Iran
vedi anche
Afghanistan
Siria e
Egitto,_Tunisia_Libia.htm
INCONTRO INTERNAZIONALE DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI - ATENE 9-11/12/2011
RISOLUZIONE - IN OPPOSIZIONE ALLE MINACCE DI INTERVENTO MILITARE IN IRAN
"I nostri soldati restano", titola
la Repubblica per l'intervista concessa dal premier Conte.
Praticamente l'Italia sta violando ogni norma del cosiddetto
diritto internazionale, infischiandomene della decisione del
parlamento dell'Iraq che chiede il ritiro di tutte le truppe
straniere, violando l'articolo 11 della Costituzione e
confermando il ruolo delle nostre truppe come forze di
occupazione.
Quali saranno le tragiche conseguenze di questa scelta per
la pace, per il popolo iracheno, per i soldati italiani ed
anche per la sicurezza interna al nostro Paese? Pur di
seguire supinamente le scelte folli degli USA, della Nato e
della UE il governo sceglie di esporre gli Italiani a questi
rischi, tace l'inutile ministro Di Maio, tacciono le
opposizioni 'sovraniste di cartone' di Salvini e della
Meloni, tace la sinistra, sia quella istituzionale che
quella 'ittica'. Tutti complici, ognuno per il proprio
misero tornaconto. Di fronte a questo possibile scenario di
enorme rischio serve coraggio politico e senso di
responsabilità verso il Paese. Il Partito Comunista chiede
il «ritiro immediato dei nostri soldati», nell'ambito dei
compiti che sono assegnati dalla Costituzione. Via le basi
militari USA dall'Italia. Fuori dalla Nato, dalla UE,
dall'Euro, perché a decidere siano i lavoratori, cioè chi
produce davvero la ricchezza del Paese.
QUI
Milioni di persone hanno partecipato al funerale del Martire
Qassem Soleimani.qui
In questi giorni ho letto le peggiori castronerie sul Martire
Qassem Soleimani: che era un "terrorista islamico" che ha ucciso
personalmente milioni di israeliani e di altre persone con il loro
credo in giro nel mondo, che ha brutalmente ammazzato i "poveri
ribelli moderati" (di Al Qaeda, come ormai tutti sanno) che
cercavano la "democrazia" in Siria, che si divertiva a trucidare i
bambini e, la "migliore", che era membro della Fratellanza
Musulmana.
Purtroppo anche da parte di persone
che ritenevo mediamente intelligenti.
Se non conoscete i fatti, tacete.
Non è necessario addentrarsi in discorsi che sapete argomentare solo
con immani cazzate.
E abbiate almeno l'umiltà di vergognarvi e di chiedere scusa.
Perché la diffamazione è un reato penale e la verità è un dovere
morale.
لقد قرأت في هذه الأيام أسوأ الأسوار على الشهيد قاسم سليمانى: إنه
"إرهابي إسلامي" قتل شخصياً ملايين الإسرائيليين وغيرهم من الناس
بمعتقداتهم في جميع أنحاء العالم ، الذين قتلوا بوحشية "المتمردين
المعتدلين الفقراء" (من القاعدة) الذين سعوا إلى "الديمقراطية" في
سوريا ، والتي تمتعت بقتل الأطفال ، و "الأفضل" ، الذي كان عضواً في
جماعة الإخوان المسلمين. لسوء الحظ ، أيضا من قبل الناس اعتقدت كانت
ذكية عموما. إذا كنت لا تعرف الحقائق ، فالتزم الصمت. ليس من الضروري
الدخول في الخطب التي لا يمكنك أن تجادل فيها سوى هراء ضخم. وعلى الأقل
التواضع للخجل والاعتذار. لأن التشهير جريمة جنائية والحقيقة واجب
أخلاقي.
QUI
Putin e Netanyahu distanti sull'Iran
qui
INCONTRO INTERNAZIONALE DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI - ATENE 9-11/12/2011
RISOLUZIONE - IN OPPOSIZIONE ALLE MINACCE DI INTERVENTO MILITARE IN IRAN
https://www.resistenze.org/sito/te/po/in/poinca11-010279.htm?fbclid=IwAR2XE271GkE_ESDfPBDY2SkBEHPt6fhgxgtXKGix3fhv3uFrDrogW5dH814
Versione integrale
del discorso di Ahmadinejad alle Nazioni Unite
Il Tudeh condanna con forza gli attacchi terroristici di DaeshIn Iran un tentativo di colpo di stato di Domenico Losurdo
di
Tommaso Di Francesco
Sscritto
da Thierry Meyssan Sabato 18 Settembre 2010 00:06 sul sito megachip
a
Ahmadinejad
all’Onu: pari opportunità per tutti gli Stati
di Alessia Lai21 settembre 2010
. lunedì 20 settembre 2010
Iran / Onu:
versione integrale del discorso del Presidente Mahmoud Ahmadinejad
ANSA) - ROMA, 19 SET 2010-
Sakineh Mohammadi Ashtiani 'non e'
mai stata condannata alla lapidazione''.
