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Inchiesta mafia stato  guerra  magistrati perseguitati vedi anche Strage di Stato           altro
Rivoluzione civile di Antonio Ingroia  &  Cambiare si può.  

https://www.facebook.com/movimentocinquestelle/videos/562280718004841/   

La trattativa mafia-Stato non c'è stata. Lo dicono uomini d'onore!!!!!!!!!

Inchiesta mafia stato &  magistrati perseguitati.

   Un Paese senza verità - Antonio Ingroia
 
"L'Italia è un paese senza verità sulle stragi e un paese che non ha verità sul suo passato non può costruire nessun futuro."
 
Credo che in un Paese normale di fronte a questa azione della Magistratura, il paese delle istituzioni e la società si stringerebbero attorno ai magistrati, li si sosterrebbe in questo compito difficile, anzi ciascuno cercherebbe di fare la propria parte. La politica dovrebbe occuparsene, accertando quello che alla politica tocca accertare rispetto al passato, la verità politica, la verità storica -- politica. Non tocca alla Magistratura appurare la verità storica. La politica dovrebbe anche individuare responsabilità storiche e responsabilità politiche, non certo le responsabilità penali e invece questo in Italia non è avvenuto. Almeno fino a oggi non è avvenuto. Antonio Ingroia
Fatto Quotidiano – 5.12.12 Fatto Quotidiano – 5.12.12

Travaglio e Caselli  e Nino Di Matteo difendono Ingroia

Il Tartufo Superiore, l’editoriale di Travaglio a difesa di Ingroia 16.06.2013 

GUERRA TOTALE CONTRO INGROIA (Gian Carlo Caselli). 20/07/2012 qui

Ingroia e il “fuoco amico”  di Giancarlo Caselli

Tiro all’Ingroia sport nazionale (Gian Carlo Caselli). 15/06/2013

Nino Di Matteo, Palermo 25 giugno 2013
“Io ho lavorato per anni con Antonio Ingroia e mi sento di dire una cosa, oggi, nel momento in cui tutti attaccano il dottor Ingroia (nel suo momento di difficoltà politica) come corvi che si abbattono su una persona in difficoltà. In tanti anni ho sempre avuto il convincimento di lavorare, non solo con un ottimo magistrato, ma con un magistrato autonomo, indipendente e nel suo lavoro per nulla politicizzato, che non ha mai orientato le sue scelte professionali sulla base delle sue idee. Un magistrato che invece è stato sempre accusato di essere politicizzato perché in certe occasioni, in alcuni casi anche doverosamente, ha trovato il coraggio di esporre pubblicamente le sue idee in materia di giustizia e di riforma della giustizia. I magistrati politicizzati ci sono, ma a mio parere sono altri, e molto spesso non sono quelli additati come tali, ma sono quelli che magari non prendono mai posizione, non partecipano a dibattiti pubblici, ma cercano attraverso la frequentazione del potere di ottenere dei benefici anche di carriera. Quando vedo additare Antonio Ingroia come l’emblema del magistrato politicizzato mi sorge un senso di ribellione come poche volte ho avvertito nella mia attività professionale”

Pietro su Ingroia

Trattativa Stato-mafia, Ingroia: “Noi cornuti e mazziati, sentenza politica”

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

“Cornuti e mazziati”. Dal Guatemala dov’è tornato proprio ieri Antonio Ingroia non usa giri di parole per commentare la sentenza della Consulta che ha accolto il ricorso di Napolitano. “Zagrebelsky aveva ragione: le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto: da quello che ho letto finora questa sentenza mi pare una specie di grosso pasticcio”. Per Ingroia si tratta di una sentenza “già scritta” da tempo: “Ho provato un’amarezza profonda quando sentivo dire da persone autorevoli come Zagrebelsky che la sentenza della Corte Costituzionale era già scritta, non volevo crederci – dice – pensavo che in uno stato di diritto la consulta decidesse sulla base del diritto e non sulla base di opportunità istituzionali. Il tenore del comunicato stampa diramato stasera dalla consulta dice invece che si è fatta una scelta di politica del diritto piuttosto che di regolamentazione del diritto”. Una sentenza che ha prodotto “un paradosso”: “La corte oggi ci dice – prosegue Ingroia – che avremmo dovuto chiedere che le intercettazioni fossero rese pubbliche ordinando al gip di distruggerle senza depositarle. Ma il gip se guarda alla legge sa che non le può distruggere se non le deposita, quindi il gip avrebbe dovuto per forza depositare quelle intercettazioni che sarebbero finite sui giornali. Non so se era questo l’obbiettivo della corte e di Napolitano. Altra cosa se la Corte avesse detto stasera che in base all’ordinamento bisogna meglio tutelare la privacy del presidente e che quindi da ora in poi ci dovremo comportare in un certo modo. La sentenza in questo caso avrebbe avuto valore di legge, sarebbe stata condivisibile ma non paradossale. Questa sentenza invece è paradossale perchè suggerisce una prassi che ci obbliga di fatto a rendere pubbliche le intercettazioni, dopo averci esposto all’onta di un conflitto di attribuzione. Oggi siamo cornuti e mazziati”. E adesso che succede? “Ora aspettiamo le motivazioni – conclude Ingroia – poi sulla base del dispositivo si attiverà la procedura. Bisogna aspettare per vedere come è scritta la sentenza. La verità è che aveva ragione Zagrebelsky: la Corte non poteva dare torto al capo dello Stato, le ragioni della politica non potevano non prevalere sulle ragioni del diritto”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/05/trattativa-stato-mafia-ingroia-noi-cornuti-e-mazziati-e-sentenza-politica/436051/   

Festival della Legalità, la Lectio Magistralis di Ingroia Lunedì 08 Ottobre 2012 - 18:42

 L'intervista di Ingroia di SALVO PALAZZOLO

Trattativa, Panorama annuncia ricostruzione esclusiva. Ingroia: “Ricatto”  30.8.2012

Scarpinato, lettera a Borsellino

ANPI e-ora-di-dire-basta-vogliamo-verita-e-giustizia-finiamola-con-la-repubblica-dei-misteri/

ANPI Comandante Barbato Palermo firmiamo l'appello per VERITA' E GIUSTIZIA 

LA STRAGE E’ DI STATO  prc palermo 19 luglio 2012

BORSELLINO: CSM APRE PRATICA SUL GIUDICE SCARPINATO 25/07/2012

(ANSA) - PALERMO, 26 LUG - La famiglia Borsellino si schiera con Roberto Scarpinato

 Pino Maniaci intervista Antonio Ingroia

Antonio Ingroia a Tabularasa 25 luglio 2012

Trattativa Stato-mafia  La verità e le polemiche Antonio Ingroia

Stato-mafia, ecco la storia vera di E. Macaluso

Caro Emanuele, questa non me la bevo di Giuseppe Casarrubea

Pietro Ancona Dalla parte dei magistrati antimafia.

Con Ingroia e i magistrati di Palermo gruppo su facebook

Orlando: “Dal Colle parta iniziativa a favore dei pm antimafia”

Pietro Ancona La verità ad ogni costo"! dichiara Napolitano

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover

Pietro Ancona Il giudice D'Ambrosio è il terzo magistrato che muore prematuramente dopo essersi occupato della trattativa Stato-Mafia  leggi

Marino NOI, PARTIGIANI DELLA COSTITUZIONE, STANCHI DI VERITA’ DROGATE. SOLIDARIETA’ AI MAGISTRATI ANTIMAFIA

UNA BATTAGLIA PER LA VERITA', CONTRO L'ITALIA DEI MISTERI!

Giuseppe Carlo Marino CONTRO L' ATTENTATO ALLA VERITA' E ALLA GIUSTIZIA

Giuseppe Carlo Marino (29 luglio 2012)

Saverio Lodato  Si dica apertamente: i morti non ritornano, i familiari si rassegnino

Trattativa, la Procura generale apre indagine disciplinare su Pm di Palermo Il Fatto Quotidiano 7.8.2012

Solidarietà a Roberto Scarpinato

L’Intervista. Antonio Ingroia: il Guatemala e altre storieAnticipazione di Simona Zecchi

Ingroia: “Non sono d’accordo con Monti”. Anm: “Improprio parlare di abusi”
Il Fatto Quotidiano | 18 agosto 2012

Giuseppe Carlo Marino Che cosa veramente nasconde l'articolo di Scalfari contro la procura di Palermo

L'Associazione Nazionale Magistrati attacca Ingroia e De Matteo di Pietro Ancona

Antonio Ingroia respinge l'attacco 11/9/2012

Ingroia e i rottamatori dello Stato by casarrubea 14 settembre 2012

Martelli: «Scalfaro regista trattative Stato-mafia»   L'Unità 11 settembre 2012

Palermo parte civile nel processo sulla trattativa Stato mafia  24.9.2012

QUALI ALTRI COMUNI D'ITALIA SEGUIRANNO QUESTO ESEMPIO??????

 

 
  Rivoluzione civile di Antonio Ingroia  &  Cambiare si può.

QUEL CHE VORREI DIRE, E DICO, ALL'AMICO ANTONIO INGROIA. PER UNA STRATEGIA DELLA RIVOLUZIONE CIVILE  di G.C.Marino 25.1.2013

LETTERA APERTA A MARCO REVELLI, LIVIO PEPINO, CHIARA SASSO
Con la Rivoluzione civile di Antonio Ingroia

http://www.lavorincorsoasinistra.it/wordpress/

Sì alla lista Ingroia Ma dai fondatori arriva il passo indietro 2.1.2013

Luigi de Magistris per Ingroia: il momento della Rivoluzione Civile!

PARTIGIANI DELLA COSTITUZIONE di Antonio Ingroia Lettera a Bersani

Nei MANIFESTI vari non solo nessun riferimento alla guerra imperialista, all’uscita dalla Nato e alle basi Usa in Italia, ma neanche al disarmo e al ritiro delle missioni militari!!!

http://www.facebook.com/gaspare.sciortino1/posts/111361795703763?comment_id=30194&notif_t=like   
 

Intervento di Ingroia al Capranica. Il magistrato auspica una rivoluzione pacifica, civile, della società civile.

MANIFESTO PER LA CONVOCAZIONE AL TEATRO CAPRANICA  IO CI STO

http://www.soggettopoliticonuovo.it/2012/12/21/cambiare-si-deve-senza-mediazioni-marco-rovelli-il-manifesto/

GIORGIO CREMASCHI – Io ci sto, ma per fare che?

Sulla lista ingroia. risposta al compagno Cremaschi (al suo articolo su micromega) e ai compagni dubbiosi  di Giuseppe Carlo Marino

"...l’anticapitalismo e l’antiliberismo di Ingroia sono impliciti nella stessa strategia che indica l’antimafia attiva, l’antimafia di lotta, come la piattaforma unificante di una Sinistra-Sinistra, prefigurata in alternativa sia al berlusconismo che al montismo e certamente in opposizione ai processi sui quali grava il diktat della finanza internazionale. In definitiva, Antonio Ingroia ha compreso appieno quel che da troppo tempo anche a sinistra non si è riusciti a capire e cioè che la lotta al capitalismo nelle sue attuali forme storiche è indivisibile dalla lotta alla globalizzazione mafiosa".su facebook

Pietro Ancona Attenzione a non ridurre il popolo comunista esistente in Italia in un bacino elettorale di Grillo. Grillo per quanto possa essere accettabile in molte sue cose non è della famiglia della sinistra italiana. Il nostro referente elettorale è Rivoluzione Civile lista Ingroia!

Possiamo Farcela di Pietro Ancona

Astensione o voto di prossimità e di opposizione? di Pietro Ancona

PAOLO FERRERO: "FINALMENTE PARTE IL QUARTO POLO"

Ingroia si candida e attacca Grasso  29.12.2012

Salvatore Borsellino: è finito il tempo della resistenza, ora è venuto quello della rivoluzione 29.12.2012

Ingroia non basta di Iannitti (dalla bacheca di Davide Ficarra) 29.12.2012

Astensione o voto di prossimità e di opposizione? di Pietro Ancona 30.12.2012

ALBA e Cambiare si può

Rivoluzione Civile, per un rilancio della democrazia di Paolo Ferrero 2.1.2013

 http://www.facebook.com/pietro.ancona.3/posts/421261467950019?notif_t=like   

Antonio Ingroia scrive ancora a Beppe Grillo  2.1.2013

"Ingroia ha detto che la sua porta è aperta per il MoVimento 5 Stelle? Bene: lo ringrazio, ma la richiuda, per favore". Dal suo blog Beppe Grillo critica duramente il movimento di Antonio Ingroia, definendolo "una foglia di fico" utile solo "a riciclare i vecchi partiti".
Pare che Grillo ci abbia ripensato...

"QUANDO I COMUNISTI RIENTRERANNO IN PARLAMENTO ......."  Alberto Lombardo
"
QUANDO I COMUNISTI RIENTRERANNO IN PARLAMENTO LO FARANNO COL PROPRIO SIMBOLO E LE PROPRIE BANDIERE DAL PORTONE PRINCIPALE E NON DAI TOMBINI O DALLE ENTRATE SECONDARIE." Marco Rizzo
????????

CONTRO L'ABUSO DELLA DIZIONE "SOCIETA' CIVILE"  di Giuseppe Carlo Marino in fb

Salvatore Borsellino · Antonio Ingroia e il suo progetto di Rivoluzione Civile finora lo avevano combattuto con il silenzio, con l'oscuramento.

