L’inferno esiste ed è in Libia. Dove centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vengono ogni giorno torturati nel fisico e annientati nella mente. Proprio come nei campi di concentramento nazisti. Sepolti vivi e dimenticati in quell’enorme buco nero che è diventata la Libia dopo gli accordi dell’estate 2017 tra il governo italiano guidato da Paolo Gentiloni e quello di Fayez Al Sarraj. Quell’intesa, definita “disumana” dalle Nazioni Unite, ha trasformato il paese africano in una trappola mortale: i migranti che vogliono arrivare in Europa, ma anche quelli che sono stati respinti, vengono portati nei centri di detenzione, i nuovi lager. In Libia attualmente ce ne sono 34, controllati dal Ministero dell’Interno di Tripoli e, di questi, solo una ventina sono quelli che le agenzie Onu Oim e Unhcr hanno potuto visitare. Quello che accade in quei luoghi è atroce. Da quando le partenze verso l’Italia sono rallentate, qui i tempi di permanenza dei migranti si sono notevolmente allungati. La vicenda della nave Aquarius, ora diretta a Valencia, in Spagna, è l’ultimo atto di una tragedia senza fine.

A testimoniarlo nel libro “Non lasciamoli soli”, scritto dai giornalisti di La Repubblica Francesco Viviano e Alessandra Ziniti in collaborazione con Medici senza Frontiere ed edito da Chiarelettere, è stato chi da quei lager è riuscito a fuggire. E ha raccontato di donne e bambine violentate da decine di uomini, costrette a prostituirsi e di ragazzi che, arrivati in Libia per poi cercare di raggiungere l’Europa, hanno scelto di diventare loro stessi torturatori. Tutto questo mentre l’Italia ha deciso di addestrare, finanziare e dotare di motovedette la guardia costiera libica, che non fa altro che riportare quelle persone nei centri di detenzione. Hanno fatto il giro del mondo le immagini registrate dalle telecamere della nave della ong Sea Watch in acque internazionali in cui si vedono i miliziani della guardia costiera libica maltrattare e gettare in mare i migranti che cercano aiuto. Quel giorno, il 6 novembre 2017, hanno perso la vita 50 persone. ilfattoquotidiano.it ha chiesto a Francesco Viviano quali effetti ha avuto il patto stretto con la Libia e di chi sia la responsabilità di ciò che sta avvenendo.

Nel 2016 ci sono stati 180mila arrivi di migranti, l’anno dopo 119 con una flessione del 35% arrivata anche al 70, con la diminuzione degli sbarchi nei primi mesi del 2018 e il loro quasi azzeramento nelle settimane prima del voto. Meno sbarchi, però, non significa meno morti. Cos’è che Italia ed Europa non vogliono ammettere?Fanno tutti finta di non vedere, ma sono costretti a farlo, perché milioni di morti non si possono dimenticare. Solo pochi di loro hanno un nome e un cognome, altri sono numeri e sulla loro pelle si fanno strategie, propaganda, affari. I governi di destra e di sinistra hanno giocato e continuano a farlo. Il primo respingimento, quello del maggio 2009, me lo ricordo ancora. Fu deciso dal governo di centrodestra di allora e dal ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni. L’obiettivo era bloccare i flussi migratori, ma non servì a nulla visto che le partenze hanno toccato numeri epocali nel 2016 e nel 2017. Furono soccorsi un centinaio di migranti. A bordo delle motovedette italiane, convinti di essere diretti a Lampedusa, si accorsero invece che i loro salvatori li stavano riportando all’inferno, in Libia. Le donne violentate e gravide dei figli degli stupratori riconsegnate ai torturatori. Quello che sta accadendo oggi non è molto diverso ed è il risultato della strategia dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (e del governo Gentiloni), che oggi critica il comportamento di Matteo Salvini, ma che non mi sembra abbia fatto di meglio con i ‘respingimenti concordati’ con questi trafficanti.