Lo ha detto il presidente
iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
La notizia, ha aggiunto Ahmadinejad, e' un'invenzione e
non e' corretta. 'Sfortunatamente, - ha riferito il presidente alla rete Usa Abc
- l'Occidente, influenzato dai media Usa... e' stato contaminato dai politici
americani, per rendere questa una notizia''.
leggi
Mentre
l'Occidente si é vergognosamente prestato a manifestazioni bipartisan di
una campagna di odio contro l'Iran diffondendo una notizia falsa, Israele e la
Nato preparano un attacco che Gore Vidal prevede prossimo appostando navi da
guerra nel mare antistante l'Iran. <<Nessun paese del Primo Mondo si era mai
prestato prima a eliminare così totalmente ogni obiettività da tutti i suoi
mezzi d'informazione.>> (Gore Vidal)
Una gigantografia di
Sakineh, oltre che allo Steri, pende a Palermo dal Castello Utveggio al posto di
quella che ci dovrebbe stare: una gigantografia di Falcone e Borsellino
_____________________________________________
di Claudio Moffa
Agosto 2010 "La condanna a morte
di Sakineh è stata già annullata il 9 luglio scorso e quindi tutti gli "appelli"
sono non solo inutili ma anche ridicoli; inoltre mai viene ricordato che in Iran
è in vigore da tre anni una moratoria voluta proprio dal "mo...stro"
Ahmadinejad,per effetto della quale ogni condanna a morte per lapidazione viene
poi annullata in secondo grado di giudizio. La lapidazione, è bene ricordarlo,
sopravvive nella legislazione in quanto residuo di un'antica usanza, ma
unicamente in pochissime zone rurali, difatti il tribunale che ha giudicato e
condannato Sakineh non ha niente a che fare con il Governo Iraniano ma è un
Tribunale locale nella regione autonoma di Tabriz.In ogni caso le notizie
sull'Iran sono sempre distorte dai mezzi di informazione perché è necessario
"preparare" l'opinione pubblica alla guerra imperialista che intendono scatenare
contro quel paese."
La campagna di odio e di disinformazione che
si fa attorno all'Iran ricorda molto quelle contro Allende, contro Castro,
contro Milosevic, contro ...Sadam Hussein. Posso immaginare cosa direbbe oggi
Oriana Fallaci che tanto male ha fatto alla causa della comprensione tra le
culture ed i popoli.
___________________________________________
di
Michel Collon e Gregorie Lalieu ****
Gigantografie Lettera al Rettore dell'Università di Palermo di
Pietro Ancona
di Ángel Guerra Cabrera
DI MIKE WHITNEY
di Daniele Scalea
di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, «il
manifesto» del 9 febbraio, p. 10
Iran,
rivoluzione verde
di Massimo Fini del 18/02/2010
Conoscete il
; questa volta in
Iran 28 giugno 2009
L'Iran ha diritto all'atomica
di Pietro Ancona
Un mostro fuori controllo? La minaccia nucleare israeliana
di Alan Hart - 31/01/2010
-
un articolo di Fosco Giannini e Mauro Gemma, su La Rinascita della Sinistra,
settimanale del PdCI
,
Con
Ahmanedinejd per la libertà dell'Iran
di Pietro Ancona
IL
CAPO DELLA RIVOLUZIONE LIBERAL IN IRAN
giugno 2009 di
Fabristol
EURASIA
Rivista
di studi geopolitici
24 Giugno
2009 di Enrico Galoppini
27 giugno
2009 Domenico Losurdo
27/6/2009
25/06/2009
Pietro Ancona
22/06/2009
Pietro Ancona
Il golpe di Mousavi e
della Cia 21/06/2009 Pietro Ancona
21/06/2009
la guerra preventiva
degli Usa con l'Iran 19/06/2009 Pietro Ancona
Pietro Ancona
19/06/2009
Elezioni in Iran e
l'invidia rapace dell'Occidente
Pietro
Ancona June 13, 2009
Iran Cia
e Mossad e Ned tra tulipani, rose, e colori vari
Pietro Ancona 16-06-2009
di Noam Chomsky*
Liberazione
Noreena Hertz 6 aprile 2006
vedi anche
IRAN la
destra e ..... la sinistra
ANSA) -
PARIGI, 8 FEB - Francia e Usa intendono lavorare in seno al
Consiglio di sicurezza Onu per ottenere sanzioni contro il
programma nucleare dell'Iran
Iran, Frattini: "Servono sanzioni"
"Da Teheran provocazioni inaudite"
"Nei
confronti dell'Iran credo che sia il tempo delle sanzioni".
Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco
Frattini, 10/2/2010
Iran.
-
Ian Morrison il Manifesto, 9 febbraio
Sosteniamo anche Musavi, perché è rimasto
fermo e risoluto a difesa del popolo: finché continua così,
merita tutto il nostro sostegno.
Quanche tempo fa Martino Mazzonis su
Liberazione Il rispetto dei diritti umani, quello sì, la
comunità internazionale deve chiederlo. Magari inasprendo
le sanzioni economiche. Per fare una scelta così
servirebbe che le grandi potenze fossero d'accordo.
