FEMMINICIDIO e tematiche di genere
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Nuestras Hijas de Regreso a Casa
è un’organizzazione costituita da familiari ed amici vicini alle
giovani assassinate e desaparecidas. La sua nascita
risale al febbraio 2001, con una serie di proteste pubbliche
provocate dall’impotenza e dall’indignazione sommate al dolore
di perdere un essere amato in queste circostanze: in questo caso
la sparizione -ed il successivo assassinio- di Lilia Alejandra
García Andrade, che dopo aver subito intense torture per cinque
giorni, fu strangolata e il cui corpo venne gettato in un campo
incolto.
Queste denuncie poco a poco si convertirono
in quello che adesso è Nuestras Hijas de Regreso a Casa
(Le nostre figlie di ritorno a casa), infatti con
l’aumentare delle famiglie che si unirono a questo movimento
di lotta, fu necessario intraprendere azioni che
rispondessero alle esigenze di giustizia giuridica. Il
lavoro è stato serio e responsabile e il nostro operato ha
portato il tema delle donne assassinate a Ciudad Juarez su
un piano nazionale ed internazionale non solamente per ciò
che riguarda la diffusione di questi fatti orribili e
dolorosi, ma anche nella ricerca di soluzioni: una volta
esaurite le istanze di giustizia messicane, in alleanza con
altre organizzazioni, abbiamo portato le nostre denuncie
fuori dal paese, con l’intenzione che i casi venissero
chiariti davanti alla Corte Interamericana dei Diritti
Umani, e che si ponesse fine a questa terribile strage di
donne così come all’impunità dei crimini. Le
fondatrici di questa organizzazione sono Marisela Ortiz
(maestra di Lilia Alejandra) e Norma Andrade (madre di Lilia
Alejandra); attraverso una serie di proteste e denuncie
pubbliche (che ebbero eco nella società ma non tra le
autorità ed il governo), le nostre voci ed i lamenti hanno
attratto sempre più famiglie che si sono avvicinate per
chiedere appoggio, visto che le autorità non ne cercano le
figlie che vennero sequestrate da sconosciuti nella città di
Chihuahua (marzo 2001) simultaneamente alla sparizione e
uccisione di Lilia Alejandra.
leggi tutto vedi
anche il
blog di
Humberto Robles
Non ho mai nutrito l'illusione di trasformare
la condizione femminile, essa dipende dall'avvenire del
lavoro nel mondo e non cambierà seriamente che a prezzo di
uno sconvolgimento della produzione. Per questo ho evitato
di chiudermi nel cosiddetto "femminismo". Simone De Beauvoir
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colsi la prima mela
di liadiperi
solitaria per forza
Che cos'è il Patriarcato?
Dolors
Reguant Fosas Barcelona 2007
(traduzione di Anita
Silviano)
La
Sindrome di Medea
Crista Wolf
VIOLENZA SULLE DONNE:
PARLIAMO DI FEMMINICIDIO
dell'associazione italiana Giuristi
democratici.
Che cos'è il genere?
aclickinthewall.wordpress.com
(traduzione di Anita Silviano)
L’econimia femminista, un nuovo modello di sviluppo
http://liadiperi.blogspot.com/2012/01/leconomia-femminista-comporta-un-nuovo.html
Lo
'stupratore immigrato', 'la badante', 'la puttana'
di Sonia
Sabelli
Intervento
al convegno transnazionale Fuori e dentro le democrazie sessuali, che si
è svolto a Roma il 28 e 29 maggio 2011, organizzato da Facciamo Breccia
Islamofobia: "La donna è trasformata in capro espiatorio sulla quale
esercitare pressioni"
intervista a a Ndeye Andujar e
Laure Rodrigue
Un anno di impunità negli omicidi degli attivisti Bety Cariño e
di Jaakkola i Patricia Briseño, correspondente Cimac
Morire di rogo
di Ana Lia Glas
Patriarcato e fondamentalismo, due facce della stessa medaglia
di Cléo Fatoorehchi
Il diritto di essere donna e mussulmana. Il femminismo islamico
di Alba Garcia Onrubia
Le donne mussulmane femministe esigono la parità di genere nel
contesto dell'Islam da webislam.com
Islamofobia: "La donna è trasformata in capro espiatorio sulla quale
esercitare pressioni"
intervista a a Ndeye Andujar e
Laure Rodrigue
Messico: ricomincia il femminicidio
Susana Chávez, uccisa lo scorso 6 gennaio. È la prima vittima di
femminicidio a Ciudad Juárez del 2011
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Mettere in
dubbio il genere - di Regina Martínez
(traduzione di Anita Silviano)
Questo è un argomento che
comporta non poche remore, perché fondamentalmente non siamo
abituati a discutere di tematiche di questo tipo. Chi mi conosce sa
già che il mio tentativo è sempre stato quello di strappare certe
discussioni dagli angusti spazi destinati agli/alle addetti ai
lavori o alle sedi accademiche. Pensare che siano argomenti
marginali non solo è il prodotto di un pregiudizio politico ma cosa
peggiore è restare estranei alla storia.
Anita Silviano
Tra de-costruzione e analisi marxista
del/dei genere/i
Il termine genere racchiude una serie
di caratteristiche e norme di comportamento associati al maschile e
femminile.
"Non nasciamo donne, lo diventiamo"
Queste parole di Simon de Beauvoir (Il secondo sesso, 1949)
immaginiamo che furono un cruciale affronto al determinismo che
cercava di giustificare la disguaglianza sulla base delle differenze
fisiche.
Più paziente,più sensibile, più dedita
alla cura. Le caratteristiche associate alla femminilità cercano di
giustificare la diseguaglianza esistente e i ruoli che la società ci
assegna. Ma la realtà è che in funzione del momento storico, il
contesto culturale e la classe sociale hanno creato diverse
aspettative e situazioni.
Marx diceva che le idee dominanti
nella società sono le idee della classe dominante. Mentre alla fine
del XIX e parte del XX secolo si imponeva il ruolo della donna come
" angelo del focolare" (pura, credente, delicata, innocente) le
lavoratrici venivano sfruttate in condizioni abominevoli...
Attualmente gli sforzi e le ossessioni
per ottenere un corpo perfetto tormenta molte donne, risponde più
alla mercificazione ( cosmetica, pornografia, moda) del corpo e al
cliché della donna ricca ( quella che si presenta come un bene in
più per suo marito) che agli interessi delle donne comuni. Sojouner
Truth, schiava afroamericana abolizionista, lo illustrava
brillantemente: " Gli uomini affermano che la donna ha bisogno di
aiuto per salire su un'auto. Nessuno mi ha aiutata a salire su una
macchina, che forse non sono donna? Guardate le mie braccia! Ho
arato e piantato e raccolto la vendemmia e non c'è uomo che possa
superarmi in questo, che forse non sono una donna? [...]”.
Gli stereotipi di genere si
trasformano in una prigione: un uomo sensibile è debole , una donna
aggressiva non è femminile. Però succede che si mescolino con
l'orientamento sessuale e una donna "poco femminile" si percepisce
come lesbica, mentre un uomo "molto mascolino" rientra
nel'eterosessualità.
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Come si è più volte ribadito né la
sessualità né il genere sono concetti fissi, ma dipendono dalla
cultura e dal momento storico.
Infatti il termine omosessuale nacque
in un momento molto specifico in Occidente e in altre culture
troviamo differenti tipologie della combinazione sesso-genere. Per
esempio i berdache di alcune società nativi americani nascono
uomini, si vestono da donna, hanno uno status di tutto rispetto e un
ruolo spirituale nella società e si sposano con uomini non berdache,
che a loro volta non sono considerati "gay".
Pertanto se tralasciamo un poco di
vederci come ombelico dell'occidente, ci accorgeremo che neppure le
classificazioni che includono l'eterosessualità, omosessualità e
bisessualità sono universali. Nè lo è l'ossessione alla
medicalizzazione di quelle persone intersessuali che alla nascita si
pensa non abbiano quelle caratteristiche fisiche che definiscono una
donna o un uomo e si interviene chirurgicamente con perdita del
piacere e l'affettazione identitaria che comporta.
Anche coloro che non soddisfano gli
stereotipi eteronormativi, vengono stereotipati. Il capitalismo
quando non può schiacciare le differenze o il dissenso cerca di
assorbili a suo vantaggio.
Dopo la liberazione sessuale degli
anni '60, si produce la sessualizzazione brutale della donna sotto
il neoliberismo; dopo le vittorie del movimento LGBT irrompe in
seguito la cosiddetta 'valuta' rosa.
Le lotte hanno fatto avanzare
moltissimo, ma non possiamo fermarci perché il sistema cerca di
fagocitarci costantemente.
Auto-designazione
Negli anni '90 arriva una nuova
visione che mette in dubbio i precetti dei due movimenti sociali
cruciali per questione sessuale.
In primo luogo la messa in discussione
del femminismo della differenza, che assumendo le caratteristiche
del femminile, favorisce la identificazione della donna come classe
o genere separato dall'uomo, ma allo stesso tempo come un tutt'uno
omogeneo che lascia fuori i non occidentali e i transessuali.
Dall'altra parte questa nuova visione
sfida anche la prospettiva dei gruppi LGBT che guidano movimenti
separatisti per l'identità accettando implicitamente che essere
omosessuali sia qualcosa di atipico.
La teoria Queer rivoluziona il
panorama, sfidando la nozione di sessualità come qualcosa di rigido
e incasellato. Come spiega Judith Butler (fiosofa e docente
americana):
"Queer è un ternime che mira ad
evitare di dover presentare la carta d'identità prima di entrare ad
una riunione […], è un argomento contro una certa normatività".
Non esiste una classificazione
valida,tutte le identità sociali sono egualmente anomale.
Per coloro che utilizzano il marxismo
come strumento analitico di lotta, quet'analisi è condivisibile: i
confini tra le identità sessuali sono una mera costruzione sociale.
Il rifiuto ad essere etichettato e stigmatizzato è altamente
rivoluzionaria perché evita almeno concettualmente la segregazione.
Tuttavia risiede qui uno dei problemi. Gran parte di questa teoria
(queer) nasce dal post strutturalismo e dal post-modernismo, che
nega l'esistenza della classe lavoratrice e rileva il linguaggio e
la politica, come strutture del potere contemporaneo, senza offrire
una spiegazione dell'origine e della oppressione sessuale e di
genere. D'altra parte con la semplicità tipica delle
generalizzazioni, dato che vi sono collettivi e movimenti più
radicali e anticapitalisti , la strategia di lotta parte
dall'auto-designazione, dai cambiamenti nello stile di vita e dagli
eventi culturali.
La de-costruzione del genere
presuppone la possibilità di costruire un movimento unitario nella
più ricca diversità. E questa unità si ottiene a partire dalla lotta
anticapitalista, dato che il sistema perseguita quelle tendenze e
sessualità che non soddisfano la riproduzione a buon mercato e
garantita della classe operaia promossa dalla famiglia nucleare, che
come hanno detto molti attivisti prima di essere un rito
ultracattolico è radioattiva.
http://www.enlluita.org/site/?q=node/3818
(traduzione di Anita Silviano)
Femminismo nero e postcolonialedi Adrienne Rich
.pubblicata su fb da Anita Silviano il giorno lunedì 14 novembre
2011 alle ore 23.33.Nell’ambito del modulo Introduzione agli studi
delle donne e di genere di Maria Serena Sapegno
Sapienza Università di Roma, anno accademico 2011/2012, primo
semestre, dalla bibliografia posto questo articolo della saggista e
poeta femminista, Adrienne Rich
La politica del posizionamento
di Adrienne Rich
Qualche anno fa avrei parlato dell'oppressione delle donne e dei
movimenti delle donne sorti in tutto il mondo, di storie occultate
sulla resistenza delle donne e dei loro limiti, del fallimento di
tutta la politica precedente nel riconoscere l'universale ombra del
patriarcato e della speranza che le donne ora, in un periodo di
crescente consapevolezza e di urgenza globale, possano superare ogni
confine nazionale e culturale per creare una società libera dalla
sete di potere, in cui "la sessualità, la politica, ... il lavoro,
... l'intimità ...ed il pensiero stesso saranno trasformati1. Avrei
detto tutto questo come femminista, alla quale è "capitato" di
essere una cittadina bianca degli USA, consapevole dell'abilità del
mio paese di esercitare la violenza e l'arroganza del potere, e
nello stesso tempo, semi-distaccata da quel governo, avrei potuto
citare senza pensarci due volte una frase di Virginia Wolf nelle Tre
Ghinee "come donna non ho una patria, come donna non voglio una
patria, come donna la mia patria è il mondo intero.
Ognuno di noi può vedere la sua casa come una piccola macchia in un
enorme paesaggio o come il centro dal quale dei cerchi si dilatano
in un universo sconosciuto. Quello che ora mi preme è il problema
del sentirsi al centro, ma il sentirsi al centro di cosa? Come donna
ho una patria; come donna non posso liberarmi di quella patria solo
condannando il suo governo dicendo per ben tre volte "come donna la
mia patria è il mondo intero". Lealismo tribale a parte, anche se le
nazioni-stato sono oggi solo pretesti usati dalle varie
multinazionali per servire i loro interessi, io ho bisogno di sapere
come un luogo sulla carta geografica possa avere un posto nella
storia entro il quale come donna, ebrea, lesbica e femminista io mi
formo e cerco di creare. Non desidero iniziare da un continente, da
una nazione o da una casa in particolare, ma dal posto più vicino
geograficamente, ossia il corpo.
E' proprio qui che, almeno, io so di esistere, si, quell'essere
umano vivente che già Karl Marx definì "la prima premessa di tutta
la storia umana"2 Tuttavia non è come marxista che sono approdata a
questa scoperta, e neanche tutti i miei studi storici, letterari,
scientifici e teologici mi sono stati d'aiuto nel processo della
conoscenza di me stessa. Ci sono arrivata da femminista radicale,
con la politica della gravidanza e della maternità, con la politica
dell'orgasmo e dello stupro, dell'incesto, dell'aborto, con la
politica del controllo delle nascite, della sterilizzazione forzata,
della prostituzione e del sesso coniugale e con quella che è stata
definita liberazione sessuale, con l'eterosessualità e con il
lesbismo. Le femministe marxiste sono state delle pioniere in questo
campo ma per molte donne che ho conosciuto, il desiderio di
cominciare dal corpo femminile da sole, è stato interpretato non
come l'applicazione del principio femminile alle donne ma come
terreno fertile per poter esprimere il senso di autorità delle
donne, in altre parole è stato interpretato non per trascendere il
corpo ma per ottenerlo. Per ricollegare il nostro pensiero e le
nostre parole con il corpo di questo particolare essere umano che è
la donna, cominciamo dal problema madre.
Cominciamo con i fatti e rivediamo la lunga lotta contro il
privilegio e l'eminenza dell'astrazione. Probabilmente è questo il
punto centrale del processo rivoluzionario, sia che lo si voglia
chiamare marxista, terzomondista, femminista o in tutti e tre i
modi. Molto tempo prima del diciannovesimo secolo, le streghe
empiriste del Medio Evo europeo si affidavano ai loro sensi e con
rimedi rudimentali lottavano contro i dogmi anti-empirici,
anti-materiali e poco sensibili della Chiesa, morendone così a
milioni. "Una rivolta contadina guidata dalle donne?", in ogni caso
una ribellione contro un'idolatria di pure idee, contro la credenza
che le idee hanno una vita propria e fluttuano a lungo sulle teste
della gente comune, le donne, i poveri e gli emarginati3. Le teorie
separate dalla quotidianità della gente ritornano alla gente stessa
sotto forma di slogan. La teoria - la capacità di vedere le
possibilità, il mostrare la foresta e anche gli alberi - è come la
rugiada che sale dalla terra e sotto forma di pioggia ritorna alla
terra in un processo senza fine.
Ho appena scritto una frase ma l'ho cancellata, in essa ho detto che
le donne hanno sempre compreso la lotta contro la libera e
fluttuante astrazione anche quando erano intimidite dalle idee
astratte. Non voglio scrivere quella frase qui, ora, quella frase
che comincia con "le donne hanno sempre...". Abbiamo iniziato qui il
discorso respingendo frasi che cominciano con "le donne sono state
sempre e ovunque asservite all'uomo" oppure "le donne hanno sempre
avuto l'istinto materno". Se abbiamo capito qualcosa in questi anni
sul femminismo del XX secolo, è che quel "sempre" cancella tutto
quello che veramente abbiamo bisogno di sapere: quando, dove e in
quali condizioni può essere vera quella frase?
E' assolutamente necessario porsi questi interrogativi - dove,
quando e in quali condizioni le donne hanno agito o sono state
manipolate? Tanta è la gente che lotta contro l'asservimento ma ora
e anche in futuro è importante che si parli dell'asservimento
specifico della donna, indagando nel nostro specifico luogo, il
corpo femminile. E' importante che si parli soprattutto della nostra
attiva presenza come donne. Abbiamo creduto, ed io continuo a
crederci, che la liberazione delle donne fosse come un cuneo
inserito in tutto il pensiero radicale, che potesse allargare quelle
strutture che ancora oppongono resistenza, liberare l'immaginazione
e unire ciò che è stato pericolosamente diviso. Come abbiamo già
detto, concentriamoci ora sulle donne: facciamo in modo che gli
uomini e le donne si sforzino con coscienza ad ascoltare ciò che le
donne dicono; insistiamo su quei particolari momenti che consentono
a più donne di parlare; ritorniamo alla terra, intesa non come il
paradigma "donne", ma come un luogo, un posto.
Forse abbiamo bisogno di una moratoria quando diciamo "il corpo"
perché è anche possibile astrarre "il" corpo. Quando scrivo "il
corpo", non vedo niente di particolare. Scrivere, invece, "il mio
corpo" mi spinge all'interno dell'esperienza vissuta e nella sua
particolarità: vedo cicatrici, sfregi, appannamenti, danni, perdite
ma anche tutto ciò che mi fa piacere. Le ossa ben nutrite dalla
placenta; i denti di una persona borghese che è stata visitata due
volte all'anno dal dentista sin dall'infanzia. La pelle bianca,
segnata dalle cicatrici di ben tre gravidanze, da una
sterilizzazione consapevole, da un'artrite cronica, da quattro
operazioni, da depositi di calcio, da nessuno stupro e da nessun
aborto, da lunghe ore alla macchina da scrivere, la mia non quella
di un ufficio, e così via. Dire "il corpo" mi offre un'altra
prospettiva rispetto alla prima. Dire "il mio corpo" riduce la
tentazione di asserzioni grandiose.
Ora vi racconterò i primi e ovvi fatti della vita di questo corpo
bianco e di genere femminile o, se volete, di genere femminile e
bianco. Sono nata nel reparto bianco di un ospedale che separava
nella sala parto le donne nere da quelle bianche e i bambini neri da
quelli bianchi nel nido, proprio come separava i corpi neri da
quelli bianchi nell'obitorio. Mi hanno definita bianca prima ancora
che femmina. Anche se inizio dal mio corpo devo dire che sin dal
principio quel corpo aveva più di un'identità. Quando fui portata
via dall'ospedale nel mondo, venivo vista e trattata da femmina e
anche da bianca sia dai bianchi che dai neri. Sono stata situata in
base al colore e al sesso allo stesso modo di una bambina di colore,
sebbene l'implicazione di un'identità bianca veniva mistificata
dalla presunzione che i bianchi sono al centro dell'universo.
Posizionarmi nel mio corpo significa molto di più che capire di
avere una vulva, un clitoride, un utero e un seno... Significa
riconoscere questa pelle bianca che mi ha consentito alcune cose ma
non altre.
Il corpo in cui sono nata non era solo di genere femminile e bianco,
ma anche ebreo e questo ha giocato in quegli anni, geograficamente
parlando, una parte determinante. Avevo quattro anni ed ero una
Mishling quando cominciò il Terzo Reich. Poteva essere Baltimora o
Amsterdam o Praga o Lòdz, la giovane scrittrice di dieci anni
potrebbe non avere alcun indirizzo. Io sono sopravvissuta a Praga,
ad Amsterdam, a Lodz e alle stazioni ferroviarie dei deportati,
sarei potuta essere una di quelle persone. Il mio nucleo sarebbe,
forse, potuto essere il Medio Oriente o l'A-merica latina e la mia
lingua sarebbe potuta essere una altra. Ma sono una ebrea
nord-americana, nata e cresciuta a 3.000 miglia dalla guerra
europea.
Cerchiamo, come donne, di vedere dal centro o nucleo d'origine. "La
politica", ho scritto una volta, "del farsi le domande delle
donne"4. Non siamo "il problema donna", siamo donne che fanno
domande, che si chiedono. Cercando di vedere di più e altrettanto
consapevole di essere vista, mi sono trovata nella luce, sono
cambiata. Ho cominciato a frantumare con pazienza il falso
universale maschile e accumulando pezzo su pezzo esperienze
concrete, confrontandole, ho cominciato a discernerne le modalità.
Ho provato rabbia e frustrazione verso il rifiuto dei marxisti o
della sinistra di affrontare le problematiche femminili e questo
tipo di lotta. E' facile ora semplificare questa delusione, ma la
rabbia è stata tanta e profonda, la frustrazione reale, sia nelle
relazioni personali che nelle organizzazioni politiche.
Nel 1975 ho scritto: Molto di quello che viene strettamente definito
"politica" sembra risiedere nel desiderio di certezze anche a costo
dell'onestà, per un'analisi che, una volta fatta, non ha bisogno di
essere riesaminata. Ed è questo il motivo per cui le donne sono così
indifferenti al Marxismo ai nostri giorni5. Là dove la politica si è
esternata, è stata sentita come un punto morto, tagliata fuori dalle
vite quotidiane di donne e uomini, e si è chiusa in un gergo
rarefatto, in un gergo di élite, una sorta di enclave, si è
settarizzata, alimentandosi degli errori di tutti i suoi membri. Ma
anche se ci siamo scrollate di dosso Marx, i marxisti accademici e
la sinistra settaria, alcune di noi, definitesi femministe radicali,
hanno capito meno cosa fosse la liberazione delle donne che la
creazione di una società senza dominatori; non volevamo indicare
altro che la via per rinnovare tutti i rapporti tra gli esseri
umani. Il problema era che non sapevamo quello che volevamo dire
quando dicevamo "noi".
Il patriarcato non esiste in alcun luogo allo stato puro; siamo le
ultime ad aver messo piede in un groviglio di oppressioni maturatesi
per secoli. Questo non è il vecchio gioco da bambini dove tu scegli
un filo di un colore della rete lo ripercorri all'indietro per
trovare il tuo premio, ignorando gli altri , il tutto per puro
svago. Il premio è la vita stessa, e molte donne nel mondo devono
lottare per le loro stesse vite e, allo stesso tempo, su diversi
fronti.
Noi ... spesso troviamo difficile separare la razza dalla classe e
dall'oppressione sessuale perché nelle nostre vite le percepiamo
molto spesso in modo simultaneo. Sappiamo che c'è un qualcosa come
l'oppressione razzial-sessuale che non è solo e unicamente razziale
né solo sessuale... Dovremmo distinguere la reale situazione di
classe delle persone che sono lavoratori caratterizzati da una razza
ed un sesso di appartenenza; l'oppressione razziale e sessuale è un
fattore determinante e significativo nelle nella loro vita
lavorativa ed economica. Questa citazione fa parte dello statuto del
1977 del Collettivo Combahee River, uno dei più importanti documenti
del movimento delle donne negli USA, che offre una definizione del
femminismo nero chiara e inflessibile sull'esperienza della
simultaneità delle oppressioni6. Abbiamo teorizzato anche sulla
lotta contro l'astrazione libera.
Dobbiamo riconoscere la natura circoscritta del (nostro) essere
bianche/i7. Sebbene siamo state emarginate come donne, abbiamo pure
emarginato altri in qualità di produttrici di teoria bianca e
occidentale, perché la nostra esperienza di vita è, senza alcun
dubbio, bianca, perché anche le nostre "culture delle donne" sono
radicate in qualche tradizione occidentale. Avendo riconosciuto il
nostro posizionamento, avendo dato un nome alla terra dalla quale
proveniamo, abbiamo dato per scontate queste condizioni creando
confusione tra quello che volevamo, le nostre aspettative bianche ed
occidentali e quelle propriamente femminili8, abbiamo avuto paura di
perdere la centralità dell'uno anche se tendevamo (rivendicavamo
l'altro) verso l'altro.
Come definisce la teoria una femminista bianca? E' qualcosa che
tutte le donne bianche producono o che fanno solo le scrittrici?
Come definisce "un'idea" il femminismo bianco occidentale? Come
lavoriamo per costruire una coscienza femminista bianca ed
occidentale che non sia semplicemente centrata su se stessa e che
resista ai limiti della cultura bianca?
E' stato attraverso la lettura di opere e anche attraverso le azioni
e i discorsi e i sermoni di cittadini neri statunitensi che ho
cominciato a capire il mio essere bianca come punto di
posizionamento del quale avevo bisogno di sentirmi responsabile.
Anche la lettura di poesie di donne contemporanee cubane mi ha
aiutato a capire il nord America come luogo che ha così
profondamente influenzato (plasmato) il mio modo di vedere le cose e
le mie idee, un luogo del quale ero in parte responsabile.
Ho viaggiato poi in Nicaragua, dove in una terra povera, in una
società di soli 4 anni che si prodigava ad estirpare la miseria,
sotto le colline ai confini con l'Honduras, potevo sentire
fisicamente alle mie spalle il peso degli Stati Uniti d'America, del
suo esercito, dei suoi vasti interessi economici, dei suoi mass
media; riuscivo a capire cosa significasse, dissidente o meno,
essere parte di quel potere, di quella fredda ombra che proiettiamo
ovunque nel sud del mondo.
