilità, le conoscenze

necessarie a consentire lo sviluppo personale e la cittadinanza

attiva, sono assunte come riferimento:

A. nuoVe coMpeTenZe cHiAVe per l’ApprenDiMenTo per-

MAnenTe

(Nuova Raccomandazione del Consiglio UE del 22 maggio 2018):

- competenza personale, sociale;

- capacità di imparare a imparare;

- competenza alfabetico funzionale competenza multilinguistica;

- competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie

e ingegneria;

- competenza digitale;

- competenza in materia di cittadinanza;

- competenza imprenditoriale;

- competenza in materia di consapevolezza ed espressione

culturali.

A.1 coMpeTenZe cHiAVe per l’ApprenDiMenTo perMAnenTe

(Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio UE del 18 dicembre

2006):

- comunicazione nella madrelingua;

- comunicazione nelle lingue straniere;

- competenza matematica e competenze di base in scienza

e tecnologia;

- competenza digitale;

- imparare a imparare;

- competenze sociali e civiche;

- spirito di iniziativa e imprenditorialità;

- consapevolezza ed espressione culturale.

55

B. coMpeTenZe cHiAVe per lA ciTTADinAnZA

(D.M. n. 139/2007):

- imparare ad imparare;

- progettare;

- comunicare;

- collaborare e partecipare;

- agire in modo autonomo e responsabile;

- risolvere problemi;

- individuare collegamenti e relazioni;

- acquisire e interpretare l’informazione.

c. coMpeTenZe sociAli (psico-sociAli e AFFeTTiVe) e coMpeTenZe

TrAsVersAli per lA ViTA

(Life Skills Education in Schools, oMs 1993):

- conoscere se stessi;

- gestire le emozioni;

- gestire lo stress e le tensioni;

- senso critico;

- saper decidere in modo consapevole;

- risolvere problemi in modo costruttivo e affrontare le situazioni;

- creatività;

- comunicare in modo efficace;

- comprendere gli altri (empatia);

- interagire con gli altri in modo positivo.

D. coMpeTenZe per unA ciTTADinAnZA gloBAle:

- capacità di indagare i problemi a livello locale, globale e interculturale;

- capacità di capire e apprezzare le prospettive e le visioni

sul mondo degli altri;

- coinvolgere in interazioni interculturali aperte, appropriate

ed efficaci;

- agire per un benessere collettivo e uno sviluppo sostenibile.

56

AREE DELL’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA

l’insegnamento cittadinanza e costituzione coinvolge tutti

gli ambiti della vita quotidiana ed è finalizzato allo sviluppo consapevole

dell’allievo in relazione a se stesso, agli altri e all’ambiente

che lo circonda, inteso nella sua accezione più ampia:

ambiente familiare, scolastico, sociale e patrimonio storico-artistico-

culturale.

pertanto le aree tematiche di approfondimento saranno

molteplici, e verranno raccolte in tre macro-aree di riferimento:

.rispetto e cura di sé (identità e appartenenza)

- sviluppo armonico dell’identità personale (consapevolezza

di sé, riconoscimento e gestione delle proprie emozioni,

conoscenza delle proprie potenzialità, abilità, motivazioni,

difficoltà, dei propri interessi e attitudini...);

- rispetto della dignità umana propria ed altrui.

.rispetto e cura delle relazioni con l’altro (alterità e relazione)

- rispetto dell’altro;

- conoscenza di diritti/doveri del cittadino democratico (cittadinanza

europea);

- valorizzazione degli atteggiamenti collaborativi, cooperativi,

partecipativi e inclusivi;

- rispetto della parità di genere e riflessione sul linguaggio

che la esprime;

- lotta al pregiudizio e al razzismo (attraverso accoglienza

ed integrazione);

- confronto fra le culture e i popoli;

- educazione interculturale;

- etica della responsabilità, della solidarietà e della condivisione;

- conoscenza della costituzione (cittadinanza e costituzione).