 21 febbraio alle ore 0.36 ·

Mi meravigliavo che non fosse ancora successo. Antonio Ingroia e il suo progetto di Rivoluzione Civile finora lo avevano combattuto con il silenzio, con l'oscuramento. I leaders delle altre liste continuamente in primo piano in tutti i canali e per Antonio Ingroia e per tutta la sua lista soltanto quel minimo di spazio che fosse sufficiente per non essere accusati dall'AGCOM di rispettare una par condicio che ormai esiste soltanto sulla carta. Ora qualcuno si è accoro che il progetto di Antonio Ingroia, il progetto di Rivoluzione Civile, se mai si realizzasse potrebbe significare, per la prima volta nel nostro paese, un vero contrasto alla criminalità organizzata, quello che nel nostro paese non c'è mai stato e a tutto quello che gli ruota introno, la corruzione, la collusione, il voto di scambio, ì'evasione fiscale, che leggi studiate da una magistrato che la criminalità organizzata la ha sempre combattuta, e in prima linea, potrebbero finalmente metterla in ginocchio insieme con tutta quell'area grigia che con esse collude e convive. Qualcuno si è accorto che se veramente Antonio Ingroia arrivasse, da politico, in quella anticamera della Verità nella quale è arrivato da magistrato, potrebbe impedire che vengano spente quelle luci necessarie per arrivare nella stanza della Verita,, anzi potrebbe accendere i riflettori su quello che è il peccato orginale di questa seconda repubblica, la trattativa tra mafia e Stato. Qualcuno si è accorto che di questa lotta alla criminalità organizzata non c'è traccia o quasi, se non per onore di firma, nei programmi di tutte le altre coalizioni ed allora ha pensato di lanciare un avvertimento, di passare all'intimidazione, minacciando, ed è questa la parte più inquietante, non proiettili o sventagliate di mitra, non il tritolo, l'esplosivo usato dalla mafia, ma il Semtex, l'esplosivo dei servizi deviati, l'esplosivo delle stragi di Stato, l'esplosivo delle stragi senza colpevoli, l'esplosivo usato per Paolo Borsellino. E siccome le intimidazioni non camminano mai da sole, per sovrapprezzo è arrivata da Catanzaro, guarda caso proprio la città alla quale è legata un'altra strage, questa volta senza sangue, la strage della Giustizia, nella quale è stato eliminato il PM Luigi de Magistris, un altro messaggio inquietante.. Riporto la nota ANSA: PdlL: Alfano, mai visto partito PM candidare giornalisti amici - Catanzaro, 20 Febbraio "Non si è mai visto in nessun paese del mondo che tre PM fondino un partito e candidino una giornalista che scriveva delle loro inchieste. Solo qua da noi". Lo ha detto il segretario del Pdl Angelino Alfano, nel corso di una manifestazione elettorale a Catanzaro, riferendosi ad Antonio Ingroia "rappresentante di de Magistris e Di Pietro. La nota omette di specificare a quale giornalista si riferisce Alfano, si tratta di Sandra Amurri, la coraggiosa giornalista del fatto Quotidiano sempre in prima linea nelle inchieste che riguardano la criminalità organizzata e le collusioni dei politici, ora candidata al Senato nelle liste di Rivoluzione Civile. L'affermazione viene dal segretario di un partito che fino alla passata legislatura i corrotti e i collusi li ha in largo numero portati al parlamento insieme ad una schiera di avvocati al soldo del presidente del partito stesso, studiosi attenti e promotori delle leggi necessarie per impedire le condanne che avrebbero potuto essergli comminate negli innumerevoli processi in cui è imputato. Questo si che non si è visto in nessun paese del mondo. Come in nessun paese del mondo si sono visti tanti magistrati come Luigi de Magistris e Antonio Ingroia, costretti a cambiare campo di battaglia, dalla magistratura alla politica, per potere impedire che dalla politica continuassero a venire sottratte alla magistratura gli strumenti necessari per perseguire il proprio compito istituzionale. Come in nessun paese del mondo si sono visti giornalisti attaccati quotidianamente e senza tregua soltanto perché hanno decise di andare in parlamento per continuare a combattere la propria battaglia per una informazione libera e senza paure, Forse qualcuno ha paura che non solo nella pasticceria Giolitti, ma neanche alla buvette di Palazzo Madama, se frequentato dalla Amurri, si possa più parlare liberamente. Ad Antonio Ingroia e Sandra Amurri va tutto il mio affetto e la mia solidarietà. Aiutateci a cambiare questo paese.

 

 

 

 

 

 

 
L'Associazione Nazionale Magistrati attacca Ingroia e De Matteo perchè avrebbero espresso giudizi sulla classe politica e non avrebbero difeso la figura del Presidente della repubblica. Siamo in presenza di una svolta preoccupante della linea della Magistratura italiana che finora aveva sempre difeso i giudizi antimafia. Ora l'isolamento di Ingroia e dei magistrati che agiscono come lui è un fatto compiuto. Possiamo dire che oggi la mafia ha segnato un successo enorme. Forse la Mafia è lo Stato. Intanto il contenuto delle intercettazioni del Quirinale non viene svelato non si capisce in base a quale principio.
www.repubblica.it/static/includes/common/interstitial.html?href=http%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2Fpolitica%2F2012%2F09%2F10%2Fnews%2Fanm_bacchetta_ingroia-42296273%2F%3Fref%3DHREC1-2
 
Due domande

Abito a Palermo dal 64 e da allora fino alla morte di Falcone e di Borsellino ricordo centinaia di assassini di mafia all'anno. Ogni giorno c'era una ecatombe. Forse abbiamo avuto qualcosa come cinquemila omicidi in quegli anni. Dal 92 ad oggi, da venti anni, non ci sono praticamente più omicidi di mafia. Regna una grande pax tra i mafiosi. C'è un legame tra questo evento e la trattativa Stato-Mafia?
Perchè la mafia non attacca più lo Stato?
E' lecito porsi queste due domande?
 

 

 CHE COSA VERAMENTE NASCONDE L'ARTICOLO DI SCALFARI CONTRO LA PROCURA DI PALERMO pubblicata da Giuseppe Carlo Marino il giorno Martedì 21 agosto 2012

Infuriano le polemiche sull’indecente articolo di Eugenio Scalfari di domenica scorsa. Il nocciolo dell’intera questione (compresa la vicenda dell’azione avviata da Napolitano contro la Procura di Palermo e in specie contro Antonio Ingroia), il nocciolo duro, è la trattativa Stato-mafia sulla quale i giudici palermitani intendono far luce e che altri, con vari gradi di autorevolezza “intellettuale” o istituzionale, vorrebbero mantenere nell’oscurità. In tutto questo – occorre riconoscerlo - Eugenio Scafari fa eccezione. Egli lascia intendere di riconoscere che la “trattativa” non è un’invenzione e che quasi certamente ci fu davvero. Però, in sostanza, la ritiene politicamente ben giustificabile e legittima e comunque, per la sua natura e per i suoi fini, tale da essere al riparo dai rigori del codice penale. Come valutare una posizione come la sua e come, nel contempo, quella di altri che, dicendolo o scrivendolo, forse a partire dal Colle, sono stati e sono dalla sua parte? Prendiamone atto con franchezza, sine ira ac studio. Nella sostanza – al di là dei toni polemici arroventati che hanno investito oltre che Ingroia un giurista di immenso prestigio qual è Zagrebelsky – Scalfari e compagni difendono l’intangibilità della Realpolitik e quindi il “diritto” dello Stato ad avere dei “segreti” e dei misteri da tutelare. Questo è sufficiente per metterli al di fuori dell’orizzonte dei principi e dei valori della nostra Costituzione e della stessa democrazia. Ma, in definitiva, per quali motivi – per quali motivi angoscianti e veritieri! – sono così tenaci nella difesa ad oltranza di una siffatta invocazione alla segretezza e al silenzio? Diciamocelo francamente e con coraggio. Io stesso mi permetto di ricordare di averne scritto (ma chi legge i libri di questi tempi?!!) nella VII edizione della mia “Storia della mafia” edita da Newton Compton, da pochi mesi in libreria. Diciamolo francamente : LA TRATTATIVA STATO-MAFIA, BEN AL DI LA’ DEI SUOI IMMEDIATI RISVOLTI GIUDIZIARI, EVIDENZIA CHE LA COSIDDETTA SECONDA REPUBBLICA E’ NATA SUL TERRENO DI UN TURPE PATTO CHE, TRAMITE I VARII DELL’UTRI, HA CONSEGNATO A BERLUSCONI E AL BERLUSCONISMO L’EREDITA’ DI QUELL’ALLEANZA STATO-MAFIA SULLA QUALE SI ERA RETTO PER DECENNI IL REGIME DEMOCRISTIANO. Questo è un motivo ben sufficiente per occultare tale trattativa e per investire di insulti quanti chiedono che venga pienamente alla luce o, come Scalfari, pensano che, se ci fu, era “legittimo” ed utile che la si facesse svolgere per superiori esigenze di Realpolitik. Si tratta, in altri termini, di oscurare la vera portata storica, e immediatamente politica, di un fatto che di per se stesso è di enorme portata sia storica che politica. Si tratta di nascondere il fatto che con Berlusconi e con la sua lunga stagione di governo, la mafia-mafia (ovvero la mafia che si avvita alla politica, la mafia del “colletti bianchi”, la vera mafia che è cosa diversa e ben più potente della cosiddetta “criminalità organizzata”) è stata ufficiosamente al potere, ha condizionato ed invaso dall’interno lo stesso Stato. Ed oggi, si badi, si tratta di oscurare l’inevitabile imprinting mafioso che grava su un nuovo corso politico (già avviato e auspicato anche per la fase che si aprirà con le prossime elezioni politiche) affidato all’alleanza PDL-PD-UDC . Ora, sia Napolitano che Scalfari intrigano per una siffatta alleanza il cui sconcio carattere di continuità con il berlusconismo è del tutto evidente. Pertanto, ben si comprendono i motivi delle loro posizioni contro la Procure di Palermo e Caltanissetta, in netta divaricazione dalle forze sociali e culturali più sensibili alle sorti della democrazia e dei valori costituzionali della nostra repubblica. GIUSEPPE CARLO MARINO  Pubblicato su facebook: http://www.facebook.com/notes/giuseppe-carlo-marino/che-cosa-veramente-nasconde-larticolo-di-scalfari-contro-la-procura-di-palermo/519010561458570

 

 

 

 

- L'intervista di Ingroia http://www.repubblica.it/politica/2012/07/29/news/intervista_ingroia-39938113/?ref=HRER1-1

Ingroia: "Siamo pronti a fermare l’inchiesta
se sulla trattativa c’è la ragion di Stato"

Il pm: "Al nostro posto il consigliere si sarebbe comportato allo stesso modo"

di SALVO PALAZZOLO PALERMO - Il magistrato Antonio Ingroia ha un dubbio: "Sulla vicenda della trattativa c'è una ragione di Stato che impedisce l'accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale? Se è così, dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica".

E se emergesse davvero una ragione di Stato dietro al dialogo segreto con la mafia, cosa farebbe?
"Di fronte a una legge, o a una commissione d'inchiesta politica, che ribadisse la ragione di Stato dietro alla trattativa, la magistratura non potrebbe che fare un passo indietro. In caso contrario, la legge ci impone di andare avanti per l'accertamento della verità".

C'è stata o no una ragione di Stato nella trattativa?
"È quello che vorrei sapere. Credo che sia necessario uscire dall'equivoco, alimentato dalle parole dette e non dette di autorevoli commentatori, a proposito di una presunta ragion di Stato che dovrebbe fermare l'azione della magistratura".

Alcuni commentatori mettono in dubbio l'esistenza della trattativa.
"Sentenze definitive stabiliscono che ci fu: da lì siamo partiti. E oggi il paese ha un'occasione unica: non vorrei che andasse perduta".

Non c'è il rischio di enfatizzare il processo sulla trattativa, che dovrebbe avere innanzitutto il compito di accertare
responsabilità individuali prima di proporre ricostruzioni storiche? 
 
"Lo ripeto da mesi. Il processo che inizierà è un'occasione, che non esaurisce lo sforzo di accertamento della verità. Occorrono altri momenti, e soprattutto la coesione istituzionale auspicata dal presidente della Repubblica. Non una chiusura corporativa di alcuni poteri dello Stato. E tanto meno una sorta di complicità istituzionale. Dovrebbe essere una coesione verso traguardi più alti: la verità sulla stagione 92-94, che pesa come un macigno sulla nostra democrazia".

Il confronto fra politica e magistratura resta critico, forse anche per la sua inchiesta?
"La coesione istituzionale dovrebbe esplicarsi in fatti concreti. Innanzitutto, il dovuto rispetto nei confronti della magistratura. E invece in questi giorni siamo stati insultati, sui giornali abbiamo letto cose infami. Ma noi abbiamo la coscienza a posto, abbiamo sempre rispettato le regole. Ci siamo comportati come Loris D'Ambrosio avrebbe fatto al nostro posto. E lo dico per la conoscenza e la stima dell'uomo delle istituzioni D'Ambrosio. Anche lui avrebbe fatto ogni sforzo per la verità".

Maggiore rispetto per i pm, dice lei, e toni pacati: bastano per un dialogo più costruttivo fra politica e giustizia?
"La politica dovrebbe essere soprattutto meno impegnata a cacciare indietro l'azione della magistratura. Ad esempio, sottraendole strumenti fondamentali, come le intercettazioni".