Negli Usa a molte persone è stato impedito di sviluppare il proprio
processo di crescita ed i loro movimenti. Per 40 anni abbiamo
sentito dire che siamo i guardiani della libertà, mentre dietro la
"Cortina di Ferro" c'è solo manipolazione e terrore. Da qui la
caccia alle streghe negli anni '50. La sensazione di falsità, di
mistero e la paranoia che circondava il partito comunista americano
dopo le dichiarazioni di Khrushchev del 1956 portò alla perdita di
30.000 membri in poche settimane e quei pochi che rimasero,
rimasero, in realtà, a parlare solo di questo. Chiunque fosse ebreo,
omosessuale o appartenente a qualunque altra minoranza diversa,
veniva sospettato di essere "comunista". E fu così che una coltre di
neve si posò sul radicalismo statunitense. E, sebbene parte del
movimento femminista nord americano nacque dai movimenti neri degli
anni '60 e dalla sinistra studentesca, le femministe non hanno solo
sofferto le esperienze femminili rimosse e distorte, ma anche la
rimozione e la distorsione generale dei grandi movimenti
progressisti9.
Il movimento per il cambiamento risiede nei sentimenti, nelle azioni
e nelle parole. Tutto ciò che circoscrive o mutila i nostri
sentimenti, come il pensiero astratto, le rigide lealtà tribali,
ogni tipo di ipocrisia, presunzione e l'arroganza di ritenerci al
centro di tutto ci rende più difficile l'agire che resta reattivo e
ripetitivo. E' duro guardare indietro di un anno o cinque anni ai
limiti della mia conoscenza; come riuscivo a guardare senza vedere?
E come riuscivo a sentire senza ascoltare? Può essere difficile
essere generose/i con quelle/i che eravamo in passato e continuare a
credere al nostro percorso specialmente negli USA dove le identità e
le lealtà sono state messe da parte senza alcun problema
nell'intento di renderci tutti "americani". Ma come, se non tramite
noi stesse, possiamo capire ciò che spinge gli altri a cambiare? Le
nostre vecchie paure e i nostri rifiuti, cosa potrebbe aiutarci a
farle andar via? Che cosa ci porta a decidere che dobbiamo rieducare
noi stesse/i e anche quelli di noi con una "buona" educazione? Una
vita politicizzata dovrebbe affinare sia i sensi che la memoria.
La difficoltà di dire "io" è una frase tratta dalla scrittrice della
Germania orientale Christa Wolf10. Ma una volta espressa, mentre ci
rendiamo conto di voler andare oltre, non è difficile articolare il
"noi"? Non puoi parlare per me. Non posso parlare per "noi". Due
modi di pensarla: non c'è nessuna forma di liberazione che sappia
dire soltanto "io". Non c'è nessun movimento collettivo che possa
parlare per ognuno di noi fino in fondo. E così, anche i pronomi
comuni diventano un problema politico.
*
64 missili cruise a Greenham Common e a Molesworth
*
112 a Comiso
*
96 missili Pershing II nella Germania occidentale
*
96 per il Belgio e l' Olanda.
Questa è la previsione per i prossimi anni.
Negli Usa e in Europa diranno no, a tutto questo e alla
militarizzazione del mondo, migliaia di donne.
Un approccio che fa risalire il militarismo al patriarcato e il
patriarcato alla qualità fondamentale del mondo maschile che può
essere demoralizzante e anche paralizzante... Forse è possibile
essere meno preoccupati sulle "origini delle cause". Potrebbe essere
più utile chiedersi: come si ripetono questi valori e questi
comportamenti di generazione in generazione11? La valorizzazione
dell'essere uomo e della maschilità. Le forze armate come l'estrema
rappresentazione della famiglia patriarcale. L'idea arcaica delle
donne come "home front" anche mentre i missili esplodono nei cortili
del Wyoming e del Mutlangen.
La crescente preoccupazione che un movimento anti-nucleare e
anti-militarista deve essere un movimento socialista, anti-razzista
e anti-imperialista. Inoltre, non è abbastanza preoccuparsi per la
gente che conosciamo, gente come noi, noi stesse/i. E non ci rende
più forti l'arrenderci ai terrori astratti del puro annichilimento.
Il movimento anti-nucleare e anti-militarista non può spazzar via i
missili come movimento che vuole salvare la civiltà bianca
dell'Occidente. Il movimento per il cambiamento è un movimento che
cambia, che cambia se stesso, che si libera della propria
mascolinità, che si libera della sua occidentalità, diventando un
peso critico che dice in tante voci, lingue, gesti e azioni: deve
cambiare, noi stesse/i possiamo cambiarlo. Noi che non siamo le/gli
stesse/i, noi che siamo molte/i e non vogliamo essere le/gli
stesse/i.
Cercando di studiare me stessa durante la stesura di questo testo,
spesso ritorno a Sheila Rowbotham, la femminista socialista
britannica che ha scritto Beyond the Fragments:
«Un movimento ti aiuta a superare una parte della distanza
opprimente generata dalla teoria e questo è stato ed è una ...
continua meta creativa della liberazione femminile. Ma alcuni
sentieri non sono tracciati e le nostre basi d'appoggio svaniscono
... considero ciò che scrivo come una parte di un'affermazione più
ampia che sta iniziando. Io stessa faccio parte della difficoltà del
movimento, la difficoltà non è fuori di noi ma dentro».
Anche le mie difficoltà non sono esterne, tranne nel sociale. Non
credo più, i miei sentimenti non mi permettono di credere che
l'occhio dei bianchi vede dal centro. Tuttavia, spesso mi ritrovo a
pensare come se ancora credessi che questo sia vero, o che la mia
capacità di pensiero ristagna. Mi sento in uno stato di afasia, come
se il mio cervello e il mio cuore rifiutassero di parlare l'uno
all'altro. Il mio cervello, un cervello di donna, ha esultato nel
rompere i tabù contro il pensiero femminile, è decollato col vento
dicendo, io sono la donna che fa le domande. Il mio cuore impara in
modo più umile e laborioso che i sentimenti sono inutili senza i
fatti, che in fondo, ogni privilegio è ignorante.
Gli Stati Uniti non sono mai stati una nazione bianca, anche se per
molto tempo hanno servito gli interessi degli uomini bianchi. Il
Mediterraneo non è mai stato bianco. L'Inghilterra, l'Europa
settentrionale, anche se sono state totalmente bianche, non lo sono
più. In una libreria di sinistra a Manchester in Inghilterra, un
poster del Terzo Mondo diceva: NOI SIAMO QUI PERCHÉ VOI ERAVATE LI'.
In Europa gli Ebrei, gli abitanti originari del ghetto, sono sempre
stati considerati come un bersaglio razzista, sottoposti a leggi
speciali e a particolari tasse di entrata (nel ghetto), costretti a
spostarsi da un luogo all'altro e massacrati.
Sono stati considerati capri espiatori e alieni, non sono mai stati
veramente visti come europei ma come membri di un mondo più oscuro
da controllare ed eventualmente sterminare. Oggi le città europee
hanno nuovi capri espiatori, ovvero la diaspora dei vecchi imperi
coloniali. L'antisemitismo è un modello di razzismo, o il razzismo
lo è per l'antisemitismo? Ancora una volta, mi chiedo dove ci
conduca questa domanda. Non dovremmo iniziare da qui dove ci
troviamo, quarant'anni dopo l'olocausto, al centro della violenza
medio-orientale, al centro del potente fermento del Sudafrica, non
dunque in un dibattito sulle origini e sui precedenti ma nel
riconoscimento delle oppressioni simultanee?
Sto pensando molto alla preoccupazione sulle origini, mi sembra solo
un modo di fermare il tempo nel suo fluire. I triangoli sacri
neolitici, i vasi minoici con gli occhi fissi e con seni, le
figurine femminili dell'Anatolia, non erano esempi concreti, come i
frammenti di Saffo, di culture antiche rappresentanti l'affermazione
femminile, culture che godettero secoli di pace? E non sono state
pure immagini magnetiche di riflessione che hanno catturato il
nostro sguardo e lo hanno immobilizzato? L'attività umana non si è
fermata a Creta o a Çatal Hüyük. Non possiamo costruire una società
libera dall'autorità che ci riporti a qualche tribù o qualche città
di tanto tempo fa. Il costante potere spirituale di un'immagine vive
nell'in-terazione tra ciò che ci fa ricordare un qualcosa, ciò che
ci ritorna in mente e le nostre continue azioni nel presente.
Quando il labrys diventa lo stemma per il culto delle dee minoiche,
quando la vestale del labrys ha cessato di chiedersi che cosa sta
facendo su questa terra, là dove il suo amore di donna la coglie,
anche il labrys diventa un'astrazione, liberata dal caldo e dalla
frizione dell'attività umana. La stella ebraica sul mio collo deve
servirmi sia come monito e sia come simbolo per continuare a
cambiare il mio senso di responsabilità.
Quando leggo che nel 1913 le marce in massa delle donne in Sudafrica
provocarono l'annullamento delle leggi sul permesso di entrata, e
che nel 1956, 20.000 donne si riunirono a Pretoria per protestare
contro le leggi speciali per le donne, che la resistenza a queste
leggi veniva portata avanti nei villaggi di una terra remota e
punita con sparatorie, bastonate ed incendi; e che nel 1959, 2.000
donne dimostrarono a Durban contro leggi che prevedevano birrerie
per i soli uomini africani criminalizzando le tradizionali
distillerie domestiche delle donne; e che nello stesso tempo, le
donne africane hanno giocato un ruolo maggiore insieme agli uomini
nella resistenza all'Aparthaid, devo chiedere a me stessa perché mi
ci è voluto così tanto tempo per imparare questi capitoli della
storia delle donne e perché la leadership e le strategie delle donne
africane non sono state riconosciute come teoria in atto dal
pensiero femminista occidentale bianco.
In un libro di due uomini intitolato South African Politics
pubblicato nel 1982, c'è solo una voce sotto il nome "Donne" e
nessun altro riferimento alla leadership politica delle donne e alle
azioni di massa)12. Quando leggo che le difficoltà maggiori nei
conflitti del decennio passato in Libano sono state vissute
politicamente da donne di donne attraverso linee di classe, tribali
e religiose, da donne che hanno lavorato ed insegnato insieme nei
campi dei rifugiati e nelle comunità armate, sforzandosi con la
lotta durante la guerra civile e l'invasione israeliana, sono
costretta a pensare che Iman Khalife _ la giovane insegnante che
cercò di organizzare a Beirut, al confine tra i territori cristiani
e musulmani la marcia silenziosa pacifista che fu soppressa a causa
della minaccia del massacro dei suoi partecipanti _ e altre donne
come lei non sono venute fuori dal nulla. E purtroppo, noi
femministe occidentali che viviamo in condizioni diverse da quelle
descritte non siamo affatto incoraggiate a conoscere questa storia.
In tutto il globo ci sono donne che si alzano prima del sorgere del
sole; ci sono donne che si alzano prima degli uomini e dei bambini
per pestare il riso, per accendere il fuoco, per preparare la pappa
ai bambini, il caffè, per stirare pantaloni, per intrecciare i
capelli, per tirar su l'acqua per un giorno intero dal pozzo, per
bollire l'acqua per il tè, per fare il bagno ai bambini che vanno a
scuola, per raccogliere le verdure e portarle al mercato, per
correre a prendere l'autobus per andare a lavoro. Non so quando
queste donne dormano. Nelle grandi città, all'alba, ci sono donne
che ritornano a casa dopo aver pulito gli uffici tutta la notte, o
dopo aver lucidato le sale degli ospedali o dopo aver tenuto
compagnia ai vecchi, ai malati ed ai moribondi, spaventati nell'ora
della loro morte. In Perù "le donne impiegano delle ore a ripulire i
fagioli da piccole pietre, la farina ed il riso; sgranano i piselli,
puliscono i pesci e tritano le spezie in piccoli mortai. Comprano
ossa o trippa al mercato e cucinano zuppe economiche e nutrienti.
Riparano vestiti fino a che questi non sono totalmente consunti e
cercano i grembiuli scolastici più a buon mercato, che possono
pagare solo con lunghe rateizzazioni. Vendono vecchie riviste in
cambio di bagnarole di plastica e acquistano giocattoli e scarpe di
seconda mano. Fanno chilometri per trovare un rocchetto di filo al
prezzo più basso possibile". Questa è una tipica giornata di lavoro
che non è mai cambiata, il lavoro femminile che serve alla
sopravvivenza del povero. Con luce fioca vedo ancora questa donna e
così anche la sua sveglia interiore che spinge fuori dal letto le
sue membra pesanti e forse anche doloranti. Accettando nel suo corpo
l'ultimo freddo spicchio della notte e andando incontro al sole
nascente, sento il suo respiro che da vita alla sua stufa, alla sua
casa, alla sua famiglia.
Nel mio mondo nord americano, bianco hanno cercato di dirmi che
questa donna non pensa, né tantomeno riflette sulla sua vita; che le
sue idee non sono idee reali come quelle di Karl Marx o di Simone de
Beauvoir e che i suoi calcoli, la sua filosofia spirituale, le sue
attitudini per la legge e l'etica, le sue decisioni politiche di
emergenza sono solo reazioni istintive o condizionate. Hanno anche
cercato di dirmi che solo un certo tipo di persone può fare teoria;
che solo la mente bianca colta è capace di formulare qualsiasi cosa;
che il femminismo bianco borghese sa per "tutte le donne" e che sia
da prendere sul serio solo un pensiero formulato da una mente
bianca.
Negli USA, la teoria bianco-centrica non si è impegnata
adeguatamente su quei testi che hanno per oltre un decennio espresso
la teoria politica del femminismo americano nero, come lo statuto
del Collettivo Combahee River, i saggi e i discorsi di Gloria I.
Joseph, di Audre Lorde, di Berenice Reagon, di Michele Russel, di
Barbara Smith, di June Jordan per nominarne alcune delle più note.
Le femministe bianche hanno letto e imparato dalla antologia This
Bridge Called My Back: Writings by Radical Women of Color, e spesso
si sono limitate a vedere questa antologia come un semplice attacco
verso le femministe bianche. In tal modo i sentimenti delle bianche
rimangono al centro. Ho quindi bisogno di muovermi fuori dalla base
e dal centro dei miei sentimenti rettificando che i miei sentimenti
non sono il centro del femminismo.
Se leggiamo Audre Lorde o Gloria Joseph o Barbara Smith,
comprendiamo che le radici intellettuali di questa teoria femminista
non sono il liberalismo bianco o il femminismo euro-americano, ma
l'analisi dell'esperienza afro-americana articolata da Sojourner
Truth, da W.E.E. Du Bois, da Ida B. Wells-Barnett, da C.L.R. James,
da Malcom X, da Lorraine Hansberry, da Fannie Lou Harmer e da tanti
altri ancora? E comprendiamo anche che il femminismo nero non può
essere emarginato o visto soltanto come una reazione al razzismo del
femminismo bianco, né tantomeno come un contributo ad esso?
Riusciremo anche a capire che il femminismo nero si è sviluppato
organicamente dai movimenti neri e dalle filosofie del passato,
dalla realizzazione pratica di esse e dalle loro opere stampate? (E
che va sempre più aumentando il dialogo attivo tra le femministe
nere americane e gli altri movimenti di donne di colore all'interno
e anche al di là degli USA?)
Evitare questa sfida significa soltanto portare il femminismo bianco
lontano dai grandi movimenti per l'auto-determinazione e la
giustizia all'interno e contro il quale le donne definiscono se
stesse. Ripeto ancora una volta: Chi è questo noi? Siamo giunte alla
fine di questi appunti, ma non è realmente una fine.
Il testo di questo articolo è tratto dalla raccolta di scritti di
Adrienne Rich pubblicati dal 1979-85 da W.W. Norton & Company, New
York London.
1. Adrienne Rich, Of Woman Born: Motherhood as Experience and
Institution (New York:W.W. Norton, 1976), p. 286.
2. Karl Marx and Frederick Engels, The german Ideology, ed. C. J.
Arthur (New York: International Publishers, 1970) p.42.
3. Barbara Ehrenreich and Deirdre English, Witches, Midwives and
Nurses: A History of Women Healers (Old Westbury, n.y.: Feminist
Press, 1973).
4. Adrienne Rich, On Lies, Secrets, and Silence, Selected prose
1966-1978 (New York: W.W. Norton 1979) p. 17.
5. Ibid, p.193.
A.R. 1986: For a vigorous indictement of dead-ended Merxism and a
call to "revolution in permanence," see Raya Dunayevskaya, Women's
Liberation and the Dialectis of Revolution (Atlantic Highlands,
N.J.:Humanities Press, 1985).]
6. Barbara Smith, ed. Home Girs: A Black Feminist Anthology (New
York: Kitchen Table/Women of Color Press, 1983), pp.272-283. See
also Audre Lorde, Sister outsider: Essays and Speeches (Trumansburg,
N.Y.: Crossing Press, 1984). See Hilda Bernstein, For Their Triumphs
and for Their Tears: Women in Apartheid South Africa (London:
International Defence and Aid Fund, 1978), for description of
simultaneity of African women's oppression's under apartheid. For a
biographical and personal account, see Ellen Kuzwayo, Call Me Woman
(San Francisco: Spinsters/Aunt Lute, 1985).
7. Gloria I. Joneph, "The Incompatible Ménage à Trois: Marxism,
Feminism and Racism," in Women and Revolution, ed. Lydia Sargent
(Boston: South End Press, 1981).
8. See Marilyn Frye, The Politics of Reality (Trumansburg, N.Y.:
Crossing Press, 1983), p.171.
9. See Elly Bulkin, "Hard Ground: Jewish Identity, racism, and
Anti-Semitism,"in E. Bulkin, M.B.Pratt, and B. Smith, Yours in
Struggle: Three feminist Perspectives on Anti-Seminism and Racism
(Brooklyn, N.Y.: Long Haul, 1984; distribeted by Firebrand Books,
141 The Commons, Ithaca, NY 14850).
10. Christa Wolf, The Quest for Christa T, trans. Christopher
Middleton (New York: Farrar, Stras & Giroux,1970), p.174
11. Cynthia Enloe, Does Khaki Become You? The Militarism of Women's
Lives (London: Pluto Press, 1983), ch.8.
12. Women under Apartheid (London International Defence and Aid Fund
for Southern Africa in cooperation with the United Nations Centre
Against Apartheid, 1981), pp.87-99; Leonard Thompson and Andrew
Prior, South African Politics (New Haven, Conn.: Yale University
Press, 1982)). An article in Sechaba (published by the African
National Congress) refers to "the rich tradition of organization and
mobilization by women" in the Black South African struggle ([October
1984]: p. 9).
Links:
http://sonia.noblogs.org/?page_id=1437
http://w3.uniroma1.it/studieuropei/programmi/programmi2012/studonne_sape.htm
http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/2011/11/femminismo-nero-e-postcoloniale-una.html
Il femminismo di destra non esiste Beatriz Gimeno
Un articolo che r-imette le cose a posto.Che dovrebbe far
riflettere in modo particolare alcuni movimenti di donne in Italia.
La scorsa settimana la femminista e saggista Naomi Wolf ha
pubblicato un articolo nel giornale 'Publico' intitolato " Il
femminismo reazionario" nel quale sosteneva incredibilmente, che le
donne repubblicane, vicine al Tea Party sono femministe e che il
femminismo fa male ad ignorarle.
L'articolo era di una povertà concettuale allarmante ancor più che
proveniva da un'autora che è una prestigiosa saggista.
Dal momento che la Naomi Wolf è una donna intelligente e finora
ancora femminista, può essere che sia diventata essa stessa di
destra ed abbia cominciato ad allungare il termine femminismo più in
là di dove può allungarsi. Può essere un altro tentativo di
appropriarsi di un termine di sinistra socialmente prestigioso da
parte della destra. O, forse, nient'altro che una pazzia. Vedremo...
Naturalmente queste politiche repubblicane, reazionarie, - così come
le definisce la stessa Wolf - non sono femministe.
Il femminismo non è una condizione naturale delle donne che stanno
in politica o sono in possesso di un lavoro.
Il femminismo è una teoria critica, è un movimento sociale e
politico, è un'etica, è un paradgma ideologico con minimi normativi
fuori dai quali non si può essere femminista. Inutile quindi dire
che si può essere uomo e femminista e donna e antifemminista. Altra
cosa è che è vero che queste donne reazionarie stanno dove stanno
grazie al femminismo, che possono votare grazie al femminismo, che
possono lavorare, avere i figli che desiderano, non essere proprietà
del marito, guadagnare denaro proprio, avere le loro proprietà,
grazie al femminismo.
Ciò significa che alcuni dei principi fondamentali del femminismo
sono diventati parte di ciò che sono considerati diritti umani,
sociali e politici indispensabili : il femminismo ha ampliato le
possibilità vitali, di uguaglianza e felicità per tutti e tutte.
Questo è un successo del femminismo e dimostra che quest'ultimo è
una delle rivoluzioni di maggiore successo del XX secolo in quanto è
riuscito a conseguire che alcuni dei suoi postulati siano stati
considerati patrimonio comune. Ma anche così,questo non fa
femminista chiunque li utilizzi , come non è socialista chiunque usi
la sanità pubblica
.Perché il femminismo è molto di più di questo
Dichiara Naomi Wolf che la libertà di scelta è la base del
femminismo. Non è vero, la falsa libertà di scelta sarà la base del
neoliberismo,non del femminismo. La base del femminismo è la
uguaglianza tra uomini e donne. Nonostante le perversioni alle quali
è esposta la parola "libertà", chiunque che non abbia un'deologia
neoliberista sa che la libertà di scelta non esiste senza una
precedente uguaglianza che la garantisca. Senza uguaglianza non c'è
libertà, se non per pochi, tra i quali raramente sono donne.
Al contrario, è sempre più evidente che essere femminista, cioè
puntare sulla parità tra uomini e donne,esige non solo non essere di
destra, ma essere anticapitalista.
La verità è che il capitalismo globalizzato e il patriarcato (che è
capitalista), due sistemi di oppressione interdipendenti sono
alleati; il primo esige manodopera a basso costo,
flessibile,impoverita, quasi schiava e il secondo sceglie il sesso
di questa manodopera. Il primo esige un tributo in povertà umana, il
secondo mette il sesso a questa povertà. La povertà è femminile,
la manodopera a basso costo in condizioni di semi-schiavitù è
composta da donne; i tagli ai servizi sociali di base sono
sostituiti dai lavori gratuiti o sotto-pagati delle donne; la
proprietà dei mezzi di produzione, della terra, della ricchezza è
degli uomini,coloro che non hanno terra sono le donne, che lavorano
gratis sono donne, le precarie, le sotto-pagate sono le donne;
coloro che sono rapite e ridotte in schiavitù per essere vendute
come schiave sessuali o cameriere domestiche al mondo ricco sono
donne; colro che non sono padroni dei loro corpi sono donne; coloro
che sono costrette ad abortire o ad essere sterilizzate se vi è
sovrapopolazione sono donne, ma coloro che sono obbligate a
partorire contro la loro volontà se la popolazione è scarsa sono
donne; coloro che sono analfabete perché non hanno soldi per
istruirsi sono donne; coloro che rimangono fuori dagli ospedali
perché non ci sono soldi per i medici sono donne; coloro che
lavorano dall'alba al tramonto sono donne; coloro che emigrano in
cerca di un futuro migliore che può trasformarsi in un incubo sono
donne; colro che vengono uccise perché chiedono un sindacato in una
fabbrica (maquila) sono donne; coloro che non hanno diritti
lavorativi sono donne, ecc.
Questo è ciò che il capitalismo richiede alle sue vittime e il
patriarcato si incarica che queste vittime siano donne.
Così che essere femminista,lottare per l'uguaglianza, la libertà, le
opportunità per le donne richiede un cambiamento delle strutture
sociali, culturali, simboliche, ma anche economiche.
Cospedal, Sarah Paulin, Esperanza Aguirre, Margaret Thatcher e tutte
queste donne di destra non sono femministe, perché pur essendo
donne, le loro politiche peggiorano drammaticamente la condizione
della maggior parte delle donne.
Ciò è incompatibile con il femminismo.
Così che non si può essere femminista e di destra.
Così come si può essere donne e reazionarie e di fatto quelle
presentate da Naomi Wolf ne sono un esempio: reazionarie si,
femministe no.
Beatriz Gimeno, scrittrice ex presidente de la FELGT (Federación
Española de Lesbianas, Gays y Transexuales)
http://www.elplural.com/author/beatrizgimeno/
(traduzione di Anita Silviano)
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Che cos'è il genere?
Concetto di genere
aclickinthewall.wordpress.com traduzione di Anita Silviano
Genere è un concetto che si riferisce alla serie di caratteristiche,
ruoli e responsabilità che ogni società e ogni cultura attribuisce
agli esseri umani in funzione del loro sesso.
Il termine genere fa riferimento alle aspettative culturali per
quanto riguarda i ruoli e comportamenti degli uomini e delle donne.
Il termine distingue gli aspetti attribuiti a uomini e donne dal
punto di vista sociale determinati biologicamente. A differenza del
sesso biologico, i ruoli di genere, i comportamenti e le relazioni
tra uomini e donne (relazioni di genere) possono cambiare nel
tempo,anche se certi aspetti di questi ruoli derivano dalle
differenze biologiche tra i sessi.
Il genere è un termine collegato all'ideologico e al politico, non
alla natura. Ciò significa che i ruoli e gli attributi assegnati
all'"uomo" e alla "donna" non sono collegati alla biologia, ma sono
culturalmente determinati.
Ciascun gruppo umano forma educa e insegna certi modelli ideali
intorno alla femminilità e mascolinità. Il sesso è biologico, il
genere può modificarsi secondo ciascuna società. Ciò che è donna o
ciò che è uomo è ciò che il gruppo si aspetta da esse/essi, prevista
dalla struttura sociale e non dalla biologia.