in una lettera di Marcello Buttazzo a
Liberazione
<<L’Ue, l’America, tutta
la comunità internazionale non possono tergiversare,
non possono stare alla finestra o guardare il
precipitare degli eventi....... L’Iran brucia e
l’Occidente non può solo condannare formalmente, perché
le strade insanguinate di Teheran sono le nostre strade,
il nostro stesso universo offeso,
mortificato>>
i
|
|
Mentre tutto l'occidente
strepita contro l'Iran e invoca sanzioni per strangolarlo, la
signora filoamericana Timoscenko, sebbene abbia perso le elezioni,
rifiuta di abbandonare il potere e di cederlo ai legittimi
vincitori. Ma questo non desta scandalo
e non preoccupa le anime belle amanti della libertà
Le
anime belle che sono preoccupate per la libertà degli iraniani
farebbero bene a dedicare un po' di attenzione e magari qualche
momento di lotta a due milioni di esseri umani condannati a
morte nella striscia di gaza dalla quale non possono scappare
Pietro
Ancona
|
4 idee chiare di
Pietro Ancona sull’Iran
<<Conosco la
posizione anti geopolitica che vorrebbe prescindere dai rapporti di forza
internazionali per richiamare l'attenzione soltanto sui rapporti di classe
interni e sui contenuti delle lotte indipendentemente dal fatto che
coincidano o meno con gli interessi dello imperialismo. Questa
posizione è
sbagliata e serve solo a giustificare lo spostamento del PRC sotto lo scudo
del Patto
Atlantico per
dirla con Berlinguer. Non si può spacciare una politica estera bipartisan
con la destra italiana per lotta alla tirannia e di classe!!! Questa linea
bipartisan è apparsa chiaramente nella polemica della Menapace con padre
Zanotelli.
Nel merito
dell'Iran la posizione è anche menzognera dal momento che spaccia il golpe
continuato di Mousavi e Rafsanjani per il movimento di libertà e
democrazia. Se in Iran fossero le rivendicazioni dei giovani protagoniste
della "rivoluzione" e tutto fosse interno ad un movimento antiimperialistico
sarei certamente d'accordo. Ma non è così. I capi della rivolta sono vecchi
e sanguinari arnesi del regime che si sono messi come Abu Mazen al servizio
del nemico dell'Iran e dell'umanità.
Purtroppo queste
forze è probabile che vincano. Ai giovani resteranno in mano un pugno di
mosche.
Non identifico
nella "rivoluzione verde" che una manovra con altri mezzi del colpo di
stato
in Honduras. (del
quale non si parla!).
Dismettendo la
visione globale degli interessi del socialismo e la giusta valutazione degli
interessi geostrategici dell'occidente, porterete acqua al mulino di coloro
che hanno in atto dislocato nella zona oltre duecentomila soldati armati
fino ai denti e forse altrettanti contractors che ogni notte in Iraq ed
Afgghanistan danno vita ad eccidi di massa come del resto gli USA sono
abituati a fare da sempre in America Latina.
Uno dei capi del
tentato golpe è tra le prime cariche dello Stato. Rafsanjani è il
ricchissimo proprietario di trecento università private. Mousavi è noto per
avere foraggiato i contras contro il legittimo governo sandinista del
Nicaragua.
E' legittimo supporre che abbiano stretti legami con i servizi segreti
occidentali che puntano ad insediare in Iran un Quisling, un Petain da
aggiungere ai Quisling ed ai Petain al vertice di Iraq ed Afghanistan e
della Cisgiordania.
Se il golpe sarà sconfitto, (la cosa non è certa), non è da escludere
iniziative militari dirette o indirette dello Occidente per ridurre l'Iran
al servizio degli interessi geostrategici e delle multinazionali
dell'imperialismo.>>
_________________________________________________________
<<L’alternativa
non è tra il regime teocratico e le masse assetate di libertà ma tra l’Iran
autonomo e Mausavi agente americano!
Irak ed Afghanistan hanno due regimi fantocci travestiti di democrazia
diretti dagli Usa e dalla Nato. Dobbiamo farne un terzo?
La tristissima esperienza della Palestina di Abu Mazen dimostra che la
scelta di una direzione “moderata e filooccidentale” non cambia
niente e non ottiene niente. L’Occidente non ha rispetto per niente, vuole
solo espandere i suoi interessi economici e militari.>>
La rivoluzione ingannata 22/06/2009
======================
Gli obiettivi della "rivoluzione" in
corso in Persia non sono libertà,
democrazia eguaglianza sociale,
laicizzazione dello Stato e separazione
della religione dalla politica. Niente
di tutto questo certamente assai
presente nell'animo dei tantissimi
giovani che sfidano il Regime è presente
e ravvisabile nelle parole d'ordine
imposte da chi ha fatto la "griffe" ed
ha assegnato un colore (verde) alla
rivolta. Le parole d'ordine sono: Morte
ad Ahmaninejd e potere a Mousovi. La
rivoluzione è scoppiata a causa di una
profonda frattura interna
all'estambliscement del Regime da coloro
che aspirano alla collaborazione con
Israele e l'occidente, a spartire con le
multinazionali la ricchezza escludendone
il popolo e lo Stato a vantaggio di una
oligarchia già assai potente. La
rivoluzione è nelle loro mani. I
giovani sono soltanto carne da macello
da immolare per svergognare il Regime.
Uno dei capi del tentato golpe è tra
le prime cariche dello Stato. Rafsanjani
è il ricchissimo proprietario di
trecento università private. Mousavi è
noto per avere foraggiato i contras
contro il legittimo governo sandinista
del Nicaragua.
E' legittimo supporre che abbiano
stretti legami con i servizi segreti
occidentali che puntano ad insediare in
Iran
un Quisling, un Petain da aggiungere ai
Quisling ed ai Petain al vertice di
Iraq ed Afghanistan e della
Cisgiordania.,
Se il golpe sarà sconfitto (la cosa non
è certa) non è da escludere iniziative
militari dirette o indirette dello
Occidente per ridurre l'Iran al servizio
degli interessi geostrategici e delle
multinazionali dell'imperialismo.
http://www.altrainformazione.it/wp/2009/06/17/una-connessione-tra-mir-hossein-mousavi-e-lirangate/
Pietro Ancona
_____________________________---
June 21, 2009 3:54 PM
Il golpe di Mousavi e della Cia
altre considerazioni sul golpe di
Mousavi
Il golpe tentato da Mousavi con
l’appoggio anglosassone forse fallirà ma
comunque ha già ferito l’Iran. L’Iran da
sempre è preda dell’Occidente per via
del petrolio ed ora della sua posizione
strategica nel mondo globalizzato.