Però, anche il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale sembra essere un atto d'accusa verso i pm di Palermo, per non aver creato un clima di dialogo sulle intercettazioni del capo dello Stato.
"La Procura di Palermo non ha fatto altro che cercare il clima meno conflittuale possibile, senza violare le leggi vigenti, né le prerogative del presidente. Se si ritiene che si debba modificare la legge, lo si faccia, come l'ex ministro Flick chiedeva. Oppure, sarà la Consulta a risolvere il problema".

Gianluigi Pellegino ha proposto su "Repubblica" l'applicazione dell'articolo 271 per arrivare alla distruzione d'ufficio delle intercettazioni inutilizzabili.
"Noi non possiamo fare giurisprudenza creativa. Quell'articolo è applicabile solo a casi tassativi. Dunque, o interviene la Corte Costituzionale, o una legge apposita per la distruzione delle intercettazioni riguardanti il presidente della Repubblica, attraverso una procedura straordinaria".

Ha ormai deciso di andare in Guatemala?
"Dispiace sempre lasciare. Ma se non cambiano le condizioni, passi avanti non se ne possono fare. Il magistrato si è ritrovato in una stanza buia, devono essere gli altri attori politico-istituzionali ad accendere la luce. Se dovesse accadere, potrei anche restare".

Medita di passare dalla parte della politica, per accendere lei quella luce?
"Sono e resto un magistrato. Forse, adesso, un po' deluso. Ma non smetterò di cercare la verità, anche dall'altra parte del mondo".
 

-  Pino Maniaci intervista Antonio Ingroia
http://telejato.globalist.it/Detail_News_Display?ID=30997&typeb=0
Pino Maniaci intervista il procuratore aggiunto Antonio Ingroia

Redazione
lunedì 23 luglio 2012 13:24

Pino Maniaci intervista Antonio Ingroia
Ingroia: ..Dica

Maniaci: Ma si vuole oggi la verità?

Ingroia: (esitazione) io credo che c'è una fetta dell'Italia consistente
dentro e fuori le istituzioni che la verità la vuole, lo sappiamo non è una
novità, e che c'è un pezzo d'Italia che la verità non la vuole. Ma sono
convinto che la parte migliore del paese la vuole e questo impegno aiuta la
verità a venire fuori.

Maniaci: I cittadini onesti vogliono essere intercettati, Napolitano
addirittura, vuole salvaguardare, non si sa, il didietro di Mancino?

Ingroia: Non intendo commentare questi presunti retroscena. Quello che è
certo è che legitimamente la presidenza della repubblica ha posto una
questione, diciamo, di diritto, rispetto alle prerogative e alle immunità
della presidenza della repubblica. Noi, siamo convinti di non aver leso in
alcun modo le prerogative del capo dello stato, per il quale nutriamo grande
rispetto. Siamo certi che analogo rispetto verrà mantenuto da parte della
magistratura e questo credo che sia doveroso nei confronti della
magistratura che in questo momento è impegnata in un'attività difficile e
complessa.

Maniaci: Noi siamo sicuri che la magistratura andrà avanti, ma ci sono
tentativi di insabbiamento?

Ingroia: Beh.. ci sono stati depistaggi e certamente c'è chi la verità non
la vuole tutta intera, ma siamo convinti che si possa creare un'atmosfera
positiva per accertare la verità. L'unica cosa di cui sono certo è che non
servono le polemiche, non servono i conflitti, non servono i contrasti.
Serve la coesione istituzione per accertare la verità.

Maniaci: L'ultima domanda è quella su Saverio Romano. Mettiamola così:
Borsellino diceva che ovviamente molto spesso, i politici corrotti e collusi
non vengono condannati perché non si riesce a trovare le prove. Ieri
l'assoluzione. cosa farà la magistratura?

Ingroia: Eh, bisogna leggere le motivazioni della sentenza. Era ed è come è
noto una vicenda complessa. La procura inizialmente aveva chiesto
l'archiviazione, poi c'era stata una imputazione coatta da parte del gip,
poi c'era stato un'udienza in giudizio abbreviato, e la decisione del gup
sulla quale è giusto confrontarsi leggendo la motivazione.

Maniaci: Si arriverà un giorno alla verità sulle stragi?

Ingroia: Io spero di si. Non ho grande ottimismo perché purtroppo la storia
del nostro paese è una storia di verità dimezzate. Quando riusciremo ad
ottenere tutta la verità sulle stragi, il nostro paese, diventerà una
democrazia compiuta.

Maniaci: Lei è candidato?

Ingroia:.A che?!

_________
 

Antonio Ingroia a Tabularasa 25 luglio 2012

 

 Giuseppe Carlo Marino (29 luglio 2012)
Ovviamente, mi sembra ben chiaro, Antonio Ingroia non auspica una qualche legge che sancisca la "ragione di Stato" . Si limita a precisare, con il rigore che gli è consueto, che i limiti invalicabili entro i quali la magistratura può e deve operare sono quelli costituiti dalla Legge. Se per un qualsiasi ben deprecabile evento il legislatore, con una legge specifica regolarmente approvata dal parlamento , vietasse iindagini e procedimenti sulla "trattativa" (o li avocasse in esclusiva, sempre tramite una legge, ad una commissione d'inchiesta parlamentare) la Magistratura non potrebbe che prendere atto del fatto di essere "legalmente" espropriata dei suoi normali poteri istituzionali. Certamente, va rilevato, sarebbe una legge dalle connotazioni eversive nient'affatto conciliabile con una sana concezione dei rapporti tra i poteri dello Stato in una democrazia degna del suo nome. In definitiva, mi sembra che Ingroia si sia limitato a dire: "finché una qualche legge (eversiva) non interverrà a bloccare (sulla questione specifica della "trattativa" con la mafia) il lavoro delle Procure e dei giudici, continuerò senza tregua, e senza accettare condizionamenti e remore di qualsiasi natura, a fare quanto istuzionalmente mi compete per l'accertamento della verità; niente potrà scoraggiarmi o farmi arretrare di un sol passo; utilizzerò a fondo le risorse legali dello Stato democratico". Si tratta, se si vuole, anche di un'implicita, ma ferma, risposta a quanti ( e sono numerosi) fingono di non vedere che il lavoro che egli sta conducendo nell'ambito dei poteri istituzionali della Procura di Palermo è un lavoro per la verità condotto in nome e per conto della Legge, soltanto nella Legge e per la Legge, e non l'esercizio dell'impropria attività di un "magistrato ideologizzato" che fa politica!
 

 

 
 Pietro Ancona Dalla parte dei magistrati antimafia.

Tutte le persone che stiamo con l'antimafia e sosteniamo i magistrati che si battono e rischiano la vita e fanno una vita da cani loro e le loro famiglie per anni e anni. Ricordo una malinconica fotografia di Falcone affacciato dalla piccola finestra della cucina dell'appartamento in cui abitava e dal quale raramente usciva per ragioni personali per non esporre se stesso e la sua scorta ad un qualche attentato. Dobbiamo stringerci attorno ad Ingroia, a Scarpinato ed a tutti gli altri valorosi magistrati e respingere al mittente la vergognosa campagna di mobbing e di criminalizzazione orchestrata attorno alla improvvisa morte del Dr. D'Ambrosio. Una campagna che ha il dito puntato sui magistrati che avevano osato intercettare un ex Ministro mentre parlava con il collaboratore di Napolitano.
Considero l'intervista rilasciata da Ingroia a proposito di quello che potrebbe fare la magistratura nel caso che la Politica dichiarasse la ragione di Stato per la trattativa Stato-Mafia un errore dovuto ad un momento di gravissima difficoltà e grave preoccupazione. In un certo senso ha steso una mano a persone che piuttosto che stringerla sono pronte a morderla e profittare della disponibilità per indebolirlo ed isolarlo.
Per questo dobbiamo dichiararci vicini ad Ingroia a Scarpinato e a tutti gli altri e sperare che la loro coesione non venga meno e che si difendano fraternamente l'uno con l'altro.

 

  Si dica apertamente: i morti non ritornano, i familiari si rassegnino
di Saverio Lodato -

Si dica apertamente, una volta per tutte, che la legge non è uguale per tutti.
Si dica apertamente che ci sono cittadini più cittadini degli altri.
Si dica apertamente che Mancino Nicola appartiene al <<club del potere>> e, in quanto tale, ha diritto a un trattamento di favore.
Si dica apertamente che la magistratura, se individua nel corso del suo lavoro, fili istituzionali scoperti, e ad altissima tensione, deve immediatamente battere in ritirata.
Si dica apertamente, una volta per tutte, che mafia e Stato, mafia e istituzioni, mafia e finanza, mafia e servizi segreti, sono altrettante voci di una storia pluridecennale che nessuno può permettersi di guardare da vicino.
Si dica apertamente che la ragion di stato non può conoscere limiti, né di natura penale, né di natura, men che mai, etica.
Si dica apertamente che i morti non ritornano e che i familiari di quei morti farebbero bene a rassegnarsi per sempre.
Si dica apertamente che la politica ha bisogno della mafia come la mafia ha bisogno della politica.
L’avere infatti usato, come fosse una clava mediatica, l’improvvisa morte del consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, nello scempio del più elementare rispetto del silenzio di fronte al venir meno di una vita umana,  dà la misura del livello di imbarbarimento che può raggiungere lo scontro nel nostro Paese quando la posta in gioco è rappresentata dalla volontà del  pervicace mantenimento di un sistema  di relazioni istituzionali con la mafia, che rischia di essere disvelato dalle indagini della magistratura.
I fatti, per fortuna, hanno la testa dura. I fatti li conoscono tutti gli italiani.
Per questo, sarebbe ora di dire di dire apertamente, che l’Italia è fatta così, e così deve rimanere.
Foto © Samuele Firrarello
http://www.antimafiaduemila.com/saverio-lodato/si-dica-apertamente-i-morti-non-ritornano-i-familiari-si-rassegnino.html

Tratto da: Si dica apertamente: i morti non ritornano, i familiari si rassegnino | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/07/29/si-dica-apertamente-i-morti-non-ritornano-i-familiari-si-rassegnino/#ixzz224nTibgG
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

 

 

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(ANSA) - PALERMO, 26 LUG - La famiglia Borsellino si schiera con Roberto
Scarpinato e critica la richiesta di apertura di un procedimento
disciplinare per il procuratore generale di Caltanissetta. E' stato il
membro laico del Csm, Nicolo' Zanon (Pdl), a chiedere ieri al comitato di
presidenza del Consiglio superiore della magistratura di autorizzare
l'apertura di una pratica in prima commissione sull'intervento di Scarpinato
durante le manifestazioni di ricordo della strage di via D'Amelio. Nella
forma di una lettera a Paolo Borsellino, Scarpinato aveva, tra l'altro,
detto: ''Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti
riservati alle autorita', anche personaggi la cui condotta di vita sembra la
negazione dei valori di giustizia e legalita' per i quali tu ti sei fatto
uccidere''.
''Condivido - dice Agnese Piraino Leto vedova di Borsellino - ogni parola
della lettera emozionante con la quale Roberto Scarpinato si e' rivolto a
Paolo. Non avrei mai immaginato che alcuni stralci di quella lettera
inducessero un membro laico del Csm a chiedere l'apertura di un procedimento
a carico del procuratore generale di Caltanissetta e fossero ritenute cosi'
gravi da giustificarne la richiesta di trasferimento per incompatibilita'
ambientale e funzionale''.
''Se vi e' oggi un magistrato 'compatibile' con le funzioni attualmente
svolte - aggiunge Agnese Borsellino - quello e' il dottor Scarpinato, che
non dimentichero' mai essere stato uno degli otto sostituti procuratori
della direzione distrettuale antimafia di Palermo che all'indomani della
morte del 'loro' procuratore aggiunto Paolo Borsellino rassegno' le
dimissioni, poi fortunatamente rientrate, dopo avere avuto il coraggio e la
forza di denunciare le divergenze e le spaccature di 'quella' Procura di
Palermo che avevano di fatto isolato ed esposto piu' di quanto gia' non lo
fosse mio marito''.
Rita e Salvatore Borsellino condividono l'intervento di Agnese Piraino Leto
e aggiungono: ''Esprimiamo a nostra volta il nostro sdegno per questa
improvvida iniziativa di un membro del Csm a carico del procuratore
Scarpinato, tanto piu' grave perche' prende a pretesto proprio quella
lettera a Paolo che, letta in via d'Amelio il 19 luglio pochi minuti prima
dell'ora della strage, ha riempito di emozione i cuori delle migliaia di
persone giunte da ogni parte d'Italia a Palermo per onorare la memoria del
magistrato Paolo Borsellino e dei cinque poliziotti che hanno perso la vita
al suo fianco''. (ANSA).
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Mafia: familiari vittime a Ingroia, ragion di Stato non puo' fermare indagini
http://www.liberoquotidiano.it/news/1066775/Mafia-familiari-vittime-a-Ingroia-ragion-di-Stato-non-puo--fermare-indagini.html