57

.rispetto e cura dell’ambiente e del patrimonio

- valorizzazione dei temi della storia, della memoria, della cultura

locale a partire dalla propria città (cittadinanza culturale),

- conoscenza e valorizzazione del patrimonio storico (cittadinanza

e patrimonio),

- responsabilità ambientale, verso il proprio territorio, verso

la natura e gli ecosistemi più ampi (cittadinanza ambientale).

oBieTTiVi eDucATiVi:

- educare alla memoria critica, come momento fondamentale

nella formazione dei giovani, al fine di far crescere la

pace e far crollare muri fuori e dentro di noi;

- educare all’esercizio attivo della memoria storica per definire

la coscienza di ciò che è accaduto al fine di interpretare

ciò che è;

- favorire e diffondere la cultura ispirata ai valori della democrazia

e della convivenza civile come prevenzione alla

violenza di ogni genere;

- far percepire in maniera conscia agli studenti il legame tra

situazioni attuali e le condizioni storiche che le hanno generate:

ovverosia, il valore delle conoscenze storiche per

dare profondità al presente;

- ripensare i diritti di cittadinanza in un mondo sempre più globale

fatto di asimmetrie e diseguaglianze, stimolando gli studenti

ad una riflessione critica e favorendo così la crescita del

senso della responsabilità e i legami tra etica ed economia;

- acquisire la capacità di utilizzare in una prospettiva multidisciplinare

e interdisciplinare le conoscenze come possibili

strumenti capaci di fornire rilevanti chiavi di lettura per

comprendere la complessità del mondo attuale;

- fornire un patrimonio lessicale-concettuale specifico in

grado di comprendere la realtà per poterlo usare adeguatamente

senza tecnicismi fini a se stessi.

58

le seguenTi ATTiViTà DiDATTicHe TrADurrAnno gli oBieTTiVi

Di ApprenDiMenTo:

- conoscere alcuni segmenti significativi della storia del novecento

in quanto indispensabili chiavi di accesso alla

comprensione della contemporaneità.

- Attivare percorsi multidisciplinari e transdisciplinari capaci

di coinvolgere un numero sempre maggiore di discipline

scolastiche per l’insegnamento trasversale di cittadinanza

e costituzione.

- Analizzare gli eventi contemporanei per individuare analogie

e differenze con il passato.

- conoscere aspetti e processi essenziali della storia locale

moderna e contemporanea.

- leggere le caratteristiche distintive dei fenomeni politici,

economici, sociali e culturali generali, attraverso l’interpretazione

di eventi a cui dare un valore generale.

- riconoscere i diritti e doveri e le loro violazioni in diversi

contesti e nelle diverse organizzazioni sociali.

- riconoscere la dimensione storica del presente.

Aree tematiche

- Dai Fasci siciliani alla Resistenza: un grande passato da restituire

alla memoria

- La storia della Resistenza in Sicilia

- La mobilitazione popolare antifascista del luglio 1960

DiDATTicHe e MeToDologie per l’insegnAMenTo DellA

ciTTADinAnZA

l’insegnamento di “cittadinanza e costituzione” richiede

per definizione l’utilizzo di didattiche attive, costruttiviste, laboratoriali,

inclusive, integrate, digitali, e di ambienti di apprendimento

innovativi quali:

59

- scrittura creativa, ricerca- azione, debate (argomentare e

dibattere), apprendimento autonomo, tutoring, apprendimento

tra pari, ambienti di apprendimento diversificati.

- le strategie privilegiate saranno quindi molteplici, tra queste

si evidenziano:

- ricerca

- investigazione

- Approfondimento

- progettazione

- espressione e produzione creativa

- produzione

- condivisione

- confronto con testimoni ed enti o associazioni del territorio

- produzione di clip audio/video

- Drammatizzazione

- Assemblea degli studenti con dibattiti

- cooperative learning

- gruppi di discussione

- lavoro di analisi e di interpretazione sui fatti di cronaca

ed attualità

- confronto con testimoni ed enti o associazioni del territorio

- interventi di esperti

FAsi Di lAVoro

- lezioni e attività didattiche antimeridiane

- attività didattiche pomeridiana: interventi di esperti

- attività didattiche esterne (scuola diffusa)

- Visita ai luoghi testimoni degli avvenimenti storici trattati

60

coMpeTenZe in usciTA

Attivazione di una cittadinanza civile responsabile e democratica

volta all’apertura solidaristica, all’impegno civile e sociopolitico,

alla ricerca e difesa del bene comune.

