RASSEGNA STAMPA |
vedi anche TERRORISMO
http://www.voltairenet.org/article184728.html
GAZA DA CHE PARTE STA L’ITALIA? Manlio Dinucci
COME L’ITALIA CONTRIBUISCE AI RAID ISRAELIANI Manlio Dinucci
Cos’hanno in comune le guerre in Ucraina, Gaza, Iraq, Siria e Libia?
di Alfredo Jalife-Rahme 2014
COLD WAR II DI GIULIETTO CHIESA 2014
Per l'unità dei Palestinesi February 23, 2010 di Pietro Ancona
Amnesty International: un anno dopo la fine di "Piombo fuso", il blocco israeliano di Gaza continua a soffocare la vita quotidiana 18/01/2010
Aquiloni a Gaza Pietro Ancona 1-8-2009
«Dovete solo sparare, niente pietà per i civili» - Michele Giorgio Manifesto – 15.7.09
Israele fa il tiro a bersaglio sui contadini della Striscia di Gaza 7/6/2009
SOLIDARIETA’ CON GAZA: QUALCUNO NON MOLLA… 17-12-2008
Evacuare la popolazione civile da Gaza Pietro Ancona 3-1-2009
ISOLAMENTO DI ISRAELE Pietro Ancona 4-1-2009
Israele punta alla soluzione finale Pietro Ancona 2-1-2009
La strage degli innocenti ed Emanuele Kant Pietro Ancona 6-1- 2009
Una tragedia domestica? Pietro Ancona 5-1-09
BASTA CON LA DISINFORMAZIONE DELLA RAI! VIA CLAUDIO PAGLIARA! Campagna 2008 Anno della Palestina il 29 dicembre 2008
IL QUARTO REICH - DA ABRAMO A ERODE, DA BAGHDAD A GAZA di Fulvio Grimaldi1 Gennaio 2009
Campo di concentramento e di sterminio di Gaza (23.12.08 - 10.01.09
CIVIUM LIBERTAS
ORGANO APERIODICO DELLA SOCIETÀ PER LA LIBERTÀ DI PENSIERO, PER LA LAICITÀ DELLO
STATO E DELLE ISTITUZIONI, PER LA RIFORMA DEI PARTITI, PER I DIRITTI POLITICI,
SOCIALI ED ECONOMICI DEI CITTADINI, PER LA PACE NEL MONDO
Il tradimento
degli intellettuali
DOBBIAMO AGGIUSTARE L'IMMAGINE DISTORTA CHE ABBIAMO DI HAMAS DI
WILLIAM SIEGHART 07/01/2009
Times on line
Ipotesi per la tonnara di Gaza di Lorenzo Galbiati
Manifesto – 15.7.09
«Dovete solo sparare, niente pietà per i civili» - Michele Giorgio
Cinquantaquattro testimonianze che spiegano, in modo inequivocabile, che l'operazione «Piombo fuso» venne concepita e realizzata con regole d'ingaggio che non facevano alcuna differenza tra combattenti e civili palestinesi, tra edifici abitati da persone innocenti e uffici e installazioni di Hamas. Un'operazione preparata da lungo tempo, che doveva infliggere un colpo durissimo, tale da provocare uno shock all'intera popolazione di Gaza. È ciò che emerge dal rapporto che l'associazione israeliana «Breaking the Silence» presenterà oggi durante una conferenza stampa. Soldati, in buona parte in servizio di leva, molti dei quali ancora impegnati nei territori palestinesi occupati, mantenendo l'anonimato hanno risposto alle domande dei ricercatori di «Breaking the Silence» sulle istruzioni ricevute prima e durante i giorni insanguinati dell'offensiva contro la Striscia di Gaza, condotta da Israele tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio, che ha ucciso 1.417 palestinesi (13 gli israeliani morti), ferito altri 5mila e distrutto o danneggiato molte migliaia di edifici. «Testimonianza dopo testimonianza - ha commentato l'avvocato dei diritti umani Michael Sfard, consulente di "Breaking the silence" - emergono i metodi dell'operazione alla quale hanno partecipato i soldati dell'esercito israeliano: mettere sullo stesso piano combattenti e civili; bombardare anche aree densamente popolate da donne, bambini ed anziani; uso improprio di armi, distruzioni sistematiche senza alcuna motivazione. L'attacco contro Gaza è stato portato avanti con l'idea che (Israele) non avrebbe dovuto subire perdite, con l'ordine di sparare contro chiunque, senza considerare i civili». Un esempio di questa guerra senza scrupoli viene dalla testimonianza numero 10, fatta da un riservista. «Il nostro comandante di brigata ci disse che andavamo in una guerra vera, senza considerare i civili, e di sparare verso chiunque. Vi riferisco non le sue parole esatte ma il loro significato concreto...il fine era di portare a conclusione una operazione con un numero minimo di perdite, senza porci interrogativi sui costi che avrebbe pagato l'altra parte...Una sera il comandante ci disse: pensate solo a sparare». Un altro militare riferisce dell'uso di munizioni al fosforo bianco, un'arma che le leggi internazionali proibiscono in aree popolate da civili. «Una volta trovammo resti del fosforo bianco in una zona di 200-300 metri quadrati - ha raccontato il testimone - durante il servizio militare ci avevano spiegato che il suo uso non è consentito e invece è stato utilizzato (a Gaza)». Un altro ancora, a proposito delle regole d'ingaggio, ha ricordato quando una sera un palestinese si avvicinò all'edificio occupato dalla sua unità: «Lo vedemmo avanzare con una torcia, chiedemmo l'autorizzazione di sparare colpi di avvertimento (per costringerlo a tornare indietro, ndr) ma dal comando ci dissero di no...poi quando l'uomo giunse a 20 metri da noi gli sparammo. Era solo un anziano, urlava e chiedeva aiuto, rimase sul terreno due giorni poi (morto) lo portarono via». Un militare ricorda che il comandante del battaglione spiegò «scherzosamente» ai suoi uomini che per rivolgersi ai palestinesi avrebbero avuto a disposizione un «lanciagranate e un mitragliatore che parlano arabo». Riguardo alla distruzione di case senza motivi precisi, un testimone ha riferito che il suo comandante affermò che «tutto ciò che si distrugge può essere ricostruito, a differenza della vita di un soldato...se vedete qualcosa di sospetto, sparate senza esitazioni, meglio colpire un innocente che non fare fuoco contro un nemico». A Beit Lahiya il testimone 23 notò che alcuni soldati avevano messo escrementi nei cassetti della stanza da letto di una abitazione palestinese. «In un asilo - ha detto - c'erano degli adesivi attaccati sulle pareti con Topolino e Minnie e qualcuno (un soldato) disegnò un fallo sull'immagine di Minnie». Un altro ha riferito: «demolimmo tantissime case, alcuni di noi passarono tutto il tempo a demolire case». «Se una abitazione era sospettata di ospitare un tunnel sotterraneo - ha aggiunto da parte sua il testimone 27 - allora veniva centrata con munizioni al fosforo bianco perché avrebbe funzionato da detonatore per esplosivi nascosti». Il testimone 29 ricorda che «la terra tremava costantemente per i colpi incessanti sparati dall'artiglieria (sui centri abitati, ndr)». «La legge internazionale parla chiaro - ha detto l'avvocato Sfard - il principio fondamentale è fare differenza tra popolazione civile e combattenti, violare questo principio è un atto immorale ma soprattutto un crimine di guerra». «Breaking the silence» raccoglie da cinque anni testimonianze di soldati israeliani ma, ha puntualizzato il suo direttore Yehuda Shaul, «ciò che ci è stato riferito su Piombo fuso non lo avevamo mai registrato prima. È evidente che in questa operazione sono state superate linee rosse mai oltrepassate in passato»
SOLIDARIETA’ CON GAZA: QUALCUNO NON MOLLA…
Naturalmente, non ne parla nessuno, ma da diversi giorni un gruppo di internazionali sta premendo al valico di Rafah perchè l’Egitto si decida ad aprire quell maledetto confine e consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza degli aiuti umanitari e rispetti il principio della libera circolazione delle persone, in paritcolare dei feriti e dei malati. I grandi media tacciono, gli studenti manifestano contro Gheddafi (lo faranno anche contro Nethanyau? Ai posteri l’ardua sentenza), i professionisti della solidarietà (come la Premiata Ditta ARCI & FIOM) fanno finta di non sapere, ma un pugno di donne e di uomini sta sfidando il deserto ed il silenzio per non lasciare soli il milione e mezzo di Palestinesi assediati nella Striscia di Gaza. Alcuni di quei compagni li abbiamo conosciuti quando abbiamo lottato insieme per entrare a Gaza, nel marzo scorso. Conosciamo le persone, la situazione, i luoghi. Non possiamo che sentirci vicini a Chris, a Don ed a tutti gli altri. Facciamo in modo che almeno si sappia quello che sta succedendo. Ecco la loro ultima comunicazione. Determinazione e solidarietà al valico di Rafah Sotto la pressione dell’esercito e della polizia egiziani, l’International Movement to Open the Rafah Border ( IMORB) mantiene il proprio accampamento al valico di Rafah. Il gruppo sta crescendo: ora siamo in 26 dalla Francia, dagli U.S.A., dalla Germania, dall’Egitto, dal Belgio e dalla Svezia. Ieri, il nostro amico italiano ci ha lasciato per tornare al suo lavoro in Italia, ma una donna tedesca, Alona, sposata con un Palestinese di Rafah, ci ha raggiunto con i suoi figli, dai 6 ai 12 anni. Lei vuole tornare a vivere con la sua famiglia a Gaza e, dopo il rifiuto delle autorità egiziane al suo transito, ha detto: “Vengo dalla Germania e non voglio tornare a domire ad El Arish. Sono qui e voglio solo una cosa: andare a Gaza.” Al telefono, il marito ha chiesto aòòa sua famiglia di aggiungersi all’accampamento dell’IMORB. Questa mattina, siamo stati raggiunti da un rifugiato palestinese, Mohammad, un attivista del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che ha trascorso 24 anni nelle carceri israeliane e che vive in Belgio. La figlia di Mohammad, una studentessa di Gaza malata di diabete, ha urgente bisogno di insulina. “Dall’8 giugno, le autorità egiziane mi impediscono di passare dall’Egitto (verso gaza, n.d.t.). Ho Saputo del vostro accampamento ed ho deciso di venire a stare con voi. Ci sono voci che dicono che il valico sarà aperto mercoledì 17 giugno, ed io resterò qui ed aspetterò”. Anche nove Palestinesi con cittadinanza svedese, fra cui quattro bambini, hanno raggiunto l’accampamento al confine. Da quando abbiamo installato l’accampamento, due girni fa (il 13 giugno), la polizia egiziana e gli agenti dei servizi segreti ci hanno visitato periodicamente. Ogni notte il colonnello Mohammad viene a parlarci e ci permette di restare, dopo aver minacciato di cacciarci via con la forza. Quando è arrivato da noi l’ultima notte, si è mostrato più tollerante ed ha ordinate di riaprire I bagni e la cafeteria che erano stati chiusi per ordine del generale Khalil Harb per costringerci ad andarcene. Questa mattina, sono venuti i poliziotti e ci hanno chiesto di smontare le tende. Abbiamo spiegato che ne abbiamo bisogno per far dormire i bambini. Non hanno insistito. Dopo la sua visita di ieri mattina, il generale Harb è tornado dopo mezzanotte e ci ha detto: “Questa è una zona militare proibita e la vostra presenza qui è inaccettabile. Useremo ogni mezzo necessario per allontanarvi”. Nonostante queste pressioni, l’IMORB resiste. Gli abbiamo detto: “Ce ne andremo solo quando il confine verrà aperto”. La nostra presenza è rafforzata dal sostegno dei cittadini egiziani, alcuni dei quail ci hanno portato coperte, materassi ed altri generi di conforto. Questa mattina, uno sconosciuto ci ha portato del pane fresco. Poi, un bambino ci ha portato del fooul, un cibo tradizionale per la colazione, che era veramente delizioso. Ieri sera, un poliziotto è venuto da noi indossando una kefiah palestinese e ci ha offerto del the. Queste dimostrazioni di sostegno ci aiutano a resistere, nonostante la situazione precaria in quello che Alona chiama “un hotel a cinque stelle”. In solidarietà da tutti noi International Movement to Open Rafah Border
DOBBIAMO AGGIUSTARE L'IMMAGINE DISTORTA CHE ABBIAMO DI HAMAS
DI WILLIAM SIEGHART 07/01/2009
Times on line
Gaza è una società laica dove la gente ascolta musica pop, guarda la tv, e
molte donne camminano per strada senza il velo.
La settimana scorsa ero a Gaza. Mentre ero lì ho incontrato una ventina di
poliziotti che partecipavano a un corso in gestione dei conflitti. Erano
ansiosi di sapere se gli stranieri si sentivano al sicuro da quando Hamas
era al governo. “Sì, certamente!” ho risposto. Senza dubbio gli ultimi 18
mesi hanno visto una relativa calma per le strade di Gaza; nessun uomo
armato per le strade, niente più rapimenti. Hanno sorriso pieni di orgoglio
e ci hanno salutato con un arrivederci.
Meno di una settimana dopo tutti questi uomini erano morti, uccisi da un
razzo israeliano durante una cerimonia di passaggio di grado. Erano “uomini
armati e pericolosi di Hamas” ? No, erano poliziotti disarmati, impiegati
pubblici uccisi non durante un “campo di addestramento militante” ma nella
stessa stazione di polizia al centro di Gaza City usata dagli Inglesi, dagli
Israeliani e da Fatah durante il periodo in cui questi guidavano il paese.
Questa distinzione è cruciale perché mentre le terrificanti scene di Gaza e
Israele vengono trasmesse nei nostri schermi televisivi, si sta combattendo
anche una guerra fatta di parole che sta oscurando la nostra comprensione
della realtà dei fatti.
Chi o cosa è Hamas, il movimento che il ministro della Difesa israeliano
Ehud Barak vorrebbe annientare come se fosse un virus? Perché ha vinto le
elezioni palestinesi e perché permette che vengano sparati razzi su Israele?
La storia degli ultimi tre anni di Hamas rivela come l'incomprensione
riguardo a questo movimento da parte dei governi di Israele, degli Stati
Uniti e Regno Unito ci abbia condotto alla situazione brutale e disperata in
cui siamo.
La storia comincia circa tre anni fa quando “Cambiamento e Riforma”, il
partito politico di Hamas, ha inaspettatamente vinto le prime elezioni
libere e regolari del mondo arabo, in una piattaforma politica che vedeva la
fine della corruzione endemica e il miglioramento dei quasi inesistenti
servizi pubblici nella Striscia di Gaza. Contro un'opposizione divisa questo
partito apparentemente religioso si è impresso nella comunità a prevalenza
laica tanto da guadagnare il 42 per cento dei voti.
v I palestinesi hanno votato per Hamas perché hanno pensato che Fatah, il
partito del governo che hanno bocciato, li ha delusi. Nonostante la rinuncia
alla violenza e il riconoscimento dello Stato d'Israele, Fatah non ha
realizzato uno Stato palestinese.
v E' essenziale sapere questo per capire la cosiddetta posizione di rifiuto
di Hamas. Che non riconoscerà Israele o rinuncerà al diritto di resistere
finchè non sarà sicuro dell'impegno mondiale a raggiungere una soluzione per
la questione palestinese.
Nei cinque anni in cui ho visitato Gaza e la Cisgiordania ho incontrato
centinaia di politici e di sostenitori di Hamas. Nessuno di loro ha
professato lo scopo di islamizzare la società palestinese, in stile
talebano. Hamas conta troppo sui votanti laici per fare questo. La gente
ascolta ancora la musica pop, guarda la televisione e le donne ancora
scelgono se indossare il velo o no.
La leadership politica di Hamas è probabilmente la più qualificata nel
mondo. Può vantare nelle sue file più di 500 laureati col titolo di
dottorato, la maggioranza fatta di professionisti della classe media
(dottori, dentisti, scienziati, e ingegneri).
La maggior parte della leadership di Hamas si è formata nelle nostre
università è non ha maturato nessun odio ideologico contro l'Occidente. E'
un movimento basato sul malcontento, dedicato ad affrontare l'ingiustizia
compiuta sul suo popolo. Ha coerentemente offerto una tregua di dieci anni
per fornire uno spazio di respiro per poter risolvere un conflitto che
continua ormai da pià di 60 anni.
La reazione di Bush e Blair alla vittoria di Hamas nel 2006 è la chiave
dell'orrore di oggi. Invece di accettare il governo democraticamente eletto,
hanno finanziato un tentativo di rimuoverlo con la forza; addestrando e
armando i gruppi di combattenti di Fatah per rovesciare militarmente Hamas e
imporre ai Palestinesi un governo nuovo e non eletto da loro. Come se non
bastasse, 45 membri del Parlamento di Hamas sono ancora detenuti nelle
prigioni israeliane.
v Sei mesi fa il governo israeliano ha accettato una tregua, mediata
dall'Egitto, con Hamas. In cambio del cessate il fuoco Israele ha
acconsentito all'apertura dei valichi e permesso il libero flusso dei beni
essenziali dentro e fuori da Gaza. I lanci di razzi sono terminati ma i
valichi non sono stati mai totalmente aperti, e la popolazione di Gaza ha
iniziato a morire di fame. Questo devastante embargo non è una vittoria
della pace.