Nel caso delle donne ciò è tanto vero quanto il fatto che in tutto
il mondo ci sono le donne, ma il loro modo con il quale esse operano
nella società è diverso. Il modo di vestire, cioè che è femminile o
non lo è differente per ciascuna comunità e per ciascuna epoca. Per
esempio, nella Cina antica, i piedi piccoli si consideravano un
attributo di femminilità, oggi questo stesso è considerato una
violazione dei diritti della donna. Perché? Perché il genere e i
concetti ad esso associati si modificano.
Il sesso è biologico,non lo scegliamo alla nascita. Il genere può
modificarsi in base ad ogni persona, società ed epoca, dato che le
culture nelle quali viviamo assegnano funzioni e responsabilità a
donne ed uomini. Il genere è pertanto un costrutto socio-storico -
culturale, ideologico e politico stabilito attraverso sistemi di
interazione sociale e composto da generalizzazioni.
Queste generalizzazioni nascono con la necessità di creare modelli
di riferimento nel comportamento di uomini e donne. Ovviamente, non
descrivono la complessità delle persone. Sono stereotipi,
costruzioni simboliche, suscettibili quindi di modificazioni, così
come possono essere aggirati e cambiati da altri paradigmi come
conseguenza dei cambiamenti sociali o di decisioni personali.
Uguaglianza ed equità di genere
Essere diversi non significa essere diseguali. Per uguaglianza di
genere si intende una situazione nella quale uomini e donne hanno le
stesse possibilità od opportunità nella vita, di accedere alle
risorse e beni preziosi da punto di vista sociale e di gestirli.
L'obiettivo è che tanto le donne che gli uomini abbiano le stesse
opportunità nella vita. Per raggiungere questo obiettivo, a volte è
necessario potenziare le capacità di gruppi che hanno accesso
limitato alle risorse o di creare questa capacità.
Per esempio, una delle misure possibili è offrire servizi di
assistenza ai bambini in modo che le donne possano partecipare alle
riunioni di formazione professionale lavorativa insieme agli uomini.
(...)
Per uguaglianza di genere si intende l'equo trattamento di uomini e
donne, in base alle rispettive necessità, sia con parità di
trattamento o con uno differenziato ma considerato equivalente per
quanto riguarda i diritti, i benefici,gli obblighi e le possibilità.
Nell'ambito dello sviluppo, l'obiettivo della parità di
genere,richiede spesso l'inserimento di misure specifiche per
compensare gli svantaggi storici e sociali che si trascinano le
donne.
http://aclickinthewall.wordpress.com/2011/08/31/¿que-es-el-genero/
(traduzione di Anita Silviano)
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"Il femminismo
non morde"
Intervista all'antropologa messicana e femminista, Marcela Lagarde.
Con poco più di un secolo di esistenza, il femminismo prosegue in
America Latina e nel mondo, ma il suo percorso come movimento di
rivendicazione dei diritti delle donne ricrea l'effetto onde
increspate con picchi elevati e vertiginose cadute.
"
Il femminismo non morde" ha sottolineato Lagarde, docente nell'
Universidad Nacional Autónoma de México e una delle promotore della
Ley General de Acceso de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia,
in vigore dal febbraio del 2007 e dell'introduzione del reato di
femminicidio nel Codice Penale. Marcela Lagarde presidente della Red
de Investigadoras por la Vida y la Libertad de las Mujeres ha
rilasciato all'Agenzia IPS un' intervista durante la sua visita a
Cuba.
IPS: Quali sono le cause della persistenza dei pregiudizi nei
confronti del femminismo, anche tra gli stessi movimenti delle donne
o in paesi come Cuba che promuovono politiche a favore delle donne?
Marcela Lagarde: Non c'è stata una continuità nella trasmissione del
ruolo del femminismo nella cultura moderna. Sembrano esserci fasi
nelle quali se ne perde la memoria storica e poi si torna a
recuperarla.
Dato che il femminismo è una critica della società patriarcale è
stato percepito come pericoloso da chi non è d'accordo o assume come
inevitabile nella società la cultura e il potere patriarcale.
Il femminismo critica il patriarcato come una costruzione
meta-politica che attraversa società ed epoche e propone alternative
concrete. Il potere patriarcale è un potere monopolizzato dagli
uomini. Inoltre ha proposto altri valori e alternative che sono
stati sentiti come pericolosi, che mordono, perché indirizzati ad
eliminare la dominazione di genere.
Coloro che non sono stati d'accordo hanno fatto ciò che si fa di
solito nella lotta politica: disprezzare il nemico, in questo caso,
le donne e le femministe .Attribuendo caratteristiche pericolose e
molte falsificazioni. Dinnanzi c'è una cultura misogina, sessista,
maschilista. A questa misoginia sociale si aggiunge la misoginia
politica che è l'antifemminismo.
IPS: Come si definisce l'antifemminismo? Quanto è diffuso?
ML: E' la delegittimazione dell'apporto del femminismo
all'umanità.Viene trasmessa ora nelle donne e negli uomini, perché
le donne nelle società patriarcali siamo state educate e
socializzate per funzionare in maniera patriarcale. Alcune
diventiamo femministe,però questo implica una conoscenza differente
per criticare la nostra stessa cultura,identità e condizione di
genere, che possiede una enorme impronta patriarcale.
Tutta questa diffusa ignoranza contribuisce a creare
l'antifemminismo.
Dentro il potere dominante c'è sempre una diffusa ed estesa politica
antifemminista.
Ripetiamo pregiudizi che non abbiamo mai confermato, ma sono parte
delle nostre ideologie e cultura nelle quali viviamo.
L'atteggiamento è carico di misoginia e di misoginia politica, con i
confronti permanenti, che la gente ripete ed entrano a far parte
della cultura di massa. Non abbiamo la forza culturale per
contrastarla ad ogni passo con un discorso proprio.
IPS: Cosa ha significato per le donne contemporanee l'invisibilità
del femminismo?
Determinati gruppi di donne sono nati o si sono sviluppati sui
progressi compiuti dal femminismo fin dal XVIII secolo... Abbiamo
dovuto imparare sul femminismo indagando per conto nostro, per
sapere ciò che era successo, perché non lo si insegna nelle scuole
né all'Università. Non si trasmette da una generazione all'altra
come la scienza ingegneristica o la fisica.
Questo schema molto androcentrico causa un'ignoranza enorme negli
uomini e nelle donne sul femminismo ed il suo contributo alla
modernità. Adesso stiamo arrivando a integrare questa conoscenza
nelle università, ma non ancora nella scuola primaria e secondaria.
In molti paesi, non c'è una specializzazione che abbia materiali,
seminari, cattedre di genere e femminismo.
IPS: In pratica? Si può parlare del femminismo come cambiamento di
vita e alleanza tra donne?
ML: Aiuta a superare la misoginia contro le altre donne e allo
stesso tempo favorisce l'approccio e lo scambio di idee sui
progressi nella propria vita. Noi femministe abbiamo imparato molto
dalle altre donne per il nostro modo di lavorare.
In più, tra docenti abbiamo molte opportunità di incontri personali
tra donne,dove impariamo a sostenerci le une con le altre. E ciò ci
arricchisce e ci dà una forza interiore e sociale molto importante:
una forte affermazione di genere che ti autorizza e ti avvalora come
donna in un mondo che ci attacca tutto il tempo.
http://cuadernosfem.blogspot.com/2010/08/el-feminismo-no-muerde-marcela-lagarde.html
(traduzione di Anita Silviano)
Avevo 30 anni quando mi operarono e
da allora sono quasi inutile nei
campi - "dice Cléofl Neira, 50
anni, dalla porta della sua casa di
mattoni. In Yanguil, un villaggio di
poche centinaia di abitanti nei
pressi della città di Huancabamba,
nel nord del Perù, più di 15 donne
hanno subito la stessa operazione di
legatura delle tube. La maggior
parte di queste contadine sono
rimaste invalide e con dolorosi
problemi di salute. Oggi esigono
giustizia dinnanzi alle autorità e
hanno portato il loro caso alla
Corte interamericana dei diritti
umani. Altre vie giudiziarie si
stanno studiando per costringere lo
Stato a risarcire le vittime.
"Io – spiega Cléofl, madre di sette
bambini avuti prima
dell'operazione.- non volevo subire
questa operazione, ma non sapevo che
non avrei più potuto avere figli né
mi informarono. Loro sono venuti
con la promessa di cibo, di
medicinali, però non abbiamo visto
altro che dolore".
"Loro" sono gli emissari del
Ministero della Salute, del governo
di Alberto Fujimori (1990-2000) che
furono inviati alle montagne delle
Ande, tra il 1995 e il 2000 per
eseguire gli ordini delle autorità:
ridurre il tasso di natalità in
campagna come aveva reclamato l'FMI.
La Banca mondiale ha fornito fondi
per contribuire all'attuazione del
programma di pianificazione
familiare che consisteva nella
Contraccezione Chirurgica
Volontaria. Inoltre, gli Stati Uniti
attraverso la US.Aid, finanziò il
progetto Fujimori, il quale era
libero di agire, godendo di una
comoda rielezione nel 1995.
Di
“Volontaria” non aveva nulla. Nella
stragrande maggioranza sono state
costrette o indotte in cambio di
qualche chilo di riso o di
zucchero", dichiara Josepa, una
militante difensora dei diritti
delle donne. In tutto il Perù, si
stima che 300.000 donne sono state
vittime di sterilizzazione forzata.
Tutte erano contadine,
indigene,povere e analfabete o con
pochissima istruzione.
"Ogni giorno – continua Cléofl -
un’ infermiera veniva a vederci per
convincerci ad operarci e ci diceva
che non potevamo continuare a
partorire come coniglie: era molto
offensivo ciò che ci diceva e alla
fine fummo un gruppo di cinque
donne, tutto pagato, viaggio e il
vitto per Huancabamba.
."Sono andata in ospedale per un mal
di schiena e mi hanno sterilizzata",
dice Bacilia Herrera.
Oggi, nessuno dei medici o
infermieri che ha eseguito le
operazioni lavorano nell’ospedale di
Huancabamba. "Sono spariti quando
abbiamo iniziato ad indagare. Il
governo li portò a Lima e alcuni
furono destituiti"- segnala Josefa.
Nel 1996, emersero le prime
testimonianze delle donne che furono
operate. Organizzazioni come il
Comitato per l'America Latina e dei
Caraibi per la Difesa dei Diritti
della Donna (CLADEM), sotto la
responsabilità di Giulia Tamayo,
hanno raccolto informazioni e hanno
presentato denunce.
Combattere questo crimine.
"Un giorno - racconta Josepa - mi
recai in ospedale e vidi 20 donne
sdraiate sul pavimento in una pozza
di sangue, tutte operato di recente.
In quel momento cominciò la lotta
per fermare questo crimine”.
Vestita con il tradizionale
cappello di paglia, Bacilia Herrera
ricorda come se fosse stata ieri la
sua operazione. "Sono andata in
ospedale perché aveva un dolore alla
spalla e improvvisamente mi misero
su una barella e mi fecero le
iniezioni. Il giorno dopo ero stata
operata", spiega Bacilia, madre di
cinque figli, un numero basso in
montagna, dove le donne arrivano ad
avere tra i sette e i dieci figli.
Con suo padre e suo marito ha
cercato di denunciare il caso, ma né
il sindaco né i responsabili hanno
preso in considerazione la sua
testimonianza. "Mi hanno fatto
firmare unfoglio, che era
l'autorizzazione alla
sterilizzazione, ma che non ho
potuto leggere. Oggi, mi pento di
aver firmato", conclude.
Nel suo dramma, Bacilia ha avuto la
fortuna di essere operata da un
medico,ora deceduto. Non fu lo
stesso per la maggior parte delle
donne che passavano per le mani di
praticanti,i quali avevano degli
obiettivi da conseguire. "Si è
scoperto più tardi, interrogando i
medici, che erano pagati in
percentuale per ogni donna
sterilizzata", ha detto Josefa.
Circa 18 contadine hanno perso la
vita in seguito alle operazioni.
Molte hanno avuto delle conseguenze
permanenti. "L'operazione era molto
veloce e il giorno dopo abbiamo
ricevuto una minestra e siamo state
buttate in strada; molte siamo
tornate a lavorare presso l'azienda
agricola, come al solito, ma non
riuscivamo più a muoverci", spiega
Cléofl. Lei è uno delle più colpite
nel villaggio. Sette mesi dopo la
sua operazione fu ricoverato
d'urgenza in ospedale per forti
dolori interni. I medici avevano
dimenticato un filo di sei
centimetri nel suo ventre.
"Ora ho sempre dolori e non posso
trasportare legna da ardere", dice
mostrando la cicatrice a sinistra,
che assomiglia ad un altro
ombelico. Come la stragrande
maggioranza delle donne operate non
può avere rapporti sessuali con il
marito. "Sono fortunata , mio marito
non mi ha rinnegata"- spiega. Molte
famiglie sono state distrutte dopo
le operazioni, perché i mariti hanno
lasciato le loro mogli, giudicate
inutili in casa.
Dopo la gestione di varie
commissioni dei Diritti Umani nel
Congresso, le indagini sulla
sterilizzazione forzata al momento
all’epoca di Fujimori sono in mano
della Procura della Nazione, ma si
muovono lentamente adducendo la
mancanza di risorse. La ONG
peruviana Manuela Ramos ha
presentato insieme con la CLADEM il
caso dinanzi alla Corte
Interamericana. Le vittime sono
ancora in attesa di un risarcimento,
ma il loro destino dipende ora da
chi vincerà il ballottaggio per le
elezioni presidenziali del 5 giugno.
“
Se vincerà Keiko ( la figlia di
Fujimori) contro Ollanta Humala, non
potremo avere giustizia. Cadremo nel
dimenticatoio per sempre. Dichiara
con tristezza Cléofl Neira.
http://www.kaosenlared.net/noticia/mujeres-peruanos-esterilizadas-forzosamente-cambio-arroz
(traduzione di Anita Silviano)
Un
anno di impunità negli omicidi degli attivisti Bety Cariño e di
Jaakkola i Patricia Briseño, correspondente Cimac
pubblicata su facebook da Anita Silviano il giorno giovedì 28 aprile
2011 alle ore 20.35.d
Oaxaca - Ad un anno dall' attacco armato contro un convoglio
umanitario diretto a Juan Copala Juxtlahuacal città di San Santiago,
Oaxaca, dove sono stati u uccisi i difensori dei diritti umani,
Alberta Cariño Trujillo e l'attivista finlandese Antero Jyri
Jaakkola,non c'è un solo arrestato per l'aggressione.
Nel denunciare questo , il leader del Movimento Agrario Indigena
Zapatista (CORN), Omar Esparza Zárate, marito di Cariño Trujillo, ha
qualificato come incapace il governo federale nella conduzione delle
indagini.
"L'omicidio dell' attivista Beatriz Alberta Cariño Trujillo, - ha
dichiarato - avvenuto il 27 aprile dello scorso anno, ha lasciato
una traccia profonda nella triste storia di Oaxaca,sui loro
governanti e politici, perché sono responsabili delle violenze
commesse contro il popolo di Oaxaca e dei popoli indigeni".
Comunità come San Juan Copala , Santo Domingo Ixcatlán, Yosotato San
Pedro, San Juan e Mixtepec Zimatlán di Lazaro Cardenas, "sanguinano
a causa delle ambizioni di potere e il controllo delle risorse
pubbliche, ricchezze e risorse naturali", ha dichiarato l'attivista.
Intervistato telefonicamente da Cimacnotices, Esparza Zarate ha
detto che in questi atti di aggressione sistematica, le strategie
governative contro i difensori dei diritti umani, organizzazioni
sociali, popoli indigeni impegnati nella difesa della vita, della
giustizia e la dignità sono quotidiane perché le istituzioni locali,
statali e federali, hanno fatto diventare la violenza una pratica
istituzionalizzata.
Ha spiegato che il gruppo paramilitare dell'Unión de Bienestar
Social de la Región Triqui (Ubisort), autore dell'uccisione della
moglie e dell'attivista finlandese Jyri Jaakkola, è stato sostituito
in seguito dal governatore Ulises Ruiz Ortiz e dai politici locali
Carlos Martínez e José Mejía .
"Anche se in quest'ultimo anno centinaia di organizzazioni e
migliaia di persone di oltre 20 paesi hanno reclamatoal governo di
Felipe Calderón, che vengano puniti gli assassini, finora questo
crimine rimane impunito, e che l'inchiesta integrata dallla Procura
generale ha mostrato gravi lacune, essendo evidente che il governo
federale non ha alcun reale interesse a chiarire questi atti di
violenza e meno che mai a fare giustizia " ha aggiunto.
http://www.cimacnoticias.com/site/11042605-Un-ano-de-impunidad.46883.0.html
(traduzione di Anita Silviano)
inizio pagina
Morire di rogo
di Ana Lia
Glas
In questa
ultima settimana nuovamente due donne sono morte sul rogo, vittime
del femminicidio. L'Inquisizione è tornata nel XXI secolo nella
forma di mariti,ex mariti,amanti per punire le streghe.
Nell'ultimo anno abbiamo assistito alla nascita di una nuova forma
di femminicidio: bruciare le donne, ucciderle con i falò.
Si
registra un aumento dei casi di violenza contro le donne " di 260
donne e ragazze che sono state assassinate nel 2010, undici di esse
sono state incenerite , con un aumento (di questi casi) del 10%
rispetto all'anno precedente" secondo i dati forniti dalla Ong, "la
Casa del Encuentro" specializzata in violenza di genere.
Sembrerebbe che con l'avanzare delle donne nel mondo del lavoro,
politica, cultura, scienza, nell'accesso ai nuovi diritti. con le
legislazioni che prevengono e puniscono la violenza contro le donne,
il patriarcato si senta minacciato,si ribelli, ricorra ad antiche
figure, le streghe e i vecchi sistemi punitivi: l'Inquisizione e il
rogo.
NEL 1484
papa Innocenzo VIII condannò la stregoneria come una cospirazione
del diavolo: partiva da qui la guerra nei confronti delle donne.
Furono milioni le vittime.
Norma
Blazquez,filosofa dell'UNAM ( Universidad Nacional de Misiones.
Argentina), riferisce che "in realtà le "streghe"erano
levatrici,alchimiste, profumiere,infermiere e cuoche che avevano
conoscenza in materie come l'anatomia,la botanica,la sessualità,
l'amore o la riproduzione e che fornivano un importante servizio
alla collettività. Conoscevano molte piante, animali e minerali e
creavano ricette per curare,ma che vennero viste nel Medioevo dai
gruppi dominanti come poteri del diavolo".
Erano
guaritrici con avanzate conoscenze mediche, quando l'università fu
proibita alle donne. Le streghe furono perseguitate perché
conoscevano ed insegnavano ad altre donne come controllare il loro
destino e la loro sessualità. Possedevano la conoscenza della
riproduzione, dei metodi abortivi e questo rappresentava una
minaccia per la Chiesa e per gli uomini in generale.
Questi
saperi comportavano la possibilità di esercitare una sessualità più
libera, la quale minacciava l'egemonia maschile e, di conseguenza,
gli uomini espropriarono le loro conoscenza, annientandole sul rogo.
Inoltre, la maggior parte di queste donne vivevano da sole, in case
nel bosco,indipendenti, capaci di generare da sé il proprio reddito,
causando perciò molta diffidenza.
Qualsiasi
donna che non accettava la morale cristiana, che sceglieva di non
sposarsi, di vivere da sola, poteva essere accusata di stregoneria,
torturata e giustiziata.Oggi, molti uomini non tollerano l'autonomia
delle donne, i loro nuovi ruoli, la diversità con le quali si
manifestano, le loro rivendicazioni, il loro accesso ai luoghi di
potere,la loro ribellione (perché no). Si sentono minacciati come
secoli fa.
Il
patriarcato, il dominio degli uomini sulle donne viene messo in
dubbio, sotto scacco. Abbiamo donne presidenti, ministri, giudici
della Corte Suprema di Giustizia.
Le donne
si riuniscono ogni anno (in Argentina) nell'Incontro Nazionale
delle Donne, che ogni volta aumentano sempre di più,hanno
organizzato la Campagna per il diritto all'aborto legale, sicuro e
gratuito in numerose associazioni che lottano per i loro diritti.
Lo Stato
le ha riconosciute come soggetti di diritti attraverso la promozione
di politiche pubbliche, alcune efficaci, altre meno, ma che
significano un progresso.
Queste
nuove modalità nelle relazioni di potere non resistono al modello di
donna come oggetto,proprietà degli uomini, quest'ultimi sentono che
non possono controllare i loro corpi e decidono di assassinarle
utilizzando una metodologia atavica: il rogo.
http://www.artemisanoticias.com.ar/site/notas.asp?id=51&idnota=7339
(Traduzione di Anita Silviano)
inizio
pagina
Patriarcato e fondamentalismo, due facce della
stessa medaglia
di Cléo Fatoorehchi
Anche se in Occidente si tende a identificare il
fondamentalismo con l'integralismo islamico, il fenomeno è in realtà presente in
tutte le regioni e in tutte le religioni, con caratteristiche comuni.
Per richiamare l'attenzione sul problema e di come
questo abbia influenza in particolare sulle donne di tutto il pianeta,
l'Associazione per i Diritti delle Donne e lo Sviluppo ( AWID) ha lanciato una
nuova relazione questa settimana in occasione della riunione annuale sulla
Condizione delle Donne, svoltasi a New York.
Il rapporto si intitola " Verso un futuro senza
fondamentalismi".
Sulla traccia di una precedente inchiesta
l'AWID,la relazione rileva che i movimenti fondamentalisti tendono ad essere
intolleranti e patriarcali contrari agli interessi delle donne e con discorsi
fondati su valori assolutistici.Saira Zuberi,coordinatora dell'iniziativa
Resistiendo y Desafiando ai Fondamentalismi Religiosi, creata nel 2007, ha
rilevato che il fenomeno si sviluppa in " movimenti molto complessi e
sofisticati". Sebbene possano enfatizzare temi differenti entrambi sono diretti
al controllo sociale.Ad esempio, per quanto riguarda le donne,mentre i
fondamentalisti cristiani si concentrano sui diritti riproduttivi, gli islamici
prestano più attenzione alla promozione di un abbigliamento "modesto".E per
raggiungere i loro obiettivi i fondamentalisti sono opportunisti, cercando
alleanze dove posssono trovarle indipendentemente dall'accordo ideologico.
Secondo María Consuelo Mejía direttora dell'ONG
cattolica " Católicas por el Derecho a Decidir (CDD), il Messico ha uno scenario
di questo tipo. " In Messico oggi - ha dichiarato al quotidiano IPS - tutto è
pragmatismo politico. Non c'è ideologia, non ci sono principi... perché siamo di
fronte ad un processo pre-elettorale. L'opposizione del partito Rivoluzionareio
istituzionale si allea con la Chiesa cattolica, mentre il PAN ( il governativo
Partido de Acción Nacional) fa alleanze con il Partito della Rivoluzione
democratica ( PRD). E questro - ha aggiunto - è molto dannoso per noi".
Fondata nel 1994, questa Ong difende il diritto
delle donne di decidere della loro sessualità e riproduzione e promuove la
separazione tra chiesa e stato.
L'organizzazione ha realizzato un'indagine tra il
2003 e il 2005 in quattro paesi latino americani (Bolivia, Brasile, Colombia e
Messico) concludendo che circa il 60% della popolazione cattolica ha accettato
il diritto delle donne ad abortire in particolari circostanze. La Ong ha anche
indicato che " almeno il 70% della popolazione cattolica in Messico non segue
gli insegnamenti della Chiesa" ed usa i preservativi, pratica l'aborto e vuole
l'educazione sessuale nelle scuole. " Il 90% non vuole che la Chiesa cattolica
influenzi la politica".
Una similare organizzazione è "Catholics for a
Free Choice" nata negli Stati Uniti nel 1973 in base al principio che le
convinzioni religiose non dovrebbero limitare il diritto delle persone a
prendere libere decisioni sulla salute riproduttiva. La settimana scorsa, i
legislatori conservatori dell'opposizione del Partito Repubblicano hanno
promosso alla Camera dei Rappresentanti una riduzione dei fondi per il gruppo di
Planned Parenthood (Planned Parenthood), uno dei maggiori fornitori di salute
riproduttiva per le donne povere in quel paese. L'argomento era che si
effettuavano gli aborti.
Mejia ha dichiarato che molti di questi
repubblicani anti-abortisti sono cristiani fondamentalisti e ha rilevato una
contraddizione apparente fra i risultati delle inchieste e l'influenza politica
di questi movimenti "pro-vita".
Di solito accade che "le donne che hanno abortito
non sono disposte a sostenere un governo a favore dei diritti delle donne", ha
detto all'IPS. Questo succede perché abortire per esse ha a che fare con
"risolvere i propri problemi, e credono davvero che ciò che stanno facendo è
sbagliato". "D'altra parte, il cosiddetto movimento" pro-life 'ha molte forme e
molte altre ragioni per unificarsi, "ha detto. "Possiedono molto denaro e
persone in posizioni chiave".
Mejia ha anche osservato che la maggior parte
della popolazione messicana ha paura, e per questo non esprimono apertamente il
loro parere. Città del Messico è l'unico luogo nel paese in cui le donne possono
abortire con più di 12 settimane di gestazione. "Il patriarcato è in realtà un
fattore, una delle principali ragioni che sta dietro il fondamentalismo", ha
detto. "Rompere il patriarcato è un problema, perché significa rompere l'intero
sistema di funzionamento della nostra società". Pertanto, "l'autonomia delle
donne è violazione di una regola di dominio e del modus operandi di un'intera
società".