liFe sKills:

possedere come orizzonte di significato la centralità della

persona nell’ambito della polis.

prendere coscienza del significato dell’idea di cittadinanza

come correlata alle categorie di uguaglianza, proprietà, libertà,

inclusione sociale, senso di appartenenza, tutela delle minoranze

etniche ed esercizio di diritti e doveri.

proDoTTi FinAli

- video

- interventi performativi

- presentazioni power point

- elaborati

- narrazioni

- documentazione delle attività svolte

- organizzazione tavola rotonda

VALUTAZIONE FORMATIVA

la scuola ha la responsabilità di educare le nuove generazioni

alla costruzione di una società e di un mondo più libero,

giusto e solidale, capace di poggiare sui cardini della pace, della

tolleranza e dell’accettazione dell’altro; ha il grande ruolo di accompagnare

i giovani verso percorsi opposti a quelli caratterizzati

dall’indifferenza, dall’omologazione, dalla mancanza di

senso civico, dal degrado culturale, dal silenzio della complicità,

61

promuovendo iter formativi ispirati alla cultura della cittadinanza

attiva, della tutela e della difesa della salute e dell’ambiente,

riflettendo sulla consapevolezza dei diritti, un tempo

affermati, oggi negati o violati, o non ancora riconosciuti, attribuendo

giusta e fondamentale valenza alla memoria del nostro

passato, coniugata con l’osservazione critica dell’epoca e

dei contesti in cui viviamo e agiamo per il cambiamento.

in questo orizzonte mentale memoria può significare,

quindi, studio ed analisi storica, politica, sociale dei vari territori

, le cui storie intersecano, in un intreccio inevitabile, le dinamiche

politiche, economiche e sociali internazionali. ripartendo

dalla memoria e dalla coscienza del passato, comparando i fenomeni

storici, enucleando le loro ripercussioni nella riflessione

teorica ad essi correlata, nell’agire politico e sociale dei protagonisti,

soggetti attivi delle vicende, e nelle sfere altre della realtà,

globalmente considerata, oggi la scuola può attestarsi come

luogo privilegiato per sollecitare e costruire la partecipazione

diretta alla vita della comunità; può deputarsi a spazio sia fisico

che mentale per sostenere e sostanziare la coesione sociale e

l’integrazione, nel rispetto delle diversità; può incarnare, negli

intenti e nelle pratiche, la convivenza democratica, contrassegnata

da relazioni fra persone, dalla condivisione di ideali, di

appartenenze ed aperture, di storie che rendono i membri di

una società parte integrante di una comunità, come sottolineato

nel Documento d’indirizzo per la sperimentazione dell’insegnamento di

“Cittadinanza e Costituzione” laddove alla scuola viene assegnato

il compito di essere «palestra ideale di questa pratica, quando

sviluppa nella persona che apprende la consapevolezza dei propri

percorsi formativi e favorisce e sostiene un processo relazionale

finalizzato alla crescita globale, nella convinzione che le

ragazze e i ragazzi, attraverso l’assunzione di responsabilità partecipative,

si educhino al confrontato ed imparino le regole fondamentali

del vivere sociale» (Miur, 2009, p. 12).

62

MANIFESTAZIONE

IN MEMORIA DELL’8 LUGLIO 1960

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Modelli di progetti premiati, elaborati dagli alunni e dalle

alunne del liceo Artistico Damiani Almeyda, in memoria e

gloria dei caduti a palermo l’8 luglio 1960:

RINGRAZIAMENTI

ringrazio Finella giordano anche per avere condiviso gli

obiettivi di popolare riappropriazione della memoria e della

storia.

ringrazio ottavio Terranova per il suo prezioso documentario

su l’8 luglio.

ringrazio anche i compagni del circolo “Francesco Vella”

di rifondazione comunista e tutti coloro che hanno contribuito

a realizzare a palermo l’iniziativa commemorativa del

cinquantesimo del luglio 1960: pino Apprendi, Tommaso Baris,

riccardo Bilardello, claudio lo Bosco, giuseppe Bova,

Amalia chiovaro, nicola cipolla, Anna conti, cettina Di Benedetto,

nicola D’ippolito, Maria Ferrante, Davide Ficarra,

Vincenzo Fumetta, nicola giambelluca, cecilia giordano,

pippo Manfrè, paola Miceli, giorgia Mirto, pietro Muratore,

sergio riggio, luciano rizzuti, orazio rosalia, giuseppe

spataro, Marco Tarantino, carlo Verri.