Quando gli occidentali chiedono che cosa abbiano in mente i leader di Hamas
quando ordinano o permettono il lancio di razzi su Israele, non stanno
comprendendo la posizione dei palestinesi. Due mesi fa le Forze di Difesa
israeliane hanno rotto la tregua entrando a Gaza e cominciando di nuovo il
ciclo di uccisioni.
Dal punto di vista palestinese ogni giro di razzi lanciati è una risposta
agli attacchi israeliani. Dal punto di vista israeliano è il contrario. Ma
cosa significa quando Barack parla di distruzione di Hamas? Significa
uccidere il 42 per cento dei palestinesi che hanno votato per esso?
Significa rioccupare la Striscia di Gaza da cui Israele si è ritirato così
dolorosamente tre anni fa? O significa separare in modo permanente i
palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania, politicamente e
geograficamente?
E per coloro il cui mantra è la sicurezza di Israele, quale sorta di
minaccia costituiscono i tre quarti di un milione di giovani che stanno
crescendo a Gaza con un odio implacabile contro chi li riduce alla fame e li
bombarda?
E' stato detto che questo conflitto è impossibile da risolvere. In realtà, è
davvero semplice. Il vertice delle mille persone che governano Israele
(politici, generali e lo staff della sicurezza) e il vertice dei palestinesi
islamisti non si sono mai incontrati. Una pace che sia tale richiede che
questi due gruppi si siedano insieme senza pregiudizi. Ma gli eventi di
questi giorni sembra abbiano reso ciò più improbabile che mai. Questa è la
sfida per la nuova amministrazione di Washington e per i suoi alleati
europei.
William Sieghart
Fonte: www.timesonline.co.uk
ISOLAMENTO DI ISRAELE di Pietro Ancona
Evacuare la popolazione civile da Gaza
Nonostante una sentenza della Corte Suprema Israeliana ai giornalisti non
Una tragedia domestica? Pietro Ancona
Lucio Caracciolo, analista di problemi internazionali, definisce l’aggressione israeliana a Gaza una tragedia domestica, insomma un evento non di primo piano, da derubricare, da non occupare un posto importante nell’agenda internazionale. Dieci giorni di bombardamenti intensivi ed ora l’occupazione terrestre davvero non costituiscono l’evento cruciale con il quale si apre l’anno? Davvero sono un qualcosa che riguarda soltanto ed in primo luogo gli israeliani ed i palestinesi che il resto del mondo subisce con fastidio, con irritazione, come
insomma una storia che è durata e dura troppo a lungo ed ha finito con lo stufare''?
Io non condivido questa analisi. Non sono d’accordo per la derubricazione per diversi motivi a cominciare dal fatto che ci troviamo di fronte al bombardamento di una popolazione palestinese che sta subendo sofferenze inenarrabili, ha avuto oltre cinquecento morti, tremila feriti, migliaia e migliaia di traumatizzati dallo spaventoso fragore degli aerei e delle esplosioni. Il fatto che una Potenza di prima grandezza dal punto di vista militare infierisce su una popolazione praticamente inerme emoziona la opinione pubblica mondiale ed ancora di più colpisce il fatto che Israele fa tutto questo in barba al diritto internazionale e senza alcun rispetto per la popolazione civile.
Israele si sta comportando come gli Usa si sono comportati e si comportano in Iraq ed in Afghanistan. Ha aperto il suo artiglio coloniale contro i Palestinesi, considerati terroristi perchè rifiutano il quisling Abu Mazen così come terroristi sono i Talebani per non avere accettato il quisling creato dagli Usa e terroristi sono coloro che in Iraq non accettano l’ordine imposto dalle armi e dalla violenza.
Nel caso assai probabile di una vittoria di Israele e di una sconfitta dolorosa di Hamas la vittoria non porterà con sé cose buone. Prima di tutto le nazioni arabe che oggi subiscono il giogo di tiranni filooccidentali a cominciare dall’Egitto non accetteranno prima il massacro e poi l’annessione della Palestina ad Israele seppur sotto forma di protettorato. Ma anche gli Stati minacciati recentemente da iniziative americane poco amichevoli come la Cina, la Russia, e molti altri rifletteranno su un mondo in cui le nazioni che rappresentano l’Occidente possono scatenare l’apocalissi, massacrare, annettere, fare i propri comodi. L’ordine internazionale per quanto non più basato sull’equilibrio dei due blocchi e controllato dalla potenza Usa non può essere abusato. Insomma qualcuno prima o poi deve essere chiamato a rendere conto di delitti contro l’umanità che dall’undici settembre in poi e dall’avvento dei teorici dell’esportazione della democrazia ha provocato troppo sangue, troppe sofferenze, troppo dolore. L'Occidente sembra uscito di testa ed in preda ad un delirio criminale!
Gaza non è una tragedia domestica. Non si consuma tra una Domus ed i suoi riottosi vicini che non vogliono cedere lo loro case. E’ un punto focale dell’equilibrio mondiale basato su una forza che sembra fuori controllo. Fuori controllo come la finanza mondiale devastata dalla speculazione e dal latrocinio dei banchieri e dei finanzieri in grande parte ebrei che sta chiedendo sacrifici immensi al mondo intero. Fuori controllo dal momento che uccidere un dirigente palestinese assieme a tutta la sua famiglia viene considerata la cosa più ovvia e banale di questo mondo
Non può e non potrà essere accettato. Wall Street deve spiegare al mondo la crisi che l'ha investita. Il sistema capitalistico-colonialista non può continuare a vivere senza cambiare profondamente le regole. Mercato e democrazia non coincidono più ed il capitalismo è in grado di garantire soltanto incertezza a tutti, sprofondamento di classi sociali agiate nella povertà, fallimento di Stati e nessuna speranza per il futuro. La crisi israeliano-palestinese aggrava lo stato di incertezza e di tensione. Il mondo ha bisogno di ordine, di serenità, di pace. L'avventura da Quarto Reich di Israele lo rende invece incerto e pericoloso. Israele deve spiegare perchè dopo cinquanta anni di occupazione non riesce a dare un ordine giusto alla regione che tiene in permamente crisi.
Pietro Ancona
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=34194983
BASTA CON LA DISINFORMAZIONE DELLA RAI! VIA CLAUDIO PAGLIARA!
Di fronte alle incredibili manipolazioni sulla tragedia in atto a Gaza operate
dal cosiddetto "servizio pubblico", in particolare dall'inviato CLAUDIO
PAGLIARA, non è più possibile tacere. Pagliara non si comporta da giornalista,
ma da zelante propagandista del governo israeliano. QUELLO CHE PAGLIARA E LA
RAI NON CI FANNO SAPERE
Tutto il mondo sa che Hamas non ha "rotto la tregua con Israele", come ripete
ossessivamente Claudio Pagliara, ma che la ripresa del lancio di missili
artigianali è avvenuta allo scadere della tregua, dopo che Israele ha violato
per tutti i sei mesi della tregua stessa le condizioni concordate. Israele non
ha aperto i confini di Gaza al passaggio di viveri e medicinali, riducendo alla
fame un milione e mezzo di persone e provocando il collasso degli ospedali e la
morte di almeno 275 malati gravi.
Israele ha continuato le incursioni militari all'interno della striscia di Gaza,
uccidendo almeno 25 Palestinesi. In Cisgiordania e a Gerusalemme, Israele ha
continuato i rastrellamenti, le uccisioni, gli arresti arbitrari, la demolizione
di case, la distruzione di uliveti e piantagioni, la moltiplicazione dei posti
di blocco e la costruzione dei Muri dell'Apartheid, che isolano le città e i
villaggi palestinesi, trasformandoli in tante prigioni a cielo aperto.
Tutte queste cose, e molte altre, Pagliara e la RAI non ce le fanno sapere.
Pagliara e la RAI non ci hanno detto che fra le vittime dei bombardamenti
israeliani ci sono anche sette operatori dell'ONU, anzi continuano a ripetere
che "secondo la stessa Hamas" la maggior parte delle vittime sono miliziani e
combattenti del movimento islamico, mentre simili dichiarazioni non risultano da
nessuna parte, se non nelle veline dell'esercito israeliano.
La realtà, che Claudio Pagliara e la RAI offendono quotidianamente, è che i
morti di Gaza sono poliziotti, cittadini comuni, donne e bambini, persino
detenuti, visto che – oltre alle scuole, alle università, alla sede del
parlamento, ai palazzi di civile abitazione ed alle moschee – l'aviazione
israeliana ha bombardato anche le carceri. Questa stessa mattina, nel suo
servizio trasmesso dal TG1, Claudio Pagliara è riuscito a nascondere anche la
notizia dei sei bambini assassinati nella notte dai bombardamenti, nonostante
fosse stata diffusa anche dalle agenzie italiane!
Claudio Pagliara e la RAI non possono continuare impunemente a violare il nostro
diritto ad un'informazione equilibrata e veritiera. Noi non possiamo continuare
ad essere presi in giro ed a pagare, con il canone RAI, lo stipendio di chi ci
nasconde la verità.
Israele punta alla soluzione finale
I
palestinesi saranno trattati come gli ebrei a Babilonia ed in Egitto dal
Faraone
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Gli ebrei da popolo deicida a Stato genocida........e lo scontro
di civiltà??
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Gli ebrei sono stati perseguitati per secoli dalla Chiesa e dagli
Stati Cristiani come popolo deicida. Sofferenze inanerrabili subite
ingiustamente. Ma da quando hanno Israele sono diventati uno Stato
genocida. Cosi come gli antesemiti non consideravano esseri umani
titolari di diritti gli ebrei, oggi gli ebrei ritengono giusto e
necessario uccidere i palestinesi dal momento che calpestano una
terra che loro ritengono sia stata promessa da DIO al popolo eletto.
I massacri palestinesi che Israele organizza periodicamente non
avevano mai toccato l'intensità di questa ultima aggressione alla
striscia di Gaza. E' come se la certezza dell'impunità, l'accordo
scellerato con l'Egitto, la protezione dell'Impero abbiano reso più
tracotante, più assassina, più incurante dello scandalo e dal
raccapriccio che procura in chi vede.
I massacri sono volti ad annullare la possibilità della
costituzione di uno Stato palestinese. Vengono sistematicamente
uccisi tutti i quadri dirigente anche della società civile e ridotte
in macerie tutte le infrastrutture a cominciare dalle scuole.
Questo massacro indica una sola cosa: la liquidazione della
palestina indipendente espressa da Hamas e la creazione di un
protettorato in gisgiordania con la benedizione della Clinton e di
Obama
ai quali Bush sta facendo il lavoro sporco. Protettorato e basta
anche se sarà chiamato con un nome pomposo.
Quando sento parlare di scontro di civiltà, mi stupisco sempre
della capacità di creare menzogna di scrittori, massmedia, uffici di
disinformazione. Ma quale scontro di civiltà c'è con l'Islam quando
la stragrande maggioranza degli stati arabi si fa i fatti fuori ed
assiste
impassibile al genocidio dei palestinesi
pietro ancona
http://www.comedonchisciotte.org:80/site/modules.php?name=News&file=print&sid=5419
IL QUARTO REICH - DA ABRAMO A ERODE, DA BAGHDAD A GAZA:
Data: Giovedi 1 Gennaio 2009 (19:00)
Argomento: Israele / Palestina
CAMPIONI DI INFANTICIDIO
DI FULVIO GRIMALDI Mondocane
E il Signore Jahvé disse a Giosué di distruggere totalmente tutto ciò che si trovava nella città, uomini e donne, giovani e anziani, e i buoi, le pecore, gli asini, passati al filo della tua spada (Bibbia)
Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare e darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia (Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/4/1983).
Sul crimine che lo Stato psicopatico, sostenuto da una società nazificata (85% a favore dello sterminio di Gaza), sta effettuando le notizie, almeno in rete, si susseguono incalzanti e esaurienti. Abbiamo visto e denunciato ancora una volta che Israele "dove coje, coje", basta che siano arabi e ogni superamento delle atrocità nazifasciste, o del Ku Klux Klan, è giustificato.
Ma manca spesso la visione geopolitica e, quasi sempre, una precisa e complessiva individuazione dei criminali, della loro storia e dei loro sodali, camerati, opportunisti, utili idioti, cerchiobottisti e muti.
Un amico e compagno, prestigioso accademico, mi ha rimproverato:”Non si possono trattare allo stesso modo i vicini e i lontani, Rifondazione e la Lega, Berlusconi e Bertinotti, Curzi e Vespa…” Non so se ha ragione quando mi critica per “sparare a zero su tutti”. Dico che non ci posso fare niente perché le cose stanno a mio avviso così: non c’è quasi nessuno nell’empireo di cui questo amico cita alcuni protagonisti che non faccia letteralmente schifo e che io possa considerare a me “vicino”. Anzi, coloro che sarebbero i “lontani”, non ci sono proprio. Cioè non si discutono. Lo facciano altri. Li trascuro nelle mie intemperanze perché sono scontati. Sappiamo tutti che sono l’arcinemico di classe. Lo manifestano e confermano con ogni cinguettio o grugnito e in ogni tratto della faccia e del corpo. Sparare su Berlusconi, la Lega o Vespa è come sparare sui serpenti a sonagli. Perché devo aggiungere le mie alla grandine di pallottole? A ognuno il suo target. Quanto ai “vicini”, beh, non riesco a vedere un Bertinotti, un Curzi, una Rifondazione bertinot-vendoliana se non alla lontananza che separa le scene di Gaza dall’Isola dei famosi. Crede, il mio stimatissimo amico, che alla classe in cui noi ci identifichiamo faccia più male il serpente a sonagli che a distanza identifichi e di cui conosci il veleno, o la mantide religiosa che ti seduce e poi ti divora? In altre parole, la classe sa chi sono i nemici mortali, ma spesso, oggi perlopiù, non sa chi sono coloro che al nemico evidente spianano la strada, mentre a lei lisciano il pelo.
Faccio un esempio. Tale Gennaro Carotenuto, docente e giornalista di sinistra, frequente presenza sulla rivista “Latinoamerica” di Gianni Minà, dopo aver criminalizzato le FARC colombiane secondo i più efficaci stereotipi di Condoleezza Rice, si avventura in Medioriente e, sotto il titolo urlato “GAZA!”, dopo aver acconsentito a criticare “l’impresentabile espansionismo colonialista” di Israele e definito il sicario giornalistico di Israele alla Rai, Claudio Pagliara, “guitto del giornalismo”, così accreditandosi a sinistra, impegna metà della sua estrinsecazione a tirare melma addosso a Hamas, “trogloditi razzisti e sessisti”, ai quali le forze di quello che dovrebbe essere “il cuore del Medioriente” (Israele, nientemeno) hanno proprio dovuto “reagire”. Reagire al “lancio pesante e forse intollerabile” di Hamas! Razzi di latta e di cartone che non ti fanno niente se proprio non ti prendono sul cranio. Fustigati i compagni che rispettano l’intervento sociale di Hamas, unica salvaguardia di quel che resta di vita nella Striscia, con l’accusa che essi “scambiano le organizzazioni clientelar-caritatevoli di Hamas come progressiste” (qualche dissenso con la sintassi), questa sofisticata penna invita a “sforzarsi di capire le ragioni di Israele, dell’ebreo di Masada". Lo sconcio si conclude addebitando a Hamas “i peggiori umori dei palestinesi” e, a conferma dell’approfondita conoscenza della tematica, chiama col nome delle forze d’offesa israeliane, Tsahal, i combattenti di Hamas Ezzedin Al Kassam E’ peggio Pagliara o Carotenuto, il pornografo che si esibisce nella sua oscena nudità, o il cialtrone mascherato che ti cogliona? Sono peggio i Tg, Paolo Mieli, “la Repubblica”, “Libero”, che, leccandosi i baffi, cianciano di “autodifesa di Israele”, o “l’Unità” che si barcamena, con il suo lobbista ebraico Giovannangeli, tra estremisti israeliani e “estremisti“ palestinesi? E’ peggio Pagliara, o quel rettile di Zvi Schuldiner del “manifesto”, funambolo in equilibrio tra “criminali di Hamas” e “criminali del governo israeliano”? E’ peggio il serial killer Olmert, o l’osceno quisling Abu Mazen, che finge di essere capo del popolo palestinese occupato, predato e sterminato, e concorda con i carnefici sionisti l’assalto genocida a metà di quel suo popolo, attribuendo della macelleria la colpa a coloro che hanno reagito, loro sì, con quattro bombe carta a un killeraggio di massa, prima economico e poi militare? Si viene uccisi solo dai missili di mentecatti sadici israeliani, o anche dalla negazione di farmaci, pane, acqua, energia per le macchine salvavita, vie di fuga? Che differenza c’è tra un missile bunkerbuster fornito dagli Usa e nel cui cratere scompare un palazzo con dieci bambini e il blocco che fa morire in sei mesi 250 persone cui è stata negato di curarsi all’estero? Chi è che ha cominciato? Oggi e nel 1948? 52 palestinesi assassinati durante 18 mesi di tregua senza un Kassam. 400 uccisi in quattro giorni di massacri ad alta tecnologia contro tre vittime dei razzi di Hamas, rapporto di uno a cento, uno dell’occupante razzista, ladro e assassino, cento di chi ha tutte le ragioni più una. Il nemico che non conosci è il più pericoloso. Una volta il mal nominato Migliore, famiglio di Bertinotti, urlò paonazzo in assemblea di partito: “Intifada fino alla vittoria non sarà mai uno slogan accettabile per Rifondazione!”. Più nemico dei palestinesi di così. E dunque anche nemico nostro.