Lydia Alpizar, direttora esecutiva dell'AWID, ha
riferito che " anche le donne possono essere fondamentaliste e vi sono molte
donne integraliste che sono contro l'emancipazione delle donne, contro i
diritti riproduttivi e di educazione sessuale".
La relazione AWID dedica la sua ultima e più
importante parte finale alle strategie di resistenza femminista, sottolineando
l'importanza di "rivendicare una visione femminista della religione e della
famiglia". "Per troppo tempo, quelli come noi che lavorano per i diritti umani
delle donne non hanno realmente lavorato sui temi religiosi , e ho il sospetto
che questo ha a che fare con la nostra volontà di presentarci come laiche", ha
dichiarato - l'attivista femminista india Pramada Menon citata nel rapporto.
Le attiviste riconoscono adesso l'importanza del
dialogo e del dibattito con i fondamentalisti religiosi.
Fonte:
http://www.ipsnoticias.net/nota.asp?idnews=97627
(Traduzione di Anita Silviano)
inizio
pagina
http
s://www.facebook.com/notes.php?id=1738442459&s=40#!/note.php?note_id=10150109522513400
Il diritto di essere donna e mussulmana. Il
femminismo islamico di Alba Garcia
Onrubia*
L'immagine
della donna araba risponde a due costrutti strutturali che la racchiudono in
una serie di stereotipi occidentali da un lato e all'interno degli Stati
islamici dall'altro.
Lo stereotipo della donna sottomessa,
vincolata alla religione e a costumi che la opprimono, è la visione più
generalizzata vigente in Occidente. Questo stereotipo è rafforzato dalla
strumentalizzazione delle identità culturali che si fissano all'interno dei
progetti politici degli Stati arabo-mussulmani,costruendo all'interno del
patriarcato una "cultura" dell'essere donna. Questa commistione tra la donna e
l'idea di strutture culturali ancora in vigore la pongono nel tempo come tutrice
del mantenimento dello status quo, malamente denominata identità culturale.
Ma dov'è la voce delle donne arabe in questo
discorso? Quanta verità e quanto di mito mantiene la lamina del "culturalmente
stabilito?"
Questa costruzione crea concetti generali che
soprattutto all'esterno, rendono invisibile la voce delle protagoniste, le loro
storie, le donne mussulmane.
Come ha dichiarato Fawzia Kamel, capire la
situazione delle donne arabe richiede uno studio e una rivalutazione costante
dei termini cultura, politica, economia, ideologia, così come del colonialismo e
dell'idea dello Stato-Nazione, in particolare se vogliamo parlare dei movimenti
femmisti arabi. Questi hanno due caratteristiche comuni: la transnazionalità e
il carattere politico che pone in rilievo la diversità secondo la situazione
socio-politica che li attraversa. Le donne hanno svolto un ruolo fondamentale
nella storia [1] delle nazioni anche se è stata subordinata alla voce narrante
degli uomini, che hanno reso invisibile la loro azioni, trasformandole in
oggetti passivi con identità simbolica, portatrici di cultura. Le donne
mussulmane sono un chiaro esempio di questa trasformazione a riproduttrice della
società e portatrice di identità nazionale.
Un'identità nazionale costruita sempre dentro
l'ordine patriarcale che ha manipolato a suo piacimento le strutture che
permettono il mantenimento dei privilegi del dominio. I modelli sono stati
cambiati in funzione degli interessi dei differenti regimi e in questo
processo,la donna ha dovuto annullarsi e ripetere l'identità che le era stata
concessa dall'altro. E' in questo contesto che si sono articolati i movimenti
femministi di "un'altra politica " del femminismo post- coloniale, finora
silente,avviando il dibattito su nuove forme di riflessione dei paesi del Sud.
Contesto del multiculturalismo, nel quale le donne delle società periferiche
levarono le loro voci per reclamare un movimento femminista più inclusivo che
fino ad allora, la egemonia politica delle femministe occidentali aveva
mortificato.
Queste avevano segnato non solo l'agenda
politica delle rivendicazioni fino al tacitamento delle voci dissidenti in un
esercizio di dominazione e sentimento di superiorità etnocentrica, ma avevano
segnato ciò che si doveva intendere per "donna ideale" senza tener conto del
dibattito, del modo e articolazione femminista delle donne del Sud, per le quali
la dimensione di donna non era l'unica maniera di vivere l'oppressione del
patriarcato, permeata dal razzismo, dal colonialismo, dall'islamofobia, la
schiavitù, la classe sociale.. e altre forme di dominazione date dall'alto. Così
per queste donne l'oppressione del patriarcato è stata una lotta in più delle
altre battaglie che devono combattere su più fronti. Ignorare questa realtà è
strappare il ricordo e l'esperienza storica come singole e come collettivo. E'
quello che è successo con il discorso elaborato consciamente o incosciamente
dal primo femminismo borghese estraneo ed escludente, incapace di ascoltare al
di là dei pregiudizi e delle imposizioni.[3]
Prima di questa "nuova politica del
femminismo" gli studi del XX secolo sulle società mussulmane erano stati
segnati profondamente da un'immagine delle donne praticamente inesistente come
soggetto di movimento, relegata all'analisi della tradizione come sinonimo della
sua forma esistenziale. La donna è studiata più come parte integrante della
cultura, che come soggetto stesso di mobilità, trasformazione e storia stessa.
Organizzazione del movimento femminista arabo
Il movimento delle femmiste arabe inizia ad
organizzarsi ed a levare la sua voce nello stesso tempo in cui si crea il
movimento di riforma e modernizzazione del "mondo arabo", nel quale le donne
svolgono un ruolo importante come soggetti attivi. Il miglioramento della
situazione di oppressione della donna fu rivendicato non solo dalle stesse
donne ma si unirono alla causa alcuni intellettuali (uomini) che guidavano il
movimento di riforma. La donna diviene così soggetto prioritario di un
dibattito, del quale è parte, attraverso i differenti media, riviste e giornali
che riflettono le diversi correnti di pensiero.[4]
All'interno del movimento femminista arabo che
si pianifica a partire dagli anni '90, si incontra una linea divisoria tra le
femministe laiche (per lo più dalla diaspora mussulmana in occidente) e le altre
femministe islamiche. Il punto chiave di riferimento di entrambi sarà quindi,la
questione religiosa, in un dibattito tra Stato laico e Stato religioso. Sebbene
entrambi si basino sulla lotta alla diseguaglianza delle donne arabe, la
differenza consiste nell'accezione del termine "uguaglianza". [5]
Il movimento femminista arabo denominato
"femminismo arabo o mussulmano", è stato costantemente criticato sia dalla
letteratura del femminismo ortodosso (dove si comprende il femminismo laico
arabo) sia dal settore più conservatore dell'Islam. Per le femministe
occidentali, la forma con la quale le mussulmane articolano le loro
rivendicazioni, trasformano o adeguano la loro religiosità è totalmente opposta
alla liberazione della donna, mentre per i mussulmani del potere il cambiamento
e la presa di coscienza delle donne nelle loro società viene presentato come un
affronto ad Allah, dentro quello che possiamo definire come l'attecchimento a
uno dei privilegi sostenuto dal dominio. I n mezzo a questo gioco la donna
mussulmana è infantilizzata e mercificata come parte di una idea stereotipata di
donna sottomessa e obbediente la quale riconduce e guida per il sentiero della
verità (tanto per gli uni come per gli altri).Tuttavia, le strategie e la
consapevolezza di queste donne per il progresso e l'integrazione sono state in
grado di essere gestite dentro un modello di protesta contro le forme
tradizionali di oppressione, senza rinunciare alla sua identità culturale o
tornare al modello egemonico occidentale. Il femminismo è il riconoscimento dei
valori spirituali dai quali avviare i movimenti di liberazione, in una dinamica
tutta interna. [6]
Per queste donne, l'Islam non è la fonte
dell'oppressione femminile ma è stata per secoli, l'interpretazione egemonica
degli uomini di potere, sostenuta per interessi politici ed economici, che ha
creato un sistema di mantenimento dello status quo, di privilegi da oppressori,
trasformando il messaggio religioso in diseguaglianza e perdita dei diritti
individuali e collettivi degli uomini, ma soprattutto delle donne nelle loro
società. [7]
Dopo la morte di Maometto, diversi studi dei
testi sacri parlano di una distorsione nella storia dell'Islam, prendendo una
direzione molto diversa da quella originaria destinata ad attuarsi. Si è
prospettata così una visione interessata a beneficio dei successivi califfi.
Tutte le interpretazioni che sono state fatte dei testi dell'Islam, sono il
frutto del pregiudizio patriarcale, anche se l'oggetto-soggetto da trattare era
il comportamento delle donne. Così le donne mussulmane iniziano la loro lotta
femminista tentando di spezzare la dinamica sessista e reinterpretare i testi
dell'Islam con uno sguardo che guarda al Corano come "'fonte di cambiamento
nelle relazioni di genere e diritti delle donne musulmane ". [8]
Questa consapevolezza è intimamente legata
alla rivendicazione dei loro diritti che inizia come rivendicazione dell'accesso
all'istruzione, come mezzo per essere libere.
(...)Gli stereotipi sulla condizione delle
donne nell'Islam, come si può notare, sono soprattutto il prodotto dell'immagine
creata dall'esterno. E' necessario però osservare il modello che è venuto fuori
da fallito tentativo (con la morte di Maometto) di riforma in alcune parti del
mondo dove si professa questa religione.
Le pratiche sviluppate in nome dell'Islam (e
dico "in nome dell'Islam" e non "seguendo l'Islam") rispondono in molti casi, ad
un'immagine profonda di discriminazione e violazione dei diritti umani e della
dignità delle donne mussulmane. Matrimoni forzati, mutilazioni dei genitali
femminili, uso del burqa,ostacoli alla partecipazione politica; così come la
discriminazione dello stato giuridico delle donne, la destinano in molti casi,
all'isolamento e analfabetismo. Tuttavia, come sottolineato da Asma Lamrabet
[11], questi atti sono il prodotto nei secoli della interpretazione sessista e
letture decontestualizzate del Corano, che non è uno strumento di oppressione
sino a quando, come s'è visto, si è preteso di insediarlo come un elemento di
differenziazione e apertura al sistema pre-islamico. [12]
(...) Tuttavia l'immagine creata
dall'Occidente del "mondo arabo" associata al terrorismo indiscriminato, priva
di qualsiasi analisi di fondo e promotrice della paura xenofoba verso il mondo
arabo-mussulmano (come se si trattasse di un unico soggetto denominato "male
assoluto") è supportata dall'icona morale della donna -oggetto- che solo
mediante la nostra "libertà neo-liberale" sarà in grado di togliere le catene
che la limitano. Ché solamente salendo sul carro dell'Occidente libaratore,
questo Superman dei diritti umani, sarà in grado di capire la libertà e che
prevede però, l'essere intrappolata nella moda dell'immagine perfetta.
Solo così, eliminando il soggetto attivo della
donna mussulmana che lotta per i suoi diritti, dal suo modo di intendere il
mondo, possiamo legittimare azioni belliche come quelle in Irak o le leggi
discriminatorie nelle nostre scuole, contro l'uso dello hijab, senza però mai
chiederci se quelle stesse donne che vogliamo liberate, abbiano una loro voce.
* Onrubia Alba Garcia è una giornalista e
collaboratrice di Pace con Dignità e la rivista Pueblos. Nel 2010 ha completato
un Master in Relazioni Internazionali e Studi africani (UAM).
[1] Useremo "Storie" invece della storia come
idea della visione multipla che articola il mondo storico, dove diverse
opinioni, interpretazioni e punti di vista degli eventi costituiscono una realtà
dal mio punto di vista insondabile nel campo di studio. L'obiettivo è di
eliminare l'idea di una storia unica, come etnocentrica e patriarcale
interpretazione egemonica studiata nelle scuole occidentali.
[2] KAMEL, Fawzia (2003): Il femminismo
occidentale e la donna araba.Dell'orientalismo tradizionale relativismo
culturale, II Congresso Internazionale "Uomini e culture del bacino del
Mediterraneo. World egizia", 16-18 dicembre 2003.
[3] Jabardo Velasco, Mercedes (2008): From The
Black Feminism, Uma genere Mirada e l'immigrazione. In Suarez, Y., Martin, E.,
Hernández, A. (Coords.) femminismi in antropologia: nuove proposte critiche. XI
Congresso di Antropologia (n. 6). Donostia / San Sebastián.
[4] Esteban Salguero, Laura (2002): nuova
prospettiva sulla modernità araba: il dibattito femminile. Meah, arabo-Islam
sezione 51, 287-303.
[5] Moghadam, Valentino M. (2006):
L'Illuminismo e le aspettative del femminismo islamico. Convegno "Primo
Congresso internazionale sul femminismo islamico". www.feminismoislamico.org
[6] Moghadam, Valentino M. (2006), Asma
(2007b): La problematica delle donne musulmane nel dialogo delle culture.
[7] Mernissi, Fatima: l'autonomia del
femminismo arabo.[8] Marcos, Sylvia (2002): Letture alternative del Corano:
Verso una ermeneutica femminista dell'Islam, in 'Islam e la Jihad Nuovo,
Academic Journal per lo Studio della Religione, volume IV, pubblicazioni per lo
Studio Scientifico della Religione, Messico 2002 - p.53.
[9] sottosezioni all'interno del Corano che si
occupano specificamente della questione delle donne in una prospettiva di parità
con gli uomini.
[10] SCHENEROCK, Angelica (2004) oltre i veli
ed i capelli: La rielaborazione etnica e di sofferenza generale musulmano in
Chamula San Cristobal de las Casas. Preliminare. Studi Sociali e Umanistiche
2004, Vol. 2. Disponibile online:
http://redalyc.uaemex.mx/src/inicio/ArtPdfRed.jsp?iCve=74511794007
[11] femminista islamica difensore della
libertà nell'uso del hijab.
[12] Lamrabet, Asma (2007): i problemi delle
donne musulmane nel dialogo delle culture. Convegno: Scuola di Architettura
presso l'Università di Palma de Gran Canarias.
Fonte:
http://www.revistapueblos.org/spip.php?article2001
inizio
pagina
v
https://www.facebook.com/#!/note.php?note_id=10150161823078400
Islamofobia: "La donna è trasformata in capro
espiatorio sulla quale esercitare pressioni"
I paesi europei hanno bisogno di regolamentare
il niqab e il burqa ?
Ndeye Andújar: No. Per vari motivi: perché
sono estremamente rari i casi e perché è controproducente. E’'ovvio che si sta
costruendo e confezionando una visione negativa dell'Islam, quando in realtà il
niqab e il burka non hanno nulla a che fare con la religione. Sono abiti
tradizionali dell'Arabia e Afghanistan, anteriori all' Islam. Penso che le
misure coercitive dovrebbero essere sempre evitate e,in ogni caso, dovrebbero
essere prese solo quando altre misure risultino inefficaci. La Francia è un
paese ultralegalista, tutto deve passare per la legge e si dimentica che il più
delle volte l'insegnamento è più efficace delle sanzioni pecuniarie o dei
processi.
Laure Rodriguez: l'Europa non è uno spazio
omogeneo, la realtà di ciascun paese e la forma della regolamentazione delle
varie pratiche devono rispondere a ogni specifico contesto.
Che la Francia adotti determinate misure non
significa che esse siano applicabili al nostro( od a qualunque) contesto. La
Francia è un paese costituito su una repubblica, uno Stato laico e una politica
che tende all'assimilazione. La Spagna è un paese con la presenza di una
monarchia, il cui governo si dichiara laico e le cui politiche vanno verso il
multiculturalismo. Sinceramente non capisco il motivo del dibattito e la
necessità di regolamentare una pratica che non ci tocca.
Pensate che siamo di fronte ad un reale
dibattito o è una questione puramente elettorale?
NA: Siamo di fronte ad un clima di asfissiante
islamofobia. Vi è anche una crisi dei diversi modelli sociali europei che
richiedono l'assimilazione (anche se eufemisticamente si parla di integrazione)
che hanno dato priorità alle politiche di sicurezza i cui effetti negativi
stiamo vivendo adesso.
Tra un anno in Francia si terranno le elezioni
presidenziali .Il Fronte Nazionale sta guadagnando punti e l'Ump (il partito di
governo) cerca di recuperare gli elettori persi adottando misure molto popolari
in questa materia. Sta avvenendo un trasferimento pericoloso dei discorsi del FN
e l'UMP.
LR: nel contesto spagnolo, qual è il vero
scopo della regolamentazione? La liberazione delle donne? I motivi di
sicurezza "Un altro modo di censurare l'Islam nello spazio europeo?
Personalmente credo ad un uso elettorale della paura e del rigetto che provocano
le differenti pratiche dei musulmani. Alcune Giunte comunali adottano misure
"preventive", anche quando non ci sono donne che indossano quegli elementi il
che può essere interpretato come un chiaro segno di islamofobia.
Come influisce sulle donne mussulmane questo
divieto?
NA: In una maniera molto negativa perché,
anche se la stragrande maggioranza delle donne mussulmane europee non portano né
il burqa né il niqab, e sanno che nessuno può imporre alcun abbigliamento, sta
avvenendo un amalgama nei media, tra i politici e alcuni intellettuali
nell'equiparare questi abiti con l'hijab e, per estensione, con l'Islam.
Funziona come una sineddoche.
Questa volta le donne mussulmane vengono
stigmatizzate con qualcosa con il quale neanche si identificano. Il rischio che
corriamo è che si produca un effetto a specchio, cioè che le comunità mussulmane
finiscano per integrare il discorso della maggior parte della società e pensino
che giacché si sta coartando la loro libertà religiosa, allora devono difendere
quei vestiti. Le posizioni si polarizzano e il cerchio si chiude..
LR: Si presume che l'obiettivo sia quello di
liberare le donne perché le si crede costrette a subire una situazione di
violenza di genere. Il divieto è totalmente illogico in questo concetto perché
punisce la vittima, piuttosto che liberarla da questa responsabilità. Qualcosa
di così assurdo come dire che si dovrebbe punire le donne maltrattate contro
l'aggressione dai loro partner. Quante volte una donna che si trova in una
situazione di violenza è consapevole di questo fatto? Penso che questo porti ad
un effetto totalmente opposto. I nostri corpi tornano a diventare barriere di
contenimento e questa è un'altra forma in più di violenza di genere.
Coloro che difendono il provvedimento, lo
giustificano con il fatto che il burqa e niqab limitano la libertà delle donne,
giacché sono i loro mariti che le costringono ad usarlo. E 'una buona lettura?
NA: Io non conosco nessuna donna che indossa
il niqab e il burqa. Caso mai bisognerà chiederlo ad esse
Ho visto alcuni documentari, uno francese e
uno olandese erano ragazze molto giovani che non erano ancora sposate. Non so se
sia il profilo maggioritario perché non sono molti gli studi per confrontare i
dati.
LR: In Spagna sono solo una trentina le donne
che usano il niqab o il burqa a fronte dei 600.000 musulmani. Il burka
direttamente non esiste nel nostro spazio.
Ciò di cui bisogna avere consapevolezza è che
né il niqab né il burqa risponde alla rivelazione coranica. In Europa, questi
indumenti rispondono ad un discorso politicizzato di un determinato gruppo
settario che cerca di difendere la teoria della domesticità della donna
(relegata nello spazio domestico). Fa parte degli assunti ideologici che seguono
coloro che sono caduti vittima di questi gruppi (di minoranza).
Pensi che la regolamentazione dell'uso del
burqa o niqab favorisca la libertà delle donne
NA : la regolamentazione dell’uso del niqab
favorirebbe la libertà delle donne se fossero tutte sottomesse, tutte
sequestrate, non avessero un proprio giudizio, se a tutte fosse imposta una
punizione per essere donna. E 'chiaro che proiettiamo i nostri pregiudizi e
immagini fabbricate dai media come una verità inconfutabile su queste donne.
Vediamo l’iraniana lapidata o l’afgana vittima dei talebani! E' lapalissiano che
si gioca con il subconscio delle masse per giustificare guerre e trasferire
questi problemi in Europa. Implicitamente è un modo per dire alla gente che
l'Islam è una cosa da barbari e quindi non ha posto nella civile Europa. Per
sfuggire alla concezione essenzialista occorre fare studi in materia,dare la
parola alle protagoniste e vedere la diversità di risposte e di esperienze. Le
fondazioni Open Society ha appena pubblicato un rapporto nel quale si trovano
intervistate 32 donne che indossano il niqab, in Francia . La maggior parte sono
donne nate in Francia compresa un quarto delle convertite e quasi la metà ha
deciso di indossarlo a causa delle polemiche sorte intorno alla questione nel
2009! E 'un dato su cui riflettere.
LR: Io penso che circoscrivere la nostra
esistenza al solo modo di vestire sia mercificare i nostri corpi, è una delle
forme più violente di trattare un essere umano.
Insisto nella necessità di combattere tutte le
forme di violenza contro le donne, promuovendo le misure necessarie per
criminalizzare gli atti di coloro che favoriscono ogni genere di apologia del
terrorismo di genere e non punire o perseguire le donne che sono vittime di una
pandemia globale che implica la violenza contro le donne
Al contrario, il burqa o il niqab sono un
simbolo della repressione contro le donne?
NA : non credo che siano un simbolo di
qualcosa. Si tratta di un pezzo di tessuto che rende difficile la comunicazione
con altre persone, è una barriera visiva e una risposta postmoderna alla
questione della identità e relazioni sociali. Forse le donne che lo portano si
sentono a loro agio o, forse, è una sorta di reclusione mobile volontaria ,
simile a quello che sentono le suore di clausura, ma in questo caso la clausura
è visibile e, quindi, scioccante.
Ovviamente per quelle donne che sono costrette
a portarlo deve essere un’esperienza traumatica, violenta, come qualsiasi
imposizione (come lo è anche lo svelamento contro la loro volontà).
LR: Penso che abbiamo bisogno di andare oltre
il mero abbigliamento e vedere che tipo di discorsi ideologici si nascondano
dietro . Che cosa si promuove? Come si stabiliscono i rapporti tra i sessi?
Quali sono le risposte alla "modernità" (intendendo con modernità quello che si
considera come interferenza occidentale)?
La donna è stata trasformata nel capro
espiatorio sulla quale esercitare pressioni, marginandola e rendendola incapace
di sviluppare la piena indipendenza, perché è confinata nel limitato spazio
domestico. Si profila una mistica della femminilità deforme e mutilatrice in
risposta a queste idee di "liberazione occidentale" che chiedono occupazione
delle donne nello spazio pubblico. E qui che assume importanza questo tipo di
abito, perché, nel caso estremo di dover prendere contatto con il mondo esterno
sarà sotto forma di indumento che frena le relazioni sociali e l'accesso al
mercato del lavoro: in definitiva un ostacolo all’ esercizio politico del
diritto di cittadinanza.
Ndeye Andujar è una professora .
Laura Rodriguez è la presidente dell'Unione
Donne Mussulmane in Spagna
http://www.webislam.com/?idt=19221
(traduzione di Anita Silviano)
inizio
pagina
Le
donne mussulmane femministe esigono la parità di genere nel contesto dell'Islam
Traduzione di
Anita Silviano
Alla ricerca
delle motivazioni religiose per la sua tesi ""L'oppressione della donna
nell'Islam", Marie Laure Rodríguez non ha però trovato nel Corano nessun
passaggio discriminatorio. In più, ha trovato un testo precursore
dell'eguaglianza di genere. Femminista "da sempre", la basca Rodriguez si è
convertita all'Islam, 28 anni fa.
Oggi, è la Presidente dell'Unione delle Donne Mussulmane (Umme), organizzazione
che aderisce al IV Congresso Internazionale del Femminismo Islamico.
"Sono più
femminista di prima della mia conversione all'Islam, perché la mia religione mi
permette di essere una donna libera" ha spiegato Marie Laure che definisce il
femminismo islamico come il movimento che cerca la liberazione delle donne in
seno all'Islam.
Le prime femministe mussulmane, furono le scrittrici e le intellettuali nel
primo decennio degli anni '70. Formatesi nelle università europee, scoprirono
che non avevano nulla da condividere con il femminismo secolare emergente in
Occidente.
La loro lotta(jihain in arabo) è stata diversa ed hanno fondato la loro
battaglia per l'uguaglianza all'interno degli insegnamenti di Muhammad.
Allo stesso tempo in Malesia, un'associazione dal nome " Sorelle dell'Islam" fu
pioniera nella lotta per la liberazione delle donne dal giogo del potere
politico che le sottometteva nel nome della religione.
Il velo, "una
distrazione"
Donne
lapidate dai parenti, bruciate da mariti stizziti, l'ablazione del sesso o del
burqa, sono realtà in alcuni paesi mussulmani. "E riguarda il 100% delle
informazioni sulle donne data dai media". Ma - dichiarano le femministe, -
nessuna di queste aberrazioni sono giustificate dall'Islam. "Sono il frutto di
interpretazioni politiche erronee e interessate per perpetuare il controllo
sulle donne della sharia (codice che regola la morale e il comportamento dei
mussulmani), ha dichiarato Zahira Kamal, ex ministra delle donne in Palestina.
Questi gruppi di femministe che fondano la loro lotta sull'istruzione delle
donne e per l'accesso al potere pubblico hanno portato dei cambiamenti nel mondo
mussulmano.
Citano le riforme di Mohamed VI - primo monarca a permettere ad una donna di
pronunciare nel venerdì di Ramadan, il sermone in una moschea, che ha riservato
per legge il 10% dei seggi in Parlamento alle donne o le modifiche della legge
civile Palestinese che ha modificato l'età matrimoniale e abrogato la figura del
"tutore" per le donne. Ma le radici del patriarcato e l'ascesa del
fondamentalismo in paesi come l'Iran e l'Afghanistan rappresentano una battuta
d'arresto per la lotta.