L’Occidente non avrà pace fino a quando
non lo ridurrà in macerie come Gaza,
come l’Irak, come l’Adghanistan. Sempre
in nome della libertà e della
democrazia….. Escludere
aprioristicamente l’intervento della Cia
o del Mossad è davvero irrazionale ed è
comunque diventata una moda. Le
sollevazioni dei contadini colombiani
contro il regime militare vengono subito
coperte dal silenzio delle batterie
massmediatiche dell’occidente e
duramente represse con le torture e la
morte. Ma i contadini colombiani non
contano niente per la sinistra italiana
che oggi si rinnova accettando il libero
arbitrio delle masse iraniane che si
sono mosse spontaneamente ed in nome
della libertà contro il Regime.
Riflettete: l’alternativa non è tra il
regime teocratico e le masse assetate di
libertà ma tra l’Iran autonomo e Mausavi
agente americano!
Irak ed Afghanistan hanno due regimi
fantocci travestiti di democrazia
diretti dagli Usa e dalla Nato. Dobbiamo
farne un terzo?
La tristissima esperienza della
Palestina di Abu Mazen dimostra che la
scelta di una direzione “moderata e
filooccidentale” non cambia niente e non
ottiene niente. L’Occidente non ha
rispetto per niente, vuole solo
espandere i suoi interessi economici e
militari.
http://wapedia.mobi/it/Rivoluzioni_colorate
pietro ancona
Iran Cia e Mossad e Ned tra tulipani, rose, e colori
vari Pietro Ancona
Chissà quale
nome ha in codice e quale colore ha dato la Cia alla "rivoluzione" iraniana.
In Georgia, per cacciare via Sevardnadze e mettere al suo posto Saakasvile
assai più servile dell' orgoglioso ex Ministro agli Esteri di Gorbaciov, si
diede vita ad una operazione denominata "Rivoluzione delle Rose". In Ucraina
l'operazione Cia si chiamò "rivoluzione arancione" e si vedevano in
tv enormi attendamenti di colore arancione, abitate da dimostranti vestiti
di arancione, che agitavano stendardi arancione. Qui come in Georgia la
ciambella riuscì con il buco ed il candidato filooccidentale ottenne la
ripetizione delle elezioni e la vittoria. C'è stata una rivoluzione dei
"tulipani" in Kirghizistan anche questa coronata dal successo del
filooccidentale che poi si è installato al potere con il novanta per cento
dei voti (non controllato da nessuno)
Qualche
ciambella però è venuta senza buco come in Birmania dove sono stati
inquadrati e mobilitati i monaci buddisti contro il regime che non permette
penetrazione degli interessi americani. Abbiamo anche avuto la recita dello
stesso copione in Bielorussia con la rivoluzione dei "Jeans" ed in Mongolia,
in Serbia, dappertutto gli americani ed i loro alleati hanno ritenuto di
dover destabilizzare governi e nazioni considerati se non veri e propri
stati-canaglia perlomeno non funzionali al loro dominio imperiale. In
occasione delle Olimpiadi fu intensissima la mobilitazione dei seguaci del
DalaiLama per avvelenare alla Cina il successo internazionale e
destabilizzare il Tibet teatro di pogrom di monaci armati dalla Cia contro
i civili cinesi.
Esistono
teorie e manuali su questa strategia adottata dagli Usa in alternativa ai
bombardamenti ed alle occupazioni militari che a volte risultano troppo
costosi. Teorici come Gene Sharp hanno scritto manuali che propongono ed
analizzano le sequenze di una destabilizzazione dalla denunzia dei brogli
alla disobbedienza civile alle manifestazioni di piazza, agli assedi dei
Parlamenti e dei Governi.
La
giustificazione dei movimenti di rifiuto del responso elettorale e di
denunzia dei brogli e richiesta o di ripetizione delle elezioni o di
immediato riconoscimento del leader della "rivoluzione" è sempre la stessa:
difesa della democrazia e della libertà, lotta al tiranno o ai tiranni,
rinnovamento in senso filooccidentale dello Stato. Se analizziamo le
conseguenze che si sono registrate dove questi movimento hanno avuto
successo notiamo la massiccia penetrazione di multinazionali e di interessi
stranieri e la svendita delle risorse locali al mercato oligopolistico.
In Iran
l'operazione Cia-Mossad è stata eseguita da maldestre maestranze capeggiate
da Maussavi. Questi, ad urne ancora aperte, si è autoproclamato vincitore e
ha dato il via a violente agitazioni dei suoi seguaci con assalti ai negozi
ed alle banche e falò nelle pubbliche piazze. Una vera e propria
insurrezione contro il responso elettorale mancata, ma che sarà ampiamente
sfruttata dal potentissimo apparato massmediatico occidentale per gridare al
regime che si macchia le mani di sangue e che organizza la repressione. Le
urla di brogli elettorali non sono convincenti ed il broglio non viene
invocato da tanti opinionisti dell'occidente che si limitano a sottolineare
la delusione o la sconfitta di Obama per la riconferma di Ahmadinejad e
quanto possa essere sgradevole il regime iraniano. Israele ha già ribadito
al mondo intero la sua proposta di distruggere l'Iran prima che possa
dotarsi di armamento nucleare e molti incitano l'Occidente a menare le mani,
a liquidare l'autonomia della nazione persiana.