Prima di andare avanti, sbarazziamoci una volta per tutte della patacca “antisemita”, riflesso condizionato dell’universo vittimista ebraico e annessi corifeim, ma più strumentale del Lodo Alfano "che garantisce la governabilità". Di antisemita qui c’è soltanto il secolare olocausto degli arabi, unici semiti di questo pianeta insieme alla minoranza araba convertitasi all’ebraismo (sefarditi). Gli stragisti e usurpatori ashkenazi sono in grandissima maggioranza indoeuropei, discendenti di quei Kazari del Caucaso che si convertirono e poi inondarono l’Occidente (vedi "Kazari" in Google). Di questa vera e propria arma di distrazione-distruzione di massa che è l’anatema “antisemita”va tagliata la mano che la brandisce. Semmai ai fruitori dell’ ”Industria dell’olocausto” (così intitola il suo libro Norman Finkelstein, figlio di vittime dei Lager precedenti) e ai terminator dell’antisemitismo va spiegato come, se il popolo ebreo fosse anche semita, nessuno abbia inferto alla sua storia di elevazione politica, culturale e scientifica, e all’etica del suo abusivo Stato, ferite insanabili come coloro che impazzano nel sangue altrui dietro lo schermo dell’ ”antisemitismo”.
Era il 10 giugno del 1967 e per "Paese Sera" stavo raccontando la Guerra dei sei giorni e il suo seguito. Erano quasi vent’anni da quando poche migliaia di ebrei immigrati, attuando il piano secolare di Hertzl, dei Rothschild e dello Judenrat (l’organismo ebreo complice dei nazisti nelle deportazioni), si erano fatti regalare da un’ONU, docile mandatario delle potenze imperialiste fin da allora, il 72% della Palestina. Per la bisogna, gli emuli dei loro persecutori avevano inventato una nuova forma di guerra contro oppressi ed esclusi: il terrorismo. Ne fecero le spese 800mila palestinesi espulsi su un milione - e da allora agonizzanti, ma resistenti – e diverse centinaia di villaggi rasi al suolo, spesso con dentro gli abitanti. Ma anche i negoziatori dell’ONU, i diplomatici internazionali negli alberghi, i rappresentanti della tragedia e lotta palestinese all’estero, i giornalisti troppo occhiuti. Olocausto se mai ce ne fu uno, anche se così si chiamano solo quelli dei vincitori. La buona riuscita dell’impresa guadagnò da allora ai razzismi, ai fascismi e ai regimi oligarchici, sudafricani e latinoamericani in testa, e a tutte le destre del mondo, l’ottima carta dell’intelligence, delle forze di repressione, dei maestri di tortura israeliani. Non per nulla Fini e Bush hanno un bungalow nel giardino della camicia bruna Tzipi Livni.
Accompagnati i carri armati di Tsahal nella devastazione dei territori rapinati, al termine del conflitto fui imbarcato con un gruppo di giornalisti in una perlustrazione delle zone “liberate giacché assegnate da Jahvé in perpueto al popolo eletto”. Scorremmo lungo scritte su tutti i muri che definivano gli arabi “cani, scimmie, scarafaggi”. Ai lati della strada verso Gaza stracci di uniformi percuotevano i cadaveri in decomposizione di soldati egiziani. “Non li restituite al loro paese, o non li seppellite, come vorrebbe il diritto di guerra?” chiesi al capitano di Tsahal che guidava la spedizione: Rispose con il lemma che mi era stato sbavato addosso da mille bocche israeliane: “No, vogliamo che li vedano tutti: l’unico arabo buono è l’arabo morto”. Così, più o meno, sta scritto negli abbecedari delle scuole israeliane. A Rafah, in fondo alla Striscia, l’ufficiale dell' ”esercito più etico del mondo” e in procinto di rimpinguarsi di armi nucleari, convocò nell’aula consigliare i vecchi governanti locali. Tra l'ilare compiacimento dei nostri accompagnatori, sbattè questi austeri e dignitosi sconfitti contro una parete, sprofondò nella poltrona del sindaco, schiaffò i piedi sul tavolo e abbaiò:”Dite, bastardi, ai signori della stampa internazionale chi è meglio, l’Egitto (c’era Nasser) o Israele, noi o i lustrascarpe arabi” Azzardai l’invito agli anziani in jallabiah a non rispondere. E non risposero. Ma tra me e il capitano finì in rissa e il giorno dopo fui espulso dall’ “unico Stato democratico del Medio Oriente”. Non meno di quanto accadde giorni fa a Richard Falk, relatore ONU per i diritti umani. A dispetto del burattino suo principale, Ban Ki Moon, si era permesso di definire la “democrazia” israeliana a Gaza un genocidio, il blocco che, affamandoli, doveva ammorbidire i palestinesi in vista della carneficina, un "crimine contro l’umanità", le operazioni in corso “atrocità disumane”, e aveva sollecitato o sanzioni, o l’espulsione dello Stato ebraico dalle Nazioni Unite. Roba che qualunque processo di Norimberga avrebbe sancito con più facilità di quella occorsa per la condanna di Goering, Keitl, o Hess. Gente le cui prodezze, quanto meno, sono durate un sesto del tempo in cui Israele infierisce sulle sue vittime. Alcuni lustri più tardi, quando Israele mi aveva finalmente riammesso nell’”Unica democrazia mediorientale”, a Gaza vaste terre ho visto desertificate perché la gente non avesse olive o farina, di centinaia di case ho calpestato la polvere, abbattute a Rafah e Khan Yunis perché la gente non avesse rifugi, il 60% della popolazione attiva era senza lavoro, la metà viveva sotto il livello di povertà, a pescatori palestinesi si sparava perché non ci fosse neanche pesce sulle tavole di Gaza, i dirigenti della comunità, o democraticamente eletti, o capi della legittima Resistenza venivano disintegrati da missili insieme alle famiglie e ai vicini. E mentre guardavamo queste cose, ci sparavano addosso gas tossico e pallottole di acciaio gommato. Non è che Gaza sia successa adesso.
Appaiono sui muri qui da noi manifesti di “solidarietà” che invocano “due Stati per due popoli”. Una formula razzista che ormai accontenta solo gli israeliani terrorizzati dalla forza morale e demografica dei palestinesi e la corrotta feccia di traditori di Ramallah, entrambe consorterie che affidano il loro dominio e le loro ruberie a uno “Stato” palestinese di scimmie addomesticate, rinchiuse in recinti sparpagliati sul 12% di un paese che dagli inizi della storia è palestinese. E arabo.
Il cerchiobottismo dei sinistri nel mondo, quelli che dovremmo sentire “vicini”, pavimenta la strada per l’inferno in cui il “popolo eletto” e i suoi sponsor Usa e UE hanno ridotto Gaza e, prima e sempre, l’intera Palestina. Sono quelli che denunciano compunti e addolorati gli “estremisti di entrambe le parti”. Estremista la volpe sbranata che addenta nell’ultimo spasmo un polpaccio del segugio. E estremista la muta di venti cavalieri e cento cani che dalla volpe “è provocata”. Ci mette il bitume anche tutta quella gente che verbalmente vola al cordoglio per lo strangolamento e poi per la liquidazione dei palestinesi, invoca tregue e moderazione da tutti, ma non evoca il parto mostruoso di uno Stato predatore, costruito su basi antigiuridiche, antidemocratiche, militariste ed etnico-confessionale e che, anziché accontentarsi del mal tolto e riconosciuto, punta a escludere dalla comunità umana, perlopiù a prezzo della vita, i disperati ma non rassegnati residui della più colossale pulizia etnica della storia. Fanno l’effetto di uno sputo al vento le recriminazioni dei dirittiumanisti per le “punizioni collettive” con cui lo stato nazisionista defeca sulle convenzioni internazionali a protezione dei civili. Sarebbero accettabili se fossero “individuali”? E punizioni di che? Del delitto per cui un popolo attua la Carta dell’Onu che sancisce “la lotta con tutti i mezzi contro un’occupazione straniera”? I mortaretti lanciati da Hamas contro i coloni che hanno eretto le loro confortevoli case sulle macerie dei villaggi palestinesi sono legittimi. Ogni azione di resistenza contro l’occupante è legittima. E se sono rivendicate da Israele le stragi di bambini da zero anni in su, delle donne, insomma dei palestinesi armati o non, ma tutti sotto occupazione, a maggior diritto devono essere rivendicate le operazioni dei combattenti suicidi che colpiscono occupanti militarizzati.
Per quanto ci occupiamo dei palestinesi, ci dimentichiamo del contesto arabo di cui i palestinesi, insieme agli iracheni, sono i primi attori. In Iraq i signori della guerra per la riconquista coloniale hanno frantumato una nazione promuovendo, col terrore indotto e manipolato, spaventose lotte intestine. In Libano lavorano da anni al sabotaggio dell’unità di popolo contro aggressori e caste di proconsoli imperiali, sostenendo, armando, foraggiando contrapposizioni confessionali. In Sudan la creazione di fratture etnico-confessionali e poi socioeconomiche ha demolito l’unità del paese con la quasi secessione del Sud e il separatismo armato dall'Occidente nel Darfur. In Palestina, concentrando i suoi attacchi prima su Arafat, Fatah, l’Autorità Nazionale e poi, cooptata quest’ultima nel disegno genocida ed espansionista, Israele, confortato da un’opinione pubblica sotto ricatto da Shoah, sotto minaccia di sacrilegio antisemita e sotto alterazione tossica da 11 settembre e “terrorismo islamico", la divisone l’ha fatta tra “buoni” e “cattivi”. Fuori crittografia, tra farabutti venduti e popolo resistente (dopo quasi una settimana di orrori israeliani, a Gaza e in Cisgiordania, Hamas ha un consenso e una militanza come mai prima: segno anche dell’ottusità di chi, qui o in Iraq, pensa che a forza di sofferenze e compravendite si raccatta qualcosa di più di una screditata partita di zerbini). E’ la strategia elaborata da Israele nei primi anni ’80 e poi pianificata sotto le ultime amministrazioni Usa: il Nuovo Medio Oriente con il perno israelo-iraniano a sovrastare una nazione araba triturata in segmenti confessionali e tribali. Una strategia che cammina sui cingoli dei carri armati e sulle ali nere della diffamazione e dell’inganno. E’ a quest’ultima che la sinistra si è inchinata come un sol monaco tibetano, eliminando dalla marcia razzista e imperialista l’ostacolo di una consapevole e militante solidarietà politica e militare. Quanto terreno ha tolto sotto ai piedi dei resistenti di Gaza la succube e stolta sussunzione del paradigma del “terrorismo islamico”, del Saddam “mostro sanguinario”, dei regimi arabi “moderati”, dell’Abu Mazen ragionevole interlocutore, dei mascalzoni Oz, Jehoshua, Grossman, grandi vindici di assalti al Libano e a Gaza, ospitati con reverente stima per il loro “pacifismo” sul "manifesto", dallo scendiletto Fabio Fazio, ovunque. Quante bombe di F-16 hanno agevolato, vuoi la sciagurata Fiera del libro di Torino dedicata allo Stato genocida e difesa dal “manifesto” e da Bertinotti come voltairiana libertà d’espressione, vuoi i muri dell’Apartheid interpretati come autodifesa, la guerra ai palestinesi fatta passare per guerra a Hamas o i partigiani iracheni calunniati come fanatici tagliagole di Al Qaida, l’Islam visto solo sotto la specie giulianasgreniana del velo e delle lapidazioni? Quante volte, ripetendo il karma delle posizioni della “comunità internazionale”, si sono legittimate le peggiori nefandezze dei potenti e degli assassini? Altrettanti colpi di ruspa sullo scudo di verità che la mobilitazione dei giusti nel mondo avrebbe dovuto sollevare a difesa di Gaza.
E poi ci sono coloro che ancora guardano all’Iran come al baluardo antimperialista e antisionista nel Medio Oriente. Per non aver accettato questa definizione, qualcuno mi ha rimproverato la mancanza di una visione di classe. Ma come, qui c’è un’oligarchia feudalcapitalista, davvero oscurantista e repressiva, senza neanche il merito della resistenza a un invasore, cui Israele ha fornito le armi per disfare il vero nodo dell’opposizione antimperialista, l’Iraq, i cui pagamenti hanno permesso agli Usa di scatenare i contras contro il Nicaragua, che partecipa con gli Usa allo squartamento dell’Iraq e alla pulizia etnica della metà sunnita, che sostiene il regime-fantoccio in Afghanistan e, in combutta con gli Usa, chiude a ovest il cerchio imperialista contro il Pakistan che l’India serra a est. E a sinistra ci si precipita sereni nella trappola di questo totale rovesciamento dei dati sociali e geopolitici, al punto da chiudere gli occhi su un sodalizio Iran-Usa, teso ad rifilare alle masse arabe, nauseate da Al Maliki, Mubarak, Abu Mazen, il socio persiano quale vero e unico protagonista del riscatto arabo e islamico. Dice, ma Hamas e Hezbollah sono sostenuti da Tehran. Già, come lo sono i criminali del regime e delle milizie scite irachene. Forse toccherebbe essere un po’ meno schematici e, soprattutto meno succubi della retorica dei balconi di Tehran. L’Iran, che con il consenso di Usa e Israele a un suo limitato ruolo regionale, deve tenere a bada il bau-bau più grande, il risorgere dell’elemento più temuto dallo stesso Iran e dall’imperialismo, l’unità araba dall’Atlantico al Golfo, gioca con grande abilità su più tavoli di quelli che il nostro schematismo possa figurarsi. Fa parte della gara sui rapporti di forza all’interno di un disegno condiviso, che si giochi contro a destra e a favore a sinistra. Non so valutare l’integrità politica dei massimi dirigenti delle organizzazioni di resistenza in Libano e in Palestina, ma penso che siano più espressione diretta dei loro popoli che non degli ayatollah. Conosco per esperienza diretta negli anni l’integrità assoluta di quelle masse popolari e di quei combattenti e credo che ci vorrà altro che degli Abu Mazen in turbante per distoglierli dal loro obiettivo.
In tutto il mondo arabo, dalla Baghdad martoriata al Cairo sotto il satrapo caro a Cia e Mossad, nelle capitali del mondo insanguinate da un terrorismo detto islamico, ma che sempre più si percepisce come opera degli stessi che trucidano a Gaza, nelle piazze non più controllabili di emiri, sceicchi, fantocci, nelle carceri degli 11mila patrioti sequestrati di Palestina, con manifestazioni, scioperi della fame e, dove occorre, giusta violenza di massa, si sta con i palestinesi, si traccia sulla faccia del mondo l’orribile profilo dei criminali di guerra, di dominio e di sfruttamento. Non sarà l’ultimo spallata a regimi di pochi delinquenti in putrefazione storica. Ma è una delle onde d’urto che eroi e martiri di Palestina e della nazione araba continueranno a innescare. E che li seppellirà. Non facciamoci cogliere in difetto di lucidità e partecipazione.