Esistono
correnti all'interno del femminismo islamico, moderate e radicali, però tutte
rifiutano categoricamente di parlare del velo -hijab ( e della sua proibizione),
perché dichiarano "è una scusa per distrarre da altre problematiche di fondo".
Qualcuna lo porta sempre, alcune mai, altre “qualche volta", perché non è un
simbolo di sottomissione- ha sostenuto Marie Laure.
Mussulmani
antifemministi
L'opposizione
frontale alla 'jihad di genere, viene rinforzata dalle compagne di fede. La
maggior parte delle mussulmane credono che il femminismo islamico sia una
minaccia per la loro tradizione e religione. Donne come Masuma Assad
(dell'Unione Donne Mussulmane Argentine) dichiarano che "il femminismo islamico
punta alla distruzione dell'Islam per sostenere i principi della laicità nelle
società islamiche”.
Recentemente, Marie Laure ha invitato come presidente dell'Umme, i responsabili
delle moschee spagnole a consentire l'accesso alle donne dalla porta principale,
"Se 15 secoli fa, siamo entrati paritariamente dalla porta principale, perché in
pieno XXI secolo, in un paese democratico non lo possiamo fare?"
Gli uomini che dirigono le moschee più progressiste hanno chiesto alle donne di
prendere esse la decisione.La maggioranza ha deciso di non rompere il consenso.
Nonostante questa sconfitta l'Associazione delle Donne mussulmane, ha dichiarato
che pur essendo un movimento di minoranza, essa ha un futuro. La presidente
Marie Laure a tal proposito ha dichiarato: La seconda generazione di donne
musulmane, che hanno maggiore accesso all'istruzione, iniziano a mettere in
discussione il modello religioso ereditato, che nulla ha a che fare con
l'essenza dell'Islam e sono pronte per i cambiamenti.
da webislam.com
httpsinizio
pagina://www.facebook.com/notes/anita-silviano/islamofobia-la-donna-è-trasformata-in-capro-espiatorio-sulla-quale-esercitare-pr/10150164864843400
Maquilas: Vietato parlare,
ammalarsi, rimanere incinte e organizzarsi
di Alba Trejo
(SEMlac).-
"Testa di gambero", testa di pollo,"merda "," colera ", questi sono gli insulti
che in coreano o in inglese usano i datori di lavoro per offendere le donne
guatemalteche che lavorano nelle fabbriche di questo paese .
Gli insulti, che sono spesso pronunciati ad alta voce,vengono accompagnati da
pressioni sabotando il loro lavoro, rubandole quote o trasferendole ai peggiori
aree lavorative,dove sono costrette a sollevare carichi pesanti per esasperarle
in modo da cedere al ricatti sessuali delle quali sono vittime ogni giorno nelle
maquilas.
Tania
Palencia, una sociologa, nella sua ricerca dal titolo " Pancia piena non crede
nella fame degli altri," descrive come nelle maquilas persiste l'intolleranza di
fronte alle gravidanze delle dipendenti,gli abusi che le costringono ad eseguire
gli obiettivi di lavoro sotto minacce, o le sanzioni economiche imposte se si
ammalano e la perdita del lavoro.
Lilian Solis, dell'unità di Genere del Ministero del Lavoro, lo conferma: l'ente
ha ricevuto almeno 255 denunce in un anno per questo tipo di abusi.
Il Guatemala è l'industria tessile più grande della regione all'interno della
quale ci sono circa 40 aziende tra tessitura e filatura che producono
annualmente 165 milioni di prodotti di stoffa e di 27 milioni di filo e filati.
In questa
regione vivono la maggior parte delle donne indigene, ma anche le meticce sono
assunte da queste fabbriche
Lilian spiega che non tutte osano denunciare quando lavorano, perché hanno paura
di ritrovarsi senza niente, dato che rischiano il licenziamento immediato.
Ad esempio,la lavoratrice Lorena Simon, non ha avuto il coraggio di parlare fino
quando la società per la quale lavorava, chiuse improvvisamente lasciando per
strada 800 dipendenti e senza nessun pagamento.
"Controllavano il tempo per andare in bagno. Quasi non ci lasciavano bere
(acqua) e l'assenza di un giorno per andare alla sicurezza sociale, ci costava
30 dollari che toglievano dallo stipendio", ha testimoniato nella ricerca su
citata, che documenta la situazione delle maquilas in Guatemala.
Le donne guatemalteche nelle fabbriche tessili o agricole non riescono a
guadagnare neppure un salario minimo, che è di circa 250 dollari, mentre il loro
salario mensile è all'incirca tra 150 /200 dollari.
Maritza
Velasquez, dell'Associazione dei lavoratori domestici e delle Maquilas, ha detto
a SEMlac che per le lavoratrici il salario va diminuendo tutti i fine settimana
perché quando ne ha voglia il datore di lavoro lo decurta capricciosamente.
Abusi, pressioni, ricatti, molestie sono gli elementi che caratterizzano una
fabbrica in questo paese centro americano, dove le regole di contrattazione
cambiano quando si tratta di una donna.
Avere 30 anni, essere donna e senza istruzione è sinonimo di inutilità per
alcuni settori lavorativi e nel caso delle fabbriche tutto ciò viene
confermato,dichiara Marta Olga Rodriguez della Commissione della Donna del
Congresso della Repubblica, che ha organizzato gruppi di lavoro per migliorare
l'occupazione nelle maquilas.
Maritza Velásquez ha inoltre aggiunto che nei primi anni Ottanta,le operaie
della fabbrica erano l'82 per cento della forza lavoro, ma oggi quel numero è
diminuito, in quanto vi è una distorsione nel reclutamento di giovani uomini,
perché essi hanno una maggiore capacità fisica di raggiungere mete estenuanti e
non chiedono permessi a causa degli impegni di famiglia o di gravidanze.
Il profilo di una guatemalteca che lavora nelle maquilas è la povertà: vive in
aree marginali, non ha terminato le elementari, e non ha alcun diritto.
Analogamente,
donne le cui madri non hanno avuto accesso allo studio e sono state indirizzate
a vendere verdure o a lavare e stirare in case private.
Inoltre, Maritza ha rilevato che è nella fabbrica tessile che si trova la più
grande quantità di manodopera, per cui è il luogo dove c'è più sfruttamento,
abuso, repressione della organizzazione, molestie sessuali per far raggiungere
gli obiettivi in tempo. E in molti casi le donne sono costrette a lavorare più
di 10 ore al giorno,per sette giorni alla settimana, a soli 85 dollari ogni due
settimane.
La Commissione dell'Industria di Abbigliamento e Tessile (Vestex), un'entità che
comprende tutti i datori di lavoro della maquila in questo paese, supporta e
sostiene l'apertura di aziende tessili, ma più della metà delle maquilas sono in
questo ordine, coreane, americane e guatemalteche.
La Vestex rappresenta 156 fabbriche di abbigliamento, con una potenza installata
di 59,900 macchine e una manodopera di 56,702 dipendenti. Le principali aree di
attività sono situate ad ovest del paese.
Però ci sono 271 aziende fornitrici di servizi accessori che fanno parte di
questo gruppo, in attività come la serigrafia, ricamo, etichette, prodotti
chimici, tintori, laboratori tessili, tra gli altri.
La maggior parte dell'industria tessile e di abbigliamento si trova nella
regione metropolitana e nella zona circostante, una distanza di non più di 30
minuti dalla capitale.
La ricerca "La pancia piena non crede alla fame degli altri" rileva che
attualmente le donne che hanno superato i 30 anni sono respinte perché tendono
ad ammalarsi, mentre datore di lavoro fa tutto il possibile per assicurare che
il personale resti il più a lungo nelle ore di lavoro.
Ma Lilian Solis, funzionaria del Ministero del Lavoro,contraddice ciò e afferma
che l'85 per cento della forza lavoro nelle maquiladoras sono donne, e che
queste sono capi - famiglia e madri che devono coprire le spese di base,i
pagamenti dei servizi,dell'istruzione e della sanità, con una paga giornaliera
di 7,05 dollari.
Floridalma Contreras, delle area della Donna del Centro per l'Azione legale sui
diritti umani, ha dichiarato che negli ultimi sei anni sono stati trattati in
Guatemala 45.196 denunce lavorative delle maquila.
Carla Caballeros, manager della Vestex ritiene che non si possa generalizzare e
che le imprese appartenenti a questa corporazione devono conformarsi ad un
codice di condotta, che tutti dovrebbero seguire.
Proprio la situazione che devono affrontare, sottolinea Tania Palencia nel suo
lavoro di ricerca sulle maquilas ha permesso alle donne del Guatemala la
crescita della loro forza interiore, perché il salario ha dato ad esse il potere
di sopravvivere se i loro mariti le abbandonano, per darsi valore e separarsi
dai loro partner (in caso di abusi) o decidere di rimanere incinta e scegliere
di non vivere con il padre.
http://www.redsemlac.net/web/index.php?option=com_content&view=article&id=985:maquilas-prohibido-hablar-enfermarse-embarazarse-u-organizarse&catid=52:poblacion--sociedad&Itemid=71
(traduzione
di Anita Silviano)
sinizio
pagina:/
Il mito
della madre perpetua il sistema patriarcale
di Cruz Guadalupe Jaimes
(CIMAC) .-
L'amore e l'istinto materno - dichiara Lorena Saletti Cuesta, ricercatrice
presso l'Università di Granada, in Spagna, nel suo libro " Proposte teoriche
femministe femminista in relazione al concetto di maternità" -
sono
costruzioni culturali che vengono apprese e riprodotte dalle donne.
Mentre la
capacità di partorire è qualcosa di biologico, la necessità di trasformare la
maternità in un ruolo centrale per le donne è il risultato del mandato sociale -
spiega nell'analisi.
La
ricercatrice afferma, sulla base di studi femministi, che "la maternità è
sentimento variabile a seconda della madre, della sua storia e della storia."
La
costruzione culturale della maternità crea "un nuovo tipo di vincolo e un nuovo
mito: la convinzione che ogni donna non è soltanto una madre potenziale, ma è
una madre nel desiderio e bisogno. Non vi è alcun istinto materno, la maternità
è una funzione che le donne possono o no sviluppare ".
Nel designare
come fatto naturale l'essere madre, " l'ideologia patriarcale spiega Saletti -
colloca le donne nell'ambito della riproduzione biologica, negandole l'identità
al di fuori della funzione materna".
Aggiunge
inoltre che la possibilità biologica "diventa un mandato sociale attraverso
l'affermazione di un istinto materno universale nelle donne."
Così, il mito
dell'istinto materno,che si suppone naturale ed intrinseco predestina le donne
ad essere madri affinché di dedichino prioristicamente alla cura dei figli e
figlie.
La
considerazione della maternità, come fatto naturale e inevitabile, ritiene che
ogni donna dovrebbe volere e vorrebbe essere una madre, e che quelle che non
possono esserlo biologicamente o rifiutano di svolgere tale funzione "sono
deviate o carenti in quanto donne".
Culturalmente, alle donne non solo si chiede di essere madri, ma devono esserlo
dimostrando un "amore incondizionato" che la società stabilisce: se non
dimostrano questo affetto sono classificate come "cattive madri".
Per la
teorica femminista Simone de Beauvoir, cita Saletti, il posto delle madri nella
società è un luogo di subordinazione e di esclusione dalla categoria di soggetto
sociale.
L'ambito
pubblico e privato collaborano nel mantenere questo sistema sociale, ma non
godono dello stesso prestigio all'interno di esso, visto che -sostiene la
ricercatrice - la procreazione ed educazione dei/delle bambini/ne non è
riconosciuta come lavoro produttivo dalla società.
Il mito della
maternità serve a nascondere la reale assenza di importanza che la società
attribuisce a questo faticoso, complesso e determinante lavoro. Siccome essere
madre è qualcosa di "naturale" poco si riconosce l'alto costo personale che la
maternità rappresenta per le donne - ha dichiarato Marta Lamas nel suo articolo
"Madrecita Santa" contenute nel libro "Miti messicani".
Il crollo del
mito della " santa madrecita" dovrebbe portare quindi ad una ri-definizione di
una nuova forma gioiosa, condivisa e responsabile di avere e crescere figli.
Smettere di considerare conclude l'esperta - la maternità come sinonimo e
cominciare a considerarla ome un fatto amoroso che richiede per poterla
esercitare pienamente, un passo preliminare: l'amore della donna per se stessa.
http://www.cimacnoticias.com/site/11050907-CONTEXTO-ESPECIAL-M.46992.0.html
(traduzione
Anita Silviano)
sinizio
pagina
SEMlac .-
"C'è un grande disconoscimento della nostra realtà da parte delle autorità, per
questo vi chiediamo di visitare le nostre comunità, parlare con noi, i nostri
leader vivere e conoscere in modo diretto i problemi economici, di sanità e
istruzione che affrontiamo ogni giorno" , ha dichiarato Andrea Campos Jari,
leader della Federazione Regionale delle Donne Ashaninkas, Nomatsiguenga e
Kakintes (Fremank).
La Campos,
insieme a una cinquantina di donne leader amazzoniche, vestite nei loro costumi
tradizionali e accompagnate dai loro bambini e bambine e dai leader delle loro
comunità sono arrivate nella capitale peruviana dalla selva centrale del Perù
per partecipare alla audizione pubblica: " Situazione delle donne Indigene
Amazzoniche e Proposte di cambiamenti Elaborati dalle Donne ", che si è svolta
al Congresso della Repubblica.
Donne
Ashaninkas e Nomatsiguengas della Selva Central, Donne Awajun dell'Alto Marañón,
rappresentanti delle popolazioni storicamente esclusi dall'esercizio dei loro
diritti individuali e collettivi, hanno spiegato perché il territorio è un
elemento fondamentale per esse e le loro comunità e hanno chiesto la corretta
applicazione delle norme nazionali e internazionali, in particolare la
Convenzione 169 della OIT.
Il Congresso
peruviano ha firmato e ratificato il 2 dicembre 1993, la Convenzione 169, i cui
principi fondamentali sono il rispetto e la partecipazione delle comunità
native, il rispetto del territorio, alla vita, alla salute, cultura e alla
religione, alla loro organizzazione politica,sociale, economica e di identità e
la partecipazione alle scelte statali che li riguardano direttamente e la
partecipazione alla vita politica nazionale ed economica nazionale.
L'istruzione
non arriva
Nella sede
del Potere Legislativo peruviano, le leaders amazzoniche hanno rilevato che la
mancanza di accesso all'istruzione è un altro problema nell'Amazzonia peruviana,
dove il tasso dell'analfabetismo femminile varia dal 76,3 per cento nel caso
della popolazione Nomatsiguenga, del 54,2 nel Ashaninka, 38,4 in Kakinte, del
73,9 nel caso di Awajun,situazione aggravata dalla grandi debolezze del sistema
di istruzione nazionale.
"Siamo state
escluse e discriminate da sempre , abbiamo il diritto all'attenzione
interculturale bilingue come previsto dalla Convenzione 169, ma gli insegnanti,
per lo più parlano solamente castigliano", ha denunciato alla pubblica udienza
Maritza Casancho Rodriguez, leader dell'area Casancho della comunità di San
Ramón de Pangoa, situata nel sud-est del dipartimento di Junin.
Da parte sua,
Campos, della Fremank, ha riferito che nelle scuole della sua comunità, Betania,
situata nel quartiere di Rio Tambo, nella provincia di Satipo, così come a
Junin, molti insegnanti non sono bilingue. "Insegnare solo in spagnolo e questo
è un problema, perché non disconosono che le comunità indigene hanno il diritto
ad una educazione interculturale bilingue," ha precisato.
Le donne
hanno chiesto l'attuazione di un' educazione interculturale bilingue che ponga
fine al razzismo e all'esclusione che continua a caratterizzare il paese e la
promozione di campagne di alfabetizzazione per donne adulte nelle comunità, in
coordinamento con i settori dell'Istruzione, Sanità e il Ministero della Donna.
L'abbandono
nel quale vivono le comunità indigene si mostra anche nei sistemi sanitari. Meno
della metà (49,9%) delle comunità indigene hanno un qualche tipo di struttura
sanitaria e solo il 45,5 per cento possiede una valigetta appropriata per le
emergenze. La metà dei decessi si verifica prima di 42 anni, 20 anni in meno di
vita rispetto alla media nazionale.
"Non abbiamo
mai avuto un'attenzione di qualità. Gli operatori sanitari disconoscono la
Convenzione 169 dell'OIT, che stabilisce che le comunità native hanno il diritto
ad un'attenzione interculturale bilingue.Si rende necessaria la presenza di
traduttori nei posti di salute e negli ospedali per servire adeguatamente la
popolazione indigena non parla spagnolo, "si lamenta Casancho.
Per
affrontare questa drammatica situazione si richiede un aumento delle risorse per
la Sanità delle comunità indigene; campagne promozionali per la difesa dei
diritti sessuali e riproduttivi, l'incorporazione della medicina tradizionale
all'interno del sistema sanitario, la sensibilizzazione e formazione del
personale sanitario per fornire cure di qualità e premuroso nel quadro della
Convenzione 169.
Le donne
amazzoniche hanno anche riferito che sono vittime di violenza e ha chiesto la
formazione e la sensibilizzazione delle comunità per affrontarla.
"Chiediamo la
formazione di tutta la comunità: donne, uomini, adolescenti e bambini/ne sui
diritti delle donne e il grave problema che significa violenza", ha affermato
Claudia Gioia Potsoteni, segretaria dll'economia della FREMANK e membro della
Comunità San Miguel de Otica.
Nel caso
delle autorità e dei leader delle comunità native, ha rilevato che oltre ad "
essere sensibilizzati , devono essere formati sulle leggi e accordi nazionali e
internazionali, affinché possano dare una buina giustizia. Noi non combattiamo
contro i nostri compagni uomini,quello che vogliamo è la pari opportunità ", ha
dichiarato la leader del Rio delle Amazzoni.
Tra il
gennaio e ottobre 2010, secondo il Centro di Emergenza Donne di Satipo, sono
stati trattati 314 casi di violenza familiare e sessuale e la cosa peggiore è
che i funzionari incaricati di questo servizio non conoscevano l'idioma nativo,
il quale rileva che gli approcci di cura non incorporano la diversità e la
cosmovisione della donna amazzonica sulla violenza e l'ingiustizia.
Riparazione
per le vittime della violenza politica
Sugli effetti
dei conflitti armati che hanno scosso il paese tra gli anni Ottanta e il 2000,
tema del quale si parla poco, Jonatan Sharett Quinchoker, presidente
dell'Organizzazione Campa Ashaninka del río Ene, ha espresso la sua
preoccupazione per le vittime della violenza politica e chiesto che siano
beneficiarie del Piano Integrale delle Riparazioni.
"Durante gli
anni ottanta - ha proseguito - i terroristi sono arrivati nella nostra comunità
e si sono portate a molti giovani causando grande dolore per le madri che hanno
sofferto per la loro partenza. Noi non vogliamo la violenza, ma ora la droga è
un grosso problema per noi perché cresce di giorno in giorno. Le donne indigene
temono per i loro figli perché possono essere catturati o rapiti per lavorare
nelle coltivazione di coca ".
Nella giungla
centrale nella zona VRAE (abbreviazione di Valle del fiume Apurimac e Ene),
adiacente ai territori asháninkas, rimangono le ultime roccaforti dei Sendero
Luminoso (organizzazione terroristica che si è scontarta con lo stato peruviano
negli anni ottanta) in collaborazione con le bande dei narcotrafficanti.
Si stima che
nella zona vi siano circa 17.000 ettari di foglia di coca che rendono una
produzione annua di 160 tonnellate di cocaina, secondo l'Ufficio delle Nazioni
Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
Da parte sua,
David John Chanqueti Chumpate, a capo della Comunità alto Kiatari,che si trova
nel quartiere di Pangoa, provincia di Satipo, ha rilevato che l'attuale governo
non fa attenzione alla comunità indigene del paese, tuttavia, "mi sento felice
perché per la prima volta c'è un incontrointeretnico in seno al Congresso della
Repubblica per presentare le proposte delle donne ".
Le leaders
hanno consegnato l'agenda delle proposte elaborata congiuntamente tra
istituzioni delle quali fanno parte, membro del Congresso di Washington Zeballos
Gámez, presidente della Commissione del popolo Andino Amazzonixo e
Afro-peruviano Ambiente ed Ecologia del Congresso.
http://www.redsemlac.net/web/index.php?option=com_content&view=article&id=1021:peru-mujeres-de-las-comunidades-nativas-exigen-sus-derechos&catid=45:derechos-indigenas&Itemid=64
(traduzione
di Anita Silviano)
Il corpo
delle donne, bottino della narco-guerra In Nuevo Leon sono state uccise
quest'anno 65 donne, nove delle quali erano minorenni. di Sanjuana Martínez
Traduzione di Anita Silviano
Scene della
narco-guerra femminicida in sette giorni: una nella città di Cadereyta verso il
Palmetto, il corpo di una donna tagliato in sei parti all'interno di un bagno
zincato.
Due: la testa
di una donna tra la strada Gonzalitos e Francisco Rocha, all'angolo del
ristorante El Gran Pastore.
Tre: un taxi
parcheggiato davanti all'edificio della Salute Pubblica nel comune di Guadalupe;
sul sedile posteriore, un secchio di vernice di 19 litri con dentro la testa di
una donna.
Quattro: due
sacchetti di plastica sulla strada statale della Hacienda El Alamito; dentro,
cinque pezzi di un corpo di donna senza testa.
Dall'inizio
di quest'anno sono già più di 65, nove delle quali minorenni, le donne
assassinate in Nuevo León con metodi brutali, primitivi: la maggior parte delle
quali, oltraggiate sessualmente. Si tratta del femminicidio più crudele legato
alla guerra contro il narcotraffico ed è invisibile: un femminicidio che mutila,
taglia, cuoce, squarta, scortica ...
La
narco-violenza colpisce più le donne. I loro corpi diventati bottino di guerra
sono utilizzati per lo sfruttamento sessuale, per intimidire gli avversari,
minacciare e causare più danni ai nemici.
Una violenza
sessuale caratterizzata dal furore, il disprezzo e l'odio di genere.
Non è facile
monitorare l'orrore femminicida in questi tempi di guerra e Alicia Leal,la
presidente di Alternative Pacifiche lo sa bene. Da 15 anni lotta contro la
violenza di genere e gestisce due rifugi per donne maltrattate. I casi che
accoglie ora per la narco-violenza sono terribili. Mai nella sua vita aveva
visto quello che succede adesso: il corpo delle donne è il bottino in questa
guerra. Con più crudeltà. E 'una violenza estrema in termini di coercizione e
lesioni. C'è un sadismo impressionante.
Quelle che
non muoiono e arrivano ferite portano i segni di stupri collettivi, donne che
mentre vengono violentate sono torturate con le sigarette accese o tagliuzzate
con i coltelli.
Sembra un
film dell'orrore, ma è la realtà.
Storie
spaventose.
Si chiamava
Perla Elisabetta Campos Garza, aveva solo 22 anni e lavorava in un'agenzia di
noleggio auto situato a Cadereyta a 40 miglia ad est di Monterrey, un impiego in
cui era obbligatorio indossare una camicetta mostrando la scollatura e stretti
pantaloncini corti. Il suo compito era quello di attirare i clienti davanti alla
porta del negozio ballando ritmicamente. Un metodo promozionale con due o tre
ragazze,utilizzato nei depositi della birra di Monterrey.
Perla aveva i
capelli tinti di rosso. Finì di lavorare alla mezzanotte e non arrivò più a
casa. Alle 08:40 del primo giugno la polizia ricevette una chiamata per avvisare
che una donna mutilata era stata abbandonata in un crepaccio. Gli agenti
cercarono ma non trovarono il posto. Dodici giorni dopo ricevettero una seconda
chiamata nella quale si precisava il luogo. Si trattava della comunità Palmitos
a tre chilometri da Cadereyta. Lì, nella boscaglia, trovarono un vasca da bagno
di lamiera zincata di 65 centimetri di diametro e 30 di altezza. Dentro c'era il
corpo di Perla tagliate in sei pezzi. Vi era scritto su un pezzo di cartone :
Pantera 6 Lenon.
La vicenda fu
seguita dalla polizia locale, piuttosto che dalla squadra omicidi. L'assassinio
di Pearl non fu nemmeno discusso dalle autorità della Procura di Stato. Il suo
caso non ha meritato una menzione nella maggior parte dei media nei giorni
seguenti il suo ritrovamento.
Alicia Leal
ha spiegato che gli orribili crimini della narco-guerra invisibilizza quelli
delle donne: il crimine organizzato sta usando nella popolazione semi-urbana le
donne a scopo di sfruttamento sessuale o di prostituzione forzata. Le tengono
costantemente sotto minaccia andando d uccidere i loro figli,mariti o genitori.
E quando non servono più, le eliminano. Abbiamo avuto casi di donne costrette a
lavorare per la criminalità organizzata e di donne costrette a spostare la droga
attraverso il confine;prede dei criminali sono minacciate quando hanno bambini
per costringerle allo sfruttamento sessuale.
A Cadereyta,
sette giorni dopo l'assassinio di Pearl, in particolare nella comunità rurale di
Hacienda El Alamito, nel km14 della strada per Allende, c'erano due sacchetti di
plastica accanto ad un serbatoio di birra. Erano le sei del mattino e i militari
trovarono all'interno dei sacchetti un corpo di una donna smembrato in cinque
parti, senza la testa.
Casi come
questo provocano sentimenti dolorosi per chi come l'attivista femminista Irma
Alma Ochoa, direttora di Artemisas por la Equidad,devono contabilizarli.