È stato un patto criminale quello stretto con Fayez Al Sarraj e alcune tribù del Sud della Libia? Eppure quando l’Onu l’ha denunciato, l’ex governo e la maggioranza sono rimasti in silenzio.
Certamente è stato un patto criminale, perché gli sbarchi sono stati ridotti, ma hanno intrappolato in Libia centinaia di migliaia di migranti, ridotti a schiavi e soggetti a ogni tipo di tortura. La verità è che nessun accordo potrà arrestare il flusso migratorio epocale di questi ultimi anni, perché le cause sono da ricercare nelle drammatiche condizioni di vita di buona parte dei paesi dell’Africa. Dopo che li abbiamo sfruttati da sempre, non possiamo far finta che non esistano, ancora più perché oggi l’Africa è un nuovo campo di semina della jihad. Sono, invece, d’accordo con il sindaco di Palermo Leoluca Orlando che ha denunciato i mancati soccorsi in mare ai migranti alla Corte penale internazionale dell’Aja, alla Procura nazionale antimafia italiana e alla Procura di Roma, competente per i crimini commessi all’estero.

Pochi giorni fa, per la prima volta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato delle sanzioni individuali contro sei trafficanti di esseri umani in Libia.
Tra loro ci sono anche esponenti della guardia costiera libica o personaggi con cui l’Italia avrebbe trattato per fermare i flussi migratori. Tra le persone sanzionate e inserite nella blacklist dell’Onu anche Abd al Rahman al Milad, che è il capo della Guardia costiera di Zawiya, tra l’altro finanziata anche con i fondi dell’Unione europea.

Cosa accade nei campi di detenzione?
Accade che Ahmed venga scelto per fare il becchino del mare, raccogliendo migliaia di corpi di uomini, donne e bambini, senza gambe, braccia, a volte senza testa e che tutti i giorni sia costretto a riempire le fosse comuni sotto le dune di sabbia del deserto. In tre anni di corpi ne ha raccolti tremila. Accade, ad esempio, che nel ‘ghetto’ del generale Alì, a Sabha, un migrante come tanti altri, arrivato dalla Nigeria e di nome John Ogais si venda ai suoi carcerieri diventando uno di loro. Il più feroce, ‘Rambo’. Rambo di giorno uccideva e di notte stuprava. Un giorno scelse un ragazzino di quindici anni pelle e ossa, stretto al fratello maggiore, per mostrare ai nuovi arrivati cosa li attendeva. Lo costrinse a strisciare a pancia in giù, gli legò i piedi e li sollevò e poi iniziò ad alternare il cavo elettrico al tubo di plastica, picchiando duro sulle piante dei piedi. Dopo un tempo infinito di torture, gli tirò addosso un secchio d’acqua e gli attaccò i cavi elettrici sul petto. Il fratello chiese pietà, ma Rambo lo costrinse a chiamare a casa per chiedere ai suoi familiari di mandare altri soldi ed evitare così di fargli fare la stessa fine del fratello.

Oggi Rambo è sotto processo.
Grazie ad Hamed Bakayoco, migrante che ha studiato legge nel suo Paese e ad altri sei sopravvissuti all’inferno del ghetto di Alì che, invece di lasciare subito l’Italia e cercare di raggiungere il Nord Europa, hanno deciso di rimanere e cercare di portare in carcere i torturatori. La storia è incredibile: quando Hamed fugge da Sabha si porta dietro il numero di telefono del ghetto di Alì e una volta a settimana chiama alla ricerca di Rambo, fino a quando gli dicono che ormai è in Italia. Così, quando Hamed sbarca a Lampedusa, bussa alla porta della polizia, dicendo di sapere che Rambo è arrivato in Italia e di essere in grado di riconoscerlo.

“Ci davano un unico piatto di riso pieno di vermi per tutti una volta al giorno e quando non ci davano acqua, dovevamo bere urina”. È il racconto dei compagni di viaggio di Segen. Chi era?
Un giovane eritreo di 22 anni e 35 chili. Era tra i cento e passa tirati su dall’acqua a quaranta miglia dalle coste libiche in una mattina del marzo 2018. È morto di stenti meno di 24 ore dopo, a causa di un anno e mezzo di torture e schiavitù in una prigione libica. Perché il patto criminale tra Italia e Libia ha avuto come conseguenza quella di allungare i tempi di permanenza nei lager.