Ciò su cui mi pare ci si debba impegnare è combattere e svergognare tutti gli equilibrismi dei finti imparziali che riempiono di carburante i tank, gli F-16, gli Apache e coprono la feroce protervia di governanti che si battono per il voto di un popolo mitridatizzato contro la giustizia e i diritti umani da anni di indottrinamento razzista e fascista, facendo le regate su questo mare di corpi maciullati, terre devastate e rubate, focolari polverizzati, futuro annichilito. Dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale per rispondere al ricatto antisemita e olocaustiano con la richiesta della liquidazione delle istituzioni di questo Stato ebraico fondato sull’unicità ed esclusività etnico-confessionale peggio del Terzo Reich arianeggiante, con il rifiuto della radiazione dei diritti nazionali palestinesi sotto la formula dei due Stati per due popoli, con l’unica rivendicazione realistica e giusta, quella dello Stato Unico Democratico per entrambe le nazionalità. Dobbiamo respingere le intimidazioni dell’apparato sionista offrendo ogni solidarietà a tutti quei “terroristi” che, a partire dalla Palestina e dall’Iraq, resistono alle armate barbare e insorgono contro i regimi di turpi lacchè dei despoti occidentali. Dobbiamo alzare la testa e affermare che qualsiasi operazione di Hamas e delle altre organizzazioni palestinesi è, questa sì, la legittima reazione al furto della loro terra, agli eccidi di sessant’anni, agli embarghi genocidi, alle punizioni collettive, agli assassinii extragiudiziali, al sequestro e alla tortura di decine di migliaia di cittadini, comunque innocenti, alla spaventosa dimensione delle angherie e delle prevaricazioni, all'infanticidio strategico. Dobbiamo contribuire alla cacciata e all’incriminazione di neofiti del nazismo come la kapò Tzipi Livni, il macellaio Barak, lo squadrista Netaniahu, il boia Olmert, il rancido criminale di guerra Peres. Blateriamo ottuse falsità su un Saddam che non si sarebbe sognato di perpetrare efferatezze come quelle dei sunnominati e ogni menzogna sui nemici dell’imperialismo è un bancomat per la riscossione di vite, risorse e terre da parte delle giunte militari USraeliane. Israele, che decide degli Stati Uniti e, dunque, di tutti noi, è uno Stato gangster, è il paese più pericoloso del mondo. Ha 400 bombe atomiche e provocherà la fine del mondo se non lo fermiamo. Nel nome anche dei pochi coraggiosi ebrei che, tra le sue zanne, cercano lo strumento per l’estrazione: Ilan Pappe, Jeff Halper, Uri Avnery, "Ebrei contro l'occupazione", per citarne solo alcuni. Israele fuori dall’ONU, Israele boicottato in tutte le sue attività politiche, economiche, culturali. Ne va dei palestinesi, degli arabi, delle classi e dei popoli oppressi sui quali si abbattono i frutti del laboratorio sionista, e di molto di più.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link 01.01.2009
Campo di concentramento e di sterminio di Gaza
On Sun, 1/11/09, Info RivistaIndipendenza <info@rivistaindipendenza.org> wrote:
From: Info RivistaIndipendenza <info@rivistaindipendenza.org>
Subject: notiziario dal / sul Campo di concentramento e di sterminio di Gaza (23.12.08 - 10.01.09)
To: Undisclosed-Recipient@yahoo.com
Date: Sunday, January 11, 2009, 6:23 PM
Controinformazione e Resistenza eventi, commenti, analisi dal / sul Campo di concentramento e di sterminio di Gaza (23 dicembre 2008 - 10 gennaio 2009)
su www.rivistaindipendenza.org
Se Auschwitz, al pari di Hiroshima, è stato il simbolo degli orrori del XX° secolo, Gaza vanta con Falluja (Iraq) ottime credenziali per assurgere ad emblema delle atrocità del XXI°. Nella «prigione a cielo aperto» di Gaza (28, 30 dicembre, 4, 6, 7 gennaio), ad una situazione già drammatica a causa del "blocco" –che ha ulteriormente inasprito l’occupazione israeliana, nodo di fondo insoluto della questione palestinese (28, 30 dicembre, 3, 8 gennaio)– si sono aggiunti i bombardamenti. Questo è parte di un piano secondo alcuni ideato da tempo (6, 8 gennaio) per sottomettere una volta per tutte la popolazione locale (8 gennaio) se non addirittura promuovere l’ennesima "pulizia etnica", il fondamento dello Stato d’Israele (23 dicembre) che, al di là dei ritriti slogan sul "processo di pace" (30 dicembre), mira solo a ripulire dagli arabi la terra di Palestina per "riunire" l’inesistente "popolo ebraico" (24, 26 dicembre). I bombardamenti israeliani, «illegali» e «crimini contro l’umanità» anche per l’ONU (27 dicembre, 9 gennaio), stanno causando una carneficina di donne, vecchi e bambini, oltre alla distruzione di campi profughi, infrastrutture sanitarie, scuole, moschee, palazzi interi (28, 30, 31 dicembre, 2, 3, 7 e 8 gennaio). Dal fosforo bianco ai nuovi ordigni "Dense inert metal explosive" (5, 7, 8 e 9 gennaio), Israele non risparmia l’uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali e dagli effetti terrificanti. Ma tutto è permesso all’"unica democrazia del Medio Oriente", unica davvero in tema di menzogne (29 dicembre, 4 gennaio)! Impunità garantita, grazie al sostegno degli USA (10 gennaio) e alla condiscendenza del cosiddetto "Occidente", tra cui non mancano di distinguersi, per servilismo, il governo Berlusconi ed i mass media di casa nostra. Si ha un’idea delle morti, delle mutilazioni e delle distruzioni provocati quotidianamente dai bombardamenti? Si dia un’occhiata a questo video ed a quelli collegati, veri e propri documentari dalla Striscia: http://www.youtube.com/watch?v=d5KyhllGXiE&feature=related.Tutto questo non dice ancora tutto di quel che sta avvenendo a Gaza. Ci sono una popolazione ed una resistenza che si mostrano indomite all’aggressione e nient'affatto disposte a piegarsi. Soprattutto in questi tremendi giorni Gaza rappresenta il Davide provvisto di pochi mezzi che eroicamente fronteggia il vile Golia sionista, tanto spietato e vigliacco nel massacrare dall’alto civili inermi (1 gennaio) quanto in difficoltà nel fronteggiare gli scontri corpo a corpo sul terreno di battaglia (2, 10 gennaio). Gaza incarna oggi i valori universali ed eterni della solidarietà e della resistenza popolare, assurge a simbolo della lotta per la tutela della propria libertà e dignità e per una vita degna di essere vissuta, lotta che approverebbe persino il "non violento" Mahatma Gandhi (26 dicembre). Le autorità israeliane pensavano che, massacrando con i bombardamenti, sarebbero riusciti a vincere nel più breve tempo possibile (30 dicembre). La loro cieca furia assassina sta producendo invece un rafforzamento della resistenza palestinese (2, 3 gennaio), oggi incarnata dal movimento «apparentemente religioso» (1 gennaio) di Hamas, che proprio grazie ai bombardamenti sta incrementando la propria popolarità a Gaza ed in Cisgiordania (30, 31 dicembre, 2, 9 gennaio) oltre che nel mondo arabo (29 dicembre, 3, 8, 9 gennaio).Dal notiziario (stavolta concentrato solo sui fatti di Gaza, sulla Palestina) riteniamo importante richiamare la notizia che segue, nonostante sia espressione di una larghissima minoranza:10 gennaio. Ascolta, Israele! Stefano Nahmad, della Rete degli ebrei contro l’occupazione, scrive una lettera ai massacratori sionisti, pubblicata su il Manifesto di ieri: «hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame (…) li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l'umanità intera». Nahmad, ricordando che anche la sua famiglia ha subito le persecuzioni naziste, proclama di rinnegare lo Stato di Israele. «Io oggi sono palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e della sua eroica resistenza. Io sto con l'eroica resistenza delle donne palestinesi che hanno continuato a fare bambine e bambini palestinesi nei campi profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi, rubato la terra. Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver fatto resistenza al tuo piano di annessione (…) Ascolta Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi, iscritti nella Storia, che verranno fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele».Leggi tutto su www.rivistaindipendenza.orgPartecipa anche al forum http://indipendenza.lightbb.com/forum.htm
CIVIUM LIBERTAS
ORGANO APERIODICO DELLA SOCIETÀ PER LA LIBERTÀ DI PENSIERO, PER LA LAICITÀ DELLO STATO E DELLE ISTITUZIONI, PER LA RIFORMA DEI PARTITI, PER I DIRITTI POLITICI, SOCIALI ED ECONOMICI DEI CITTADINI, PER LA PACE NEL MONDO.Dmenica 11 gennaio 2009
Paolo Barnard sul tradimento degli intellettuali: Marco Travaglio
Ricevo per email dallo stesso Barnard la segnalazione di un post del suo blog dedicato ad una scesa in campo di Marco Travaglio, che a me è noto solo dal salotto televisivo di Santoro e del quale non mi ero occupato. La cronaca giudiziaria, che è la sua specialità, è cosa che mi attrae assai poco. Da qui il mio scarso interesse per gli scritti giornalistici di Travaglio. Se prima mi astenevo da qualsiasi giudizio, adesso la cosa cambia aspetto. Viviamo in un momento di vera e propria guerra ideologica che può essere paragonata ad altri momenti cruenti della nostra storia, vissuti dai nostri genitori e dai nostri nonni. Qui le armi sono dati non dai fucile, ma dalle penne e dalla nostra capacità di scrivere, di leggere, di assumere cognizioni, di pensare, di assumere posizione. Mi erano già note le uscite di Travaglio, ma scrivere proprio su di lui non mi sembrava la cosa più urgente. Ci ha pensato Paolo Barnard. Pubblico qui il suo testo, ma poiché è mio costume dare sempre un piccolo valore aggiunto. Mi riservo di intervenire successivamente sul testo con miei propri commenti.
Antonio Caracciolo* * *
Paolo Barnard
IL TRADIMENTO DEGLI INTELLETTUALI
FonteMarco Travaglio ha appena scritto un commento su Gaza, diramato dalla sua casa editrice Chiarelettere, che inizia così: “Israele non sta attaccando i civili palestinesi. Israele sta combattendo un’organizzazione terroristica come Hamas che, essa sì, attacca civili israeliani”.
Bene.
Il compianto Edward Said, palestinese e docente di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York, scrisse anni fa un saggio intitolato “The Treason of the Intellectuals” (il tradimento degli intellettuali). Si riferiva alla vergognosa ritirata delle migliori menti progressiste d’America di fronte al tabù Israele. Ovvero come costoro si tramutassero nelle proverbiali tre scimmiette - che non vedono, non sentono, non parlano - al cospetto dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra che il Sionismo e Israele Stato avevano commesso e ancora commettono in Palestina, contro un popolo fra i più straziati dell’era contemporanea.
E di tradimento si tratta, senza ombra di dubbio, e cioè tradimento della propria coscienza, delle proprie facoltà intellettive, e del proprio mestiere. Gli intellettuali infatti hanno a disposizione, al contrario delle persone comuni, ogni mezzo per sapere, per approfondire. Ma nel caso dei 60 anni di conflitto israelo-palestinese, con la mole schiacciante e autorevole di documenti, di prove e di testimonianze che inchiodano lo Stato ebraico, non sapere e non pronunciarsi può essere solo disonestà e vigliaccheria. Poiché in quella tragedia la sproporzione fra i rispettivi torti è così colossale che non riconoscere nel Sionismo e in Israele un “torto marcio”, una colpa grottescamente e atrocemente superiore a qualsiasi cosa la parte araba abbia mai fatto o stia oggi facendo, è ignobile. E’ un tradimento della più elementare pietas, del cuore stesso dei Diritti dell’Uomo e della legalità moderna. E’ complicità, sì, com-pli-ci-tà nei crimini ebraici in Palestina. Leggete più sotto.
I traditori nostrani abbondano, particolarmente nelle fila dell’ala ‘progressista’. Marco Travaglio guida oggi il drappello, che vede Furio Colombo, Gad Lerner, Umberto Eco, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni, Davide Bidussa et al., affiancati dell’instancabile lavoro di falsificazione della cronaca di tutti i corrispondenti a Tel Aviv delle maggiori testate italiane. E ci si chiede: perché lo fanno? Personalmente non mi interessa la risposta, e non voglio neppure addentrarmi in ipotesi contorte del tipo ‘il potere della lobby ebraica’, la carriera, o simili.
Ciò che conta è il danno che costoro causano, che è, si badi bene, superiore a quello delle armi, delle torture, delle pulizie etniche, del terrorismo. Molto superiore.
Perché una cosa sia chiara a tutti: l’unica speranza di porre fine alla barbarie in Palestina sta nella presa di posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione. Ma se gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della Storia gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di chiamarla pubblicamente col suo nome, che è: Pulizia Etnica dei palestinesi, mai si arriverà alla pace laggiù. E l’orrore continua. Essi, di quegli orrori, hanno una piena e primaria corresponsabilità.
L’evidenza della Storia di cui parlo è in primo luogo: che il progetto sionista di una ‘casa nazionale’ ebraica in Palestina nacque alla fine del XIX secolo con la precisa intenzione di cancellare dalla ‘Grande Israele’ biblica la presenza araba, attraverso l’uso di qualsiasi mezzo, dall’inganno alla strage, dalla spoliazione violenta alla guerra diretta, fino al terrorismo senza freni. I palestinesi erano condannati a priori nel progetto sionista, e lo furono 40 anni prima dell’Olocausto. Quel progetto è oggi il medesimo, i metodi sono ancor più sadici e rivoltanti, e Israele tenterà di non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno nella sua opera di Pulizia Etnica della Palestina. Questo accadde, sta accadendo e accadrà. Questo va detto, illustrato con la sua mole schiacciante di prove autorevoli, va gridato con urgenza, affinché il pubblico apra finalmente gli occhi e possa agire per fermare la barbarie.
In secondo luogo: che la violenza araba-palestinese, per quanto assassina e ingiustificabile (ma non incomprensibile), è una reazione, REAZIONE, disperata e convulsa, a oltre un secolo di progetto sionista come sopra descritto, in particolare a 60 anni di orrori inflitti dallo Stato d’Israele ai civili palestinesi, atrocità talmente scioccanti dall’aver costretto la Commissione dell’ONU per i Diritti Umani a chiamare per ben tre volte le condotte di Israele “un insulto all’Umanità” (1977, 1985, 2000). La differenza è cruciale: REAGIRE con violenza a violenze immensamente superiori e durate decenni, non è AGIRE violenza. E’ immorale oltre ogni immaginazione invertire i ruoli di vittima e carnefice nel conflitto israelo-palestinese, ed è quello che sempre accade. E’ immorale condannare il “terrorismo alla spicciolata” di Hamas e ignorare del tutto il Grande terrorismo israeliano.
Le prove. Non posso ricopiare qui migliaia di documenti, citazioni, libri, atti ufficiali e governativi, rapporti di intelligence americana e inglese, dell’ONU, delle maggiori organizzazioni per i Diritti Umani del mondo, di intellettuali e politici e testimoni ebrei, e tanto altro, che dimostrano oltre ogni dubbio quanto da me scritto. Quelle prove sono però facilmente consultabili poiché raccolte per voi e rigorosamente referenziate in libri come “La Pulizia Etnica della Palestina”, di Ilan Pappe, Fazi ed., o “Pity The Nation”, di Robert Fisk, Oxford University Press, e “Perché ci Odiano”, Paolo Barnard, Rizzoli BUR, fra i tantissimi. O consultabili nei siti http://www.btselem.org/index.asp, http://www.jewishvoiceforpeace.org/, http://zope.gush-shalom.org/index_en.html, http://www.kibush.co.il/, http://rhr.israel.net/, http://otherisrael.home.igc.org/. O ancora leggendo gli archivi di Amnesty International o Human Rights Watch, o ne “La Questione Palestinese” della libreria delle Nazioni Unite a New York.
E torno al “tradimento degli intellettuali” nostrani. Vi sono aspetti di quel fenomeno che sono fin disperanti. Il primo è l’ignoranza in materia di conflitto israelo-palestinese di alcuni di quei personaggi, Marco Travaglio per primo; un’ignoranza non scusabile, per le ragioni dette sopra, ma anche ‘sospetta’ in diversi casi.
Un secondo aspetto è l’ipocrisia: l’evidenza di cui sopra è soverchiante nel descrivere Israele come uno Stato innanzi tutto razzista, poi criminale di guerra, poi terrorista, poi Canaglia, poi persino neonazista nelle sue condotte come potere occupante. Ricordo il 17 novembre 1948, quando Aharon Cizling, allora ministro dell’agricoltura della neonata Israele, sorta sui massacri dei palestinesi innocenti, disse: “Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti, e tutta la mia anima ne è scossa”. Ricordo Albert Einstein, che sul New York Times del dicembre 1948 definì l’emergere delle forze di Menachem Begin (futuro premier d’Israele) in Palestina come “un partito fascista per il quale il terrorismo e la menzogna sono gli strumenti”. Ricordo Ephrahim Katzir, futuro presidente di Israele, che nel 1948 mise a punto un veleno chimico per accecare i palestinesi, e ne raccomandò l’uso nel giugno di quell’anno. Ricordo Ariel Sharon, che sarà premier, e che nel 1953 fu condannato per terrorismo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la risoluzione 101, dopo che ebbe rinchiuso intere famiglie palestinesi nelle loro abitazioni facendole esplodere. Ricordo l’ambasciatore israeliano all’ONU, Abba Eban, che nel 1981 disse a Menachem Begin: “Il quadro che emerge è di un Israele che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore di morte e di angoscia alle popolazioni civili, in una atmosfera che ci ricorda regimi che né io né il signor Begin oseremmo citare per nome”. Ricordo la risoluzione ONU A/RES/37/123, che nel dicembre del 1982 definì il massacro dei palestinesi a Sabra e Chatila sotto la “personale responsabilità di Ariel Sharon” un “atto di genocidio”. Ricordo le parole dello Special Rapporteur dell’ONU per i Diritti Umani, il sudafricano John Dugard, che nel febbraio del 2007 scrisse che l’occupazione israeliana era Apartheid razzista sui palestinesi, e che Israele doveva essere processata dalla Corte di Giustizia dell’Aja. Ricordo le parole dell'intellettuale ebreo Norman G. Finkelstein, i cui genitori furono vittime dell’Olocausto: “Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti.” Ricordo che esistono prove soverchianti che Israele usa bambini come scudi umani; che lascia morire gli ammalati ai posti di blocco; che manda i soldati a distruggere i macchinari medici nei derelitti ospedali palestinesi; che viola dal 1967 tutte le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga; che ammazza i sospettati senza processo e con loro centinai di innocenti; che punisce collettivamente un milione e mezzo di civili esattamente come Saddam Hussein fece con le sue minoranze shiite; che massacra 19.000 o 1.000 civili a piacimento in Libano (1982, 2006) e poi reclama lo status di vittima del ‘terrorismo’. Ricordo che il Piano di Spartizione della Palestina del 1947 fu rigettato da Ben Gurion prima ancora che l'ONU lo adottasse, e che esso privava i palestinesi di ogni risorsa importante (dai Diari di Ben Gurion). Ricordo che la guerra arabo-israeliana del 1948 fu una farsa dove mai l’esercito ebraico fu in pericolo di sconfitta, tanto è vero che Ben Gurion diresse in quei mesi i suoi soldati migliori alla pulizia etnica dei palestinesi (sempre dai Diari di Ben Gurion); che la guerra dei Sei Giorni nel 1967 fu un’altra menzogna, dove ancora Israele sapeva in aticipo di vincere facilmente “in 7 giorni”, come disse il capo del Mossad Meir Amit a McNamara a Washington prima delle ostilità, e mentre l’egiziano Nasser tentava disperatamente di mediare una pace (dagli archivi desecretati della Johnson Library, USA); che gli incontri di Camp David nel 2000 furono un inganno per distruggere Arafat, come ho dimostrato in “Perché ci Odiano” intervistando i mediatori di Clinton; che i governi di Israele hanno redatto 4 piani in sei anni per la distruzione dell'Autorità Palestinese sancita dagli accordi di Oslo mentre fingevano di volere la pace (nomi: Fields of Thorns, Dagan, The Destruction of the PA, ed Eitam); che la tregua con Hamas che ha preceduto l’aggressione a Gaza fu rotta da Israele per prima il 4 novembre del 2008 (The Guardian, 5/11/08 – Ha’aretz, 30/12/08), con l’assassino di 6 palestinesi. E queste sono solo briciole della mole di menzogne che ci hanno raccontato da sempre sulla 'epopea' sionista.