Ha impiegato
11 anni, impegnata nel conteggio ed è convinta che l'aumento di 168 per cento
del femminicidio registrati in Nuevo Leon nei primi cinque mesi di quest'anno ha
a che fare con la narco-violenza : "Da quando abbiamo iniziato a fare questo
conteggio, se troviamo una donna che è stata uccisa a bastonate o un'altra che è
stata decapitata e la testa messa sotto il letto o donne ustionate o ferite in
faccia con l'acido, ci rendiamo conto che questi casi dimostrano che c'è molta
brutalità,misoginia e odio di genere. E la narco-violenza sta esacerbando il
numero di casi ".
Senza pietà.
Lo scorso 6
giugno il corpo di una donna picchiata a morte fu trovato in un terreno
abbandonato nel quartrire Jardines de Casa Blanca in Guadalupa. Era a faccia in
giù con addosso solo i pantaloni. La ragazza di circa 25 anni, aveva il volto
sfigurato dai colpi e lividi sulla schiena. Aveva i piedi legati e c'era un
messaggio che le autorità si sono rifiutate di rendere pubblico.
Cinque giorni
prima, nello stesso comune, una donna smembrata è stata trovata nel bagagliaio
di un taxi a pochi isolati dall'edificio della Polizia e Transito. Si chiamava
Azalia Vanesa Cervantes Arambula e aveva 28 anni. Sui resti, c'era un messaggio
contro la sindaca di quel comune, Ivonne Alvarez,che diceva: "Puttana
traditrice".
Pochi giorni
fa,a 100 metri dalla caserma di polizia è stato abbandonato un taxi. Sul sedile
posteriore hanno trovato la testa di una donna in un secchio di vernice di 19
litri. Non è stata ancora identificata.
Il 4 giugno
scorso fu trovato il corpo di una donna tra i 20 e i 25 anni. Era stata
torturata, picchiata a morte e,molto probabilmente, bruciata viva. Aveva un filo
spinato attorno al collo. Erano le 10 del mattino e nel Km.17 del Libramiento
nord-est,in un crepaccio nel comune di Escobedo ai limiti di Garcia, della
Colonia Portal Fraile, dove la gente andava a tagliare la legna, hanno trovato
resti di nastri cannella, il che suggerisce che era stata legata quando fu
portato nel posto e bruciata. C'era solo un sandalo bianco.
"Ogni volta
la crudeltà aumenta. La pratica del calcinare, per esempio, è di anni fa. E
'ampiamente utilizzata nelle società in cui il patriarcato è più forte e il
potere maschile si dimostra quando la prima persona che pende appesa da un ponte
a Monterrey è una donna (La Pelirroja)”, dice Irma Alma Ochoa.
L'invisibilità
Il mese di
maggio si è presentato con uguale crudeltà nell'uccisione delle donne. Il 23
maggio, fu trovato in un furgone con targa del Texas abbandonata in un crepaccio
sulla strada a Colombia, all'altezza di Salinas Victoria, il corpo di una donna
brutalmente torturata e finita con un colpo di grazia. Era stata ammanettata e
imbavagliata con del nastro adesivo.
Sono
assassini sempre più disumani, ha detto Consuelo Morales, direttora
dell'associazione Cittadini a Sostegno dei Diritti Umani. Atti sempre più
selvaggi, lontani da noi. E, ogni volta, sono sempre più donne.
Esse sono
quelle che soffrono le peggiori violenze in questa guerra, essendo più
vulnerabili.
Il 18 maggio,
è stato trovato il corpo di un'altra donna, torturata e con ferite da arma da
fuoco. La trovarono in una strada della colonia Morelos, nella città di
Guadalupe, alle 4:30 del mattino.
La brutalità
che attuano contro le donne è stata evidenziata nell'omicidio di Kitzia Rebecca
Yuriditzia Cansino Ocañas, di 23 anni, che era domiciliata nel capoluogo del
distretto di Paso Hondo nel comune di Allende. Era incinta e aveva ferite sul
costato sinistro e dalla vita in giù. Aveva ricevuto più di cinque proiettili.
Irma Alma
Ochoa lo spiega: è l'odio di genere, l'odio per la madre. Chissà da dove
traggono questi assassini l'odio anche per quelle che gli hanno dato la vita. Il
gruppo più numeroso appartiene alla donne assassinate in età riproduttiva.
Alcune erano
addirittura incinte.E molte sono state colpite al ventre.
Il 20 maggio
alle 7:30 di mattina è apparso un corpo smembrato di una donna a pochi metri dal
municipio di Guadalupe.. Era stata decapitata e la sua testa è stata posta in
cima su una pattuglia con un messaggio che la polizia ha rifiutato di rendere
pubblico.
Per Alicia
Leal appare chiaro che questi sono femminicidi della narco-guerra:hanno una
componente di genere. Nella maggior parte di queste morti c'è lo stupro, le
mutilazioni sessuali.Questa è violenza di genere. Punto.
Anche se allo
Stato conviene definirla come violenza generalizzata, la realtà è diversa.
In Nuevo
Leon, il femminicidio non è stato ancora tipicizzato. Lo Stato procede senza
avere meccanismi che forniscano alle donne risposte immediate alle emergenze. Vi
è una chiara mancanza di coordinamento tra le istituzioni, perchè il governo
mantiene il monopolio di attenzione alle vittime. E questa non è la soluzione.
In una
settimana abbiamo ricevuto tre casi di bambine violentate, qualcosa di mai visto
nei nostri 15 anni di lavoro.
http://www.jornada.unam.mx/2011/06/12/politica/011n1pol
(traduzione
di Anita Silviano)
_______________
No all'islamofobia in nome del femminismo /
Islamophobie au nom du féminisme : no !
https://www.facebook.com/notes.php?id=1738442459&s=40#!/note.php?note_id=10150119966163400
pubblicata da
Anita Silviano il giorno domenica 13 marzo 2011 alle ore 16.50. Marine Le Pen -
alla quale lo scorso gennaio suo padre, Jean-Marie Le Pen, ha lasciato la
presidenza del Front National, il partito di estrema destra francese -, sembra
confermare in maniera sinistra il proverbio "buon sangue non mente" ed insieme
la capacità della destra di modificarsi per meglio adattarsi ai tempi. La frase
con la quale Marine Le Pen paragonava, in un discorso tenuto a Lyon il 10
dicembre 2010, la presenza di musulmani raccolti in preghiera sulle vie
pubbliche in Francia all'occupazione nazista durante la II guerra mondiale,
segnava una mutazione rispetto all'affermazione paterna di qualche anno prima in
cui si giudicava l'occupazione nazista "pas si inhumaine que cela".
La destra
lepeniana sembra abbandonare l'eredità del collaborazionismo: il riferimento
all'"occupazione" cambia di segno, se non per condannare l'occupazione nazista
sicuramente per meglio stigmatizzare l'Islam. Rivelatrice un'altra frase
pronunciata da le Pen figlia nello stesso discorso: "Dans certains quartiers, il
ne fait pas bon être femme, ni homosexuel, ni juif, ni même français ou blanc"
("In certi quartieri, non è bene essere donna, nè omosessuale, nè ebreo, come
anche francese o bianco", dove per "certi quartieri" si intendono le banlieues,
abitate per la maggior parte da una popolazione proletaria "non bianca").
In un
articolo su Libération dal titolo Pourquoi Marine Le Pen défend les femmes, les
gays, les juifs…, Eric Fassin inseriva la frase di Marine Le Pen in quella
"nuova virtù democratica dei populisti di destra e d'estrema destra" che si
scoprono femministi, filosemiti e gay-friendly per poter tracciare una frontiera
razzializzata all'interno della nazione tra "noi" e "loro" in nome
dell'uguaglianza e della libertà dei sessi, dando un tocco di modernità alle
retoriche tradizionali dei partiti di destra/estrema destra. Un tema questo, che
abbiamo più volte dibattuto e che riteniamo cruciale. Per chi è attualmente
parigino/a segnaliamo che domenica prossima, 20 marzo, a Parigi (dalle 15 e 30
alla Maison des Associations du Xème, 206 quai de Valmy 75010 Paris, métro
Jaurès) Les Indivisibles, Les Mots Sont Importants, Les Panthères roses e Les
TumulTueuses organizzano un dibattito dal titolo "Islamophobie au nom du
féminisme : NON !", intorno a queste questioni con la partecipazione, tra
le/glia altre/i, di Jessica Dorrance dell’associazione LesMigraS di Berlino.
Per chi non
può essere a Parigi e non è neanche francofona/o traduciamo al volo il documento
di indizione della giornata: "Noi, femministe, denunciamo l'utilizzazione delle
lotte femministe e lgbt a fini razzisti e precisamente islamofobi. Marine Le Pen
ha recentemente utilizzato la difesa degli omosessulai per meglio propagare il
razzismo. E' ugualmente in nome delle donne che i nostri dirigenti e media
mainstream hanno fino alla fine sostenuto un tiranno come Ben Ali, presentato
come il protettore dei/delle tunisini/e contro un patriarcato necessariamente
islamista. Infine l'indegno dibattito sul niqab, in occasione del quale dei
parlamentari uomini, fino ad allora completamente indifferenti alla causa
femminista, si sono improvvisamente eretti in difensori dell'uguaglianza
uomini/donne.
Questo
basta! Condanniamo il razzismo e rifiutiamo che colpisca in nostro nome!
Costruiamo degli strumenti, delle risposte femministe per disinnescare queste
"evidenze" insopportabili - musulmano=islamista=estremista=minaccia per le donne
e le minoranze sessuali - ceh già si annunciano come le vedette dei prossimi
scambi elettorali. E' più che mai necessario ricordare che numerosi donne
straniere o francesi vivono il razzismo, il sessismo e un sessismo razzista.
Decolonizziamo le lotte femministe e lgbt! Non lasciamo le femministe bianche
dare lezioni alle altre! Fermiamo quelle e quelli che si alleano a delle
iniziative politiche e dei discorsi razzisti, compresi quelli portati avanti
sotto delle bandiere (pseudo)femministe e "gay-friendly"!"
(traduzione
di Vincenza Perilli per Marginalia)
http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/2011/03/no-allislamofobia-in-nome-del.html
Si esce e non
si ritorna più...
I cartelli
(Los Zetas) si impradoniscono di Apocada,Nuevo
León : aumenta la Tratta delle donne.
In meno di due
anni sono state sequestrate più di 105 giovani
donne, denunciano le madri delle vittime.
Obbligate a
prostituirsi o a vendere droga.
La scomparsa
di donne in Apocada, Nuovo Leon (Messico), stava
diventando lentamente un evento di routine da
quando Los Zetas si sono impadroniti di uno dei
Comuni con maggiore popolazione e
marginalizzazione.
Alcune sono
state sequestrate per strada, scelte a caso,per
il loro aspetto; altre sono state rapite dallo
loro case con armi e minacce; il resto non ha
fatto più ritorno all'uscita del lavoro, da una
festa, dalla discoteca.
Tutte hanno in
comune il fatto di essere povere,giovani e
belle. Per le strade le sparatorie sono qualcosa
di quotidiano. Decine di donne sono scomparse
dall'inizio della guerra contro i narco.
I cartelli
della droga hanno diversificato le loro
attività.
L'ufficio
della Procura di Nuevo Leon non ha statisitche
del reato della tratta contro il genere
femminile, però l'entità è stata considerata
centro di distribuzione per lo sfruttamento
sessuale: un affare che coinvolge criminali,
politici, funzionari, polizia e imprenditori.
"Solo in
Apocada, in meno di due anni abbiamo avuto oltre
105 ragazze rapite", afferma Martha Alicia
Quintanilla Ibarra, madre di Lizette Alicia
Mireles, di 22 anni, desaparecida il 2 dicembre
dell'anno scorso dopo l'uscita dal lavoro in un
casinò.
Senza traccia
Azalea è
magra,occhi scuri e obliqui. La foto dei suoi
quindici anni è nella stanza. Teodora accoglie
gli altri. Ha perso la vista e la sua malattia
si è aggravata da quando la figlia è scomparsa
il 15 febbraio dell'anno scorso. " Alcuni uomini
sono venuti a trovarla. Prima le hanno parlato
per telefono, poi uno scese dalla macchina e ha
picchiato forte alla porta, urlando. Mi ha solo
detto, 'Mamma, torno tra un pò'.
Per nessuna
delle giovani rapite è stato chiesto un
riscatto. Alcune hanno parlato con i loro
genitori dopo il sequestro per chiedere di non
cercarle o di sporgere denuncia. Dieci di esse
erano amiche o conoscenti e sono state rapite in
una settimana.
Il giorno dopo
il rapimento di Azalea, scomparve Cecilia
Abigaíl Chávez Torres, di 18 anni, incinta di
sette mesi.
" Un'amica -
dice Cecilia Morales Torres, di 45 anni - che
io credo fosse nelle loro mani è stata il
tramite. La chiamò diverse volte e la invitò ad
una festa. Non ritorno più. Mia figlia mi
telefonò quattro giorni dopo il sequestro e mi
ha detto, " mamma, non ti preoccupare, sto bene"
e riattaccò. Non mi ha mai più richiamata".
Racconta che
la figlia lavorava nella Transformadores Delta e
aveva una relazione con Juan Francisco Zapata,
soprannominato Billy Sierra o El Pelon, capo
zona della piazza de Monterrey arrestato nel
mese di agosto dello scorso anno. " E' il papà
del bambino. Non l'ho mai incontrato. Mia figlia
mi raccontò che El Pelon non le disse che era un
sicario. Glielo confessò quando era incinta di
quattro mesi. Non volli che venisse a casa mia.
Lo vidi sul giornale quando l'hanno arrestato.
Lui sa dov'è mia figlia. E voglio che me lo dica
lui o la SIEDO (Super-procura antimafia).
Per Cecilia è
chiaro che la figlia è vittima della tratta.
L'ufficio
statistica del Dipartimento di Stato americano
afferma che annualmente in Messico più di 20mila
persone sono sequestrate in relazione a questo
crimine.
"Le possono
fare prostituire o vendere la droga. Queste
ragazze sono un grosso business per loro. E'
chiaro che hanno una rete di ragazze. E' la
tratta delle bianche.
La storia di
Veronica Martinez Casas è segnata da povertà ed
esclusione. Si tratta di una dei sette milioni
di Ninis (indigenti)esistenti nel Paese, una
madre single di quattro figli.
" Non c'è
bisogno che cerchi Veronica, non ritornerà è
morta" dissero al telefono a María del Rosario
Martínez Medina, madre di Verónica, desaparecida
nello stesso giorno di Cecilia Abigaíl.
Veronica non
lavorava. Voglio essere sincera, non mi piace
dire bugie: era in contatto con brutte persone,
questa è la verità". Insieme al marito cura i
quattro nipoti. " "Sento che è viva, che sta
bene", aggiunge.
La prescelta
Secondo il
ricercatore dell'Università Autonoma di Nuovo
Leon,Arun Kumar, autore della studio Una nuova
forma di schiavitù umana: La tratta delle donne
in Messico, l'organizzazione occupa il sesto
posto in termini di incidenza di questo crimine.
Il rapporto
rileva che mensilmente entrano ed escono
300-400 donne dallo Stato per sfruttamnto
sessuale.
Alcune madri
delle scomparse hanno ricevuto messaggi da
persone che le hanno visto lavorarare nei
bordelli o nei bar a Monterrey, Camargo,
Reynosa e Guadalajara.
"Le possono
impiegare come accompagnatrici - afferma Isabel
Rivera, madre de Guadalupe Jazmín Torres Rivera,
mentre guarda la foto della figlia quindicenne
scomparsa nel febbraio dell'anno scorso, un
giorno prima del sequestro di Veronica e Cecilia
Abigaíl.
Madre single
di una figlia di tre anni, Guadalupe era una
insegnante di ballo.
La madre
racconta che dopo aver lasciato il lavoro "
camminava per strada e Evelyn Johana, la ragazza
di Juan Carlos Martínez Hernández, alias El
Camaleón ,capo Zeta de Guadalupe, le fece dei
seganli da un camioncino. Scese giù un tizio
calvo, meticcio, con una pistola. Se la presero,
lasciando solamente la valigia con dentro i
vestiti di ballo".
La polizia di
Apocada non ha accettato la denuncia di Isabel
Rivera, quando andò al campo miliatre della
Settima zona, per aggiungere il nome della
figlia tra le disperse.
Poi alla
caserma della Marina, e finalmente la polizia
ministeriale ha accettato la denuncia e il DNA è
stato testato.
" Mia figlia è
stata presa il Martedì, altre tre il Lunedì,
altre due il Mercoledì, in una settimana ne
hanno rapite 10 nel quartiere. Hanno continuato
sequestrando ragazzine. Sono 46 le rapite
quest'anno. E nessuno fa niente. Non è giusto
che le rapiscano per soldi. Sono morta. Dio mi
ha dato tre figli e li amo tutti e tre. Io non
mi rassegno" dichiara mentre mostra una carpetta
con otto immagini di altre ragazze scomparse,
le cui madri hanno inizato a riunirsi per
chiedere giustizia.
La maggior
parte di esse si sono conosciute nella Settima
Zona Militare dove si erano recate per
denunciare le sparizioni " Qui non nascondiamo
nulla, Io credo che l'abbiano rapite Los Zetas.
Tutti conoscono Billy Sierra, che ha sequestrato
altre ragazze a Monterrey, Estanzuela, Guadalupe
e Escobedo ", ha detto Cecilia Torres.
Le cose sono
state diverse nel caso di Blondie Ivonne
Williams García, de 23 anni,madre single,
scomparsa il 17 febbraio del 2010, il giorno
dopo il rapimento di Verónica e Cecilia Abigaíl.
Racconta la madre della giovane: "Venne un'amica
e uscì. In quel momento si accostò una macchina
e dall'interno le chiesero: " Chi è è Ivonne
Blondie? " Lei non rispose. Qualcuno aveva
mandato a chiedere di mia figlia. Uno degli
uomini uscì dalla macchina e le sollevò la
giacca mostrando un tatuaggio di un sole: " E'
lei? disse. Allora, l'altro ordinò : caricala
su".
Quando ho
sentito questo sono uscita e la stavano mettendo
in macchina. Sono riuscita ad afferrare uno dei
delinquenti, ma l'altro mi puntò la pistola e mi
fermò.
La stessa auto
sequestrò 23 ore dopo, Ana Lariza García Rayas.
Lavorava come dimostratrice in un'azienda di
telemarketing.
"Una ragazza
gridò il suo nome e mia figlia uscì salutandola
con un bacio. Una decina di minuti dopo la
rapirono. Era amica di Blondie e Lupita,
anch'esse rapite, ma le altre non le conosceva"
- afferma la madre, Ana Francisca Rayas Guevara.
L'ufficio
della Procura Generale sta indagando sulla sorte
di 525 donne e bambine scomparse in questi
ultimi anni in Messico.
Laura
Benavides, una residente ad Apocada decise di
mettere un annuncio su Internet sul rapimento
della figlia avvenuto quattro anni fa in una
discoteca,Yarezi Anahi Benavides Luevano, di
anni 21.
Piange ogni
giorno per sua figlia e per le altre: " Sono
tante le giovani donne che vengono rapite. Sto
ancora aspettando. Io la amo. Non mi interessa
ciò che ha fatto o l'hanno costretta a fare. Io
l'aspetto.La vedo che entra dalla porta e
l'abbraccio."
http://www.jornada.unam.mx/2011/08/14/politica/002n1pol
(traduzione di
Anita Silviano)
Che cos'è il Patriarcato? Dolors
Reguant Fosas Barcelona 2007
(traduzione di Anita
Silviano)
http://liadiperi.blogspot.it/2012/03/che-cose-il-patriarcato.html
Che cos'è il Patriarcato?
Il Patriarcato è una forma di organizzazione
politica, economica,religiosa e sociale basata sul concetto di autorità e
leadership del maschile, nella quale si ha il predominio degli uomini sulle
donne, del marito sulla moglie,del padre sulla madre e sui figli e figlie e
della discendenza paterna su quella materna. Il Patriarcato è nato
dall'insediamento del potere storico da parte degli uomini, i quali si sono
appropriati della sessualità e riproduzione delle donne e del suo prodotto, i
figli e le figlie, creando allo stesso tempo un ordine simbolico mediante i miti
e la religione che lo hanno perpetuato come unica struttura possibile. Il
Patriarcato è il costrutto primario sul quale poggia l'intera società attuale.
L'ordine patriarcale crea un'impostura fondata
sul principio dell'Assoluto Maschile (Unico, Solo) che esclude le donne. Per
questo ciò che è stato riportato, scritto e interpretato nel passato del
genero umano è solo un'annotazione parziale, che ha omesso la metà dell'umanità.
Anche le donne hanno "fatto la storia", quantunque non ci sia alcuna traccia di
essa, al di là di quello che attualmente le donne hanno riscattato. Le donne
sono state sistematicamente escluse dal compito di elaborare sistemi di simboli,
filosofie scienze e diritto.
Va sottolineato che attualmente esistono
diversi gradi di oppressione patriarcale sostanzialmente differenti a seconda
dell'evoluzione e sviluppo di ciascuna società nella storia, che trovano
parallelismo nella maggiore o minore accettazione e rispetto della "
Dichiarazione dei Diritti Umani" approvata e proclamata dall'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948.
Nelle analisi sul Patriarcato esistono
quattro caratteristihe importanti da rilevare:
1 - Il Patriarcato non è SCRITTO nelle nostre
società.
Essendo una istituzione iscritta ma non
SCRITTA così come lo sono il Codice di Hammurabi, i Dieci Comandamenti, il
Corano o le Costituzioni dei paesi moderni, esso non prevale nella memoria
collettiva universale. In altre parole, la sua esistenza è invisibile e,
pertanto,si inibisce alla memoria e al lavoro educativo.
In questo modo la parola e il concetto "
Patriarcato" è escluso dal linguaggio comune. Quasi mai affiora sulla bocca di
filosofi, politici, ecc., proprio perché non fa parte della convenzione.
Il Femminismo è l'antitesi del Patriarcato, ma
non è il contrario dell'Androcentrismo, anche se il concetto è ampiamente
diffuso.
Il Femminismo è un movimento sociale e
politico differente dal progetto patriarcale, e cerca un cambiamento del
paradigma globale con alternative di sviluppo umano e di libertà tanto per le
donne che per gli uomini. E' evidente che sia in questo secolo come negli ultimi
decenni del secolo scorso è stata una delle tra le più grandi rivoluzioni di
tutti i tempi,socialmente, politicamente e culturalmente. Oltre ad essere stata
l'unica che si è prodotta in modo incruento.
2 - La mascolinità è EGEMONICA o
Oggettivazione del dominio maschile
L'universalizzazione dell"io" maschile è uno dei fondamenti del
dominio
patriarcale. La sua mascolinità egemonica afferma la sua oggettività.
L'uomo si presenta come un termine neutro,
oggettivo, soggetto universale, fagocitando la donna. Nel processo di formazione
di questo ordine, l'uomo ha creato un mondo a sua immagine, che genera a sua
volta, la patologia sia dell'"uno" come dell'"altro" polo della differenza
sessuale. Questa svalutazione simbolica delle donne in relazione all'"Altro" è
diventata una delle metafore fondamentali della maggior parte delle civiltà del
mondo. Il concetto di virilità e di lignaggiosi si collega al concetto di
"Onore" versus " Verginità nella donna". La maggior parte dei crimini contro le
donne hanno questa origine.
Un problema attuale e universale come l'abuso
sulle donne e i crimini di "onore" non si risolveranno definitivamente senza
estirpare prima la radice del nucleo che li genera. Tutto ciò senza disprezzare
le politiche preventive e l'applicazione delle leggi che su queso tema sono in
corso e sono necessarie.
Attraverso le " sopravvivenze culturali"
questa sottomissione delle donne si vede come naturale e ri-torna quindi
invisibile. Questa naturalizzazione è stata istituzionalizzata e normativizzata.
La violenza simbolica e strutturale che si
trasmette nella società patriarcale come "inavvertito culturale" o " inconscio
collettivo" attraverso la Filosofia, i Miti, le Religioni, la Scienza serve a
legittimare la presenza universalmente riconosciuta delle sue strutture sociali,
produttive e ri-produttive fondate sulla divisione sessuale. La somma totale di
norme e valori che dominano in una data società integrate nelle sue istituzioni,
si traduce nelle relazioni umane.
3 - Si UNIVERSALIZZA il nucleo primario della
relazione gerarchica.
Il Dis-ordine nella prima gerarchia uomo-donna
genera il nucleo delle altre patologie sociali. La classificazione tra "
superiore" e "inferiore" tradotta in "uomo" e "donna" si estende mimeticamente
ad altri gruppi basandosi sulla differenza gerarchizzata dell'"uno" contro
l'"altro".
La prima discriminazione è pertanto la matrice
che permette le altre discriminazioni e, a sua volta, in tutte queste si
ri-trova la prima. Infatti, in ogni classe o gruppo antagonista,la donna è
oppressa dall'uomo.
La sua azione predatoria fa sì che l'ordine
patriarcale si ramifichi oltre l'indicibile.
Essendo il Patriarcato , una società
Agonistica (di lotta e competitività) la sua ricerca è diretta verso un'egemonia
di ordine piramidale.
4 - Il Patriarcato NON E' INAMOVIBILE
Il Patriarcato giace inscritto nella civiltà
umana da migliaia di anni. Si è avuto prima della formazione della proprietà
privata e della società di classe. Nasce a partire da un'epoca determinata, dopo
le società anteriori chiamate da alcuni storici "matriarcali" che non erano il
contrario del patriarcato, anche se del loro studio non ci se ne occupa in
questo momento, ci dobbiamo riferire ad esse per contrastare l'idea di un
patriarcato astorico,invisibile,eterno, immutabile e, pertanto, inamovibile. Il
Patriarcato essendo una convenzione culturale e sociale è soggetto a revisione,
riforma o sostituzione con altro costrutto culturale e sociale.