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  Ingroia e il “fuoco amico”

di Gian Carlo Caselli - 20 luglio 2012
Il nostro Paese è teatro di una guerra vera e propria. Non contro la crisi economica. O contro la disoccupazione. O contro l’evasione fiscale. O contro la corruzione. La vera guerra che si combatte è contro la Procura di Palermo. Un guerra totale, condotta con tattiche diverse, ma tutte ispirate all’obiettivo di restringerne gli spazi operativi e di circoscrivere il rischio che si scoprano verità sgradevoli.
Bersaglio “privilegiato” di questa guerra è Antonio Ingroia. Già pupillo di Paolo Borsellino; da sempre costretto a vivere con i militari, i cani lupo e i sacchetti di sabbia intorno a casa sua, a causa di processi delicatissimi in cui è stato o è Pm (Contrada; Dell’Utri; “trattative” tra Stato e mafia) Ingroia è finito proprio nel punto d’incrocio della raffica di assalti scatenata contro la Procura di Palermo e contro l’antimafia. Un luogo di intersezione che lo ha esposto moltissimo ad attacchi anche furibondi. Come l’assurda richiesta (in relazione al cosiddetto caso Ciancimino) di tirar fuori per lui l’art. 289 del codice penale – attentato a organi costituzionali – che punisce con 10 anni di galera chi cospira contro lo Stato. O come nel raggelante episodio di inciviltà che ha riguardato la sua persona in Senato, quando – mentre si citava il gravissimo fatto di un attentato distruttivo ordito contro di lui – una parte dell’aula ha fatto un coretto di irrisione alla pronunzia del suo nome.
EPISODI squallidi di una guerra che denunzia l’insofferenza per il controllo di legalità realizzato con metodo e rigore. Con sullo sfondo l’ambizione mai accanto-nata di una riforma della giustizia che consegni alla maggioranza politica contingente (poco importa di che colore) il potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali e di regolarne l’intensità.
Come in ogni guerra, ogni tanto capita di dover registrare anche del “fuoco amico”. È il caso dell’intervista che Giuseppe di Lello ha rilasciato il 18 luglio a La Stampa. Di Lello è un valoroso magistrato che dopo essere stato in trincea con Falcone e Borsellino ha scelto di darsi alla politica. Forse è questa nuova collocazione che lo ha portato (come lui stesso ammette) a manifestare sempre – dopo la tragica stagione del ‘92/93 – “una certa insofferenza nei confronti della gestione delle grandi inchieste politiche della Procura di Palermo”. Dimenticando che era stato proprio lui a stigmatizzare come “scaltri” quei magistrati che sono sempre disposti a riconoscere in teoria la pericolosità della mafia nelle sue connessioni con il potere politico ed economico per poi essere pronti – nel momento di passare all’azione – a colpire soltanto l’ala militare. Ebbene, la Procura di Palermo del “dopo stragi” ha doverosamente rifiutato ogni “scaltrezza”. Ha invece cercato di oltrepassare il cordone sanitario delle relazioni esterne, indagando anche sulle coperture e complicità che sono il vero perno della potenza mafiosa. Nel solco di quel “voltare pagina” che aveva tracciato proprio il pool di cui anche Di Lello era stato (con meriti indiscutibili) componente, indicando come non più eludibili indagini sul “retroterra dei segreti e inquietanti collegamenti che vanno al di là della mera contiguità”. È in questo quadro che si sono svolti – tra gli altri – i processi Andreotti e Dell’Utri. Con esiti certamente positivi per l’accusa. Se è vero (come ammette persino Di Lello) che “il senatore a vita Giulio Andreotti è stato riconosciuto responsabile fino al 1980 dei suoi rapporti con la mafia”. E se è vero – com’è vero – che il senatore Dell’Utri, nella sentenza 9 marzo 2012 n. 15727 della Cassazione, è stato ritenuto responsabile – in base a prove sicure – del reato di concorso esterno con Cosa Nostra per averlo commesso, operando di fatto come mediatore di Silvio Berlusconi, almeno fino al 1978 (per i periodi successivi, fino al 1992, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio avanti alla Corte d’appello di Palermo).
DUNQUE la Procura di Palermo ha svolto inchieste che hanno portato all’accertamento di pesanti responsabilità – per collusioni con la mafia – di personaggi che sono assolutamente centrali nella storia del nostro Paese: sul versante politico (Andreotti) e su quello dell’imprenditoria che si fa poi politica (Dell’Utri e dintorni). L’enormità di questi incontestabili dati di fatto dovrebbe sconsigliare ogni processo sommario alla stagione giudiziaria successiva alle stragi del ’92, stagione in cui la Procura di Palermo ha contribuito a salvare il Paese. Mi riesce davvero difficile, pertanto, condividere la tesi che Di Lello espone nella citata intervista, là dove sostiene che “molte scelte giudiziarie (della Procura di Palermo) si sono risolte in un boomerang”. Ma singolare è altresì la tesi secondo cui tali scelte giudiziarie “hanno poi rilegittimato i politici processati”. Singolare perché in realtà si è trattato e si tratta di una costante scandalosa autoassoluzione da parte della politica (praticamente tutta, trasversalmente) anche a fronte di responsabilità penali accertate fino a sentenza definitiva della Suprema corte. Quindi non “rilegittimazione”, ma vergognoso rifiuto di qualunque forma di responsabilità anche politico-morale. Rifiuto cui fa da corollario il mantra di certi magistrati che operano inseguendo biechi “teoremi”. Che è quello che in sostanza si va ingiustamente ripetendo (per svilirla) anche a proposito dell’inchiesta della Procura di Palermo e di Ingroia sulle “trattative”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Tiro all’Ingroia sport nazionale (Gian Carlo Caselli). 15/06/2013 di triskel182

Per anni e anni Antonio Ingroia è stato considerato l’erede professionale di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Di Borsellino era stato anche sostituto nella Procura di Marsala. Poi l’aveva seguito alla Procura di Palermo e se l’era visto uccidere da Cosa Nostra neanche due mesi dopo l’assassinio di Falcone.

Invece di scappare verso uffici più comodi, è rimasto a lavorare a Palermo in procura, divenendo titolare o contitolare di importantissime indagini antimafia che l’hanno esposto a rischi gravissimi: costringendolo a vivere perennemente circondato da militari, cani lupo, filo spinato e sacchetti di sabbia persino sul pianerottolo di casa. Grazie al suo sacrificio, al suo impegno e ai lusinghieri risultati ottenuti, Antonio Ingroia è anche diventato – per moltissimi italiani, non solo magistrati – unpunto di riferimento e un modello. Poi, di colpo, è finito nel punto d’incrocio della raffica di assalti furibondi scatenati ormai da anni contro la magistratura e in particolare contro l’antimafia che nella Procura di Palermo ha sempre avuto un suo epicentro.

Con un preciso obiettivo: una riforma che consegni alla “politica” il potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali e di regolarne l’intensità in modo da circoscrivere il rischio che si scoprano verità sgradevoli. Ed è così che Ingroia – bombardato da accuse per lo più grottesche – è stato trasformato in una specie di monsieur Malaussène, quello che nei romanzi di Daniel Pennac fa di professione il “capro espiatorio”. Secondo un copione già collaudato con Falcone, ingiustamente accusato di nefandezze varie, con la conseguente, micidiale calunnia di svilire la ricerca della verità ad azione politica ispirata da una fazione ai danni di un’altra.

GLI ATTACCHI scagliati contro Ingroia si sono intensificati quando il bersaglio da affondare è diventato l’inchiesta rubricata come “trattative”: un’inchiesta obiettivamente molto difficile e tormentata, della quale è legittimo ragionare in termini anche piuttosto critici. Mentre non è consentito il linciaggio irrispettoso – di fatto praticato su scala industriale da un larghissimo spettro di “osservatori” – dei magistrati coordinati da Ingroia che l’hanno condotta con coraggio e fatica. Linciaggio che non è cessato (anzi, è paradossalmente aumentato) dopo che il Gip ha disposto il rinvio a giudizio degli imputati, riconoscendo così che il lavoro degli inquirenti non era per niente scritto sull’acqua. Il bombardamento di Ingroia è poi diventato guerra spietata, senza risparmio di colpi, quando lo sventurato ha deciso di scendere in politica. Non saltando sul carro di questo o quel partito come fanno gli altri magistrati (indifferentemente etichettati come toghe “rosse” o “azzurre”), sicuri di essere eletti grazie a una legge che notoriamente è una “porcata” . Ma rischiando anche questa volta di suo, creando cioè un nuovo movimento politico indipendente, con l’obiettivo ambizioso di rinnovare la classe dirigente. Gli elettori hanno deluso le sue aspettative e non l’hanno per nulla premiato. Anche perché si sono coalizzate e accanite contro di lui potenti forze trasversali, quasi si trattasse di fermare… Annibale.

Nel corso della campagna elettorale un seguito particolare (negativo per Ingroia) ha avuto l’imitazione che ne ha fatto Maurizio Crozza, tratteggiando un uomo piuttosto confuso, impacciato, sperso. Ora che il Csm vuol trasferire d’ufficio Francesco Messineo, già capo di Ingroia, io chiamerei come teste a discarico proprio Crozza. Perché a torto o a ragione (per me a torto, altro essendo il profilo di Ingroia) secondo molti italiani ormai Ingroia si identifica col personaggio di Crozza. E allora hai voglia a sostenere credibilmente (come vorrebbe fare il Csm) che Ingroia è un arrogante protervo, capace di condizionare il suo capo, facendogli perdere libertà e indipendenza, con agguati tesi e lusinghe pensate nei tristi anfratti del palazzo di giustizia. Impossibile cancellare la maschera tutt’affatto diversa che Crozza gli ha cucito addosso.

INFINE, non vorrei che Ingroia si consolasse (si fa per dire) constatando che il ruolo di Malaussène sembra trasferito a Messineo. Al centro dello squallido scenario che denunzia insofferenza per il controllo di legalità esercitato con “troppa” indipendenza, resta pur sempre anche lui. Con un ruolo di prim’attore. E forse non sbaglia chi pensa che i suoi guai – alla fine della storia – derivino soprattutto dall’aver sostenuto positivamente l’accusa contro il potente Marcello Dell’Utri.

A qualcuno questo dente continua a dolere, tant’è vero che è stata presentata qualche giorno fa (e solo per ora accantonata) una leggina che punta a dimezzare le pene per il concorso esterno in associazione mafiosa, subito ribattezzata “salva Dell’Utri”. Mentre in commissione Giustizia del Senato un magistrato prestato alla politica ha presentato un progetto di illeciti disciplinari a geometria variabile per colpire i magistrati “politicizzati”. Progetto che, se non è… autolesionismo masochistico, sembra pensato sui clichè che una instancabile propaganda continua ad appioppare a certi magistrati onesti e liberi. Come è stato Ingroia finché ha indossato la toga.

Da Il Fatto Quotidiano del 15/06/2013.

 

  Trattativa Stato-mafia  La verità e le polemiche
http://www.unita.it/italia/trattativa-stato-mafia-br-la-verita-e-le-polemiche-1.434894

Di Antonio Ingroia
2 agosto 2012
Come al solito, all’indomani di ogni mio tentativo di aprire dibattiti costruttivi su tematiche che nessuno potrà mettere in dubbio essere seri, vengo investito da critiche e commenti velenosi....
Come al solito, all’indomani di ogni mio tentativo di aprire dibattiti costruttivi su tematiche che nessuno potrà mettere in dubbio essere seri, vengo investito da critiche e commenti velenosi. E così succede ancora una volta dopo che in un’intervista dico due cose ovvie. Primo: c’è chi protesta contro una presunta invasione di campo della magistratura che, indagando sulla stagione della trattativa ’92-’94, dovrebbe cedere di fronte ad un’implicita (forse inconfessabile?) ragion di Stato?

A questi rispondo che, se ragion di Stato vi fu, lo si dichiari. La politica ha gli strumenti legislativi per fermare la giustizia penale, e se la veda poi coi cittadini per giustificare una ragion di Stato che, invece di fermare le stragi, le avrebbe accelerate se non addirittura causate (basta leggersi le sentenze di Firenze e Caltanissetta per farsene un'idea). Seconda cosa ovvia: se invece questa presunta ragion di Stato non viene riconosciuta da alcuna autorità politico-istituzionale, si lasci lavorare la magistratura, ed anzi la politica faccia la sua parte, approntando gli strumenti legislativi per agevolare la verità giudiziaria ad emergere e adoperandosi perché venga fuori anche la verità storico-politica. Banalità, vero? Sembra di no, a vedere le reazioni, dato che vengo accusato, fra l'altro, di essere un provocatore politico (ma di che provocazione stiamo parlando?), di voler attribuire una ragion di Stato al noto conflitto di attribuzioni fra Presidenza della Repubblica e Procura di Palermo (ma io parlavo di tutt'altro!), e da ultimo di voler nascondere la debolezza dell'indagine. Quest'ultima accusa proviene da un mio critico affezionato, Emanuele Macaluso, che da queste stesse colonne ieri ha già emesso la sentenza del processo senza conoscerne una carta. La cultura del dubbio, coltivata da quel Leonardo Sciascia che Macaluso ama citare, stavolta non gli serve, visto che sa già che il procuratore capo di Palermo non ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio perché l'indagine è debole, e non perché, da non titolare del procedimento, il procuratore «vista» il provvedimento. Né lo sfiora il dubbio che, in caso di dissenso, possano avere ragione gli altri quattro magistrati che hanno invece firmato.
Ma, purtroppo, non è finita qui, perché Macaluso, pur di non dare credito alla dignità di un'indagine, smentisce l'esistenza di qualsiasi trattativa, ignorando le sentenze e perfino la storia. Ignora le sentenze definitive di Firenze che hanno ritenuto provata la trattativa Stato-mafia della stagione 92-93. Ed ignora la storia, perché nel suo excursus dimentica addirittura la «madre di tutte le trattative», quella intermediata da Lucky Luciano che consentì il sostegno della mafia allo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia alla fine del secondo conflitto mondiale. Fatti documentati in tanti libri di storia e da ultimo in «Quarant'anni di mafia», libro di Saverio Lodato, memoria storica antimafia di questo stesso giornale.