Ricordo infine Ben Gurion, il padre di Israele, che lasciò scritto: “Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba”. E ancora: “C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti”. Quell'uomo pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’OLP, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del prima razzo Qassam su Sderot in Israele.
Ricordo ai nostri ‘intellettuali’ di andarle a leggere queste cose, che sono in libreria accessibili a tutti, prima di emettere sentenze.
E l’ipocrisia sta nel fatto che questi negazionisti di tali orrori storici possono scrivere le enormità che scrivono sulla tragedia di Gaza, sulla Pulizia Etnica dei palestinesi, e possono dichiararsi filo-israeliani “appassionati” (Travaglio) senza essere ricoperti di vergogna dal mondo della cultura, dai giornalisti e dai politici come lo sarebbe chiunque negasse in pubblico l’orrore patito per decenni dalle vittime dell’Apartheid sudafricana, o i massacri di pulizia etnica di Srebrenica e in tutta la ex Jugoslavia.
Il mio appello a questi colti mistificatori è: continuare a seppellire sotto un oceano di menzogne, di ipocrisia, sotto l’indifferenza allo strazio infinito di un popolo, sotto la vostra paura o la vostra convenienza, la grottesca sproporzione fra il torto di Israele e quello palestinese, causa e causerà ancora morti, agonie, inferno in terra per esseri umani come noi, palestinesi e israeliani. Sono più di cento anni che il nostro mondo li sta umiliando, tradendo, derubando, straziando, con Israele come suo sicario. Sono 60 anni che chiamiamo quelle vittime “terroristi” e i terroristi “vittime”. Questo è orribile, contorce le coscienze. Non ci meravigliamo poi se i palestinesi e i loro sostenitori nel mondo islamico finiscono per odiarci. Dio sa quanta ragione hanno, cari 'intellettuali'.
Paolo Barnard
Gennaio 2009***
Poco sopra Barnad si chiede: perché lo fanno? E cita una serie di nomi. Rispondere che lo fanno per soldi sarebbe semplicistico e potrebbe essere non vero. Io dare una risposta diversa. La spiegazione è in una capillare giudaicizzazione della cultura europea dal 1945 in poi. Insieme con la debellatio i vincitori pianificarono anche la ricostruzione mentale dei popoli vinti. Suscitò in me impressione, trovandomi ospite di amici in Germania, leggere che anche un semplice atlante geografico era soggetto ad approvazione delle autorità alleate. Di questo lavaggio del cervello i tedeschi sono stati la maggiore vittima. Si è soliti parlare dei regimi “maledetti”, cioè fascismo e nazismo, come di luoghi e tempi dove era sacrificata la libertà di parola e di pensiero. Può anche essere vero, anche se ricordo quanto mi veniva raccontato sulla vita quotidiana di allora. Ma oggi accade di peggio e soprattutto in un modo più efficace e capillare. Come gli americani si son presi von Braun per creare la Nasa, non hanno tralasciato nulla di tutto il bottino che potevano fare. Aggiungo ancora al testo di Barnard l’osservazione che il mettersi a gridare davanti a ciò che succede in Gaza e in Palestina non da oggi non è solo un dovere morale da parte nostra, ma corrisponde anche al nostro egoistico interesse perché si tratta di liberare la nostra coscienza da un’oppressione iniziata ancora prima che nascessimo. Noi siamo nati nel servaggio. Siamo i figli della disfatta bellica del 1945 e ne continuiamo a pagare il prezzo. Quella “cupidigia di servilismo” che Vittorio Emanuele Orlando denunciò prontamente dura ancora oggi ed ottenebra le nostre coscienze. Per molti quella servitù è diventa una seconda natura.
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[Chi è Paolo Barnard]
CHI SONO
Sono un giornalista, o forse lo sono stato, e come tale ho lavorato per innumerevoli testate nazionali fra quotidiani e periodici, per la televisione in RAI, per riviste di cultura, per agenzie di stampa, per testate online. Mi sono occupato soprattutto di politica estera. Mai assunto, mai contrattualizzato. Ho scritto libri su terrorismo internazionale, Palestina e Israele, e sull’umanizzazione della Medicina. Ho tenuto conferenze per anni in giro per l’Italia sui temi delle mie inchieste (quelle di Report, RAI) e sul mio impegno come attivista per un ‘mondo migliore’. Nella mia vita ho fatto forse più volontariato che giornalismo, in campi diversi come i Diritti Umani, l’esclusione sociale, la lotta alla povertà nel mondo, l’aiuto agli ammalati terminali, l’impegno civico. Ho vissuto in Gran Bretagna e in parte negli USA.
Mai iscritto a un partito, mai appartenuto a gruppi d’interesse legati al potere, mai raccomandato ovviamente; non ho mai compiaciuto a chi stava sopra di me sul lavoro, e per essere libero ho sempre fatto tutto quello che in questo Paese ti garantisce la non-carriera. Infatti non ho fatto carriera, non all’interno del Sistema né nelle nutrite fila dell’Antisistema (che richiede la medesima omologazione). Ho un attaccamento fortissimo al senso di giustizia, non sto zitto e dico ciò che penso sempre, a qualunque costo. Ho pagato e pago per questo prezzi alti, talvolta al limite del sopportabile.
Detesto in modo assoluto la cultura dei ‘personaggi’, la cosiddetta Cultura della Visibilità (leggi Vip), sia quella massmediatica propria del Sistema che quella ‘antagonista’ del nostro Antisistema. La considero il peggior veleno che sia mai stato inoculato nel tessuto civico italiano, e in generale dei Paesi occidentali. Ci ha distrutti, pochissimi si rendono conto fino a che punto. Credo fortemente nella parità di tutti, nell’importanza di ciascuno a prescindere, nessuno conta più di qualcun altro. Mai.
Per le mie idee e per ciò che ho fatto sto molto antipatico al Sistema e ancor di più all’Antisistema. Una condizione piuttosto insolita, e ora non so da che parte girarmi.
P.B.
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“Alla popolazione di Gaza, le Forze di Difesa Isrealiane vi avvertono ancora che è proibito avvicinarsi a meno di trecento metri dal confine, e chiunque cercherà di avvicinarsi porrà se stesso in pericolo. L’esercito israeliano utilizzerà le procedure adatte per farlo allontanare compreso sparare se sarà nesessario. Questa è una promessa, chi è stato avvertito non trovi scuse!”
Una promessa per nuovi omicidi e annessione di territorio.
Premesso che il solo lancio di questi volantini è più criminale del lancio da parte palestinese dei famigerati razzetti artigianali “qassam” (infatti il contenitore dei messaggi fatto cadere dall’aereonautica ha colpito in testa Nawra Dughmush, un bambino di dodici anni, ricoverato in coma all’ospedale al Shifa), i contadini palestinesi continueranno ad andare a coltivare i loro legittimi campi vicino al confine, come fanno da generazioni, essendo questa l’unica attività di sussistenza per permettere loro di sfamare le famiglie in una Gaza ridotta in miseria da 2 anni di assedio.
Sebbene i maggiori i media abbiano rivolto altrove l’occhio di bue della loro attenzione Gaza continua a essere quotidianamente teatro dei crimini israeliani.
Dal 18 gennaio 3 palestinesi sono stati uccisi vicino al confine,compreso un bambino, e altri 12 sono stati feriti, compresi 3 minori e due donne. Sebbene sia noi che i palestinesi siamo visibilmente tutti civili disarmati. Di norma i cecchini israeliani si appostano, li vediamo a volte ridere e scherzare, poi dopo qualche decina di minuti iniziano a spararci contro.
Sparano anche contro di noi attivisti internazionali, per loro è come se fosse un gioco, per noi e i palestinesi è la vita.
E’ opinione comune dei contadini che queste minacce sarebbero rivolte più verso di noi attivisti dell’ISM che verso di loro (i volantini infatti sono caduti non nei pressi dei villaggi al confine, ma su Gaza city, dove viviamo noi). Come già fu durante il massacro di gennaio, non ci lasicamo intimidire. Abbiamo indetto 3 giorni fa una conferenza stampa nella quale abbiamo a nostra volta avvisato l’esercito israeliano delle nostre intenzioni: continuare ad accompagnare i contadini al confine e documentare i quotidiani crimini di cui si macchia Israele. Ce lo chiedono le vittime di oggi, come quelli di ieri. Ce lo chiedono in particolare:
-Maher Abu-Rajileh, 24 anni, del villaggio di Huza’ah, a est Khan Younis, ucciso dai soldati israeli il 18 gennaio mentre con i suoi genitori era intento al lavoro sui suoi campi a circa 400 metri dalla linea di confine.
-Waleed Al-Astal (42 anni), del villagio di Al-Qarara, vicino a Khan Younis, colpito ad una gamba da un proiettilie israeliano il 20 gennaio.
-Nabeel Al-Najjar (40 anni), colpita ad una mano da un cecchino mentre lavorava nei suoi campi nel villaggio di Khuza’a, est di Khan Yunis, il 23 gennaio.
-Subhi Qudaih (55 anni), colpito alla schiena sempre a Khuza’a, il 25 gennaio
-Anwar Al-Buraim (26 anni), ucciso dall’esercito israliano il 27 gennaio poco fuori di Al-Farahin, sempre a est di Khan Younis. Un soldato gli ha sparato alla testa mentre stava raccogliendo prezzemolo a circa 500 metri dalla linea di confine.
-Hammad Barrak Salem Silmiya, pastore palestinese di soli 13 anni, ucciso il 14 febbraio con un colpo alla testa mentre faceva pascolare i suoi animali a est di Jabalia.
-Mohammad Al- Buraim, cugino di Awar Al-Buraim, gambizzato il 18 febbraio da un cecchino israeliano nonostante la presenza come scudi umani di noi attivisti dell’ISM, a circa 500 metri dal confine. Vedi il nostro video.
-Wafa al Najar, ragazzina colpita da un proiettile al ginocchio mentre sostava nei pressi della sua casa demolita a circa 800 metri dal confine. Wafa è costretta sulle stampelle e sulle stampelle ci rimarrà tutta la vita, Israele impedisce la fuoriscita dei feriti dalla Striscia che potrebbero essere operati e guarire negli ospedali occidentali più attrezzati.
-Muhannad Sehi Abu Mandil, (24 anni) ferito ad un piede dall’esercito israeliano, il 10 marzo a est del campo profughi di al-Maghazi.
-Nafith Abu T’eima, contadino di 35 anni ferito il 5 maggio da colpi esplosi da una jeep israeliana
-Randa Shaloufeh, 32 anni, ferita all’addome ed ad una mano mentre lavorava nei suoi campi il 7 maggio.
-Oltre a chiedercelo una nostra personale amica, Leila Abu Dagga, portatrice di handikap, che si è spezzata una gamba il 10 aprile mentre fuggiva disperata dalla sua casa presa di mira dall’artiglieria israeliana.
Oltre agli attacchi diretti ai civili , l’esercito israeliano sovente invade le terre palestinesi e danneggia i campi, incendiandoli, o distruggendo gli impianti di irrigazione.
Quanto vale la vita umana da queste parti? Per un contadino palestinese 4 euri al giorno, che è la misera paga per lavorare sui campi dinnanzi ai soldati. Per i cecchini israeliani, la vita di un palestinese vale molto meno dei 50 centesimo del costo di un proiettile.
Restiamo Umani.
Vittorio Arrigoni è stato l'unico volontario italiano a restare a Gaza per tutto il periodo di tempo in cui è avvenuta la recente carneficina a opera del governo israeliano; ha narrato questa shoah (catastrofe) negli articoli per Il Manifesto raccolti nel libro "Restiamo Umani", Manifestolibri.
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Amnesty International: un anno dopo la fine di "Piombo fuso", il blocco israeliano di Gaza continua a soffocare la vita quotidiana CS004: 18/01/2010
Striscia di Gaza, gennaio 2009: una bambina palestinese cammina tra le macerie © Amnesty International Un anno dopo la fine dell'offensiva militare a Gaza, Amnesty International ha dichiarato che Israele deve porre fine al soffocante blocco della Striscia di Gaza, che isola 1.400.000 palestinesi dal mondo esterno e li costringe a vivere in condizioni di povertà disperate. L'organizzazione per i diritti umani ha raccolto e reso note una serie di testimonianze di persone che ancora hanno difficoltà a ricostruire le loro vite a seguito dell'operazione "Piombo fuso", che provocò 1400 morti e alcune migliaia di feriti.
"Le autorità israeliane affermano che il blocco di Gaza, in vigore dal giugno 2007, è la risposta al lancio indiscriminato di razzi contro il sud d'Israele da parte dei gruppi armati palestinesi. La realtà, tuttavia, è che il blocco non prende di mira i gruppi armati ma piuttosto punisce l'intera popolazione di Gaza, limitando l'ingresso di cibo, forniture mediche, strumenti educativi e materiale da costruzione" - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "Ai sensi del diritto internazionale, il blocco rappresenta una punizione collettiva e va tolto immediatamente".
A Israele, in quanto potenza occupante, il diritto internazionale richiede di assicurare il benessere degli abitanti di Gaza, tra cui i loro diritti alla salute, all'educazione, al cibo e a un alloggio adeguato.
Durante l'operazione "Piombo fuso", dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, furono uccisi 13 israeliani tra i quali tre civili nel sud d'Israele e decine furono i feriti a seguito del lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi.
A Gaza, gli attacchi israeliani danneggiarono o distrussero edifici e infrastrutture civili, tra cui scuole, ospedali e impianti idrici ed elettrici. Migliaia di case vennero distrutte o furono gravemente lesionate.
Delle 641 scuole di Gaza, 280 vennero danneggiate e 18 distrutte. Poiché più della metà della popolazione di Gaza ha meno di 18 anni, l'interruzione dei programmi educativi a causa dei danni provocati dall'operazione "Piombo fuso" sta avendo un impatto devastante.
Anche gli ospedali hanno subito le conseguenze dell'offensiva militare e del blocco. Le autorità israeliane negano spesso, senza fornire spiegazione, l'ingresso a Gaza dei camion dell'Organizzazione mondiale della sanità, contenenti aiuti sanitari.
I pazienti con gravi patologie che non possono essere curati sul posto continuano a vedersi negare o ritardare il permesso di lasciare la Striscia di Gaza. Il 1° novembre 2009, Samir al-Nadim, padre di tre figli, è deceduto dopo che il permesso di lasciare Gaza per subire un'operazione al cuore era stato rimandato per 22 giorni.
Amnesty International ha parlato con molte famiglie, le cui abitazioni vennero distrutte nel corso dell'operazione militare israeliana e che a un anno di distanza vivono ancora in alloggi temporanei.
Un anno fa, durante il conflitto, Mohammed e Halima Mslih lasciarono il villaggio di Juhor al-Dik insieme ai loro quattro bambini. Mentre erano assenti, la loro casa venne demolita dai bulldozer israeliani. "Quando siamo tornati, c'erano tutte macerie. La gente ci dava da mangiare, perché non ci era rimasto più niente" - ha raccontato Mohammed Mslih. La famiglia Mslih ha trascorso i primi sei mesi dopo il cessate il fuoco in una tenda di nylon. Ora è riuscita a costruire un'abitazione permanente ma teme che le continue incursioni israeliane possano abbatterla nuovamente.