Se vogliamo cambiare e sostituire questo
Ordine Patriarcale e tirare fuori dall'invisibilità la logica del dominio che
assimila sia il dominatore che il dominato è necessario fare due passi
importanti: Nominarlo/Riconoscerlo secondo la sua Esegesi, che in pratica
consentirebbe:
1) l'accettazione della sua esistenza/
passando dall'essere INSCRITTO a SCRITTO;
2) La SPIEGAZIONE e divulgazione per la sua
eliminazione ( aggiunta al testo dell'autora)
Mujer del mediterraneo
Fonte: Breve spiegazione del Patriarcato
(traduzione di Lia Di Peri)
http://www.proyectopatriarcado.com/docs/Sintesis-Patriarcado-es.pdf
http://mujerdelmediterraneo.blogspot.it/2012/03/que-es-el-patriarcado.html
DAL MATRIARCATO AL PATRIARCATO :
VIAGGIO ATTRAVERSO IL MITO E IL TEATRO TRAGICO GRECO.
Fin dal
Paleolitico, l’insopprimibile esigenza umana di ricercare un
“Principio” , che desse ragione del mondo , del mistero della vita...
ebbe come esito la creazione di un archetipo "femminino" , una
divinita’ onnipotente, onnisciente che crea da se stessa, una Grande
Madre , dea senza volto simbolo della terra, della fertilita’ della
donna e dei campi , dell’eterna palingenesi del ciclo delle stagioni.
Raffigurata con simboli radicati profondamente nell’inconscio collettivo
, la Grande Madre ha ispirato la realizzazione di numerosissimi
manufatti : " le Veneri del Paleolitico", rinvenute in tutta Europa,
preziose testimonianze di un passato dell’umanita’ inconcepibilmente
remoto. La dea e’ raffigurata quasi sempre gravida, i tratti
iconografici ne enfatizzano gli attributi sessuali, a volere
sottolineare quel potere che solo a lei appartiene : dare la vita.
Probabilmente il culto della Grande Madre nacque in societa’ che
sentivano un mistico senso di appartenenza alla natura, e dove mentre
gli uomini si dedicavano alla caccia, le donne raccoglievano frutti
,radici ,piante commestibili per sfamare la comunita’ , acquisendo con
l’esperienza una serie di conoscenze su luoghi ,tempi e modalita’ di
crescita di alcune piante ( il riso ,il grano) sui loro poteri curativi
o velenosi, tramandando cosi' da madre in figlia quelle conoscenze che
poi diventarono patrimonio comune del gruppo.
A
partire dal Paleolitico tutti i popoli mediterranei hanno lasciato
tracce del culto della Grande Madre , considerata , nell’arco di questi
millenni, partenogenica, capace di generare la vita da se stessa. La
Grande Madre e’ Signora dello spazio nella sua totalita’ cielo –terra
–acque (il dio maschile proprio delle societa’ patriarcali sara’ solo
Signore del Cielo), e Signora del Tempo, presiede infatti , al ciclo
della nascita – vita – morte –rinascita , Tessitrice , quindi, della
vita vegetale ed umana . (Ancora oggi chiamiamo “tessuti” una parte
fondamentale del corpo umano. Omero chiama le dee greche de fato
“klotes” vale a dire filatrici.) Piu’ tardi ,nel Neolitico, con la
scoperta fondamentale dell’apporto maschile nella creazione della vita
si assiste ad una rivoluzione epocale ,testimoniata dalla comparsa del
dio della vegetazione:” il paredro “ della grande dea ,dio maschile
che nasce e muore annualmente. Siamo attorno al V millennio , in
quest’epoca si comincia a celebrare con veri e propri riti la nascita
e la morte umana e vegetale. Proprio nei Misteri eleusini ,
sicuramente il culto misterico piu’ affascinante dell’antichita’,
attestato nelle fonti del VII secolo ,ma la cui fondazione si puo’ fare
risalire al XV sec , al periodo minoico –miceneo, il “paredro, quel dio
maschile, spirito della vegetazione e dio stagionale era destinato ad
essere sacrificato, per cedere il posto , l’anno successivo, ad un dio
piu’ giovane.
Dunque col passare dei millenni ,in eta’ neolitica,la Grande Madre si
trasforma , si accompagna al suo “paredro” e assume valenze
simboliche nuove, adattandosi alle esigenze dei gruppi umani divenuti
ormai stanziali. Ora, La troviamo rappresentata o come le precedenti
Veneri paleolitiche , o piu’ spesso con tratti iconografici nuovi e
nuove valenze simboliche, e’ Signora degli animali, ,delle tenebre
,della luce, del giorno, dei leoni etc. In Asia Minore e’ Potnia
Theron”(nell’Iliade , Artemide viene chiamata Signora delle belve, XXI ,
vv .470 ss), in Frigia e’ Cybele , per gli Etruschi era Uni etc..
Nel Mediterraneo e’ soprattutto la civilta’ cretese a mostrare un
legame strettissimo tra la dea e la terra ; Creta ,infatti , gia’ nel
VII millennio, era abitata da agricoltori che, anche se usavano ancora
aratri di pietra, conoscevano la coltura dei cereali ,introdotta, piu’
tardi, nel resto della Grecia da Demetra, dea delle messi figlia della
cretese Rhea.
Ma
qual e’ il significato del compagno stagionale della Grande Madre il
“paredro”? Il termine paredro significa “che siede accanto”;
nell’antica Grecia , indicava il coadiutore degli arconti. Nella
dimensione religiosa l’ abbiamo ritrovato come un dio minore destinato
al sacrifico, ma quello che piu’ interessa,in questa sede, e’ il
paradigma sociologico e sotto questo profilo , illustri studiosi quali
Bachofen, Neumann, Schreiber ed altri ancora concordano nel ravvisare
nel binomio Grande Madre – Paredro quel lungo periodo della storia
dell’umanita’ ,durante il quale si verificano i primi scontri, che
col passare dei millenni e con le invasioni di popoli indoeuropei,
segnarono la fine delle societa’ matrilineari.
Bachofen , storico svizzero, analizzando le culture tribali
ginecocratiche e diversi miti greci ha formulato l’ipotesi che un
momento reale della storia dell’Occidente ,identificabile nel
Paleolitico, sarebbe stato caratterizzato da un’organizzazione sociale
matriarcale, nell’ambito della quale alle donne sarebbe spettato il
potere familiare ,politico e religioso. (SEGUE)
PS.
1) "Potnia = Venerabile Signora
2) E' probabile che la figura del "paredro" sia comparsa verso la fine
del Paleolitico.
parte seconda
Questa tesi, condivisa tra l’altro da
autorevoli storici ed archeologi ,ha trovato conferme oltre che in
numerosi rinvenimenti archeologici ,nella lettura ,in chiave sociologica
,dei miti e del teatro tragico greco.I miti non possono in alcun modo
essere riconducibili ad un mondo fantastico, essendo, per certi versi
storia ,nel senso che rappresentano il patrimonio di valori ,le idee che
i nostri lontani antenati avevano del loro passato; “i miti sono un
adombramento della storia”, scriveva G.B.Vico.
Stando a queste fonti dirette e
indirette ,pare che la frattura tra matriarcato e patriarcato vada
ricercata tra il 3500 e il 2500 e sia stata causata da massicce
invasioni di popoli indoeuropei giunti dall’est,in seguito alle quali le
societa’ matriarcali, tipiche delle societa’ agricole, furono
soppiantate da una cultura di tipo maschile basata sulla guerra , sulla
caccia e su un’economia predatoria. La cultura indoeuropea,gia’ nel V
millennio ,nella zona del Volga presentava la fisionomia di una societa’
patriarcale, fatta di guerrieri e interessata piu’ alla caccia e alla
guerra come attivita’ economica di predazione che all’agricoltura. Nel
II millennio quella cultura dilago’ nell’Europa danubiana , nel vicino
oriente , nell’area dell’Egeo. Parti, Medi, Achei, Persiani, Dori
adoravano dei maschi violenti e litigiosi, la Grande Dea fu soppiantata
da un dio maschile rimanendo come sua consorte o molto piu’ spesso
assumendo i caratteri negativi delle Furie, delle Arpie, delle Meduse.
Nella penisola ellenica , quel massiccio movimento migratorio avverra’
tra il 2000 e il 1000 a.C., quelle genti indicate come indoeuropei o
Indoarii sconvolgeranno gli insediamenti millenari e cancelleranno
,almeno in superficie, civilta’ antichissime.
Alle migrazioni dei popoli indoeuropei,
bisogna aggiungere che con l’avvento dell’agricoltura praticata dagli
uomini,il ruolo della donna si restringe sempre piu’ cosi’ col tempo la
troveremo impegnata solo nell’ambiente domestico, nella cura dei figli.
Sicuramente l’incremento della popolazione ebbe un peso notevole ,
conducendo ad una piu’ consistente domanda di generi alimentari e alla
conseguente necessita’ di coltivare campi anche lontani dai villaggi
,difficilmente raggiungibili dalle donne impegnate nella gestione della
famiglia o del gruppo; cos' le donne furono costrette a cedere all'uomo
la gestione delle attivita' produttive, fu questo un primo passo verso
la loro millenaria sottomissione.
Il passaggio dalle societa’
ginecocratiche a quelle fallocratiche si svolse in un lungo arco di
tempo e non fu privo di momenti drammatici e di autentici scontri
armati. Tracce di queste lotte di potere si riscontrano nei miti delle
Amazzoni, nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, nel teatro di Eschilo e
in altre fonti ancora.
LE AMAZZONI
Nelle antiche fonti greche le Amazzoni
sono donne guerriere, guidate da una regina,la loro patria di origine si
sarebbe trovata sulla costa meridionale del mar Nero. Si trattava di una
societa’ matriarcale dalla quale gli uomini erano esclusi o secondo
altre fonti costretti a vivere in schiavitu’, e nella quale tutte le
attivita’ principali erano riservate alle donne che governavano lo
stato,maneggiavano le armi,combattevano a piedi o a cavallo con lance,
archi, spade per difendere il loro territorio. Si legge ancora, che ogni
anno le donne in primavera andavano nei paesi vicini per farsi
ingravidare. Secondo un’altra versione del mito, si trattava di donne
Sciite ,che avevano ucciso o cacciato i loro uomini dai quali erano
maltrattate. In verita’ tante sono i miti che hanno come protagoniste le
Amazzoni ,piu’ significativo al nostro scopo e’ quello che tratta della
nona fatica di Ercole, questi si sarebbe recato in Scizia per
impadronirsi della cintura della regina delle Amazzoni, Ippolita, e
portarla ad Argo per regalarla ad Era. In questa spedizione l’eroe
greco, accompagnato da Teseo, avrebbe rapito una principessa amazzone :
Antiope della quale si era innamorato. Per vendicare il rapimento le
Amazzoni marciarono contro Atene , qui si scateno’ una grande battaglia,
le Amazzoni furono sconfitte e costrette a ritirarsi su una collina, che
fu poi chiamata Aeropago (la collina di Ares). La vittoria di Teseo
,nell’antica Grecia ,veniva celebrata dalla propaganda patriottica come
la prima volta in cui gli ateniesi avevano respinto gli stranieri.
Secondo alcuni interpreti del mito ,le Amazzoni sono la precisa traccia
di uno stato sociale e religioso pre – ellenico, contemporaneo all’epoca
nella quale il culto della grande Dea , nella Russia meridionale ed in
Anatolia, si era sviluppato come matriarcato, con aspetti precisi di
tipo militare e politico. Le Amazzoni sarebbero pertanto fedelissime
guardie del corpo della Grande Madre anatolica.
parte terza
LE ARGONAUTICHE - LA” COUVADE”
Nelle Argonautiche ,Apollonio Rodio riferisce
un’usanza dei Tibareni, popolo conosciuto dagli Argonauti durante il loro
viaggio in Colchide. La strana consuetudine consisteva nel simulare la
maternita' attraverso la “couvade” : gli uomini fingevano di essere madri,
simulando le doglie del parto ; la finalita’ era quella di impadronirsi del
potere attraverso la maternita’ , che in ultima analisi aveva portato ad una
divinizzazione della donna adombrata nel culto della Grande Dea Madre. Ecco cosa
scrive A. Rodio :” Qui ,quando le donne partoriscono figli ai mariti / sono
essi, i mariti, che si mettono a letto e che gemono,/ con il capo bendato, e le
donne provvedono al cibo/per loro e preparano i bagni rituali del parto” (Arg,
vv 1011 -1014)
Secondo lo storico Bachofen , presso i
Tibareni, a prevalere sarebbero stati gli uomini che avrebbero impostoi nuove
regole ,fondate sul principio della paternita’: sulla natura prevale la lo
spirito, sulla terra il cielo, sulla luna il sole, sulla notte il giorno. Tutto
questo portera’ al superamento dell’accettazione passiva delle leggi della
natura, al rispetto delle leggi umane, al predominio del pensiero razionale,
all’obbedienza al principio d’autorita’. Non e’ un passaggio breve ne’ indolore
,i miti lo riportano come un contrasto tra il principio paterno e quello
materno, la vittoria del primo e’ chiarissima nel teatro tragico greco, in
particolare nella trilogia di Eschilo :L’Orestea.
parte quarta
LA GENESI DEL TEATRO TRAGICO GRECO
L’origine della tragedia greca e’ una
questione ancora oggi dibattuta, alcuni studiosi sostengono che il teatro
tragico greco ,le cui prime rappresentazioni risalgono al 535 / 533 a.C. ,sia
stato fin dall’inizio strettamente connesso al culto di Dioniso, le cui
solennita’ ricorrevano 3 volte l’anno ,in periodo invernale.Sicuramente si
trattava di rituali propri di una civilta’ essenzialmente agricola, che
considerava Dioniso patrono della fertilita’ dei campi. Ma Dioniso ,questo dio ,
che abita ancora le nostre coscienze, era anche il dio delle orge, dei misteri,
insomma un dio che simboleggiava uno spazio psicologico ,etico,
sociale,religioso , luogo di “coincidentia oppositorum”, di conflittualita’
irriducibile e lacerante da cui avrebbe tratto origine il teatro tragico greco.
Creazione massima del genio attico ,la
tragedia era una rappresentazione della realta’ in tutti i suoi aspetti, da qui
la necessita’ di leggerla calandola nel suo tempo e di recuperare anche
quella dimensione mitologica che, in tempi ancor piu’ remoti ,abitava
l’immaginario collettivo e a cui spesso gli autori attingono prescindendo dalla
loro stessa intenzionalita’. Perche’ in fondo la tragedia greca rispecchia in
chiave mitologica i problemi relativi alla societa’ pre – ellenica.
Della funzione catartica della tragedia si era
gia’ occupato Aristotele, ma dovremo aspettare il 1871 , anno che vede la
pubblicazione dell’opera di Nietzsche :”La nascita della tragedia”, perche’ si
aprano nuovi orizzonti relativi alla genesi del teatro tragico greco. Il
filosofo tedesco opera infatti,una distinzione tra spirito apollineo e spirito
dionisiaco,il primo proprio del sogno si traduce in immagini di compostezza e
si esprime nelle arti figurative, il secondo proprio dell’ebbrezza attiene
alle pulsioni sotterranee dell’inconscio ,si esprime nella musica. Il senso del
tragico scaturisce , per Nietzsche, da questa conflittualita’
irriducibile,lacerante presente in tutti gli aspetti della vita e delle
vicende rappresentate nel teatro greco. Cosi’ il mito di Dioniso, il dio dal
doppio volto ,il dio della “coincidentia oppositorum” costituira’ il punto di
partenza per un dibattito tra umano e divino, tra androcrazia e ruolo della
donna, tra leggi della natura e leggi della polis, mondo aristocratico e
civilta’ borghese in sostanza tra una serie infinita di antinomie grazie
alle quali la coscienza tragica dal mondo rarefatto delle saghe eroiche si
cala nella realta’ concreta del presente.
Altre tesi ,elaborate di recente contestano la
genesi dionisiaca del teatro tragico greco ,fondando la loro analisi sul
significato del termine “tragedia” che vorrebbe dire “canto del capro “ o
“canto per il capro” alludendo o alle maschere caprine che indossavano i
coreuti o al fatto che il capro sarebbe stato un premio nelle gare sonore o
la vittima di un sacrifico.
Qualche altra informazione, in merito alla
nascita della tragedia greca , ci perviene da Erodoto il quale scrive che
Clistene , nemico degli abitanti di Argo avrebbe voluto eliminare dalla sua
citta’ il culto di Adrasto eroe argivo, onorato con cori tragici riferentesi
alle sue dolorose vicende. Erodoto racconta della vittoria di Clistene e della
abolizione del culto di Adrasto . Pare che le vicende dolorose di Adrasto si
adattassero bene al contenuto luttuoso della tragedia, che in questo modo
attingerebbe non al culto di Dioniso ma a quello dell’antico epos eroico
,insomma Dioniso sarebbe un intruso ,il vero protagonista del dramma tragico
sarebbe un eroe. Ma quale eroe? (SEGUE)
parte quinta
TEATRO
TRAGICO GRECO -LA TESI DEGLI ANTROPOLOGI -
Il noto antropologo J.G. Frazer , nel suo “Ramo
d’oro” ,scrive di popolazioni primitive nella cui religiosita’ aveva un peso
notevole il culto degli antenati e degli eroi , culto che e’ presente anche in
Grecia ,tant’e’ che nelle tragedie greche i coreuti erano soliti evocare il
“tragos” cioe’ lo spirito di un eroe defunto.
E ancora in Grecia ,come in tutte le altre
comunita’ agricole ,i cicli delle stagioni si aprivano e chiudevano con rituali
religiosi che avevano come protagonista il “Re Sacro”o dio del grano, che
provvedeva alla fertilita’ della terra e degli armenti e che veniva sacrificato
annualmente o quando le sue energie venivano meno. Lo si ritrova sempre
associato a una dea ,sotto cui si cela l’antichissima divinita’ mediterranea
la Grande Madre, rispetto alla quale il dio del grano viveva in posizione
subalterna . E’ chiaro ,a questo punto, che dietro il dio del grano o Dioniso o
Adrasto si cela una divinita’ ancora piu’ antica :il “Paredro” della Grande
Dea ,destinato a morire. Lo spirito tragico del teatro greco, deriverebbe,
secondo la scuola antropologica dal dissidio tra religiosita’ mediterranea ,che
rimanda ad una societa’ agricola matriarcale e
religiosita’ olimpica importata dagli Indoeuropei, di tipo patriarcale che
identificava il suo dio supremo col “Padre del cielo luminoso”. Uno scontro di
civilta’ sarebbe dunque alla base della nascita della tragedia greca.
parte sesta
DAL MATRIARCATO AL PATRIARCATO -VIAGGIO
ATTRAVERSO I MITI E IL TEATRO TRAGICO GRECO - pubblicata da Rosa Casano Del
Puglia il giorno Mercoledì 15 agosto 2012
Pare che il momento di frattura tra societa’ le
societa’ ginecocratiche e quelle fallocratiche , conseguente alle migrazioni di
popoli indoeuropei, si collochi tra il 3500 e il 2500 a.C.
Il primo documento giuridico nel quale si trova
istituzionalizzata l’inferiorita’ della condizione femminile e’ un atto
legislativo del re Urukagina 2352 /2342 a.C. circa, nel quale il sovrano,
volendo riportare sulla terra l’ordine voluto dagli dei, vieta alle vedove di
risposarsi e prevede che le donne irrispettose o disobbedienti nei confronti
degli uomini siano sfigurate.
Altro documento, databile tra il 1796 e il 1750
a. C., proveniente dalla Mesopotamia, e’ il Codice di Hammurabi, composto da 282
leggi di cui 75 riguardano il matrimonio ,la posizione e gli obblighi sessuali
delle donne . Questo scritto sara’ la base di partenza per la legge ebraica che
arrivera’ a sancire la completa proprieta’ della donna da parte dell’uomo.
Al 1205 circa, risale un documento di Gueda
Lagash, dove si legge che le donne, se provenienti da famiglie povere, possono
essere avviate alla prostituzione commerciale per saldare i debiti della
famiglia, , se provenienti da famiglie nobili sono considerate merce di scambio
per alleanze e matrimoni. In breve le donne diventano strumenti di cui la
famiglia dispone a pieno titolo e i loro servizi sessuali parte fondamentale
delle loro prestazioni lavorative.
TRILOGIA DI ESCHILO – EXCURSUS -
Ripercorriamo le tappe che portarono dalla
ginecocrazia alla fallocrazia ,attraverso la trilogia di Eschilo :Orestea .
L’opera si compone di tre tragedie :Agamennone, Coefore, Eumenidi . In ogni
tragedia ,Eschilo affronta ,in chiave mitologica, un determinato momento di
quell’iter che portera’ alla societa’ patriarcale , cosi’ nell’Agamennone
ritroviamo i riti propri del matriarcato, ,nelle Coefore il drammatico momento
di scontro tra le due civilta’ , nelle Eumenidi il trionfo della societa’
patriarcale.
L’AGAMENNONE - L’ INTRECCIO -
“Clitemnestra ,sposa di Agamennone ,in assenza
di costui ,impegnato nella guerra di Troia , ha governato il paese come un re
,si e’ scelta un compagno Egisto ,col quale complotta di uccidere ,al suo
ritorno, Agamennone . Ritornato quest’ultimo ,porta con se’ la profetessa
Cassandra che gli predice il suo assassinio del re per mano della moglie;
infatti Agamennone sara’ ucciso da Clitemnestra con un colpo di ascia”.
_________________________________________________________________________________
A Creta ,prima dell’irruzione dei Micenei ,che
importarono dei guerrieri, era profondamente radicato il culto della Grande
Madre, la Potnia Theron , che ,a differenza della Grande Madre anatolica piu’
che Signora della vegetazione , era vissuta come Signora degli animali, la si
ritrova spesso accompagnata dal suo paredro :il Signore dei tori. ; a Creta ,
simboli sacri dell’antica madre come corna taurine , doppie asce
Sono stati rinvenuti nei fregi e nelle
decorazioni dei palazzi.
M. Understeiner ritiene di poter identificare
in Clitemnestra la Potnia , mentre in Agamennone la figura del paredro destinato
a morire. A conferma di questa ipotesi e’ il fatto che l’assassinio del re
avviene con la sacra “labrys” e si consuma nella vasca da bagno ,riferimento ai
riti di purificazione che precedevano la morte della vittima .Il toro e’ la
vittima sacrificale per eccellenza, in esso si potrebbe incarnare la figura del
paredro . A conferma di questa ipotesi , sono i versi che Eschilo mette in bocca
a Cassandra, mentre fa la profezia : “ Ahi ,ahi Dalla vacca/ allontana il toro /
fra i pepli lo afferra , con l’arnese dalle corna nere /colpisce (vv 125/128) Il
toro e’ Agamennone , la vacca e’ Clitemnestra che sta per colpirlo con le corna
,ovvero il “labrys” piu’ volte raffigurato come l’attributo della dea cretese:la
minoica Potnia ,dominatrice del mondo animale e quindi del suo paredro maschio
,il signore dei tori . Il sacrificio del dio- toro –Agamennone rientra nelle
categorie delle morti rituali del dio della vegetazione , ed esprime il
conflitto tra mondo pre – ellenico che sta scomparendo e mondo indoeuropeo
impersonato da Oreste (nella seconda tragedia della trilogia). E’ significativo
anche che Cassandra ,nel delirio che precede la sua morte, veda uccidere non il
re ma un toro, vittima per eccellenza del sacrifico.
Corano, Femminismo e
Manipolazione Patriarcale
di Nasreen Amina
Sono mussulmana, perché sono
femminista. Dopo tre anni di studi dell'Islam, di ricerca sull'ermeneutica e
l'esegesi del Corano,posso affermare in tutta tranquillità che le sole idee come
religione misogina e radicata in un machismo vendicativo nei confronti delle
donne, provengono da due fonti extra-coraniche: l'ignoranza della gente e gli
sforzi del patriarcato per assicurare la sua egemonia dentro le nostre comunità.
L'Islam è l'unica religione che stabilisce espressamente la parità tra uomo e
donna e regola norme di convivenza con persone di altre religioni. Tuttavia
l'Islam è stato oggetto di manipolazione da parte di quei potenti alleati con i
veri nemici dell'uguaglianza. Ad una parte del mondo conviene una immagine
dell'Islam come nemico per antonomasia dei diritti umani e come principale
oppressore delle donne; questa idea può essere usata per giustificare
così,invasioni, occupazionie l'esportazione dell'ideologia "
Democrazia-cerca-petrolio" che non ha portato né sviluppo, né pace né più
rispetto dei diritti umani, né tantomeno ha migliorato la situazione delle donne
mussulmane.
D'altra parte a certi
potenti mussulmani conviene questa idea dell'Islam, perché così mantengono il
loro business del petrolio, che a sua volta, alimenta le guerre e gli permette
la supremazia politica, ideologica e finanziaria nel mondo islamico. La
sfrontatezza con la quale si manipola l'Islam nei confronti del suo messaggio è
avvolta da uno strato di petrolio e fondata su accordi geo-politici.
Non c'è alcuna contraddizione
tra Islam e femminismo. Può essere contraria al femminismo una religione che
stabilisce l'uguaglianza tra i membri dell'umanità come base fondamentale della
convivenza sociale? Può essere in contrasto con l'Islam una prospettiva a favore
della Giustizia Sociale di Genere? Credo di no, assolutamente no. Questa idea è
un trucco del patriarcato in cui cadono, purtroppo, molte donne, con l'unico
risultato che alcune escludono altre e promuovono la diffidenza nei confronti di
quelle che sono diverse.