Credo che
questa "rivoluzione" frutto di collaudate e sofisticatissime metodologie di
penetrazione e rovesciamento non riuscirà dal momento che non si potranno
sfruttare situazioni come quelle date dai sentimenti antisovietici delle
repubbliche caucasiche e l'Occidente è sempre più nudo e smascherato nella
sua voglia di potenza e di sopraffazione.
pietroAncona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
Elezioni in Iran e l'invidia
rapace dell'Occidente
June 13, 2009 Pietro Ancona
LE ELEZIONI IN IRAN E L'INVIDIA RAPACE DELL'OCCIDENTE
===================================================
Le immagini che arrivano dall'Iran (che io chiamerei Persia in onore della
sua antichissima civiltà) che vota sono davvero un documento civile di
eccezionale valore. Siamo davanti ad un popolo che con grandissimo
entusiasmo e partecipazione ha dato vita al rito più importante della
democrazia, il rito del voto, del recarsi in un luogo stabilito dove stanno
le urne, fare la fila per poi esprimere la propria volontà sul governo della
nazione. Questo entusiasmo,confrontato alla stanchezza della sfregiata
democrazia italiana, ci fa capire di quanto siamo stati allontanati
dall'esercizio concreto dei nostri diritti.
Una nazione giovane fatta di sessantasemilioni di persone dall'età media di
27 anni ( in Italia 43 anni!) proiettata verso il futuro, una nazione
sopravvissuta ad un secolo di massacri e di spoliazioni del colonialismo
anglosassone e tedesco ed alla guerra dolorosissima durata quasi dieci anni
provocata dall'Irak che ha causato oltre un milione di morti, milioni di
invalidi e mutilati per sempre, molte vittime delle armi chimiche fornite
dagli USA a Sadam Hussein.
Questa nazione tanto ricca di gioventù, con università piene zeppe di
ragazze, aperta al mondo con oltre ventidue milioni di utenti internet, è
stata per anni nel mirino di Bush che l'ha assediata e non l'ha aggredita
per mancanza di mezzi e perchè non poteva delegare l'attacco alla sola
Israele che tuttavia non esiterebbe un solo istante ad azzannarla e si
prepara ogni giorno all'ora x con esercitazioni navali e terrestri.
La Persia ha una antica voglia di democrazia e di libertà. Ricordo per tutti
il Primo Ministro Mossadek al quale gli americani fecero fare la fine di
Allende per gli interessi delle compagnie petrolifere e poi installarono
al potere lo Scià, un individuo feroce, sanguinario, ligio ai padroni
mondiali del petrolio. Mossadek aveva aperto la strada ad una rivoluzione
democratico-borghese che, se aiutata a radicarsi, avrebbe cambiato il volto
dell'intera regione medioorientale ma fu rovesciato ed ucciso da un
complotto organizzato dalla Cia. La rivoluzione religiosa che ha portato al
potere l'attuale regime parte dalle stesse motivazioni profonde della Persia
che Mossadek avrebbe voluto ma si è materializzata in uno Stato che comunque
evolve verso forme superiori di civiltà e di democrazia se l'assedio, il
malanimo, l'ostilità dell'Occidente non la costringeranno a difendersi ed a
spendere sopratutto nelle armi le risorse che si potrebbero destinare alla
cultura ed al progresso civile.
L'invidia dell'Occidente per il possibile itinerario di progresso e di
benessere della Persia susciterà tensioni e forse nuove guerre. E' destino
di tutte le Nazioni che si sottraggono all'abbraccio mortale
dell'imperialismo Usa essere riportate alla loro preistoria, all'anno zero.
Il Libano dei meravigliosi cedri per ben due volte è stato raso al suolo
dagli israeliani. La sua prosperità è stata distrutta e ridistrutta con
sadico piacere di gente come Condolence Rice che si fece una storica
passeggiata nel corso di Beirut fiancheggiato a destra ed a inistra da
palazzi in fiamme o ridotti in macerie. L'Iraq di Sadam Hussein era un
treno in piena corsa con una alfabetizzazione elevatissima, migliaia e
migliaia di ingegneri, di tecnici, scienziati, centri culturali pulsanti di
vita. Ebbene, dopo essere stato spinto alla guerra contro l'Iran è stato
distrutto dagli USA ed i suoi volenterosi alleati da guerra interminabile e
tuttora occupato da un esercito di occupazione fiancheggiato da contractors,
spesso killers assassini con licenza di uccidere. Maddalena Albright
dichiarò senza provocare alcun rimorso che i cinquecentomila bambini irakeni
morti a causa dell'isolamento del boicottaggio erano "un prezzo" da pagare
agli interessi degli USA e del "mondo libero"!!!
Insomma, se qualcuno comincia ad alzare la testa ed a partecipare al
progresso, viene subito fatto regredire
alla condizione della massima emarginazione economica sociale e culturale.
Avevo sperato nelle dichiarazioni di Obama all'Università del Cairo e vorrei
continuare a sperare. Ma ritengo che non farà niente di diverso dal suo
predecessore. Democratici o Repubblicani fanno la stessa politica estera e
magari quella repubblicana, a volte, ha maggiore apertura dal momento che
non hanno l'ansia dei democratici di mostrarsi abbastanza "patriottici".