La disoccupazione a Gaza sta crescendo vorticosamente, dato che le piccole attività commerciali rimaste in piedi stentano a sopravvivere a causa del blocco. Lo scorso dicembre, le Nazioni Unite hanno reso noto che il dato era superiore al 40 per cento.
"Il blocco sta strangolando praticamente ogni aspetto della vita della popolazione di Gaza, oltre la metà della quale è composta da giovani. Il crescente isolamento e la sofferenza degli abitanti di Gaza non possono continuare. Il governo israeliano deve rispettare i propri obblighi legali in quanto potenza occupante e togliere il blocco senza ulteriore ritardo" - ha concluso Smart.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 18 gennaio 2010
QUESTIONE PALESTINESE
Gaza. Dieci anni di governo Hamas
Michele Giorgio, Il Manifesto | nena-news.it
15/06/2017
La vita nella Striscia a dieci
anni dalla presa del potere del movimento islamista: tre operazioni
militari, assedio esterno, calo del consenso verso Hamas ma rabbia anche
verso Ramallah
«La sicurezza delle frontiere meridionali con l'Egitto è una priorità e il
nostro governo farà la sua parte per garantirla», ripeteva due giorni fa ai
giornalisti il vice ministro dell'interno di Hamas, Tawfiq Abu Naim, durante
un sopralluogo al terminal di Rafah, sul confine tra la Striscia di Gaza e
il Sinai.
Reparti speciali di Hamas saranno dispiegati al più presto lungo i 12 km tra
Gaza e l'Egitto con il compito di impedire ai miliziani dell'Isis nel Sinai
possano trovare rifugio nella Striscia.
Hamas è pronto a «fare la sua parte» ha spiegato Abu Naim, «con il massimo
dell'impegno». Non è la solita dichiarazione di buona volontà rivolta dal
movimento islamico palestinese al regime di Abdel Fattah al Sisi con il
quale dal luglio 2013 – dal golpe al Cairo che ha rimosso dal potere i
Fratelli musulmani – tenta invano di migliorare le relazioni.
Ora è diverso. Hamas ha bisogno dell'Egitto che pure contribuisce al blocco
di Gaza, attuato da Israele da più di dieci anni, tenendo chiuso il terminal
di Rafah. Al Sisi, riferiva due giorni fa al Sharq al Awsat, ha dato un
aut-aut ad Hamas: Gaza riceverà la quota egiziana di elettricità, anzi il
Cairo è pronto ad aumentarla, solo se il governo islamista consegnerà 17
uomini dell'Isis ricercati che si nasconderebbero nella Striscia.
Il Cairo assicura a Gaza appena 25 megawatt, il 6,25% del fabbisogno, e le
linee elettriche egiziane nel Sinai sono spesso fuori uso a causa di guasti.
Hamas tuttavia non è nelle condizioni di dire no al «nemico» di cui non può
fare a meno se vuole sopperire almeno in parte al buco energetico che si è
creato a Gaza con l'inizio della politica del pugno di ferro attuata negli
ultimi mesi da Abu Mazen.
Il presidente palestinese, nel tentativo di costringere Hamas a rinunciare
al controllo di Gaza, ha prima ridotto del 30% gli stipendi di 70mila
impiegati dell'Anp, poi ha tagliato il finanziamento per il gasolio della
centrale elettrica, quindi ha comunicato che pagherà soltanto il 60% della
quota di elettricità che Israele fornisce a Gaza dove la corrente è
disponibile appena 3-4 ore al giorno e, di conseguenza, ha chiesto a Tel
Aviv di tagliare il 40% dell'elettricità per Gaza.
Misure che hanno aggravato la già difficile condizione di 2 milioni di
civili palestinesi che vivono nella Striscia. Ma è proprio su questo che
punta, secondo alcuni, Abu Mazen, convinto che la popolazione non sopporterà
questo ulteriore peggioramento della situazione e si ribellerà contro Hamas.
A Gaza nessuno crede che questo piano, vero o presunto, abbia possibilità di
successo. La pressione esercitata da Abu Mazen rende dura la vita ai civili
e sfiora soltanto Hamas, organizzato per resistere a lunghi periodi di
austerità.
Allo stesso tempo non ci sono dubbi che questo sia il momento più difficile
che gli islamisti affrontano da quando hanno preso il controllo di Gaza.
Proprio in questi giorni di giugno del 2007, lo scontro tra il movimento
islamico e Fatah, il partito guidato da Abu Mazen, raggiungeva il punto di
rottura, con scontri armati ovunque nelle strade Gaza che fecero centinaia
di morti e feriti e si conclusero con la fuga (o la cacciata) dalla Striscia
delle forze di sicurezza legate dell'Anp.
Per gli islamisti quest'atto di forza nel 2007 fu necessario per prevenire
progetti occidentali, israeliani, e anche dell'Anp, volti a ribaltare il
risultato delle elezioni palestinesi dell'anno prima vinte da Hamas con
largo margine. Secondo Abu Mazen invece fu un «colpo di stato» al quale non
è stato possibile rimediare in dieci anni di riconciliazioni tra Fatah e
Hamas annunciate e mai realizzate. Fino al braccio di ferro di questi mesi
che si inserisce in un clima regionale pessimo per gli islamisti
palestinesi.
Il ricco Qatar, generoso sponsor assieme alla Turchia di Hamas e del
movimento dei Fratelli musulmani, fa i conti con l'offensiva diplomatica che
gli ha lanciato contro la rivale Arabia saudita, con la benedizione di
Donald Trump, in nome di una presunta «lotta al terrorismo». Doha tiene
botta, non si fa intimidire e ribadisce la sua posizione: Hamas non è
un'organizzazione terroristica come affermano Riyadh, Israele, gli Usa e il
resto dei Paesi occidentali.
Tuttavia Yahya Sinwar, leader da qualche mese del movimento islamico
palestinese, sa che il sostegno del Qatar ad Hamas rischia di essere
sacrificato sull'altare della riconciliazione tra i petromonarchi del Golfo.
«È un quadro difficile nel quale occorre agire con saggezza, evitando passi
falsi», esorta Ahmed Yusef uno degli ideologi della svolta "moderata" che
qualche settimana fa ha visto l'ex capo di Hamas, Khaled Mashaal, annunciare
proprio a Doha il nuovo Statuto dell'organizzazione che, senza prevedere il
riconoscimento ufficiale di Israele, accetta la soluzione dei Due Stati.
«Hamas deve fare i conti con una realtà regionale complessa e molto mutata
negli ultimi anni» aggiunge Yousef «il nostro nuovo Statuto ora offre gli
strumenti per poter avviare il lavoro diplomatico e politico necessario per
raggiungere i risultati che vogliamo ottenere».
La linea della moderazione sulla quale spinge Yousef però non ha ancora
raccolto alcun frutto e la scelta di Hamas di proclamarsi un movimento
islamico «indipendente» dai Fratelli musulmani lascia freddi i suoi
avversari. Allo stesso tempo Hamas fa i conti anche con il fallimento della
linea più radicale. Gli ultimi dieci anni sono stati segnati da tre
devastanti offensive militari israeliane contro Gaza – che hanno provocato
molti morti, in buona parte civili – e hanno visto Hamas dotarsi di armi
sofisticate e di razzi in grado di raggiungere ogni punto di Israele e
mettere in piedi unità combattenti ben addestrate.
Ma le prove di forza che nella testa dei leader politici e militari di Hamas
dovevano cambiare il «quadro strategico» di Gaza e «liberarla una volta e
per tutte dall'assedio» israeliano, non hanno modificato in alcun modo la
condizione della Striscia che era e resta la prigione più grande del mondo.
Una constatazione che fanno prima di tutto gli abitanti di Gaza. Tra di essi
cresce il malcontento verso Hamas che però non si traduce in un aumento del
sostegno all'Anp di Abu Mazen vista come un altro grande «disastro» e non
come la soluzione dei problemi. Per Sami A.O., che ci ha chiesto di non
rivelare la sua piena identità, «la presa del potere a Gaza da parte di
Hamas aveva alimentato speranze di cambiamento, (Hamas) prometteva sviluppo
e l'appoggio del mondo arabo a Gaza. Invece dieci anni dopo siamo sempre più
prigionieri, senza lavoro, senza elettricità, senza acqua potabile
sufficiente e senza alcuna prospettiva. E non possiamo più parlare
liberamente perché una frase contro il governo ti può costare l'arresto».
Per Sami e molti palestinesi la condizione attuale di Gaza è il risultato
anche delle politiche attuate da Hamas in questo decennio e non solo del
blocco israeliano. Gli islamisti smentiscono di avere una linea autoritaria
e di negare la libertà di espressione. Sostengono che i provvedimenti
restrittivi servono a garantire la sicurezza di Gaza. Ma quando nei mesi
scorsi dal campo profughi di Jabaliya sono partite manifestazioni con
migliaia di persone contro la mancanza dell'elettricità, Hamas ha reagito
schierando centinaia di poliziotti e arrestando e pestando decine di
dimostranti.
Il movimento islamico afferma di aver fatto il possibile per difendere Gaza
e di aver governato al meglio delle possibilità tra attacchi israeliani,
pressioni dell'Anp e l'isolamento al quale ora partecipano anche i Paesi
arabi.
Al contrario per il giornalista Aziz Kahlout «Hamas ha messo la testa sotto
la sabbia. Ha creduto che la sua determinazione avrebbe respinto ogni
avversità. Non ha capito che dopo dieci anni in queste condizioni la gente
di Gaza non può più andare avanti. E questo lo paga in termini di consenso
popolare». Hamas, aggiunge Kahlout, «crede ancora nel miracolo, nell'avvento
in Egitto di un nuovo presidente (dei Fratelli musulmani) come Mohammed
Morsi che lo salvi dall'oblio. Forse solo ora comincia a capire la realtà
del Medio oriente».
Realtà che lo spingerà a cercare un compromesso al ribasso, alle condizioni
di Abu Mazen? Ahmed Yousef sembra escluderlo. «La responsabilità di ciò che
è avvenuto nel 2007 è di entrambe le parti, 50% e 50%», ci dice, «Fatah e
Hamas devono mettere fine allo scambio di accuse e lavorare nell'interesse
esclusivo del nostro popolo». Ma islamisti e Anp cercano solo di eliminarsi
a vicenda.
L'islamismo
L'islamismo è un concetto univoco?
Nel libro Jihad made in USA, Mohamed Hassan distingue cinque diverse
correnti riconducibili all'islamismo, con interessi a volte contrastanti.
Questo quarto estratto è dedicato ai movimenti islamo-nazionalistici.
Grégoire Lalieu intervista Mohamed Hassan | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a
cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
24/04/2017
L'islamismo (4/6): I patrioti,
Hamas e Hezbollah resistono agli USA
Vedi parte
prima sui tradizionalisti
Vedi parte
seconda sui reazionari
Vedi parte
terza sui Fratelli musulmani
Alla testa dell'Egitto, Morsi era
pronto a mantenere la pace con Israele. Tuttavia, Hamas è un'emanazione dei
Fratelli musulmani…
Sì e vi ho spiegato perché i Fratelli egiziani costituivano un'alternativa
valida per gli imperialisti. Con Morsi, questi ultimi avevano la garanzia
che le buone relazioni sarebbero state mantenute con Israele. Ma per Hamas,
è differente. Oggi, questo movimento si ricollega meno alla tendenza dei
Fratelli musulmani che a quella degli islamo-nazionalisti o patrioti, la
quarta figura che si distingue fra gli islamisti.
I Fratelli avevano creato una loro emanazione a Gaza. Ma, inizialmente,
pensavano che dovessero islamizzare la società palestinese prima di
impegnarsi nella lotta per la liberazione nazionale. L'islamizzazione della
società era in un certo qual modo un preliminare.
Il che avrebbe dovuto favorire
Israele…
Infatti. Alla partenza, Israele ha lasciato più spazio ai Fratelli di Gaza,
sperando che questi andassero a indebolire l'influenza dell'OLP, ma le cose
sono cambiate con la creazione di Hamas nel 1987. Il movimento è stato
fondato da tre Fratelli musulmani che, sotto la violenza dell'oppressione
coloniale, erano arrivati alla conclusione che la lotta per la liberazione
nazionale non poteva attendere l'islamizzazione della società.
La Palestina è una sfida particolare per la quale occorre tenere conto del
contesto. L'OLP ha a lungo condotto la liberazione nazionale, ma la
direzione del movimento ha capitolato. Oggi, Hamas ha dunque il merito di
condurre il combattimento della resistenza contro Israele e per ciò lo
sostengo. Ma il suo progetto di società per una Palestina libera, è uno
specchio per le allodole! Hamas centra la sua lotta e la sua nozione di
popolo palestinese attorno all'identità musulmana. Così facendo,
contribuisce a dividere la società palestinese.
Occorre sottolineare tuttavia che le ultime guerre condotte da Israele hanno
spinto Hamas verso l'unità d'azione con altri movimenti di resistenza come i
rami militari di Fatah e del Fronte popolare di liberazione della Palestina.
Ciò potrebbe portare a una nuova visione di Hamas. Sembra infatti che le
spaccature siano più profonde alla testa del movimento mentre, sul campo, le
organizzazioni collaborano maggiormente.
Ci sono stati anni in cui Hamas è
riuscito a guadagnare un ampio sostegno popolare e ha predominato le ultime
elezioni organizzate in Palestina. Come nel 2006. Come spieghi questo
successo?
Con tre fattori. Il primo si riconduce alla sua prosecuzione della
resistenza e al rifiuto di ogni soluzione imposta, cosa che corrisponde alla
volontà della popolazione palestinese. Secondo fattore: Hamas esige il
ritorno dei rifugiati del 1948 e del 1967. Nel 1948, dopo la creazione dello
Stato di Israele, molti palestinesi furono espulsi dal territorio. Dopo la
guerra dei sei giorni nel 1967, circa 300.000 profughi in più dovettero
fuggire in Giordania. Oggi, più di sei milioni di profughi non hanno il
diritto di ritornare nel loro paese! In compenso, come Stato ebreo, Israele
accoglie qualsiasi ebreo di qualsiasi provenienza: Spagna, Russia, Etiopia…
Persone mai viste prima in Palestina! La questione dei rifugiati è un
elemento importante delle rivendicazioni palestinesi cui Hamas si è fatto il
portavoce.
L'ultimo fattore che ha contribuito al successo di Hamas è l'eliminazione in
seno alla comunità palestinese di persone corrotte da Israele per ottenere
informazioni. Alcune sono state eliminate fisicamente e la maggior parte -
dei delinquenti, degli alcolizzati o degli spacciatori - è stata reintegrata
attraverso i programmi sociali di Hamas. L'informazione non trapela dunque
più. Si tenga conto che l'informazione è un elemento della più alta
importanza. Israele infatti aveva creato una società corrotta dove tutti
erano contro tutti. Ha sfruttato questa corruzione per costruire una rete di
informazione e stabilire un controllo certo sulla resistenza palestinese. Ad
esempio, nel corso dell'operazione Piombo fuso a fine 2008, il primo attacco
israeliano ha riguardato il commissariato di Gaza ad un'ora ben precisa,
quella del cambio della guardia. Perché? Perché era il momento in cui
c'erano maggiori poliziotti nel commissariato. E come poteva saperlo
Israele? Grazie alla sua rete di infiltrati.
È tipico di una mentalità coloniale. I britannici hanno applicato questo
metodo in Irlanda del Nord. Nulla di nuovo. Ma Hamas è riuscito a
distruggere la rete, cosa che costituisce una grande vittoria su Israele.
La resistenza palestinese è stata
a lungo predominata da movimenti laici. Come è accaduto che un movimento
islamista sia diventato così popolare?
Sotto l'occupazione a Gaza e negli altri territori, non era possibile per i
palestinesi discutere apertamente, né di immaginare il proprio futuro,
eccetto in due posti: la moschea e l'università. Hamas era naturalmente già
attivo nella prima. Ma in seguito ha iniziato, come qualsiasi altro partito
politico, a presentarsi nelle organizzazioni studentesche. Hamas ha dunque
arruolato giovani studenti brillanti, ben voluti nella società per via della
loro devozione e della loro onestà. Era facile per Hamas convincerli, poiché
la volontà di resistere li univa. Non ci sono misteri! Hamas esprime
apertamente ciò che la popolazione considera in cuor suo. Con gli elementi
più combattivi, più intelligenti e più istruiti della società, Hamas è
diventata una grande organizzazione.
In Europa invece, Hamas non è
molto popolare, anche fra quelli che sostengono la causa palestinese.
Perché?
L'islam non è bene visto in Europa perché l'Europa si identifica col
cristianesimo. C'è un reale rifiuto del contributo musulmano allo sviluppo
della civilizzazione occidentale. Come gruppo islamista, Hamas è dunque mal
percepito. Ma perché una persona, che condanna il sionismo, dovrebbe essere
ostile ad Hamas? E perché la stessa persona, che sostiene la causa
irlandese, non nutre alcuna preoccupazione per quanto riguarda
un'organizzazione cattolica? Le differenze culturali forniscono la
spiegazione, è un fenomeno generalmente osservabile.