Di seguito mostro alcuni miti
sull'Islam,la verità del Corano e l'insegnamento su di essi. Mi baso per questo
di un articolo sul tema, al quale ho aggiunto le mie considerazioni.
1. Islam come una
religione intollerante.
Il Corano dice che " nessuno
ha il diritto di imporre agli altri le asserzioni di fede. Inoltre, la stessa
citazione coranica stabilisce che il Profeta durante la sua missione condannò
un mussulmano per avere ucciso un cristiano ed esiste un hadith (detto del
Profeta),che afferma " il mussulmano che si comporta male nei confronti di un
non-mussulmano non odorerà il paradiso". L'islam infatti dice che " uccidere un
essere umano è come uccidere tutta l'umanità".La violenza e l'intolleranza non
fanno parte della nostra etica. L'unica volta in cui un mussulmano è autorizzato
a rispondere alla violenza è per legittima difesa e per causa manifesta. Tutti
coloro che non la pensano come noi non sono nemici, quindi, tutti gli atti di
violenza, provocazione e il terrorismo, sono fuori dalla nostra fede.
2. La jihad o yihad,e la
guerra santa
Il termine Jihad in arabo
significa sforzo. Il Profeta chiese ai suoi compagni un patto con il quale essi
si impegnavano a fare jihad, cioè lo sforzo di resistere alle aggressioni sia
morali che fisiche. Il Corano parla di jihad sempre in questo senso, non ha
nessun legame con la Guerra.La jihad è una lotta interiore contro gli aspetti
del nostro essere che ci impediscono di vivere pienamente e in armonia con il
resto della creazione. Purtroppo, questo concetto è stato manipolato per
strumentalizzare la rabbia e il risentimento degli strati più poveri ed
emarginati delle popolazioni mussulmane, per fargli credere che sono gli altri e
non i propri governanti i colpevoli della loro miseria e, pertanto, l'unica
soluzione giusta per uscirne è la violenza " per la causa di Allah", morendo in
nome del fondamentalismo religioso, per andare in Paradiso, dove troverà il
cibo che non hanno nella vita reale.
3. Il velo e il burqa.
Il velo appare solo una volta
nel Corano come raccomandazione all'interno del comportamento della decenza. Ma
questa raccomandazione serve allo stesso tempo,sia per gli uomini che per le
donne. Il problema risiede nella sua interpretazione maschilista, imponendo che
il velo è un principio fondamentale per una "buona" moglie mussulmana, quando
invece il Corano non specifica nulla in merito. Gli uomini e le donne devono
essere liberi di utilizzarlo o no, ed è per questo che anche la proibizione
del velo è contro il diritto di decidere sul corpo.
Essere donna musulmana va al
di là di un pezzo di stoffa.
Il concetto di hijab è più
che il velo islamico. Riguarda la modestia nel comportamento, il rispetto della
vita privata, e con il tenere un atteggiamento dignitoso in ogni momento. Il
velo è solo un modo di esteriorizzare un elemento dell'identità della donna
mussulmana; non ha il potere magico di proteggerla contro le cattive intenzioni
delle persone - come dicono alcuni - né di trasformarla automaticamente in una
persona pia - come sostengono altri. Solamente il patriarcato piò creare queste
cose e si dedica a promuoverle con lo stesso entusiamo - che vorrei - usasse
per porre fine a pratiche che non sono islamiche, anche se vengono identificate
con l'Islam, come le mutilazioni genitali femminili e il matrimonio forzato
delle bambine.
Per quanto riguarda il burqa,
è una tradizione che esisteva prima dell'arrivo dell'Islam, e quindi ha nulla a
che fare con la religione. Nessun testo del Corano parla sull'uso del burqa.
Infatti, per l'algerina Wassyla Tamazli, la sua origine non è che un simbolo di
dominazione e di privazione della libertà delle donne.
4. Islam e violenza
contro le donne
Il 17 marzo 2012, centinaia
di donne sono scese per le strade di Rabat per denunciare la legge che obbliga
le minori a sposare il loro stupratore. La settimana prima, Amina, di 17 anni,
si suicidò per essere stata costretta a sposare un uomo che l'aveva
violentata.I suoi genitori preferivano questo matrimonio, ad avere una figlia
disonorata. . Il Corano condanna lo stupro e lo stupratore, tuttavia, il marito
di Amina è libero e senza nessuna accusa. Questo a causa di una legge che
colpevolizza la vittima e lascia in libertà lo stupratore.
In Spagna ha suscitato molto
clamore il caso dell'imam di Fuengirola, che dalla moschea autorizzava a
picchiare le donne con stracci bagnati per non lasciare segni.Queste azioni,
seppur realizzate in nome dell'Islam non hanno nulla a che vedere con l'Islam.
Secondo il Corano, le ultime parole del Profeta prima di morire furono :
trattare bene le donne", promuovere l'uguaglianza tra donne ed uomini, il
rispetto e la tolleranza. Nulla a che vedere con la religione elaborata dal
Corano che, viceversa, condanna la violenza contro le donne e questo tipo di
azioni.
Ma c'è di più. Il sonetto
ayat (versetto) 04:34 dove secondo alcuni si ordina di battere le donne è la
conseguenza di una cattiva traduzione dell'arabo. La parola araba usata
nell'originale è Daraba, un verbo polisemico con oltre 300 significati;
solamente uno di questi è picchiare. Dall'esegesi dell'ayat in particolare e
della sua comparazione con l'uso della parola Daraba in altre ayat del Corano,
con lo spirito generale dello stesso e con l'esempio di vita del Profeta
Muhammad, la logica conclusione è che mai il significato possa essere
"picchiatele".
Piuttosto ciò che sembra
suggerire il Corano è che se come conseguenza del disaccordo coniugale non c'è
possibilità di comprensione è possibile " dare una impressione". E che tipo di
impressione? L'esempio del Profeta è la guida per l'interpretazione. Davanti ad
un momento di grave disaccordo con le sue spose egli si ritirò a meditare
lontano da esse, senza visitarle, parlarle, né cercarle e in questo modo ha
dato ad esse modo di riflettere. Se anche i problemi continuano il Corano dà la
possibilità di divorziare, quindi, la violenza non è mai la soluzione
accettabile. Lo scorso febbraio, 34 imam insieme a diversi leader islamici
legati al Supremo Consiglio Islamico del Canada hanno emesso una fatwa dove si
spiegava che la violenza contro le donne è contro i principi islamici:"
Ricordare ai mussulmani che i delitti d'onore, la violenza domestica e l'odio
contro le donne sono atti non mussulmani, che sono considerati dall'Islam come
crimini [...]Questi crimini sono grandi peccati all'interno dell'Islam e
vengono censurati dai tribunali e da Allah l'Onnipotente. "
5. La poligamia
I versetti 3 e 129 della sura
quarto del Corano, An-Nisa, danno all'uomo la possibilità di sposare le orfani e
le vedove per proteggere i loro interessi e proprietà con giustizia.
Questo frammento è stato
rivelato dopo la battaglia di Uhud, quando secondo il Corano, molti compagni del
Profeta furono martirizzati. Così, la poligamia ha senso in questo caso, perché
promuove lo spirito di giustizia e protezione. Ma non in tutti i casi, in quanto
il Corano afferma anche che si può avere più di una moglie, ma solamente se si
trattano in modo euguale. Qualcosa che è raro che avvenga. Allo stesso modo, il
Corano afferma (al-Ahsad: 4):" Dio non ha dato a nessun uomo due cuori in un
solo corpo". il Profeta si riferisce al fatto che un uomo non può amare due
donne in modo euguale, dimostrando così che per il Corano, la poligamia non
sempre è giusta visto che non offre uguaglianza a tutte le spose. In
conclusione, la poligamia potrebbe essere accettata solamente nel caso che le
donne fossero orfane o vedove dovendo proteggerle e salvaguardare i loro
interessi e la giustizia sociale.
6. Sesso e Omosessualità
Il Corano dice che sia gli
uomini che le donne hanno il diritto alla soddisfazione sessuale. In tema di
omosessualità ci sono molte idee diverse. La società sessista e patriarcale ha
sempre detto che l'omosessualità è vietata dall'Islam e alludono alla storia di
Sodoma, come dimostrazione che Dio non approva l'omosessualità. Ma vi sono
altri studiosi musulmani che credono che l'Islam e l'omosessualità siano
perfettamente compatibili. Amanullah De Sondy, professore di teologia di
origine pakistana, dopo una ricerca in materia, ha concluso che la storia Sodoma
non domostra che Dio non approva l'omosessualità, ma che Dio non approva lo
stupro. E l'Imam Muhsin Hendricks, ha un'opinione simile a favore
dell'omosessualità nell'Islam: ""Nella storia coranica su Lot e la sua gente,
gli uomini rappresentati sono eterosessuali e sposati con donne che
disprezzavano per un desiderio guidato dalla cupidigua e avidità. La distruzione
divina di Sodoma aveva più a che fare con il fatto che erano politeisti, ladri,
intrusi ..." L'Imam afferma che nella storia di Sodoma spiegata dal Corano i
suoi abitanti furono condannati da Dio perché cattive persone non perché
omosessuali.
7. Matrimonio
L'Islam permette il
matrimonio tra musulmani, cristiani ed ebrei, mentre vi è rispetto tra le
religioni (sura 5, versetto 5). L'interpretazione sessista del Corano afferma
che solamente gli uomini mussulmani possono sposarsi con donne di altre
religioni e non viceversa, perché se il marito non è mussulmano non rispetterà
le credenze della moglie. Questa è un'interpretazione machista ed erronea, dato
che il matrimonio deve basarsi secondo il Corano,nel rispetto e quindi in un
matrimonio in cui entrambe le parti si rispettano reciprocamente.
8. Divorzio
Ndeye Andujar, la vice
presidente della Giunta Islámica Catalana, coodirettora del Congresso
Internazionale sul Femminismo islamico e direttora del corso UNED “Esperto in
Cultura e Religión islamica”, ha scritto qualche anno fa un articolo intitolato
"Il divorzio e la Legge Islamica"che si occupa di questo argomento.
" La donna deve ottenere
l'autorizzazione dell'uomo per includere le condizioni nel contratto
matrimoniale e la Talaq ( lasciare libero) può continuare esercitata dal marito
senza avocare i tribunali, mediante una semplice formulazione unilaterale.
Pertanto, la donna non ha il diritto di divorziare in modo completo ed autonomo
".
Il diritto alla casa e alla
manutenzione è molto meno sicuro. La maggior parte dei codici di famiglia non
rispettano questo diritto anche se è stabilito nel Corano e nella Sunna.E
'incredibile che tali leggi così importanti come quelle che fanno riferimento ai
diritti delle donne divorziate che si basano sul Hadith siano manipolate
nascondendo il loro vero senso, come è la storia di Fatima bint Qays ".
Per coloro che vogliono
recuperare il messaggio di liberazione che ha segnato l'arrivo di Islam è un
dovere esigere la parità tra uomini e donne. Il che non significa distruggere la
famiglia islamica, al contrario,ciò che si tenta è rimuovere tutto ciò che è
stato aggiunto nel corso dei secoli e che ha finito per essere codificato in
leggi ingiuste e discriminatorie.
La convinzione che il
femminismo è un nemico dell'Islam nasce dall'idea che si tratta di un'invenzione
occidentale. E se guardiamo da vicino le politiche di genere e la posizione
delle donne in molti paesi mussulmani, sembrerebbe che è l'Islam il peggiro
nemico delle donne. Entrambe le posizioni sono sbagliate.
Coloro che sostengono la
prima tesi sono molto ignoranti sulla loro stessa fede. L'Islam è stata la prima
rivoluzione femminista nella storia del genere umano. Grazie alla rivelazione
coranica le donne sono passate dall'essere creature vergognose che meritavano di
essere sepolte vive ad esseri umani con dignità e pieni diritti. Nell'Islam non
vi è alcuna assegnazione di ruoli sociali in base al sesso biologico. L'Islam
consacrò prima di qualsiasi legislazione dell'antichità, il diritto della donna
all'eredità, al divorzio, a godere dei frutti del loro lavoro, a ricevere
l'istruzione e partecipare all'amministrazione della cosa pubblica. Se ciò non
fu una rivoluzione femminista, allora che cosa è stata?
I sostenitori della seconda,
si sbagliano anche loro. Quello che si vede non è l'applicazione della
rivelazione coranica, ma una miscela di regole del patriarcato, errata
interpretazione della sharia e leggi occidentali al tempo della colonizzazione
europea.
La Sharia non è ciò che
vediamo per televisione o quello che ci arriva attraverso le campagne
anti-lapidazione. La Sharia è lo spirito del Corano,che è, Giustizia Sociale,
Ragione, Libertà: questa è la giustificazione della rivelazione. Coloro che
accusano la sharia di essere la colpevole dell'oppressione delle donne, in
realtà stanno indicando il Fiqh, che è la giurisprudenza, le leggi basata sulla
interpretazione della Sharia, le quali naturalmente possiedono un terribile
pregiudizio di genere nei confronti delle donne. Il Fiqh che si applica
attualmente e che viene identificato con la Sharia ha in alcuni casi, più di
quattro secoli. Essendo l'Islam la religione della Fede ragionata e l'etica
della vita pratica è assurdo ed inaccettabile che il Fiqh non sia oggetto di
revisione e aggiornamento, considerato che questa deliberata negligenza attacca
le basi dell'uguaglianza e dignità che il Corano instaurò a favore delle donne.
Mariposa en la tormenta
traduzione di Lia Di Peri
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FEMMINISMO ISLAMICO CONTRO
LE LEGGI DEL PATRIARCATO: Sì. Il Corano è anche mio e lo gestisco io
Pubblicato da Associazione
Donne - Unite nel Mondo il giorno venerdì 19 marzo 2010
Femministe & musulmane: il
velo non è legge. Sì esistono. E per loro, il Corano è per l’uguaglianza dei
sessi, ma è stato stravolto da letture maschiliste e di padri-padroni. Si sono
riunite a congresso a Barcellona. E tra loro c’era anche una donna Imam che ha
guidato le preghiere.
Ovvero femministe islamiche.
Così hanno scelto di chiamarsi le donne musulmane che si sono riunite a
congresso a Barcellona lo scorso novembre. XL è andato a incontrarle. Siamo
partite insieme a Leila Karami. È iraniana, ha 36 anni e da 16 vive in Italia,
dove ha una borsa di studio.
Femminismo islamico? «Anche
se non vuoi avere a che fare con la religione, è impossibile. Da noi non è
separata dallo Stato. Nel mondo musulmano bisogna cambiare l'interpretazione del
Corano per poter cambiare i codici di famiglia e quindi migliorare la vita delle
donne». Il muro che hanno di fronte è la Shari’a, la legge islamica. Quella
delle lapidazioni delle adultere, dei divorzi impossibili, degli stupri non
puniti. Ma non c’entra Dio, è maschilismo e patriarcato, così dicono le donne
che rivendicano il «messaggio egualitario del Profeta».
Eccole al congresso. In 400
affollano un albergo alla periferia della capitale catalana. Sono arrivate da
tutto il mondo. Dall’Australia come dal Messico, passando per l’Africa e la
vecchia Europa. Sono giovani e meno giovani, velate e non. Vestiti occidentali
mischiati a coloratissimi teli africani, sari e jeans. Hanno in comune l’esilio,
per scelta o per obbligo. Alcune relatrici nei loro paesi non ci possono
tornare, gli uomini le vorrebbero morte. Altre sono emigrate per poter studiare
ed ora siedono nella sala e ascoltano, prendendo appunti. C’è anche la signora
Livia. Lavora a Perugia con le migranti che difficilmente riesce a far uscire di
casa. E comunque mai senza mariti.
Apre i lavori
l’americana-egiziana Margot Badran, ideologa del movimento: «Il termine
femminismo non è solo occidentale. La lotta al patriarcato per l’uguaglianza e
la giustizia sociale è globale, senza confini e differenze tra gli stati più
ricchi e quelli più poveri. Senza differenze religiose. Questi sono i principi
che vogliamo diffondere quando ci definiamo femministe islamiche, in armonia con
quelle occidentali». A salire in cattedra è Shaheen Sardar Ali. È stata
presidente della Commissione nazionale sulla condizione delle donne in Pakistan.
«Nel mio paese uno dei problemi fondamentali è la Zina, (l’adulterio) condannato
con la lapidazione, che io in quanto musulmana non ho ritrovato nel Corano.
Oltretutto in caso di stupro perché il violentatore sia punito, è necessario che
quattro testimoni oculari, uomini, adulti e musulmani di buona reputazione,
facciano una deposizione. Impossibile».
«In Darfur – continua Codou
Bop, Senegal - lo stupro è considerato tale solo sulle bambine sotto i nove
anni. Così una donna difficilmente può denunciare un violentatore senza essere
accusata d’adulterio e quindi condannata». Prima del pranzo ci si raduna nella
Moschea allestita in una sala dell’albergo, è l’ora della preghiera. A guidare
la cerimonia una delle rare donne imam: Amina al-Jerrahi ha fondato una comunità
islamica in Messico, legge dal Corano e predica. «Ci sono diversi modi di
interpretare il Corano, ma in tutti bisogna prendere l’ispirazione direttamente
da Dio per abbattere l’oppressione, soprattutto sulle donne. Le parole sono una
catena, una dentro l’altra. La luce della libertà brilli sulla nostra
generazione». Riprendono i lavori. Le ragazze velate sono tutte sedute in prima
fila. All’ultima moda con jeans e tacchi a spillo, difficilmente potrebbero
tornare vestite così nei loro paesi d’origine. Nella sala non c’è più un posto
libero. Diversi gli uomini con barba e turbante: sono venuti - e lo dicono- a
controllare che non si offenda l’Islam. Ci raggiunge Siham Drissi. Una trentenne
nata in Francia d’origine marocchina. Da 3 anni vive in Italia lavorando nella
cooperazione. «Sono diventata femminista a Roma. Con la vostra tv fatta di
veline e pubblicità ti viene una rabbia...». Dopo l’11 settembre anche lei, come
molte ragazze francesi, aveva pensato di mettersi il velo, per protesta verso
quell’Occidente che demonizza tutto l’Islam. «Alla fine ho deciso di no: non
volevo sentirmi, come donna, usata per una scontro politico. Certo in Francia la
situazione è difficile, esplosiva. L’Islam è diventato anche un simbolo della
lotta contro le discriminazioni...».
L’algerina Malika Abdelaziz
sono anni che lavora con le donne che emigrano. «La seconda generazione si trova
spesso stretta tra le regole della cultura d’origine e i modi di vita delle loro
nuove patrie. Ma parlare solo del velo è un modo per tacere i veri problemi che
le migranti vivono nei paesi d’accoglienza. La sanità, il contrasto tra le leggi
e la Shri’a, il lavoro». È la tunisina Amel Grami a continuare: «Alcune mettono
il velo per status o per imitare la tv come in Egitto. In nessuna parte del
Corano c’è scritto che le donne devono portare il velo. L’interpretazione del
testo è fatta dagli uomini ed è ovvio che dicano quello che più gli conviene».
Alcune ragazze velate sedute in prima fila chiedono quanto il femminismo
condannando il velo limita invece la libertà delle donne. Margot gli risponde
coprendosi la testa con un foulard: «Adesso parliamo dei veri problemi delle
donne!».
Qualcuna dal pubblico fa il
pollice verso, altre applaudono. Leila conosce bene l’argomento. Lei in Italia
il velo non l’ha mai portato ma quando va in Iran è obbligata. «Mi devo are
tutta - esclama – è per questo che ci torno poco e solo quando sono costretta
per studio». .
http://www.ilportaledelsud.org/matriarcato-patriarcato.htm
La
Sindrome di Medea Crista
Wolf
Malgrado le diverse impostazioni, la lettura del mito corre fin
qui nell'alveo prestabilito da Euripide che sfocia nell'infanticidio.
Indubbiamente, al di là del doppio tradimento - prima di Medea verso le sue
genti, poi di Giasone verso un...a moglie che gli intralcia la carriera - il
dato sconcertante resta quell'atroce violenza perpetrata dalla barbara della
Colchide sulla propria prole. Ora è proprio questo che Christa Wolf mette in
discussione.
Ripercorrendo a ritroso i variegati sentieri del mito fino alle
fonti precedenti alla versione euripidea, la scrittrice rintraccia una figura
diversa : una donna travagliata sì dall'amore, ma ancor più dall'incapacità
degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide,
per sua natura non incline alla violenza. Non un'infanticida, dunque,al
contrario una donna forte e generosa, depositaria di ub remoto sapere del corpo
e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti
fino a lapidarle i figli.
La Wolf rielabora frammenti di un mito provenienti da fonti
diverse, attestate soprattutto da Apollonio Rodio. Infatti, che Euripide avesse
manipolato la vicenda per assolvere gli abitanti di Corinto - colpevoli di aver
massacrato i figli di Medea - emerge anche dalla storiografia antica, onorario
compreso : quindici talenti d'argento, ricorda Robert Graves, sarebbero stati
versati al drammaturgo per questa storia di disinvolta cosmesi di stato, utile
per presentare al meglio Corinto sulla scena del teatro greco durante le feste
di Dionisio.
(...) Avvezza a lasciar sbirciare il pubblico nella sua officina
letteraria - si pensi alle Premesse di Cassandra (1983) - l'autrice ha chiarito
il percorso della sua ricerca, maturata durante un lungo soggiorno negli Stati
Uniti. Movendo dall'etimo positivo del nome - Medea, ossia "colei che porta
consiglio" un etimo aderente alle raffigurazioni più antiche che vogliono la
donna della Colchide dea, e successivamente guaritrice - la Wolf ha indagato i
motivi dello scadere di questa figura a emblema di una passione selvaggia e
disumana
"Nel corso dei millenni la figura di Medea è stata ribaltata nel
suo opposto da un bisogno patriarcale di denigrare lo specifico femminile. Ma
qualcosa non mi tornava : Medea non poteva essere un'infanticida perché una
donna proveniente da una cultura matriarcale non avrebbe mai ucciso i suoi
figli. In seguito rintracciai - con la collaborazione di altre studiose- le
fonti antecedenti a Euripide che confermavano il mio assunto di fondo. Fu un
momento straordinario".
Medea non rappresenta l'oscuro inabissamento nell'irrazionale, al
contrario essa rivendica l'archetipo della chiarezza, lo scandalo della ragione.
Donna di semenza vigile e ostinata, la barbara della Colchide non si lascia
irretire dai precetti di Acamante, l'astronomo di corte che la vorrebbe ligia e
devota a una liturgia del potere destinata a celare i crimini del palazzo. Medea
nega la separazione tra Amt e Person - tra pubblico e privato - e non riconosce
altra autorità se non quella del proprio intuito. E' questo suo "secondo
sguardo" che la spinge a seguire Merope - regina muta e sepolcrale - fin nelle
viscere della casa reale carpendone il segreto murato nel sottosuolo: nel timore
di perdere il trono il re Creonte le ha ucciso la figlia primogenita, Ifinoe.
Quel regno che si pretende vessillo di gesta gloriose è dunque fondato su di un
crimine. E' proprio questa scoperta a travolgere Medea: Corinto reagisce prima
con la diffamazione, poi, devastata dalla peste, identifica in lei, nella donna
diversa, irriducibile alla norma dei potenti, il capro espiatorio. Aizzata dalla
corte sarà la folla a lapidarne i figli. E sarà Corinto o meglio la ragion di
stato - complice Euripide - a consegnare ai posteri l'immagine di una Medea
sfregiata dall'accusa di infanticidio, istituendo con ipocrita cura un rito di
riparazione per un delitto da lei non commesso.
Crista Wolf, Meda- ediz. e/o, 1996
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" La Sindrome di Medea"
è l'ultima trovata, in ordine di tempo, dei maschilisti e dei misogini.
Ovviamente, la loro ignoranza è pari solamente alla quantità del
loro odio di genere...
Medea di Christa Wolf
(Postafazione di Anna Chiarloni)
Medea non è una fattucchiera. E tanto meno un'infanticida.
Questo, in sintesi, il senso del romanzo di Christa Wolf. Un'interpretazione del
tutto contro corrente in quanto da Euripide a Heiner Muller il mito di Medea
rappresenta l'esito di un tragico scontro tra il mondo arcaico e instintuale
della Colchide e quello civile e raziocinante dei Greci.
Questo perché la storia ci è nota come ci è stata tramandata dal
drammaturgo ateniese. Un intreccio di amore, gelosia e tradimento: ingannando il
padre e il fratello, Medea aiuta Giasone e gli Argonauti a riconquistare il
vello d'oro e fugge con lui a Corinto. Qui, abbandonata dal marito che medita di
sposare Glauce per ottenere il trono di Creonte, Medea incendia la città,
provoca la morte della rivale e uccide i figlioletti avuti da Giasone.
Ci sono state, è vero altre interpretazioni. Rispetto al testo di
Euripide, teso ad affermare la superiorità della ratio greca sul tenebroso mondo
dei barbari, il mito è stato riletto, soprattutto a partire dal romanticismo, in
funzione di un crescente interesse per la sfera del sentimento, accompagnato - è
il caso di Grillparzer (1821) - da un certo scetticismo nei confronti della
techne ellenica, sentita come espressione di una cinica volontà di dominio.
Anche nel film di Pasolini (Medea, 1969) il furto del vello d'oro diventa
simbolol della moderna rapina nei confronti di un mondo primigenio e inerme :
Giasone è la "mens momentanea", il tecnico dell'oggi circoscritto nell'opaca
prassi razionale. Medea rappresenta invece il tumulto del cuore emergente da un
mondo integro, che ancora conosce la dimensione metafisica.
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