Pietro Ancona
*************
June 20, 2009 2:21 PM
Subject: la guerra preventiva degli
Usa con l'Iran Pietro Ancona
La guerra preventiva degli USA con
l'Iran
================================
Gli Usa escono allo scoperto per
spalleggiare apertamente il golpe
"populista" del loro quisling
Mausavi che, appena iniziato lo
spoglio, si era proclamato subito
immediatamente vincitore per dare il
via alla grande eversione
antidemocratica di questi giorni.
Non ci sono dubbi sulla vittoria di
Ahmaninejad come ben sanno gli
stessi americani che avevano
monitorato le elezioni con ben due
sondaggi di pubblico dominio. Ma
tutto era stato preparato
minuziosamente per dare vita ad una
"rivoluzione colorata" come le tante
che abbiamo visto e che sono state
dimenticate presto dalla opinione
pubblica occidentale sempre pronta a
difendere libertà e democrazia dei
cattivi di turno o trattati come
tali dagli Usa. Ieri il Congresso
americano, dopo avere stanziato
altre centoseimiliardi di dollari
per le guerre con l'Iraq e
l'Afghanistan ha espresso simpatie
per la
"rivoluzione"iraniana ed oggi
Obama-Bush che fino all'altro ieri
si dichiarava indifferente e
pudicamente guardava da un'altra
parte ricordando che per lui Mousavi
equivaleva ad Ahmaninejad oggi
minaccia lo Stato iraniano dicendo
di stare attento perchè gli occhi
del mondo sono tutti fissati su di
lui. Questa uscita di aperto
appoggio smaschera la natura di
sovversismo e di tradimento della
patria del movimento "verde" ma
dimostra anche la difficoltà a fare
come in Ucraina, in Georgia, in
Bielorussia ed altrove...
Gli Usa sono in guerra preventiva
con tutto il mondo. La loro pax è
fatta di distruzioni, montagne e
montagne di cadaveri, bombardamenti,
occupazioni militari, asservimento
colonialistico, inquinamento,
distruzione dei
beni archeologici e della storia
dell'umanità. Ma anche di
"rivoluzioni colorate". Le uniche
nazioni che "rispettano" sono quelle
che hanno affidato
dopo l'intervento degli squadroni
della morte ad incalliti criminali,
a regimi militari come quello
colombiano che tiene in galera
diecine di migliaia di contadini
dopo averli depredati delle loro
terre assegnate alle loro
multinazionali. Il pianeta è stretto
in una rete di basi militari Usa che
hanno lo scopo di controllare
innanzitutto la nazione dove sono
collocate. In Italia le basi
militari ed i depositi nucleari USA
servono innanzitutto a controllare
la fedeltà del nostro Paese. L'Iran
(lo chiamerei volentieri Persia) non
minaccia nessuno ed è minacciato da
vicino da una Israele dotata di
oltre mille testate nucleari e di un
esercito tra i più potenti del
mondo.
L'Iran è in pericolo come lo sono
la Russia, la Cina, l'India e tutti
i paesi che non sono stati marchiati
dalla presenza di una base militare
Usa. Ma forse questa ennesima
ciambella al signor Obama- Bush
terzo non riuscirà con il buco.
Pietro Ancona
____________________________________________________________________________--
June 19, 2009
7:42 AM
Subject: Gli USA e LA GUERRA
Pietro Ancona
CENTOSEIMILIARDI DI DOLLARI PER LA
GUERRA
========================================
Il mondo bipolare uscito dalla
seconda guerra mondiale era
certamente assai più sicuro del
mondo unipolare
in cui abitiamo dal 1990. La fine
dell'Unione Sovietica non ha
generato la fine della storia ma
l'inizio di una dominazione alla
quale gli USA si erano preparatI nei
cinquanta anni precedenti con
numerose iniziative militari e
politiche tutte rivolte
all'affermazione della loro assoluta
supremazia militare, economica e
politica.
Dall'alternanza di Presidenti
democratici a Presidenti
repubblicani non c'è molto da
aspettarsi. La strategia USA è di
lungo periodo, può subire variazioni
o attenuazioni, ma non viene meno
ad i suoi obiettivi fondamentali di
dominazione imperiale.
Tutto il mondo dove gli USA sono
riusciti ad allungare le mani è in
una rete fittissima di loro basi
militari che si allargano con
l'espansione della loro influenza
politica. Dovunque si incontrano
resistenze o ostilità sono pronte
opzioni di intervento che possono
essere militari o politiche. In
Polonia e Cecoslovacchia si sfrutta
il sentimento anticomunista delle
popolazioni per installare basi
missilistiche praticamente a ridosso
della Russia la quale, peraltro,
individuata come obiettivo da
abbattere o da sottomettere è già
dentro un grande reticolato di basi
strategiche installate dagli Usa
negli ultimi anni in tutte le
Repubbliche ex sovietiche a volte
dopo la sostituzione incruenta ma
manovrata dei governi attraverso le
rivoluzioni colorate.
Gli USA non hanno mai ritenuto di
dare spiegazioni al mondo della
occupazione dell'Iraq dopo la
diffusione
della verità sulla inesistenza delle
armi di distruzione di massa. Si
sono resi responsabili del macabro
rito di potere della impiccagione di
Sadam Hussein e della distruzione
del governo e della classe dirigente
irakena.
Mi hanno molto colpito le carte di
poker con le immagini dei
"ricercati" distribuite ai soldati
ed ai contractors quasi si
trattasse di selvaggina da cacciare.
Non ha alcuna giustificazione
l'invasione dell'Afghanistan dal
momento che è ridicola la tesi dei
talebani che minaccerebbero la
sicurezza del pianeta con il loro
terrorismo!