Un recente viaggio in Egitto mi ha ricordato a quale punto, quando si
attraversa il Mediterraneo, cambia il mondo, cambia il modo di pensare. Non
rimprovero gli europei, sono influenzati dalla loro istruzione e dalla
propaganda mediatica. Inoltre, siamo in un sistema in cui dobbiamo sempre
identificare i nemici per giustificare la nostra esistenza. Ma credo che
occorra fare una distinzione. Io stesso, come marxista residente in un paese
occidentale, vivo certamente delle contraddizioni rispetto Hamas o
Hezbollah. Mi rammarico che la resistenza sia condotta da un movimento che
trae ispirazione nell'islam, ma queste contraddizioni sono attualmente
secondarie. In compenso, Hamas o Hezbollah sono l'opposto di personaggi come
Abbas o dittatori come Moubarak e Ben Ali: laici, ma al servizio degli
interessi USA. Leggo le informazioni in arabo, conosco perfettamente la
situazione laggiù e percepisco le contraddizioni da un punto di vista
diverso da quello della sinistra europea.
Perché la sinistra europea non
supporta apertamente la resistenza palestinese?
Il problema della sinistra europea è che rifiuta di fare una grande alleanza
contro l'imperialismo, a causa di Hamas, delle donne stuprate o di ogni
sorta di pretesto. In realtà, si abbandona alla grande alleanza dei
cristiani contro l'islam, e acconsente di ricondurre tutto alla "guerra di
civilizzazione" lanciata dagli ideologi americani. Subisce molto
profondamente quest'influenza, molto più di quello che crede. Perché la
sinistra europea non si irrita quando fascisti cristiani, come i falangisti,
commettono massacri in Libano? Da parte mia, come laico, ho sostenuto la
resistenza degli Iirlandesi contro l'occupazione britannica e non mi
preoccupavo affatto che questi irlandesi fossero cattolici. In realtà, il
problema degli europei, è che sono stati allevati da una civilizzazione che
nutre pregiudizi su ebrei e musulmani.
Ma l'IRA non ha mai cercato di
instaurare uno stato religioso. Non è questo che blocca gli europei
progessisti a dare sostegno a Hamas?
So che alcuni europei auspicherebbero che la resistenza fosse condotta da un
movimento più progressista, ma la storia non è una scienza esatta.
Confrontiamo l'Indonesia. Il primo movimento anticoloniale era "Sarakat al
islam", un movimento islamista creato nel 1920 per combattere l'occupazione
olandese. È in questo contesto che Lenin inviò in Indonesia un comunista
olandese, Henk Sneevliet, per propagare l'idea di una rivoluzione nazionale.
Al suo arrivo laggiù, trovò questo giovane movimento nazionalistico
islamista. Cosa avreste fatto al suo posto? Henk Sneevliet decise di
lavorare con loro. Era molto paziente e molto astuto tanto che trasformò
questo movimento in un movimento comunista che diventò il Partito comunista
dell'Indonesia, il secondo in ordine d'importanza in tutta l'Asia. La
pazienza è essenziale in politica.
Come si evolverà Hamas? Non esiste una sfera di cristallo. Hamas ha anche un
programma di massima, una sua visione sulla società ideale, ma oggi il suo
compito immediato è la resistenza allo Stato sionista. Domani, ci potrebbe
essere una combinazione di vari fattori, come una nuova direzione e nuove
idee. E questa combinazione potrebbe fare prendere a Hamas il cammino di una
rivoluzione democratica.
Nulla lo garantisce!
Il fatto è che i progessisti che vogliono sostenere i palestinesi vorrebbero
avere la garanzia completa che tutto avverrà nel migliore dei modi. Ma non
esistono garanzie. Chi avrebbe potuto predire la decomposizione del Partito
comunista sovietico che aveva realizzato la prima rivoluzione socialista in
un paese e sostenuto tutti i movimenti anticoloniali nel mondo? Nessuno
aveva previsto neppure che Arafat avrebbe negoziato gli accordi disastrosi
di Oslo. Ecco dove ci troviamo al momento: Hamas è la resistenza. Non li
sostengo per le loro posizioni sulla donna, per il loro programma economico
o le loro idee fatalistiche. Li sostengo sul punto più importante: sono un
movimento nazionalista di resistenti che lottano sul campo.
Hezbollah è l'altro grande
movimento di resistenza a Israele, anch'esso islamista.
Sì, Hezbollah è anche un movimento islamo-nazionalistico. Sul modello dei
Fratelli musulmani, gli islamo-nazionalisti difendono un progetto religioso.
Ma al contrario dei Fratelli che non esitano a combinarsi agli imperialisti
per lottare contro un nemico comune (i governi laici arabi), gli
islamo-nazionalisti, invece, fanno della lotta per l'indipendenza il loro
obiettivo primario. Sono patriottici.
È il caso di Hezbollah. La sua leadership conquista la piccola borghesia, ma
anche commercianti e proprietari terrieri hanno aderito al partito. È un
movimento moderno nella misura in cui non combatte in nome di Hezbollah, ma
in nome dei libanesi. In modo che nonostante la sua natura religiosa, ha
potuto stringere un'alleanza con il movimento nazionalistico libanese.
Certamente, Hezbollah conserva una contraddizione seria rispetto laicità e
comunismo. Come qualsiasi movimento islamista. Ma questa contraddizione
viene dopo il suo obiettivo principale, l'indipendenza del Libano. Inoltre,
la sua lotta di resistenza nazionale ha indotto Hezbollah a costituirsi una
base popolare fra i sostenitori tradizionali del Partito comunista libanese.
Aggiungete a ciò che il Libano ha attraversato una guerra civile terribile
(1975-1990) su base confessionale, che nessuno vuole rivivere. Si ha così un
Hezbollah che, nonostante il carattere religioso della sua ideologia,
raccomanda la de-confessionalizzazione della politica in Libano.
Come spiegare il successo di Hamas?
Intervista a Mohamed Hassan di Grégoire Lalieu e Michel Collon
10/02/2009
Per i media la situazione è chiara : Hamas è un’organizzazione terroristica, integralista e fanatica. Tuttavia, questo movimento ha vinto le ultime elezioni e la sua popolarità non smette di crescere tra la popolazione Palestinese. Perchè ? L’abbiamo chiesto a Mohamed Hassan, uno dei migliori conoscitori del Medio Oriente, autore de L’Irak face à l’occupation...
Cos’è veramente Hamas?
Hamas è un movimento politico nato da uno tra i più vecchi movimenti politici dell’Egitto, i Fratelli Musulmani. La parola «Hamas» significa risveglio, fa riferimento a qualcosa in eruzione… é un movimento nazionalista islamico che può essere paragonato a quello nazionalista irlandese. Di fronte all’occupazione dell’Irlanda da parte dei Britannici, si è sviluppato, a partire dal 1916, un movimento di resistenza, L’Esercito Repubblicano Irlandese. Siccome gli Irlandesi erano cattolici e i coloni britannici protestanti, l’occupante ha tentato di trasformarla in una guerra tra religioni. La religione può essere utilizzata per mobilitare un popolo a favore di una causa.
Quale contesto storico spiega la nascita di Hamas?
Per comprenderlo, dobbiamo prendere in considerazione diversi avvenimenti storici. Il primo è la Guerra dei Sei Giorni (1967) che ha delegittimato il nasserismo. Nasser era un presidente egiziano che ha incoraggiato una rivoluzione araba per l’indipendenza e lo sviluppo. A seguito della pesante sconfitta inflittagli da Israele, la sua ideologia perse influenza. Dopo la sua morte, l’Egitto e Israele entrarono in un nuovo conflitto nell’ottobre del 1973. L’Egitto e la Siria volevano recuperare alcuni territori sotto l’occupazione israeliana. Il conflitto si concluse con un accordo, ma questo procurò una profonda divisione all’interno del mondo arabo tra i paesi pronti ad accettare le condizioni israeliane e paesi che volevano resistere come la Siria, l’Algeria, l’Iraq… La questione palestinese è sempre stata un elemento cruciale in questi conflitti. La resistenza a Israele aveva portato alla formazione dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questa organizzazione è stata creata con l’obiettivo di raccogliere i diversi movimenti di resistenza e unire i loro sforzi per opporsi a Israele. Israele, prima di negoziare con questa organizzazione con gli Accordi di Oslo nel 1993, considerava l’OLP come un gruppo terroristico al quale ha inflitto numerose sconfitte le quali possono spiegare la nascita di Hamas.
La prima sconfitta risale al settembre nero del 1970. L’OLP aveva il suo quartiere generale in Giordania dove il re Hussein negoziò un accordo con Israele per reprimere brutalmente l’insurrezione palestinese. L’OLP è stata perciò costretta a fuggire a Beirut, in Libano.
La seconda importante sconfitta è avvenuta nel 1982, anno in cui Israele attaccò il Libano e la maggior parte dei combattenti dell’OLP si trovava lontano dalla Palestina. Il QG dell’organizzazione era stato impiantato a Tunisi. E’ in questo contensto particolare che nasce la prima Intifada, nel 1987. L’Intifada era un sollevamento popolare in risposta all’occupazione israeliana che è cominciata da Gaza per espandersi poi in tutta la Palestina. Come ho già detto, l’OLP in quel momento era lontana. Hamas al contrario si trovava in Palestina e prese parte all’Intifada. La prima Intifada segna la comparsa di Hamas, movimento che nacque nelle prigioni ! Le prigioni erano solitamente considerate come luogo di punizione. Ma, dopo che i resistenti dell’Intifada furono imprigionati, questo cambiò. E’ in queste carceri che Hamas cominciò a reclutare e a svilupparsi come organizzazione. Con l’Intifada, Hamas fu esposto all’opinione palestinese, israeliana e internazionale.
Come ha reagito l’OLP all’Intifada?
Con l’Intifada, l’OLP si è divisa in due fazioni : la più forte voleva continuare la resistenza e aveva base a Tunisi, l’altra, meno importante, voleva negoziare un accordo. La parte più debole si nascose e non ebbe il coraggio di difendere le proprie opinioni fino al giorno degli accordi di Oslo in cui essa si manifestò e divenne la più forte. Arafat era dotato di senso strategico e e dopo la fine della prima Intifada utilizzò le differenti correnti palestinesi con l’obiettivo di riportare l’OLP in Palestina.
Quali erano le linee dell’accordo?
Anzi tutto, c’erano quelli che volevano continuare la lotta contro Israele senza alcuna concessione. Arafat doveva isolare questa corrente se voleva ottenere qualcosa. Dall’altro lato c’erano coloro che volevano venire a patti, e essi adesso dirigono il governo palestinese. Infine, c’era la borghesia che sperava di trarre profitto da un negoziato. Arafat li ha utilizzati per ottenere quello che voleva. Questo ha portato alla stipula degli accordi di Oslo nel 1993. Questi hanno permesso all’OLP di ritornare in Palestina ma, a parte questo, rappresentarono un’importante sconfitta. I palestinesi si accontentarono del 22% delle loro terre. Non c’è mai stato nessun altro accordo nella storia che conferisse ad una delle parti solamente il 22% di quello che chiedeva ! L’OLP, da quel momento, non fu più considerata come un’organizzazione terroristica e riuscì a conquistare il riconoscimento da parte di Israele, ma non riuscì a migliorare realmente la situazione a Gaza e in Cisgiordania. Nell’accordo non è stato fatto alcun riferimento per porre fine alla colonizzazione israeliana. Questo aspetto ha screditato l’autorità palestinese tra la popolazione e ha contribuito a far crescere il successo di Hamas in quanto movimento di resistenza. Un altro elemento importante è il fatto che l’autorità palestinese, che riceveva fondi dall’Occidente, è diventata corrotta. Niente indica che Hamas abbia questo problema. Da un lato, le sue principali entrate provengono da un sistema basato sulla carità nel mondo musulmano. Dall’altro, visto che criticano l’autorità palestinese per la sua corruzione, pongono seria attenzione a chè ciò non avvenga nelle loro file.
Come si può spiegare il successo di Hamas?
Lo spiegano tre fattori. Il primo è la prosecuzione della resistenza e il rifiuto di ogni soluzione imposta, così come vuole la popolazione. Il secondo fattore è rappresentato dal fatto che Hamas pretende il ritorno dei rifugiati del 1948 e del 1967. Nel 1948, dopo la creazione dello Stato di Israele, molti Palestinesi furono espulsi dai loro territori. Con la Guerra dei Sei Giorni, circa 300.000 rifugiati si trasferirono in Giordania. Oggi, sono più di 6 milioni i rifugiati che non hanno il diritto di ritornare nel loro paese! In compenso, in quanto Stato Ebraico, Israele, accoglie qualsiasi ebreo proveniente da qualsiasi parte del mondo: Spagna, Russia, Etiopia… Persone che non hanno mai visto prima la Palestina ! La questione dei rifugiati è un aspetto importante delle riventicazioni dei palestinesi di cui Hamas è diventato il portavoce.
L’ultimo fattore che ha contribuito al successo di Hamas è stata l’eliminazione all’interno della comunità palestinese delle persone corrotte da Israele per ottenere delle informazioni. Qualcuno è stato eliminato fisicamente e la maggior parte – delinquenti, alcolisti o spacciatori – sono stati reintegrati attraverso i programmi sociali di Hamas. L’informazione dunque non circolava più. Questo è molto importante. Israele aveva creato una società corrotta nella quale tutti erano contro tutti e ha sfruttato questo per costruire una rete di informazioni e creare un certo controllo sulla resistenza palestinese. E’ tipico di una mentalità coloniale. I Britannici hanno applicato questa strategia in Irlanda del Nord. Niente di nuovo. Ma Hamas è riuscito nell’impresa di distruggere questa rete ottenendo, così, una grande vittoria su Israele.
Qualcuno sostiene che Israele ha deliberatamente favorito l’ascesa di Hamas. E’ vero?
Non esiste alcuna prova. Israele ha tollerato Hamas sperando che sorgessero dei conflitti tra gli stessi palestinesi. Essi [gli israeliani] volevano indebolire l’OLP e Fatah. Ma non si aspettavano la qualità, la capacità e l’organizzazione di cui ha dato prova Hamas sviluppandosi in questo modo. La potenza coloniale considera sempre i suoi sudditi come bambini ingenui.
Come mai un movimento islamista è diventato così popolare in Palestina?
A causa dell’occupazione di Gaza e di altri territori per i Palestinesi non era possibile discutere apertamente ed era impensabile perfino immaginare il loro futuro eccetto in due luoghi: la moschea e l’università. Hamas era già attivo nella prima, ma, in seguito, come qualsiasi altra forza politica, iniziò a farsi sentire tra le organizzazioni studentesche. Hamas ha, quindi, reclutato giovani studenti brillanti, che erano ben visti nella società in ragione della loro devozione e onestà. Era facile per Hamas convincerli, poichè li univa la volontà di resistere. Non è un mistero! Hamas esprime apertamente quello che la popolazione ha nel cuore. Potendo disporre degli elementi più combattivi, più intelligenti e più istruiti della società è diventata una grande organizzazione.
Come hanno reagito le autorità palestinesi all’evoluzione di Hamas?
Esse sono state toccate dalla corruzione e coinvolte negli scandali. Anche i giornalisti palestinesi le hanno condannate per questo. Arafat era una specie di arbitro tra le differenti fazioni. Ma dopo la sua morte le contraddizioni tra Hamas e Fatah sono diventate antagonistiche. Israele ha sfruttato queste divergenze e ha deciso di servirsi di Fatah per intaccare la popolarità di Hamas. Si pensava che non avrebbe mai accettato di partecipare alle elezioni. E’ per questo che si decise di organizzare velocemente una votazione. Tutti furono sorpresi quando Hamas accettò di partecipare, ma nessuno era veramente preoccupato. Si pensava che il movimento, avendo uno stile di pensiero dogmatico e limitato, sarebbe stato battutto facilmente dal partito maggioritario. Contro ogni aspettativa, Hamas ha formato una coalizione e ha offerto un’immagine di sé flessibile, lontano da quello che ci si sarebbe potuti aspettare da un’organizzazione fondamentalista. Infatti, Hamas aspira a creare uno Stato islamista ma la realtà è ben differente.
Hamas instaurerà un regime islamista in Palestina?
Un regime islamista è il fine ultimo di Hamas, ma è necessario comprendere che non potrà mai metterlo in atto. In effetti, sul campo, l’organizzazione è basata su un movimento patriottico. Bisogna sapere che la feroce guerra condotta da Israele contro Gaza non ha mobilitato solo le forze di Hamas ma anche tutte le altre forze patriottiche, comprese quelle di Fatah. Questa aggressione ha unificato il popolo palestinese. Hamas potrebbe diventare un movimento più progressista alleandosi con gli altri movimenti? Per contrastare l’aggressione israeliana, si! L’idea che Hamas possa creare una società basata su modi di produzione islamisti è un’illusione. E’ semplicemente impossibile. In più aspetti, questa organizzazione assomiglia a Hebzollah che sostiene: «Il Libano è un paese dotato di una grande diversità interna, noi non rappresentiamo che una sua parte e il nostro obiettivo è quello di costruire con tutte le altre forze progressiste libanesi un’economia nazionale indipendente». Vorrei farvi notare che nessuno solleva questo tipo di problemi per paesi come l’Arabia Saudita.