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INDICE DEI NOMI

Andreotti, giulio, 20.

Apprendi, pino, 67.

Baris, Tommaso, 67.

Benjamin, Walter, 45 e n.

Bilardello, riccardo, 67.

Bova, giuseppe, 67.

Brotto, carmelo, 30.

calcara, piero, 22, 34.

candela, luigi, 29.

casarrubea, giuseppe, 47n.

cereghino, Mario José, 47n.

chiovaro, Amalia, 67.

ciancimino, Vito, 7, 25.

cimino, Marcello, 21.

cipolla, nicola, 21, 43, 67.

coco, Vittorio, 47n.

conti, Anna, 67.

cossiga, Francesco, 20.

crainz, guido, 6.

D’Alessandro, Fausto, 41.

D’ippolito, nicola, 49, 67.

De luna, giovanni, 6.

Di Benedetto, cettina, 67.

Di giugno, giacomo, 23, 24, 28.

Farioli, lauro, 19.

Ferrante, Maria, 67.

Ficarra, Angelo, 5, 11, 46n.

Ficarra, Davide, 67.

Ficarra, luigi, 18.

Franchi, ovidio, 19.

Freire, paulo, 48 e n.

Fumetta, Vincenzo, 67.

gangitano, Andrea, 24, 28, 29, 41,

49.

giambelluca, nicola, 67.

gimelli, giorgio, 16.

ginsborg, paul, 6.

giordano, cecilia, 67.

giordano, Finella, 7, 67.

gronchi, giovanni, 17.

guardo, Manlio, 22, 32.

ignazi, piero, 6.

Kundera, Milan, 42.

la Barbera, rosa, 24, 49.

la Torre, pio, 21, 22, 32.

lanaro, silvio, 6.

lepre, Aurelio, 6.

lima, salvo, 7, 25.

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lipari, salvatore, 31.

lo Bosco, claudio, 67.

lupo, salvatore, 6.

Malleo, giuseppe, 26, 49.

Manfrè, pippo, 67.

Merzagora, cesare, 19.

Messana, ettore, 47.

Messina, giuseppe, 22, 34.

Miceli, paola, 67.

Mirto, giorgia, 67.

Moro, Aldo, 19, 20,

Muratore, pietro, 67.

napoli, Vincenzo, 18.

nespolo, carla, 44.

novembre, salvatore, 38, 39, 40.

pigna, Bruno, 16.

pizzolo, lorenzo, 36.

reverberi, emilio, 19.

riccio, Franco, 41.

riggio, sergio, 67.

rizzotto, placido, 45.

rizzuti, luciano, 67.

rosalia, orazio, 67.

rosano, giovanni, 36.

roxas, lillo, 25.

ruffini, ernesto, 26.

sanfilippo, Vincenzo, 25.

serri, Marino, 19.

smuraglia, carlo, 44, 47 e n.

spataro, giuseppe, 67.

spataro, giuseppe, ministro,

17, 46.

Tambroni, Fernando, 6, 12, 13, 16,

17, 19, 52.

Tarantino, Marco, 67.

Terranova, ottavio, 15, 43, 67.

Tomba, Massimiliano, 45n.

Tondelli, Afro, 19.

Torres la Torre, giovanni, 39, 40.

Tranfaglia, nicola, 6.

Vella, Fina, 25.

Vella, Francesco, 25, 49.

Verri, carlo, 67.

Zangara, Domenico, 37.

 

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA

COMANDANTE BARBATO – PALERMO

(Ente Morale D.L. n. 224 del 5 aprile 1945)

sede: C/O Camera del Lavoro CGIL

via Meli, 3 - 90133 Palermo

e-mail: anpisegreteriabarbato@gmail.com

sito web: https://palermo.anpi.it