Oramai è abbastanza accettata una
spiegazione dell'11 settembre che
esclude il complotto "terroristico"
mentre continuano a risultare assai
ambigui i rapporti degli USA con Bin
Laden. Altre guerre sono in
preparazione in Africa per
costringerla dentro binari
rirogosamente filo occidentali Il
Congresso .ha approvato la spesa di
106 miliardi di dollari per la
guerra in Iraq ed Afghanistan e
varato blande norme per il controllo
dei mercati finanziari preda delle
scorrerie di finanzieri privi di
scrupolo che hanno piazzato
patacche in tutto il mondo e
provocato la crisi che ne ha messo
in ginocchio l'economia.
Fa senso e mette paura la
decisione di continuare a bombardare
ed occupare due grandi nazioni
islamiche stanziando enormi cifre
che vengono sottratte al welfare
necessario ad una America priva di
servizio sanitario, priva di
ammmortizzatori sociali, con
centinaia di migliaia di famiglie
che vivono in tenda non potendo più
permettersi una casa.
Cìè da chiedersi a chi serve tutto
il potere militare ed economico che
gli USA si sono procurati e
continuano a procurarsi nel mondo se
la popolazione americana nella sua
stragrande maggioranza vive in
condizioni di grande disagio e
soltanto le multinazionali e la
casta militare-industriale ne
ricavano vantaggi. Gli stanziamenti
per finanziare le guerre sottraggono
risorse ad una nazione in cui la
solidarietà e la coesione sociale
non esistono ed ha zone di
sofferenza sociale.
Insomma, la supremazia USA, il
bellicismo militarista non servono
alla popolazione americana e tengono
il mondo in costante pericolo.
Obama non ha cambiato di una virgola
niente nè per il suo popolo nè per
il mondo. Si va avanti come negli
ultimi venti anni verso il peggio
della rottura con gli Stati
renitenti (Russia,Cina,Iran...)
Pietro Ancona
___________________________________-
Liberazione 24 agosto 2005
Nucleare in Iran? Balle come le armi di Saddam
Il
Washington post: le tracce di uranio sono pakistane
Angela Nocioni
Sorpresa. Le tracce di uranio che tanti guai stanno causando a Teheran non
possono provare l'intenzione dell'Iran di produrre armi nucleari perché iraniane
quelle tracce non sono. Appartengono a una vecchia attrezzatura pakistana
contaminata. Lo rivela il quotidiano statunitense "Washington post". A questa
conclusione è giunto un gruppo di scienziati americani, francesi, giapponesi,
russi e britannici che per nove mesi, in gran segreto, ha spulciato i dati
raccolti in Iran dagli ispettori dell'Aiea, l'agenzia dell'Onu per l'energia
atomica. Risultato: il campione dell'uranio arricchito trovato in Iran non
appartiene a impianti illegali iraniani, ma a un vecchio macchinario contaminato
arrivato da Islamabad. I risultati definitivi della ricerca non sono ancora
stati resi pubblici, ma la fonte riservata del "Washington post" si dice certa
delle conclusioni dello studio: «La "pistola fumante" - dichiara riferendosi
alle accuse e alle minacce piovute su Teheran - è eliminata». L'Iran, per la
verità, ha sempre affermato che le tracce di uranio appartenevano ad
attrezzature pachistane contaminate, ma l'Amministrazione Bush ha continuato ad
indicare quel materiale come la prova inconfutabile dell'esistenza di un
programma nucleare illegale.
Così come in Iraq non sono state mai trovate le armi di distruzione di massa che
furono evocate in sostegno alla decisione di attaccare Bagdad, quindi, neanche
l'Iran avrebbe un programma attivo per la produzione dell'arma nucleare. Se quei
dati fossero considerati attendibili, potrebbe diventare complicato per
l'Amministrazione Bush convincere la comunità internazionale a fare pressioni su
Teheran con la minaccia di sanzioni dell'Onu.
I
dati definitivi dello studio saranno presentati in un rapporto all'Aiea nella
prima settimana di settembre. Nelle conclusioni, a quanto risulta al "Washington
Post", ci sarà scritta la frase: «e con questo la questione della contaminazione
è risolta».
http://www.liberazione.it/giornale/050824/archdef.asp
indietro
****
21/06/2009
Un interessante analisi di Fulvio Grimaldi sui fatti Iraniani!!
Stavolta la “rivoluzione” è verde e assomiglia come una sfilata di cacchette
di capra a quelle precedenti, o riuscite come in Serbia, Georgia e Ucraina,
o fallite come in Venezuela, Bolivia, Libano, Uzbekistan. Ovunque un voto
non sia andato come auspicato dal Nuovo Ordine Mondiale del saccheggio e
della morte. E ci risiamo inesorabilmente con l’unanimità
destra-centro-sinistra su "giovani e donne contro tirannia, oscurantismi,
fondamentalismi, terrorismi, brogli". Quella dei brogli, poi, venendo da un
mondo che il voto l’ha sfigurato fino al suo contrario, è degna del
Bagaglino: vai avanti tu, chè a me viene da ridere. Quanto ai “giovani” e
alle “donne”, a guardar bene le immagini che simpatizzanti ed accorati
inviati dirittoumanisti filo-Mussavi ci trasmettono da Tehran, si capisce
subito tutto.