Qual è il programma socio-economico di Hamas?
Il suo progetto è un’economia capitalista caratterizzata da un sostanziale intervento dello Stato. Teniamo presente che attualmente, anche i liberali europei chiedono un intervento dello Stato. Se si guarda all’Iran, lì c’è un regime islamista: capitalismo con intervento statale. Ma rifiuta la dominazione esterna e ridistribuisce le richezze derivanti dal petrolio. Per quanto riguarda Hamas, bisogna sapere che non è semplicemente il suo programma sociale che ha convinto i palestinesi, ma soprattutto il fatto che esso incarna la resistenza. E, oggi, la resitenza è quello che conta di più per il popolo palestinese.
Qual è il ruolo della donna per Hamas?
La sua visione della donna cambia dalla teoria alla pratica. Perchè? In Palestina la situazione è molto difficile. Le donne devono lavorare per guadagnarsi da vivere e per educare i propri figli. Hamas non potrà mai impedire alle donne di lavorare e nemmeno forzarle a rimanere in casa. Tranne qualche ricco paese petrolifero, nessuno la pensa così nel mondo arabo. Come potrebbe Hamas ritirare le donne dalla vita sociale se esse rappresentano più della metà degli elementi più attivi del popolo palestinese? Infatti, colui che non rispetta la donna è colui che crede di poterla controllare come fosse un soggetto passivo.
Esistono differenze culturali tra il mondo arabo e l’Occidente che non sono ben comprese perchè basate su cliché. Ecco un esempio. Quando andate in una edicola in occidente, vedete su parecchie copertine di riviste le foto di donne bionde, nude e dai grossi seni… Nessuno dice che è disgustoso e che queste donne dovrebbero essere trattate meglio. Ma quando si vede una donna che indossa un velo, si parla di oppressione! C’è una sorta di ipocrisia in Occidente. Per esempio, in Indonesia, l’attuale regime è stato istituito nel 1965 dopo un colpo di Stato nel corso del quale sono stati massacrati milioni di comunisti. Oggi la maggior parte delle donne porta il velo, laggiù. Ma nessuno si indigna poichè l’Indonesia produce petrolio ed è allineata all’Occidente.
Perchè Hamas è rifiutato in Europa?
L’Islam non è ben visto in Europa perchè quest’ultima si identifica con il cristianesimo. Esiste un vero rifiuto al contributo musulmano allo sviluppo della civilizzazione occidentale. In quanto gruppo islamista, Hamas è dunque mal visto. Ma perchè una persona, che condanna il Sionismo, ha un problema con Hamas ? E perchè la stessa persona che sostiene la causa irlandese, non si preoccupa che dietro ci sia un’organizzazione cattolica? Le differenze culturali lo spiegano ed è un fenomeno che è possibile osservare.
Sono stato da poco in Egitto. Ho potuto constatare che attraversando il Mediterraneo si assiste ad un cambiamento del modo di pensare. Io non rimprovero gli europei, sono influenzati dalla loro educazione e dalla propaganda mediatica. In più, noi viviamo in un sistema dove dobbiamo sempre individuare dei nemici per giustificare la nostra stessa esistenza. Ma credo sia necessario fare la propria parte. Io stesso, in quanto marxista e abitante in un paese occidentale, sono consapevole delle incompatibilità che esistono con Hamas e Hebzollah. Mi dispiace che la resistenza sia portata avanti da un movimento ispirato all’Islam. Ma, attualmente, queste contraddizioni sono secondarie. In compenso, sono assolutamente contro persone come Abbas o Moubarak, che sono laici ma che servono gli interessi degli Stati Uniti. Leggo le informazioni in arabo, conosco bene la situazione che c’è lì e percepisco le contraddizioni da un punto di vista diverso rispetto alla sinistra europea.
Perchè la sinistra europea non dà il suo supporto alla resistenza palestinese?
Il problema della sinistra europea sta nel fatto che rifiuta di formare una grande alleanza per fronteggiare l’imperialismo, a causa di Hamas, del velo e altri pretesti. E’ per questo che aderendo alla grande alleanza dei Cristiani contro l’Islam partecipa alla «guerra di civiltà» lanciata dagli ideologi americani. Subisce profondamente questa influenza, più di quello che lei stessa crede. Perchè la sinistra europea non esprime la propria condanna quando dei fascisti cristiani, come i falangisti, massacrano i libanesi? Io, in quanto laico, ho sostenuto la lotta degli irlandesi contro l’occupazione britannica e non avevo nessun problema che gli irlandesi fossero cattolici. Il problema dell’europeo è che è stato educato in una civiltà che ha pregiudizi sugli ebrei e musulmani.
Perchè la questione palistenese è così importante per gli Stati Uniti?
La Palesitina è un piccolo paese che a suo malgrado è diventato una delle questioni più scottanti del mondo, questo per due ragioni: la prima è che lo Stato colono (Israele) deve essere difeso dalle nazioni imperialiste, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, affinchè diventi la potenza egemone del Medio Oriente. Questo è un modo per annientare il movimento rivoluzionario democratico nella regione. Se si elude la questione palestinese, si ostacola un’allenza del mondo arabo con i fronti della resistenza in Irak, in Libano… Prima era lo Shah dell’Iran a rivestire il ruolo di poliziotto nell’area. Gli Stati Uniti avevano favorito la creazione di una dittatura militare per favorire i loro interessi nella regione. Oggi, questo ruolo spetta a Israele. A testimonianza di ciò è esemplificativa la rivoluzione in Yemen del Nord negli anni Sessanta. Era stato progettato un golpe da alcuni ufficiali appoggiati dall’Egitto al fine di instaurare una repubblica democratica. Lo Sceicco che governava lo Yemen fuggì in Arabia Saudita. Allora, i Britannici inviarono delle truppe per combattere la giovane repubblica e schiacciare il movimento nazionalista arabo, mentre, altri soldati, addestrati da Israele, furono impiegati per combattere le forze di liberazione. Israele, allo stesso modo, inviò sue truppe anche in Salvador, Sri Lanka e Colombia. Infatti, ovunque sono coinvolti gli Stati Uniti, anche Israele lo era e lo è.
La seconda ragione è la contesa di Gerusalemme in quanto città santa. E’ la seconda città più importante per l’Islam. La questione coinvolge tutti i musulmani nel mondo. Gerusalemme, però, è anche molto importante per i cristiani palestinesi. Israele non l’abbandonerà, poichè una rinuncia rappresenterebbe una vittoria per i palestinesi e per l’Islam. In più, la città santa, poichè situata sulla frontiera tra Israele e la Cisgiordania, occupa una posizione strapegica per la politica espansionistica israeliana. Infatti, bisogna sapere che Israele non ha frontiere ben definite. Non ha neanche una costituzione! Israele ha quindi la flessibilità necessaria per continuare ad espandersi.
Massacrando così selvaggiamente Gaza, quale messaggio vuole far passare Israele?
Il messaggio è: «Israele rimarrà sempre lì, anche con le armi nucleari. Può imporre quello che vuole».
Funzionerà?
No, perchè dall’altra parte ci sono dei combattenti che non hanno più niente da perdere e che sono pronti a sacrificarsi, ciò che non vale per le file del Tsahal. Con il suo attacco, Israele in fondo non ha ottenuto nulla. Al contrario Hamas uscirà rafforzato da questo conflitto. In Cisgiordania, le persone sostengono che se ci fossero delle elezioni, voterebbero per questo partito. Infatti, quelli che resistono vincono sempre.
Alexander Cockburn
24 luglio 2006
Quando i media offrono spazio illimitato agli apologhi di Israele, questi propagano il messaggio che nessuna nazione, meno che mai Israele, può permettere bombardamenti o incursioni armate attraverso le sue frontiere senza scatenare rappresaglie.
La regola che domina questo “tsunami di stupidità” è che nega ai telespettatori il minimo accesso ad ogni contesto storico, e soprattutto a qualunque cosa che sia successo prima del 28 di giugno, il giorno in cui è comparsa la notizia che Hamas aveva catturato un soldato israeliano ed ammazzato altri due, seguita poco dopo da quella di un attacco di un'unità di combattenti di Hezbollah.
La memoria si ferma al 28 giugno 2006.
Facciamo un breve viaggio nella preistoria. Parlo del 20 giugno del 2006, quando aeroplani israeliani spararono per lo meno un missile contro un'automobile in un tentativo di assassinio extragiudiziale in una strada tra Jabalya e la Città di Gaza. Il missile non fece centro. Ma ammazzò tre bambini palestinesi e ne ferì 15.
Continuiamo il viaggio al 13 di giugno 2006, quando aeroplani israeliani spararono missili contro un camioncino in un altro tentativo di assassinio extragiudiziale. Le successive raffiche ammazzarono nove palestinesi innocenti.
Ora arriviamo realmente all'Età delle tenebre, lontano, lontano, al 9 giugno del 2006, quando Israele bombardò una spiaggia a Beit Lahiya, ammazzando 8 civili e ferendone altri 32.
È solo una breve escursione per la Strada del Ricordo, e c'imbattiamo nei corpi di venti morti e quarantasette feriti, tutti palestinesi, le maggioranza donne e bambini.
Israele se ne dispiace… Ma no!
Israele non si preoccupa nemmeno di simulare cordoglio. Dice: ci prenotiamo "il diritto di massacrare palestinesi quando vogliamo. Ci prenotiamo il diritto di assassinare i suoi dirigenti, spianare le sue case, rubare la sua acqua, sradicare i suoi olivi, e quando tentano di resistere li chiamiamo terroristi che vogliono rovinare il ‘processo di pace'."
Ora Israele dice che vuole eliminare Hezbollah. Non vuole danneggiare il popolo del Libano, purché non appoggi Hezbollah o si trovi in qualche posto vicino ad una persona, o una casa, o un'automobile, o un camion, o un autobus o un campo, o una centrale elettrica.
Per un comandante o un pilota israeliano significa avere qualcosa a che fare con Hezbolá. In tutti quei casi tanto peggiore per te, o tua moglie, o tua madre, o il tuo bebè!
Israele se ne dispiace… Ma no!
In realtà non si dispiace per nulla. Neanche George Bush, né Condoleezza Rice, né John Bolton; il selvaggio amorale che svergogna il suo paese ogni giorno in cui lo presenta come il suo ambasciatore (non confermato) all'ONU, e che ha appena detto al mondo che un civile israeliano morto vale molto di più, come affronto morale, che un libanese.
Nessuno di loro è dispiaciuto. Dicono che Hezbollah è un cancro nel corpo del Libano.
A volte, per estirpare il cancro, finisci per distruggere il corpo. O i corpi. Corpi di bebè. Molti. Apri il sito http://fromisraeltolebanon.info / e guarda bene. Quindi firma la petizione nel sito richiamando i governi del mondo a fermare la barbarie.
Si può dire che è stata Israele ad aver creato Hezbollah. Può anche essere dimostrato, anche se questo esige un'altra terrificante escursione storica.
Questa volta dobbiamo andare lontano, così lontano da retrocedere nella storia.
Fino al1982, prima dei dinosauri, prima della CNN, prima di Fox TV, prima di O'Reilly e Limbaugh. Ma non prima dei neoconservatori, che a quel tempo erano già usciti strisciando dal fango primordiale e facevano esattamente quello che fanno ora: consigliare un presidente Usa affinché dia luce verde a Israele perché "risolva i suoi problemi di sicurezza" distruggendo il Libano.
Nel 1982 Israele aveva un problema. Yasir Arafat, con la sua centrale a Beirut, si preparava per annunciare che l'OLP era disposta a dialogare con Israele in buona fede, e ad iniziare negoziazioni pacifiche verso una soluzione, quella dei due Stati.
Israele non desiderava una soluzione che definisse l’esistenza dei due Stati, perché voleva dire - se si prendevano sul serio le risoluzioni ONU - uno Stato palestinese con acqua e con territorio a confine continuo. Cosicché Israele decise di espellere l'OLP dal Libano.
Annunciò che i combattenti palestinesi avevano rotto il cessate il fuoco sparando alcuni colpi d’obice a nord di Israele. I palestinesi non avevano fatto niente di simile.
Lo ricordo molto bene, perché Brian Urquhart, allora segretario generale assistente delle Nazioni Unite, in forza agli osservatori ONU a nord di Israele, mi invitò nel suo ufficio al 38° piano della centrale ONU nel centro di Manhattan e mi mostrò tutte le relazioni della zona. Da un anno non c'erano stati bombardamenti al nord della frontiera. Israele mentiva.
Con o senza un pretesto, Israele voleva invadere il Libano. Così lo fece, ed arrivò a Beirut. Bombardò città e villaggi libanesi e li attaccò dall'aria. Le forze di Sharon ammazzarono circa 20.000 persone, e lasciarono che i cristiani libanesi massacrassero centinaia di rifugiati palestinesi nei campi di Saprà e Chatila.
Il massacro arrivò a tal punto che svegliò del suo torpore perfino Ronald Reagan, che chiamò Tel Aviv per dire ad Israele che si trattenesse. Sharon mandò al diavolo la Casa Bianca e bombardò Beirut all'ora precisa -2,42 e 3,38- in cui si approvavano due risoluzioni dell'ONU chiedendo una soluzione pacifica per il caso palestinese.
Quando passò il temporale e rimasero i rottami, Israele si stabilì a vari chilometri all'interno del territorio sovrano libanese, che occupò illegalmente per anni sfidando tutte le risoluzioni dell'ONU, utilizzando e dirigendo una brutale milizia locale e con la propria versione di Abu Ghraib, il centro di torture nella prigione di Al-Khiam.
Se occupi un paese, torturi i suoi cittadini, finisci col affrontare la resistenza. Nel caso di Israele fu Hezbollah, e Hezbollah finalmente cacciò Israele dal Libano, per cui molti libanesi non vedono Hezbollah come terroristi, ma come valorosi liberatori.
Gli anni passano e Israele fa tutto il possibile per distruggere ogni possibilità di una soluzione vitale dei due Stati. Costruisce insediamenti illegali. Spezza la Palestina con strade solo per ebrei.
Si impadronisce di tutta l'acqua. Seziona Gerusalemme. Ruba ancora più terre ritagliando il territorio palestinese suo "vicino". Chiunque cerca di organizzare la resistenza è imprigionato, torturato o fatto saltare in aria.
Stanchi delle sue terribili sofferenze, i palestinesi scelsero Hamas, i cui dirigenti indubbiamente sono disposti a negoziare sulla base della soluzione dei due Stati che, ovviamente, è l’unica cosa che Israele non può tollerare. Israele non vuole nessuna "soluzione pacifica" che dia ai palestinesi qualcosa di più che pochi ettari spianati, circondati di reticolati, di punte e carri armati, sparsi tra gli insediamenti israeliani, i cui bulli possono assassinarli a loro discrezione.
Cosicché, 24 anni dopo che Sharon fece tutto il possibile per distruggere il Libano nel 1982, ora i suoi eredi tornano a fare la stessa cosa. Siccome non possono tollerare l'idea di una soluzione giusta per i palestinesi, fanno l’unica cosa che sanno fare: definire il Libano un rifugio del terrore e bombardarlo fino a che ritorni all'età della pietra. Chiamare Gaza un rifugio del terrore e bombardare la sua centrale elettrica, il primo passo nel viaggio del ritorno all'età di pietra.
Bombardare Damasco. Bombardare Teheran.
Evidentemente non potranno distruggere Hezbollah. Ogni volta che ammazzano un'altra famiglia libanese, moltiplicano l'odio per Israele e l'appoggio per Hezbollah. Sono riusciti ad unire persino il parlamento a Baghdad, che ha appena votato all'unanimità - sunniti, sciiti e curdi allo stesso modo -per deplorare la condotta di Israele e sollecitare un cessate il fuoco.
Spero che queste piccole escursioni nella storia siano state utili, benché la storia sia pericolosa, e per quel motivo la stampa Usa preferisce mantenersi a distanza. Ma perfino senza il beneficio di una formazione storica, una maggioranza di “usamericani” in un recente sondaggio lampo di CNN
- approssimativamente il 55% (su 800.000 persone) fino al mezzogiorno del 19 di Luglio - ha dichiarato che non appoggia quello che fa Israele.
Il dispiacere è una cosa, ma non serve a gran che.
L'attacco di Israele al Libano nel 1982 diventò impopolare negli Usa dopo i primi giorni. Ma ci vuole coraggio politico per convincere Israele a risolvere il problema di fondo, e virtualmente nessun politico degli Usa è disposto a ribellarsi contro la lobby israeliana. Non importa quante famiglie in Libano e Gaza saranno sacrificate sull'altare di simile vigliaccheria.
http://www.counterpunch.org/Cockburn07212006.html
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