Ebbene, sorprende che un politico come Macaluso, che quella stagione ha vissuto, non rammenti che la «convivenza» con la Democrazia Cristiana, partito filo-atlantico e garante di certi assetti politico-sociali, iniziò proprio per effetto di una trattativa, quella trattativa intermediata da Cosa Nostra americana e si esaurì solo quando, dopo la caduta del muro di Berlino, venne meno la giustificazione politico-internazionale di quella convivenza, degenerata in stabile alleanza. Sono cose ben chiare ad un comunista che guardava lontano ed in profondo come Pio La Torre, che non a caso non smise mai di vedere il contesto internazionale nel quale si inseriva il potere mafioso. E seguendo il metodo di analisi della realtà mafiosa di Pio La Torre non deve sembrare un caso che l'omicidio Lima si collochi solo dopo la caduta di quel muro, e per ragioni ben più profonde del mancato aggiustamento del maxiprocesso, come sembra pensare in modo riduttivo, invece, Macaluso.

Ebbene, il tema allora rimane un altro, e credo dovrebbe interessare non soltanto ai magistrati e alle vittime delle stragi e delle varie trattative con la mafia avvenute nella storia. Se è vero che vi fu una trattativa in quel biennio, è pensabile che essa avesse come obiettivo solo il 41-bis, o la posta in gioco fu ben più ampia? La nuova trattativa non riguardava invece il nuovo patto di convivenza politico-mafioso? Ed allora, sembra troppo impertinente che un magistrato dica ad alta voce che, di fronte a questa posta in gioco, invece di invocare presunte invasioni di campo della magistratura si dovrebbe collaborare, ciascuno per la propria parte di responsabilità, informazione, politica, cultura e società civile, per ricostruire cosa accadde davvero in quegli anni? La magistratura deve solo perseguire responsabilità penali personali e cercare le prove, e celebrare processi se le prove ci sono. Ma ognuno faccia la sua parte.
Post scriptum. Non mi piace la polemica delle repliche e controrepliche perché sterile. Quindi, siccome so che Macaluso replicherà ancora alle mie risposte, dichiaro che, per parte mia, ritengo questa polemica chiusa qui. Non prima di rammentare, visto che raccomanda di agire contro la mafia «silenziosamente», le parole di Paolo Borsellino, il mio maestro, che mi ha insegnato che il silenzio è della mafia per poi concludere: «Parlate della mafia, parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene...».
 

  Stato-mafia, ecco la storia vera di E. Macaluso

Di Emanuele Macaluso
1 agosto 2012
Domenica scorsa Antonio Ingroia ha rilasciato una intervista al quotidiano la Repubblica per dire che nella vicenda della cosiddetta «trattativa Stato-mafia» peserebbe come un macigno «una ragione di Stato che impedisce l’accertamento della verità sulla base del diritto penale». La questione è posta con un interrogativo retorico, dato che nel corso dell’intervista il dottor Ingroia mostra di essere certo che quel macigno c’è. Infatti afferma: «Dalla politica debbono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica».

E chi lo deve dire? Il presidente della Repubblica, come afferma lo stesso Ingroia, ha detto con chiarezza che occorre andare sino in fondo per accertare la verità. Il presidente del Consiglio è chiaramente sulla stessa linea. Ingroia fa riferimento ad «autorevoli commentatori» che «tra parole dette e non dette» alimenterebbero l’equivoco di «una presunta ragione di Stato che dovrebbe fermare l’azione della magistratura».
Chi sono questi autorevoli commentatori? Poi, invece, è lo stesso Ingroia che lamenta «una chiusura corporativa di alcuni poteri dello Stato. E una sorta di complicità istituzionale». Il procuratore aggiunto di Palermo ha il dovere di essere esplicito: chi sono i poteri che si chiudono? A quale complicità istituzionale fa riferimento? La verità è che tutto l’impianto dell’inchiesta (legittima) è debole, molto debole. Ed è questa, penso, la ragione per cui il procuratore capo non ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal dottor Ingroia e altri tre sostituti.

Intanto si continua a parlare di una trattativa tra «Stato e mafia» e non si capisce chi rappresentava lo Stato in questo negoziato. La storia dei rapporti tra lo Stato e la mafia è ricca di fatti e episodi, e sul tema c'è una ricca letteratura. Gli storici ci hanno raccontato come e dove si esprimeva questo rapporto, le persone e le istituzioni coinvolte. Il vecchio Napoleone Colajanni e Gaetano Salvemini chiamarono in causa il ministro Giovanni Giolitti, il quale non con una «trattativa» ma attraverso i prefetti usava la mafia (usando anche il confino di Polizia) per vincere le elezioni nei collegi siciliani.
Ma torniamo a vedere cosa è successo oggi, cercando anche di capire quel che abbiamo visto ieri. E per capirlo occorrono anche analisi politiche su fatti e fenomeni che non si configurano come «trattativa» fra due soggetti, lo Stato e la mafia, con plenipotenziari, ma come atti politici. Giovanni Bianconi (Corriere della Sera, 25 luglio) sostiene che «la trattativa è cominciata prima della strage di Capaci ed è continuata dopo.

Aveva obiettivi più ampi e complessi dell’attenuazione del carcere duro per i boss. Serviva a stabilire la nuova convivenza tra Stato e Cosa Nostra che aveva resistito sino al 1992. La trattativa per ridefinire l’accordo tra la politica e la mafia nella seconda Repubblica cominciò con il delitto Lima».

Bianconi sbaglia. La «convivenza» finisce quando comincia l’attacco mafioso terroristico. Anche la discutibile sentenza dellaCorte di Appello di Palermo nei confronti di Andreotti dice che l’ex presidente «convisse» con la mafia sino al 1980. E del resto fu Andreotti a fare il decreto (contestato da tanti costituzionalisti, tra cui Rodotà) con cui rimise in carcere i capi mafia della «cupola» di Cosa nostra, scarcerati, per decorrenza dei termini, dalla Cassazione.

La Dc, partito di governo, non poteva accettare il ricatto della mafia che uccideva carabinieri, poliziotti e magistrati: conviveva con la mafia ma nel «quieto vivere», per usare un’espressione andreottiana. E questa realtà non fu, come tanti mafiologi da strapazzo vanno dicendo, voluta e vissuta solo da Andreotti. Il quale, sino alle elezioni del 1968, in Sicilia non aveva corrente e rappresentanti: Lima, Gioia e Ciancimino erano fanfaniani.

Il grande compromesso tra mafia e Dc ha una data carica di significati politici: il 1948. Nelle prime elezioni regionali del 1947, la Dc ottenne poco più del 20% (20 deputati su 90), nel 1948 sfiorò la maggioranza assoluta. Ma dopo le elezioni regionali (20 aprile 1947), il Primo maggio, si verifica la strage di Portella e uno dietro l’altro vengono uccisi quattro dirigenti sindacali, Li Puma, Rizzotto, Cangelosi, Miraglia che guidavano il movimento contadino.

La mafia a Portella usò la banda Giuliano per consumare la strage, ma successivamente uccise Giuliano e lo consegnò cadavere ai carabinieri del colonnello Luca, il quale col capitano Perenze furono decorati e promossi per l’impresa. E Pisciotta, sicario dei carabinieri, fu avvelenato nel carcere dell’Ucciardone. Non ci furono trattative: le grandi famiglie mafiose benestanti, notabili rispettati nei grandi paesi della Sicilia occidentale e di Palermo, erano grandi elettori e frequentavano familiarmente i capi della Dc siciliana.
Senza trattative la mafia, che aveva sostenuto i liberali, i separatisti, i monarchici transitò nel partito che ormai deteneva il potere. Con la benedizione del cardinale Ruffini. La rivista di Giuseppe Dossetti «Cronache sociali» documentò il transito guidato dalla mafia di elettori dai collegi di Vittorio Emanuele Orlando, nel palermitano, alla Dc.

Nel ’48 il blocco anticomunista non ammetteva eccezioni: la mafia era parte del sistema, nel «quieto vivere». Un uomo come l’avvocato Giuseppe Alessi, sturziano, antifascista intransigente, fondatore della Dc, primo presidente della Regione, dirigente della Dc di Caltanissetta nel 1943-46, opponendosi all’ingresso della mafia di Genco Russo e Calogero Volpe (deputato e sottosegretario) si dimise da segretario e restò, nella sua provincia, sempre all’opposizione. Ma fu lui, in un’intervista, a dire al giornalista Francesco Merlo che tra il comunismo e la mafia la Dc non poteva che scegliere Cosa Nostra. E lo fece governando De Gasperi, Fanfani, Moro, Rumor, Andreotti. Lo fece pensando di poter «governare» una connivenza con la mafia nella «legalità» consentita dai tempi.

Quando il sistema politico entra in crisi, dopo l’uccisione di Moro (1978), e nel tribunale di Palermo cambia il vento con il procuratore Gaetano Costa, con Chinnici e Terranova, e cambia anche nella Questura, nei Carabinieri, nella Regione con Piersanti Mattarella, Cosa Nostra inizia la mattanza: il commissario Boris Giuliano e Terranova nel 1979, Costa e Mattarella nel 1980 e dopo di loro Chinnici, Dalla Chiesa, e tanti altri sino a Falcone e Borsellino.

Nel 1993 la sinistra vince in tutti i grandi Comuni italiani, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania, Messina, ecc... A Palermo Leoluca Orlando ottiene il 70%: c’è la sua Rete e i Progressisti con Occhetto e Bertinotti pensano di avere già in mano la vittoria nelle elezioni politiche. La controffensiva della destra e dei moderati trova espressione in Berlusconi.
Non sottovalutate il dato politico: la destra è solo il Msi, i partiti dell’area moderata sono in frantumi e con loro anche il Psi, c’è la Lega che alle elezioni del 1992 ha ottenuto 80 parlamentari. Tangentopoli suggella un processo politico.

La destra che conta e pesa e le forze moderate si uniscono nella coalizione berlusconiana. E come sempre in Sicilia le «grandi famiglie» si ricollocano e con loro tutte le cosche mafiose. Per quel che mi riguarda non ho dubbi che Marcello dell’Utri abbia avuto un ruolo nel transito, di uomini e cose.

Ma perché tra il ’92 e il ’93, dopo l'uccisione di Lima, la mafia uccide Falcone e Borsellino e organizza le stragi di Roma, Firenze e Milano? Lima è punito perché inadempiente. Falcone e Borsellino sono nemici giurati e responsabili di processi e di ergastoli: debbono morire. È anche un avvertimento all’antimafia. Con le stragi di Roma, Firenze e Milano Cosa nostra voleva ottenere una «trattativa». Sarà così, c’è una logica. Ma dov’è la contropartita? Nel declassamento del 41 bis per un certo numero di mafiosi detenuti che pure sono rimasti in carcere e tra i quali non c’erano i capi? E perché mai un uomo del livello intellettuale, professionale e morale di Conso avrebbe mentito? Mistero. E, in ogni caso, nonostante tutto ciò che abbiamo visto in questi ultimi vent’anni, i padrini e i loro soci sono tutti in carcere.

Il sacrificio di tanti eroi della lotta alla mafia non è stato invano. È cresciuta una coscienza che tocca l’insieme della società. Oggi occorre colpire le nuove forme con cui la mafia opera in tanti gangli della società: silenziosamente.

 

Caro Emanuele, questa non me la bevo

Emanuele Macaluso

Emanuele Macaluso

Nella recente controversia tra Ingroia e Macaluso sulla trattativa Stato-mafia, ci sono diversi punti non chiariti. Forse vale la pena tentare di renderli meno confusi. Con una pregiudiziale sulla quale non si può discutere: i magistrati facciano il loro dovere, come stanno facendo.  E quelli che si dilettano con la penna in disquisizioni varie, utilizzino come gli pare il loro tempo. Ma senza prendere persone e cose sottogamba o, peggio ancora, a pedate o a scappellotti come facevano i maestrini, quando usavano la bacchetta. E’ troppo comodo farlo. E anche disdicevole per molti pennivendoli che, oggi più che mai, si dànno a delegittimare il prezioso lavoro dei magistrati, fondamentale alla nostra democrazia. Come aveva previsto e scritto Giovanni Falcone.

A Emanuele Macaluso, che conosco dai miei tempi di militanza nel Pci negli anni Settanta, devo dire che i suoi recenti articoli su Ingroia non mi hanno aiutato nella direzione sperata e per questo vengo a interrogarmi e a interrogarlo.

Perchè tentare di sminuire i caratteri e la consistenza della trattativa tra Stato e mafia è irragionevole. Fa a pugni con la storia che è sempre maestra di vita. Così un vecchio militante del Pci come lui, non può alterare il senso delle cose. Dovrebbe dare ad esse il giusto peso, la direzione che hanno avuto, visto, peraltro, che il nostro ex senatore è stato un dirigente nazionale del Pci e direttore de l’Unità.

Per questo non può venirci a raccontare che “il grande compromesso tra mafia e Dc” risale al 1948. A quella data i giochi erano stati già fatti. Bastò un anno, come egli stesso fa notare. Dalle regionali siciliane del 1947, quando il Blocco del popolo ebbe la maggioranza relativa dei voti, alle politiche del 1948, quando la Dc sfiorò la maggioranza assoluta. In Italia. Ma anche in Sicilia, dove si sarebbe dovuto formare, già dall’anno precedente, un governo di centro-sinistra con il contributo del partito di Sturzo, e invece ci furono prima la strage di Portella della Ginestra e, dopo, il governo di centro-destra. La sequenza fu questa: strage, rinvio all’opposizione della sinistra, che aveva vinto le elezioni regionali,  sbarco dei comunisti dal governo di De Gasperi.