Oscar Camps, fondatore della ong spagnola Proactiva Open Arms, ha detto che ci sono più schiavi ora che in qualsiasi altro momento della storia. Nel libro dedicate un capitolo a quello che definite ‘l’assalto alle ong’. Quali effetti hanno avuto nel Mediterraneo le inchieste e le accuse alle organizzazioni non governative?
Tutto è partito da alcune procure e dalle parole del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro che ha delegittimato le ong. Le organizzazioni sono state accusate di costituire un fattore di attrazione in grado di calamitare i barconi nel Mediterraneo e di favorire i trafficanti, essendo disponibili a soccorrere i  migranti quasi ‘a casa’ e consentire agli scafisti di riportare indietro le imbarcazioni. Poi ci sono le accuse che riguardano i finanziamenti poco trasparenti. Di fatto le due inchieste aperte dalle procure di Catania e Trapani finora non hanno portato alla luce alcuna prova e, nel frattempo, la decisione del Viminale, a giugno 2017, di imporre un codice di autoregolamentazione alle navi umanitarie ha finito per restringere ancora di più una strada già difficile da percorrere. Alla fine in mare sono rimaste pochissime navi, tra cui proprio l’Aquarius. Che ora va in Spagna, a Valencia, per ritornare chissà quando. Il progetto Minniti, perché così lo chiamo, era quello di far sparire tutte le navi delle ong e ha trovato il sostegno di alcune procure. Invece bisognerebbe ricordare, lo ha fatto l’ex ammiraglio Felice Angrisano, che se non ci fossero state le navi, e soprattutto i mercantili, oggi il Mediterraneo sarebbe un tappeto di morti.

Parliamo di responsabilità. Chi si prende la briga di decidere se lasciare andare i migranti? L’Italia deve rinegoziare i termini di un nuovo accordo?
L’Italia deve in primis costringere l’Europa a intervenire direttamente e insieme agli altri Paesi deve andare all’origine del problema, cercando di eliminare le dittature e tutte quelle condizioni che rendono alcuni Paesi invivibili. Un caso è quello del Niger, Paese che sulla carta dovrebbe essere ricchissimo, se solo si pensa alla presenza di petrolio, invece la popolazione viene ridotta alla fame. Francia, Inghilterra, Spagna, Belgio e tutti gli altri devono aprire gli occhi. Per quanto riguarda l’emergenza in atto, non c’è alternativa. Nessuno può stabilire a bordo delle motovedette libiche o italiane chi ha diritto o meno a ottenere lo status di rifugiato o di profugo. L’Italia deve intervenire concretamente in mare per poi fare da ponte con gli altri Paesi, stabilendo quante persone verranno accolte da ciascuna nazione. Malta non vuole i migranti, ma prende più soldi dall’Unione europea. Capisco che l’impatto è forte, perché lì ci sono 500mila abitanti, metà della città di Palermo, ma nessuno può sottrarsi a questa emergenza umanitaria.

L’Italia dovrebbe fare da ponte, come sta accadendo in Niger?
Sì. Nel libro parliamo dell’avvio dei corridoi umanitari, unica strada praticabile per una gestione legale ed efficace dei flussi migratori. Dalla fine del 2017, infatti, il Viminale, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) sono riusciti a entrare in molti centri di detenzione ufficiali, individuando tra gli aventi diritto a richiedere asilo quelli in condizione di maggiore vulnerabilità, soprattutto bambini e donne, e a liberarli.

Dove vengono portate queste persone?
Sono state salvate grazie a un ponte aereo verso il Niger, paese tra i più poveri che sta dando lezioni di umanità e di accoglienza al mondo intero, avendo aperto le porte a 800mila persone in arrivo da varie rotte migratorie. Questa è l’unica strada percorribile, insieme a quella dei rimpatri volontari assistiti che consentono a chi non ha diritto allo status di rifugiato di tornare a casa con un supporto economico che consentirà loro di avviare un’attività. Quello che non si può fare è decidere chi ha diritto a continuare a vivere in Europa e chi può essere abbandonato al suo destino, mentre la gente annega e tende le mani verso i soccorritori implorando di non riportarli all’inferno.