Ma ci fu di peggio al momento del trionfo della democrazia cristiana: la completa decapitazione del movimento sindacale siciliano. Dalla strage di Alia (settembre 1946) alle stragi di Messina (marzo 1947) e di Partinico (22 giugno 1947).

Macaluso sa bene che non furono quattro, dunque, i sindacalisti ammazzati, come incredibilmente scrive su l’Unità del 1° agosto scorso. La mafia, con l’accordo della Dc, provvide a una loro decapitazione sistematica. Il che è cosa ben diversa da quella che egli narra. Tanto più se si pensa che per diversi di loro, come Accursio Miraglia di Sciacca e Calogero Cangelosi  di Camporeale, non si arrivò neppure a una fase processuale. Si faceva così allora, nel silenzio generale: socialisti e comunisti venivano ammazzati e i tribunali non arrivavano neanche a istruire un processo. Tutti contenti. Mi sono sempre interrogato su questo punto e sempre mi sono dato una sola risposta. I morti, i caduti venivano richiamati nei comizi. Ma nulla di più. Non servivano per la verità e la giustizia. La prima veniva deviata, la seconda resa impossibile.

Portella è una cartina di tornasole. Macaluso ci dice poco in merito. Dovrebbe ricordare gli articoli di prima pagina de l’Unità del 1947 usciti nel primo semestre di questo fatidico anno di piombo. Non c’era compagno che non sapesse che dietro figure losche come il bandito di Montelepre si annidavano le fecce più nauseabonde della Rsi e del neofascismo dell’epoca. E Macaluso sa bene che il suo dovere di militante storico della sinistra gli impone di dubitare di molte versioni propalate dal sistema di potere come verità indiscusse, specie quando fondate su falsi rapporti, su depistaggi, su conflitti mai avvenuti, sulla distorsione intenzionale della verità. Cosa che fecero ampiamente uomini dell’Arma che nulla avevano da invidiare a Mori o Subranni, come il colonnello Ugo Luca e il capitano Antonio Perenze, un agente segreto attivo già all’epoca del nazifascismo.

E’ strano perciò che egli releghi ancora oggi la vicenda di Portella o gli assalti alle Camere del lavoro all’esclusiva responsabilità di Giuliano. Furono opera di un accordo in cui mafia, Servizi e Stato agirono all’unisono. Come cercò di spiegare Gaspare Pisciotta quando disse al giudice di Viterbo Tiberio Gracco D’Agostino: “Siamo una cosa sola come il padre, il figlio e lo spirito santo”.

Non capisco, quindi, come egli possa scrivere: “Non ci furono trattative: le grandi famiglie mafiose benestanti, notabili rispettati nei grandi paesi della Sicilia occidentale e di Palermo, erano grandi elettori e frequentavano familiarmente i capi della Dc siciliana”.

Questi amici che si incontrano per caso nei salotti dei palazzi nobiliari sono gli stessi che stipulano accordi a Roma, con criminali e banditi, sono l’aristocrazia nera, criminali che si dànno appuntamento nei pressi delle abitazioni del principe Borghese e di Nino Buttazzoni, o del segretario monarchico Covelli, al bar del Traforo (ancora esistente fino a qualche anno fa), a piazza San Silvestro o in via dei Due Macelli e che poi decidono al Viminale o nelle sedi romane della Dc, o in qualche convento, come meglio fare a evitare che l’Italia sia consegnata ai comunisti, alla sinistra.

Come è pensabile che una vecchia volpe come Macaluso non sappia queste cose? E come può egli ritenere che stragi di quelle proporzioni non avessero una copertura internazionale per un Paese strategico della guerra fredda? Eppure il Nostro scrive: “Senza trattative la mafia, che aveva sostenuto i liberali, i separatisti, i monarchici transitò nel partito che ormai deteneva il potere. Con la benedizione del cardinale Ruffini. La rivista di Giuseppe Dossetti ‘Cronache sociali’ documentò il transito guidato dalla mafia di elettori dai collegi di Vittorio Emanuele Orlando, nel palermitano, alla Dc”.

Per questo il vecchio senatore si riferisce al blocco anticomunista del 1948 che vedeva la mafia “parte del sistema, nel ‘quieto vivere’”. E aggiunge che i democristiani di spicco pensavano “di poter ‘governare’ una convivenza con la mafia nella ‘legalità’ consentita dai tempi”. Ma quale metro avevano i comunisti come lui per valutare il superamento del grado di ‘legalità’ consentito dai tempi? Certo è che Macaluso non era Pio La Torre, la cui tolleranza della ‘convivenza con la mafia’ era zero. Pio La Torre che contro i latifondisti e gli agrari aveva combattutto e che per queste lotte aveva fatto la galera, per poi morire ammazzato assieme a Rosario Di Salvo negli anni della guerra contro i missili atomici a Comiso. E il varo della prima legge antimafia, quando l’associazione mafiosa diventa un crimine per lo Stato (1982).

Resta un’altra piccola questione che Macaluso dovrebbe spiegare. Questo ‘quieto vivere’ interessava solo la Dc o faceva parte di una strategia politica generale che investiva anche certi ambienti del Pci? Voglio dire i vertici comunisti. Perché, analogamente a quanto avveniva con i carabinieri, per lo più giovani ragazzi del Nord, mandati al macello in una vera e propria guerra che essi combattevano per un ideale e per un pezzo di pane, allo stesso modo forse si realizzava, a livello territoriale, una carneficina di teste pensanti e oneste del sindacalismo di sinistra, mentre ai piani alti si sognava il processo democratico. La mia non è un’affermazione, né tanto meno una provocazione, ma una domanda che è mio dovere pormi, per saperne un po’ di più di questa nostra storia nazionale in parte retorica e in gran parte a colabrodo. E senza verità.

Come sono certamente i casi di: Moro, Costa, Chinnici, Terranova, Mattarella, Boris Giuliano, Costa, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino.

Nel 1993 succede qualcosa di analogo al 1947. La sinistra vince in quasi tutti i grandi Comuni italiani. A Palermo Leoluca Orlando ottiene il 70% dei consensi. Si intravede la vittoria politica delle sinistre sul piano nazionale. Invece arriva  Berlusconi. E’ di nuovo la paura a trionfare, dopo il segnale dell’uccisione di Lima, il pupillo di Andreotti in Sicilia. E così tornano gli anni di piombo che questa volta sono al tritolo. Macaluso stranamente nega la trattativa e dice che manca questa volta la “contropartita”. Ma come si fa a credergli? Non c’è solo il 41 bis. C’è qualcosa di più grave, di pesante. Il potere, la legittimazione al potere che Cosa Nostra aveva sempre avuto. E’ possibile che Macaluso non lo sappia?

Giuseppe Casarrubea

http://casarrubea.wordpress.com/2012/08/05/caro-emanuele-questa-non-me-la-bevo/

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CHE COSA VERAMENTE NASCONDE L'ARTICOLO DI SCALFARI CONTRO LA PROCURA DI PALERMO
Nota pubblicata da Giuseppe Carlo Marino il giorno Martedì 21 agosto 2012 alle ore 14.00 •
http://www.facebook.com/notes/giuseppe-carlo-marino/che-cosa-veramente-nasconde-larticolo-di-scalfari-contro-la-procura-di-palermo/519010561458570

Infuriano le polemiche sull’indecente articolo di Eugenio Scalfari di domenica scorsa. Il nocciolo dell’intera questione (compresa la vicenda dell’azione avviata da Napolitano contro la Procura di Palermo e in specie contro Antonio Ingroia), il nocciolo duro, è la trattativa Stato-mafia sulla quale i giudici palermitani intendono far luce e che altri, con vari gradi di autorevolezza “intellettuale” o istituzionale, vorrebbero mantenere nell’oscurità. In tutto questo – occorre riconoscerlo - Eugenio Scafari fa eccezione. Egli lascia intendere di riconoscere che la “trattativa” non è un’invenzione e che quasi certamente ci fu davvero. Però, in sostanza, la ritiene politicamente ben giustificabile e legittima e comunque, per la sua natura e per i suoi fini, tale da essere al riparo dai rigori del codice penale.

Come valutare una posizione come la sua e come, nel contempo, quella di altri che, dicendolo o scrivendolo, forse a partire dal Colle, sono stati e sono dalla sua parte?

Prendiamone atto con franchezza, sine ira ac studio. Nella sostanza – al di là dei toni polemici arroventati che hanno investito oltre che Ingroia un giurista di immenso prestigio qual è Zagrebelsky – Scalfari e compagni difendono l’intangibilità della Realpolitik e quindi il “diritto” dello Stato ad avere dei “segreti” e dei misteri da tutelare. Questo è sufficiente per metterli al di fuori dell’orizzonte dei principi e dei valori della nostra Costituzione e della stessa democrazia.

Ma, in definitiva, per quali motivi – per quali motivi angoscianti e veritieri! – sono così tenaci nella difesa ad oltranza di una siffatta invocazione alla segretezza e al silenzio?

Diciamocelo francamente e con coraggio. Io stesso mi permetto di ricordare di averne scritto (ma chi legge i libri di questi tempi?!!) nella VII edizione della mia “Storia della mafia” edita da Newton Compton, da pochi mesi in libreria. Diciamolo francamente : LA TRATTATIVA STATO-MAFIA, BEN AL DI LA’ DEI SUOI IMMEDIATI RISVOLTI GIUDIZIARI, EVIDENZIA CHE LA COSIDDETTA SECONDA REPUBBLICA E’ NATA SUL TERRENO DI UN TURPE PATTO CHE, TRAMITE I VARII DELL’UTRI, HA CONSEGNATO A BERLUSCONI E AL BERLUSCONISMO L’EREDITA’ DI QUELL’ALLEANZA STATO-MAFIA SULLA QUALE SI ERA RETTO PER DECENNI IL REGIME DEMOCRISTIANO.

Questo è un motivo ben sufficiente per occultare tale trattativa e per investire di insulti quanti chiedono che venga pienamente alla luce o, come Scalfari, pensano che, se ci fu, era “legittimo” ed utile che la si facesse svolgere per superiori esigenze di Realpolitik. Si tratta, in altri termini, di oscurare la vera portata storica, e immediatamente politica, di un fatto che di per se stesso è di enorme portata sia storica che politica. Si tratta di nascondere il fatto che con Berlusconi e con la sua lunga stagione di governo, la mafia-mafia (ovvero la mafia che si avvita alla politica, la mafia del “colletti bianchi”, la vera mafia che è cosa diversa e ben più potente della cosiddetta “criminalità organizzata”) è stata ufficiosamente al potere, ha condizionato ed invaso dall’interno lo stesso Stato. Ed oggi, si badi, si tratta di oscurare l’inevitabile imprinting mafioso che grava su un nuovo corso politico (già avviato e auspicato anche per la fase che si aprirà con le prossime elezioni politiche) affidato all’alleanza PDL-PD-UDC . Ora, sia Napolitano che Scalfari intrigano per una siffatta alleanza il cui sconcio carattere di continuità con il berlusconismo è del tutto evidente. Pertanto, ben si comprendono i motivi delle loro posizioni contro la Procure di Palermo e Caltanissetta, in netta divaricazione dalle forze sociali e culturali più sensibili alle sorti della democrazia e dei valori costituzionali della nostra repubblica.

GIUSEPPE CARLO MARINO

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Ingroia: “Non sono d’accordo con Monti”. Anm: “Improprio parlare di abusi”

Il procuratore aggiunto siciliano: "Con il conflitto di attribuzioni i magistrati sono più isolati". L'associazione dei magistrati: "Salvaguardare gli strumenti di indagine e il diritto di cronaca". Pdl all'attacco. Cicchitto: "La Severino ascolti il capo del governo". Gasparri: "Il ministro scrive sotto dettatura del pm di Palermo". Di Pietro e Grillo: "Nessuno tocchi le intercettazioni"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 agosto 2012

E’ stato sufficiente che il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia dicesse di “non condividere” le parole del presidente del Consiglio Mario Monti sulle intercettazioni delle conversazioni del presidente della Repubblica. E di nuovo si è scatenata la polemica. Sulla trattativa Stato-mafia, certo. Ma anche e soprattutto sulla riforma delle intercettazioni e della giustizia. La miccia per dire il vero è stata l’uscita di ieri di Monti che aveva definito “grave” l’ascolto delle conversazioni di Napolitano con l’ex ministro Nicola Mancino da parte dei pm palermitani. Se infatti da una parte Antonio Di Pietro e Beppe Grillo sentono “puzza di bruciato” dopo l’uscita di Monti sulle annunciate “novità” per la giustizia e per le intercettazioni (“Vuole arrivare dove Berlusconi non è riuscito” denuncia il leader dell’Italia dei Valori) dall’altra il Pdl – alle parole del capo del governo – è partito lancia in resta: “La Severino segua quanto ha detto Monti” ha preso la palla al balzo il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ancora “scottato” dalla resistenza del ministro della Giustizia alle proposte del centrodestra.

Ma dopo un lungo silenzio – al quale ha fatto riferimento anche lo stesso Ingroia (“E’ una crisi di rappresentanza”) – oggi Monti ha ricevuto anche la replica dell’Associazione nazionale magistrati che ha precisato quanto sia “improprio” parlare di “abusi”, specialmente nel caso particolare (quello su Napolitano) che sarà oggetto di un conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale. L’Anm “rileva che la questione relativa alle procedure cui assoggettare le intercettazioni indirette dei colloqui del presidente della Repubblica è oggetto di un conflitto di attribuzione, in merito al quale è doveroso attendere la decisione della Corte Costituzionale. Pertanto, allo stato appare improprio ogni possibile riferimento a presunti abusi che sarebbero, comunque, oggetto di altre procedure di controllo, secondo gli strumenti previsti dalle normative vigenti”.

Infine l’associazione magistrati fissa bene i paletti per un’eventuale riforma della giustizia e delle intercettazioni e auspica che ogni eventuale modifica della legge “pur diretta a tutelare il diritto alla riservatezza dei soggetti estranei al procedimento, salvaguardi il pieno utilizzo di tale indispensabile strumento d’indagine, senza peraltro comprimere il legittimo diritto di cronaca”. Una dichiarazione attesa tanto che il segretario di Magistratura Indipendente Cosimo Ferri tira quasi un sospiro di sollievo: “Meglio tardi che mai, ma occorrono piu attenzione e dinamismo su temi così delicati”.

Ingroia: “Non condivido Monti”. E sì che Ingroia pareva aver scelto accuratamente le parole. “Ho apprezzato molto le parole che il presidente del consiglio Mario Monti ha pronunciato il 23 maggio, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, quando ha detto che l’unica ragion di Stato è la ricerca della verità - ha risposto a Klaus Davi durante Klauscondicio, su Youtube – Non condivido invece le ultime rilasciate dal nostro presidente del Consiglio sull’operato della Procura di Palermo, ma ovviamente ognuno ha il diritto di sostenere le proprie opinioni”. Il magistrato siciliano, uno dei titolari dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e in procinto di lasciare la Procura palermitana per ricoprire un incarico per l’Onu in Guatemala, si è invece detto sollevato nel “leggere le parole di un profondo conoscitore della Costituzione come Gustavo Zagrebelsky,  presidente emerito della corte costituzionale, che ci ha assicurato che la procura di Palermo non ha commesso alcuna violazione ed ha solo applicato la legge”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/18/ingroia-non-condivido-parole-di-monti-sui-pm-di-palermo-e-politica-che-sconfina/328259/#.UC-ckyWYKzU.facebook    

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L’Intervista. Antonio Ingroia: il Guatemala e altre storie – Anticipazione
di Simona Zecchi

La missione in Guatemala – le polemiche sulla trattativa – la morte del giudice Michele Barillaro avvenuta il 23 luglio scorso in Namibia. Questi i contenuti dell’intervista rilasciata dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.

C’è l’Italia e poi il resto del mondo anche quando l’altra parte del pianeta sembra avere meno risorse e meno capacità per affrontare le gravi problematiche che la criminalità organizzata presenta ormai a livello trasversale e globale. C’è l’Italia con la sua grande tradizione di lotta alla mafia, Cosa Nostra in primis, visto che sono origini che si fondano con la nascita della Repubblica purtroppo e la strage di Portella della Ginestra poi. Allora forse si può raccogliere ciò che si è seminato nel proprio paese e costruire un ponte che sia di ausilio a un’altra realtà come quella del Guatemala e, in una più ampia prospettiva, del Centro America tutto. Un ponte che arrivi nuovamente in Italia e magari superi vecchie polemiche all’interno di una realtà politica nuova, più pronta a recepire certe necessità che l’intero paese ormai richiede.

L’incarico che Antonio Ingroia andrà a ricoprire in Guatemala è frutto anche di passate relazioni dovute al suo ruolo come magistrato e all’incarico che il Ministero di Grazia e Giustizia gli commissionò nel 2010 come responsabile didattico di un programma di formazione per magistrati e investigatori sul tema della lotta alla mafia. Spiega così il procuratore Ingroia l’importanza che questa sfida insieme per lui professionale e personale può avere anche per l’Italia.

Un progetto, quello che lo vedrà impegnato per l’Onu e l’organismo ad esso interno, una “Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala” (http://cicig.org/index.php?page=inicio), di più ampio respiro: creare una sovrastruttura globale Antimafia che sia di coordinamento a piccole procure mondiali sull’antico modello del Pool di Palermo, creato da Giovanni Falcone. Tra i motivi che lo hanno spinto ad accettare la proposta anche la volontà di lasciar lavorare l’ufficio della Procura con più serenità. Non è escluso, se necessario, e data la natura dell’incarico, un ritorno in forza alla magistratura.

«Un modello ideale da esportare a livello mondiale: tante piccole strutture collegate tra loro per crearne una sovranazionale, che sia un punto di riferimento per le procure antimafia del mondo. Un progetto del genere deve prima essere accompagnato da un cambiamento culturale in loco e globale sull’argomento e poi deve anche sussistere l’impegno politico a livello nazionale e
internazionale. Il tutto certo non potrà essere svolto in poco tempo.»

E ancora: le polemiche che l’hanno attaccato da più fronti, su tutte politica e informazione, fino all’ultima dichiarazione che letta come affermazione in un titolo ha dato un altro senso all’intervista su “Repubblica” del 29 luglio: «Ho dichiarato espressamente che se si crede che una ragion di stato debba prevalere sulla verità giudiziaria e penale lo dicano chiaramente e cambino la costituzione.»

Un’affermazione che aveva l’aria della provocazione all’interno di una dialettica pacata anche perché afferma Ingroia:« Che si prendano questa responsabilità, cosa che credo non faranno perché nessun italiano, penso, accetterebbe un fatto del genere. E se così non è, allora «la magistratura deve provvedere a perseguire i singoli fatti penalmente rilevanti e relativi alla trattativa e di conseguenza deve avere il diritto di vedere rispettati i suoi singoli elementi, cosa che non avviene ora e soprattutto non è avvenuta in questi ultimi mesi.»

A una domanda diretta su eventuali minacce ricevute maggiormente in questa fase delicata dell’inchiesta sulla trattativa, Ingroia risponde negativamente:« No, nel tempo ho dovuto abituarmi a tutti i tipi di minacce che mi sono arrivate e che continuano ad arrivarmi ma non sono state certamente queste a farmi prendere questa decisione»

In merito, invece, alla morte del GIP di Firenze ed ex collaboratore di Giovanni Falcone, Michele Barillaro, avvenuta il 23 luglio scorso durante un incidente stradale in Namibia in cui persero la vita due suoi accompagnatori dichiara: «Attività di coordinamento tra i due paesi in tal senso ci sono state e ci sono tuttora ma ovviamente non posso entrare nei dettagli».

Vicenda riportata un po’ sottovoce quella della morte del GIP Michele Barillaro forse per il ciclone che attraversava tutta la fase della inchiesta da poco conclusa e che ha visto il suo epilogo nell’improvvisa scomparsa dell’ex consigliere di Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio.

Di Michele Barillaro e della sua morte ne hanno parlato in pochi appunto: qualche quotidiano locale del capoluogo toscano, la testata web “Notte Criminale” e il “Fatto Quotidiano” (in merito a delle minacce ricevute poco dopo che, per ragioni ignote, gli fu tolta la scorta).

Questi i contenuti della lunga intervista di Periodico Italiano ad Antonio Ingroia.

http://www.periodicoitaliano.info/news/2012/08/06/lintervista-antonio-ingroia-il-guatemala-e-altre-storie-anticipazione/    

 


. http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/29/trattativa-panorama-annuncia-ricostruzione-esclusiva-ingroia-ricatto/337722/   

Il Fatto Quotidiano > Trattativa, Panorama annuncia ricostruzione esclusiva. Ingroia: “Ricatto” Il pm commenta le anticipazioni del settimanale che ha annunciato la pubblicazione di una “ricostruzione esclusiva” delle telefonate tra il Capo dello Stato e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino da cui emergerebbero giudizi pesanti su Berlusconi, Di Pietro e magistrati di Palermo di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 agosto 2012
 

“Se così fosse sarebbe un grave illecito”. Di più: “Un ricatto”. Reagisce così il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, interpellato sulle anticipazioni del settimanale Panorama, che annuncia “una ricostruzione esclusiva” delle telefonate tra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Quelle telefonate sono diventate caso politico e oggetto di un ricorso che lo stesso Napolitano ha promosso di fronte alla Consulta contro i pm di Palermo che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia. Silenzio dal Quirinale che ha preferito non commentare indiscrezioni giornalistiche.

E’ il settimanale stesso ad annunciare che nel numero in uscita domani proporrà una “ricostruzione delle telefonate”, aggiungendo quali sono gli argomenti trattati nelle conversazioni. Si tratta – secondo Panorama – di “giudizi e commenti taglienti su Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e parte della magistratura inquirente di Palermo”. Proprio Antonio Di Pietro, tra l’altro, è nuovamente tornato oggi sulla vicenda: “Probabilmente – ha detto il leader dell’Idv – Napolitano si sarà lasciato scappare qualche parolaccia di troppo nei confronti dei magistrati di Palermo e questo, detto dal presidente del Csm, non appare opportuno”. “Lo avrà fatto per delle ragioni sue personali”, ha aggiunto Di Pietro invitando il Capo dello Stato a ritirare il ricorso. Poi in serata fa l’eco ad Ingroia parlando anche lui di “ricatto”. “Credo che la pubblicazione sia una violazione al segreto istruttorio e se si tratta solo di una squallida denigrazione, è chiaro il tentativo di ricatto nei confronti del Presidente della Repubblica”. Sul sito internet di Panorama si vede anche la copertina del periodico in cui campeggiano l’immagine di Napolitano e il titolo “Ricatto al Presidente”.

In serata Ingroia ha però sottolineato come “in passato Panorama ha tirato ad indovinare”. Le indiscrezioni sulle intercettazioni – dice il magistrato, che ha anche ricordato come il presidente Scalfaro nel 1997, intercettato, non sollevò alcun conflitto – sono iniziate ad uscire su Panorama già da tempo. “Qualcuno sapeva, a partire dagli stessi indagati, di aver parlato con varie persone, anche con il Capo dello Stato. Lo sapeva non solo chi indagava, ma anche chi aveva parlato al telefono”.

“Ingroia sta mettendo le mani avanti rispetto al disastro politico e istituzionale che lui ed altri della procura di Palermo hanno combinato”, ha commentato il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. “C’é qualcuno che ha giocato in modo irresponsabile ad un attacco alle istituzioni e adesso cerca goffamente di cancellare le impronte”.

Un’ulteriore indiscrezione è circolata su “Lettera 43″. Il quotidiano online riferisce di una presunta telefonata di Napolitano al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, nel 2009 per “spingere” l’applicazione del Pm di Milano Ilda Boccassini alla procura nissena che indaga sulla strage di via D’Amelio in cui morì Borsellino. Ma Lari ha smentito “categoricamente” qualsiasi “pressione dal Quirinale” sulla Boccassini e “in generale sulle indagini relative alla trattativa condotte dal mio ufficio”. Un anno dopo l’inizio della collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, ha spiegato Lari, “il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso mi propose l’applicazione della Boccassini alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Io risposi dicendo che, pur riconoscendo le grandi doti della collega, ritenevo inopportuna l’applicazione in quanto si era occupata già dell’inchiesta (Boccassini ha lavorato a Caltanissetta tra il ’92 e il ’94, ndr) e avremmo dovuto sentirla come testimone. La cosa finì lì. Ma ci tengo a ribadire che né Napolitano né il suo staff si è mai occupato della vicenda”.

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  Messina Denaro, il Ros lascia scontro fra i pm sulle ricerche

 


 

Festival della Legalità, la Lectio Magistralis di Ingroia Lunedì 08 Ottobre 2012 - 18:42

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Da MONDOCANE di Fulvio Grimaldi

Quando a un esponente di ALBA chiesi di inserire nei loro punti programmatici, in vista dell’assemblea romana di “Cambiare si può”, oltre al disarmo e al ritiro delle missioni militari un più esplicito riferimento alla guerra imperialista, all’uscita dalla Nato e alle basi Usa in Italia, questi mi rispose condividendo in pieno i suggerimenti. Assistetti all’assemblea di “Cambiare si può”. Non ci fu il minimo accenno a niente di tutto questo. Magari si sarebbero risentiti i neoarancioni del PRC e del PdCI che, quando al governo, si rimangiarono un secolo di lotte e pronunciamenti contro la guerra e contro la Nato, e votarono – con dignitosa riserva di perplessità sulle stragi di civili - per le missioni di guerra. Né hanno alzato un ciglio mentre Nato e Al Qaida, con il ministro-generale Nato Di  Paola sul ponte di comando, sbranavano Libia e Siria. In compenso la star arancione, De Magistris, ha scritto così, in occasione della festa per la nuova sede a Lago Patria, Giugliano, dell’ Allied Joint Forces Comand di Napoli, cioè del supremo comando Usa-Nato per gli interventi in Africa e Medioriente. Quello che, d’intesa con governo e parlamento, tirava le fila dello squartamento della Libia.
 
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris (Movimento arancione), dopo aver sottolineato «lo storico legame di Napoli con questa base», ha dichiarato: «Siamo orgogliosi di aver conosciuto tante forze armate diverse” che, trasferendosi nella nuova sede, resteranno a Napoli, una città con «una posizione strategica rilevante nei piani per il mantenimento della pace nel mondo», una città che «con gli occhi guarda verso Bruxelles (sede centrale della Nato), ma con il cuore guarda a Sud, al Medio Oriente dove stati autonomi e indipendenti ci si augura possano vivere in serenità». Parole altamente apprezzate dall'ammiraglio statunitense Bruce Clingan, comandante del Jfc Naples, che ha regalato a Caldoro la chiave simbolica della base e a De Magistris la bandiera del Jfc Naples. I tre comandi di Napoli, hanno un'«area di responsabilità» complessiva che abbraccia l'Europa, l'intera Russia e l'Africa. La guerra alla Libia, l'anno scorso, fu diretta dal Pentagono prima attraverso l'Africa Command, quindi il Jfc Naples, appoggiati dalle forze navali Usa in Europa. Sempre da Napoli vengono condotte le attuali operazioni militari in Nordafrica e in altre parti del continente e quelle di accerchiamento e disgregazione della Siria. Poiché le operazioni belliche si intensificano in base al «nuovo concetto strategico», spiega l'ammiraglio Clingan, occorreva una sede adeguata a «un quartier generale di combattimento della guerra», costantemente operativo. A Napoli, che - assicura De Magistris - ha «una posizione strategica rilevante nei piani per il mantenimento della pace nel mondo».

 

 

da facebook 31.12.2012
http://www.facebook.com/notes/fernando-rossi/ah-ma-allora-ditelo-non-vi-interessa-il-4-stato-ma-il-4-/553539614674666
 

Tranne Di Pietro (che è sempre stato "altro" già nei suoi rapporti con Contrada e altri ambienti poco raccomandabili, vedasi Ponte di Messina, il TAV, ecc..), la "sinistra da compagnia" si era stracciata le vesti sul comportamento della Polizia durante il G8 di Genova e ora va a nascondersi (non si sono nemmeno fatti vivi alla presentazione della lista ?! E' Ingroia che non li ha voluti o loro che hanno "autonomamente deciso" che era meglio non farsi troppo vedere?) dietro INGROIA, il magistrato che, scontratosi con Napolitano sulla legittimità delle intercettazioni delle telefonate tra questi e Mancino durante le indagini sui rapporti Stato-Mafia, vuole presentarsi come erede di Falcone e Borsellino (che però non scapparono in Guatemala). 

Ma sul G8 di Genova, che molti neo-arancioni dovrebbero avere a cuore, INGROIA ha posizioni politiche diametralmente opposte a Rifondazione, Verdi e PDci. Vediamole.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/02/scuola-diaz-cassazione-massacro-ingiustificabile-che-ha-screditato-litalia/370330/

* Scuola Diaz, la Cassazione: “Massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia”

Durissime le motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna di 25 poliziotti e alla rimozione di diversi alti gradi del Viminale. Il blitz del G8 di Genova deciso "per riscattare l'immagine della polizia" su "esortazione" di De Gennaro.

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/09/trattativa-ingroia-scalfari-attacca-procura-di-palermo-ma-non-conosce-leggi/288864/

* Poi Ingroia parla della solidarietà espressa da parte di Gianni De Gennaro ai poliziotti condannati dalla Cassazione per le violenze del G8 di Genova:  ”La

legge va applicata anche nei confronti degli uomini migliori – dice il magistrato – ma la solidarietà dell’ex capo della polizia nei confronti degli agenti condannati è normale, comprensibile. Non la trovo inopportuna. Gli uomini condannati sono persone valide, alcuni li ho conosciuti anch’io”.

Rivoluzione civile di Antonio Ingroia  &  Cambiare si può.

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Il Tartufo Superiore, l’editoriale di Travaglio a difesa di Ingroia 16.06.2013

Brindisi, festeggiamenti, carnevali di Rio, hip-hip-hurrà: Antonio Ingroia lascia la magistratura. Fuori un altro pm bravo, un rompipalle in meno. Metti che, dopo Dell’Utri, Contrada e centinaia di mafiosi, facesse condannare qualcun altro disturbando le larghe intese con processi divisivi. A onore di Cosa Nostra, va detto che l’esultanza dei picciotti è stata molto più contenuta di quella di certi magistrati e del Csm. “Ingroia lascia la politica? Ce ne faremo una ragione”, ha commentato entusiasta Michele Vietti, per anni compagno di partito di Totò Cuffaro, dunque vicepresidente del fu autogoverno dei giudici. Incontenibile il giubilo di Vittorio Borraccetti, celebre per inchieste trionfali tipo Unabomber, dunque leader di Magistratura democratica e membro del Csm: “Ingroia ha danneggiato la magistratura e la credibilità di quello che ha fatto prima” e le sue accuse al Csm di averlo messo sotto tiro per le sue indagini è “inaccettabile: nessuno l’ha punito né ha ostacolato l’indagine sulla trattativa”. A parte il Colle, il Pg della Cassazione, il Csm e l’Anm, s’intende. Molto felice anche il segretario dell’Anm, Rodolfo Sabelli: se il Csm ha spedito Ingroia ad Aosmafiosi, facesse condannare qualcun altro disturbando le larghe intese con processi divisivi. A onore di Cosa Nostra, va detto che l’esultanza dei picciotti è stata molto più contenuta di quella di certi magistrati e del Csm. “Ingroia lascia la politica? Ce ne faremo una ragione”, ha commentato entusiasta Michele Vietti, per anni compagno di partito di Totò Cuffaro, dunque vicepresidente del fu autogoverno dei giudici. Incontenibile il giubilo di Vittorio Borraccetti, celebre per inchieste trionfali tipo Unabomber, dunque leader di Magistratura democratica e membro del Csm: “Ingroia ha danneggiato la magistratura e la credibilità di quello che ha fatto prima” e le sue accuse al Csm di averlo messo sotto tiro per le sue indagini è “inaccettabile: nessuno l’ha punito né ha ostacolato l’indagine sulla trattativa”. A parte il Colle, il Pg della Cassazione, il Csm e l’Anm, s’intende. Molto felice anche il segretario dell’Anm, Rodolfo Sabelli: se il Csm ha spedito Ingroia ad Aosta non è “una ritorsione, ma solo l’applicazione della normativa vigente”. Ecco, vediamola questa normativa. Un magistrato può candidarsi dove vuole, ma non è eleggibile dove ha esercitato le funzioni. Ingroia, leader nazionale di Rivoluzione civile, si candida in tutta Italia fuorché in Val d’Aosta, ma sa di essere ineleggibile a Palermo dov’è stato pm fino a tre mesi prima. Poi non viene eletto da nessuna parte e rientra dall’aspettativa. Il Csm lo destina ad Aosta, unico circondario giudiziario dove non era candidato. Ma, per farlo, infrange la sua circolare del settembre 2012 che vieta il rientro ai magistrati non nel circondario, ma nel distretto giudiziario dov’erano candidati: e Ingroia era candidato anche in Piemonte, cioè nel distretto di cui fa parte Aosta. Dunque, stando alla circolare, non può andare neppure ad Aosta.

Ingroia suggerisce una soluzione più consona alla sua competenza che, per giunta, non viola alcuna regola: c’è un posto libero alla Direzione nazionale antimafia (Dna), mandatemi lì. Il precedente di Piero Grasso parla chiaro: Grasso s’è candidato a Roma come capolista Pd al Senato, sebbene fino al giorno prima esercitasse le funzioni a Roma come capo della Dna: sarebbe ineleggibile, ma il Csm gli consente di essere eletto perché la Dna ha sì sede nella Capitale, ma è extraterritoriale (nazionale) senza compiti investigativi: si limita a coordinare le indagini dei vari pool. Il principio dovrebbe valere per tutti, anche per Ingroia. Invece no: per il Csm la Dna è extraterritoriale per Grasso, ma non per Ingroia che, essendosi candidato a Roma, non può andare alla Dna. La legge è uguale per quasi tutti. Sempre a proposito di “applicazione della normativa vigente”, c’è il caso – già segnalato da Tinti – di due collaboratori della ministra della Giustizia Cancellieri: Domenico Carcano, capo dell’Ufficio legislativo, e Renato Finocchi Gersi, capo di gabinetto. Sono due toghe di Md, fuori ruolo rispettivamente da 15 e da 13 anni (il primo alla segreteria e all’ufficio studi del Csm, il secondo alla Consulta e poi al ministero della Salute). In base a una circolare varata a marzo dal Csm, nessuna toga può restare fuori ruolo per più di 10 anni, né aggirare il di

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GUERRA TOTALE CONTRO INGROIA (Gian Carlo Caselli).

Il nostro Paese è teatro di una guerra vera e propria. Non contro la crisi economica. O contro la disoccupazione. O contro l’evasione fiscale. O contro la corruzione. La vera guerra che si combatte è contro la Procura di Palermo. Un guerra totale, condotta con tattiche diverse, ma tutte ispirate all’obiettivo di restringerne gli spazi operativi e di circoscrivere il rischio che si scoprano verità sgradevoli. Bersaglio “privilegiato” di questa guerra è Antonio Ingroia. Già pupillo di Paolo Borsellino; da sempre costretto a vivere con i militari, i cani lupo e i sacchetti di sabbia intorno a casa sua, a causa di processi delicatissimi in cui è stato o è Pm (Contrada; Dell’Utri; “trattative ” tra Stato e mafia) Ingroia è finito proprio nel punto d’incrocio della raffica di assalti scatenata contro la Procura di Palermo e contro l’antimafia. Un luogo di intersezione che lo ha esposto moltissimo ad attacchi anche furibondi. Come l’assurda richiesta (in relazione al cosiddetto caso Ciancimino) di tirar fuori per lui l’art. 289 del codice penale – attentato a organi costituzionali – che punisce con 10 anni di galera chi cospira contro lo Stato. O come nel raggelante episodio di inciviltà che ha riguardato la sua persona in Senato, quando – mentre si citava il gravissimo fatto di un attentato distruttivo ordito contro di lui – una parte dell’aula ha fatto un coretto di irrisione alla pronunzia del suo nome. EPISODI squallidi di una guerra che denunzia l’insofferenza per il controllo di legalità realizzato con metodo e rigore. Con sullo sfondo l’ambizione mai accantonata di una riforma della giustizia che consegni alla maggioranza politica contingente (poco importa di che colore) il potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali e di regolarne l’intensità. Come in ogni guerra, ogni tanto capita di dover registrare anche del “fuoco amico”. È il caso dell’intervista che Giuseppe di Lello ha rilasciato il 18 luglio a La Stampa. Di Lello è un valoroso magistrato che dopo essere stato in trincea con Falcone e Borsellino ha scelto di darsi alla politica. Forse è questa nuova collocazione che lo ha portato (come lui stesso ammette) a manifestare sempre – dopo la tragica stagione del ‘92/93 – “una certa insofferenza nei confronti della gestione delle grandi inchieste politiche della Procura di Palermo”. Dimenticando che era stato proprio lui a stigmatizzare come “scaltri” quei magistrati che sono sempre disposti a riconoscere in teoria la pericolosità della mafia nelle sue connessioni con il potere politico ed economico per poi essere pronti – nel momento di passare all’azione – a colpire soltanto l’ala militare. Ebbene, la Procura di Palermo del “dopo stragi” ha doverosamente rifiutato ogni “scaltrezza”. Ha invece cercato di oltrepassare il cordone sanitario delle relazioni esterne, indagando anche sulle coperture e complicità che sono il vero perno della potenza mafiosa. Nel solco di quel “voltare pagina” che aveva tracciato proprio il pool di cui anche Di Lello era stato (con meriti indiscutibili) componente, indicando come non più eludibili indagini sul “retro – terra dei segreti e inquietanti collegamenti che vanno al di là della mera contiguità”. È in questo quadro che si sono svolti – tra gli altri – i processi Andreotti e Dell’Utri. Con esiti certamente positivi per l’accusa. Se è vero (come ammette persino Di Lello) che “il senatore a vita Giulio Andreotti è stato riconosciuto responsabile fino al 1980 dei suoi rapporti con la mafia”. E se è vero –com’è vero – che il senatore Dell’Utri, nella sentenza 9 marzo 2012 n. 15727 della Cassazione, è stato ritenuto responsabile – in base a prove sicure – del reato di concorso esterno con Cosa Nostra per averlo commesso, operando di fatto come mediatore di Silvio Berlusconi, almeno fino al 1978 (per i periodi successivi, fino al 1992, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio avanti alla Corte d’appello di Palermo). DUNQUE la Procura di Palermo ha svolto inchieste che hanno portato all’accertamento di pesanti responsabilità – per collusioni con la mafia – di personaggi che sono assolutamente centrali nella storia del nostro Paese: sul versante politico (Andreotti) e su quello dell’imprenditoria che si fa poi politica (Dell’Utri e dintorni). L’enormità di questi incontestabili dati di fatto dovrebbe sconsigliare ogni processo sommario alla stagione giudiziaria successiva alle stragi del ’92, stagione in cui la Procura di Palermo ha contribuito a salvare il Paese. Mi riesce davvero difficile, pertanto, condividere la tesi che Di Lello espone nella citata intervista, là dove sostiene che “molte scelte giudiziarie (della Procura di Palermo) si sono risolte in un boomerang”. Ma singolare è altresì la tesi secondo cui tali scelte giudiziarie “hanno poi rilegittimato i politici processati”. Singolare perché in realtà si è trattato e si tratta di una costante scandalosa autoassoluzione da parte della politica (praticamente tutta, trasversalmente) anche a fronte di responsabilità penali accertate fino a sentenza definitiva della Suprema corte. Quindi non “rilegittimazione”, ma vergognoso rifiuto di qualunque forma di responsabilità anche politico- morale. Rifiuto cui fa da corollario il mantra di certi magistrati che operano inseguendo biechi “teoremi”. Che è quello che in sostanza si va ingiustamente ripetendo (per svilirla) anche a proposito dell’inchiesta della Procura di Palermo e di Ingroia sulle “trattative”.

Da Il Fatto Quotidiano del 20/07/2012.
http://triskel182.wordpress.com/2012/07/20/guerra-totale-contro-ingroia-gian-carlo-caselli/   

 

 

 

 

Travaglio e Caselli e Nino Di Matteo difendono Ingroia