A voler capire, s’intende. Come a Belgrado, a Kiev, a Tblisi, a Beirut, lo
jato antropologico è drastico che più drastico non si può: nella folla dei
filo-Mussavi, volti pariolini, lisci, curati, truccati, fighetti in mise che
sembrano usciti da una selezione di “Amici”, o da un cartellone di Benetton;
nei cortei dei sostenitori di Ahmadinejad, le solite facce proletarie e
contadine del Sud del mondo, rughe, veli, abiti stazzonati, i volti del
nostro neorealismo. Plebaglie. Come andrebbe ripetuto ad nauseam , quando
sono concordi sinistre e destre, è la destra che vince e la sinistra che la
prende nel culo. E’ un teorema così incontrovertibile che quello di Pitagora
al confronto pare un’affermazione del guitto mannaro su Noemi. Non dovrei
aver bisogno di rivendicare la mia militanza giornalistica contro l’Iran
degli ayatollah.
Ci sono decine di mie pubblicazioni a ribadirla. Critiche, certo, per motivi
diversi, a volte opposti, rispetto ai sensocomunisti (non male, come
calambour, no?), agli unanimisti umanitaristi, cercando di non farmi
imbrigliare dal senso comune, appunto, di ideologhi a scatola chiusa,
ignoranti e opportunisti, con dentro i batteri dell’infiltrazione. Siamo
stati in pochi a ricordare che il “rivoluzionario” Khomeini, ospitato e
foraggiato dall’Occidente, giunto da Parigi a Tehran su aereo Usa, per prima
cosa ha fatto piazza pulita di coloro, comunisti e marxisti islamici, che a
milioni avevano cacciato lo Shah: necessità di ricambio e aggiornamento
imperialista-sionista per un regime feudal-gossiparo privo di base di massa,
logoro e sputtanato. Ricambio di elites, per sventare il rischio che
l’insurrezione
popolare facesse entrare l’Iran nell’orbita sovietica o non-allineata. Voces
clamantes in deserto, abbiamo documentato il complotto khomeinista per
falciare il moderato Carter e promuovere il cane rabbioso Reagan con il
rilascio degli ostaggi Usa in coincidenza con la vittoria dell’attoruccolo
da mezzogiorno di fuoco. Ne abbiamo illustrato il pagamento di pegno a
USraele quando, rifornito di armi e istruttori israeliani, ha assaltato l’Iraq
di Saddam Hussein, ultimo baluardo di una nazione araba da unificare nel
segno della laicità, del progressismo sociale, dell’antimperialismo e
dell’identificazione
con la causa palestinese.
Con i quattrini pagati dal regime degli ayatollah ai fornitori USraeliani e
indi trasferiti ai mercenari Contras, Khomeini ha restituito il favore
contribuendo alla distruzione del Nicaragua e alla cacciata dei sandinisti.
In un’affascinante altalena tra collusione e collisione, i due compari
anti-arabi hanno poi sbranato l’Iraq, aggredito l’Afghanistan dei Taliban
(odiato da Tehran fin dal primo giorno) e chiuso il cerchio con un’alleanza
di burattinai e fantocci che s’è vista consacrare dall’Occidente nella
recente processione a Tehran della fraternita di Ahamedinejad, Al Maliki,
Karzai e Zardari. Tutto questo sta molto bene all’imperialismo-sionismo, in
quanto contributo all’eliminazione di popoli di troppo.
Ma ancora meglio andrebbe un sodale meno pretenzioso e autonomo, magari un
fiduciario assai più ossequioso, senza pretese di egemonia regionale, magari
un agente Cia, magari un corrotto ladrone ricattabile che, magari,
rinunciasse a certi equilibri tra cosche assassine e, magari, abbandonasse
Hezbollah e Hamas al destino programmato dagli sterminatori israeliani. E,
visto che il padrino della cosca, Rafsanjani, lo “squalo”, ha perso un po’
di smalto a furia di ladrocini e complotti antipopolari, vada per il
vecchio, fidato arnese della guerra all’Iraq con armi USraeliane, Musavi,
primo ministro al tempo di quell’impresa congiunta, e delfino del satrapo
filo-Usa, Akbar Rashemi Rafsanjani. Abbiamo cercato di spiegare come i
persiani, nella loro millenaria strategia di potenza regionale, siano astuti
biscazzieri che giocano su vari tavoli, anche opposti: con gli Usa e Israele
a sventrare l’Iraq e vanificare l’unità araba, con Hezbollah e Hamas (la cui
autonomia palestinese e araba non si ha il minimo motivo di mettere in
discussione: i sostegni si accettano leninisticamente anche dal diavolo), a
contrastare l’avanzata dell’altra potenza regionale: Israele. Quelli che
tagliano la geopolitica con l’accetta, secondo schemi prefissati e
incartapecoriti, succubi di sparate demagogiche dell’uno o dell’altro
protagonista dello scenario, farebbero bene a studiarsi qualche manuale
della realpolitik degli Stati.
E farebbero benissimo a estrarre il “moderato” e “democratico” Mir-Hossein
Musavi, virtuoso antagonista dell’oscurantista radicale Ahmadinejad, dalle
nebbie soffiategli addosso dagli specialisti delle rivoluzioni colorate e
collocarlo sul vetrino del loro microscopio. Chi è Mir-Hussein Mussavi? Cosa
hanno in comune l’ultrà neocon Michael Ledeen, amico dei fascisti italiani,
il saudita Adnan Kashoggi, massimo mercante d’armi mondiale con logo Cia e
Mir-Hussein Musavi? Sono tutti amici e associati di Manucher Ghorbanifar,
anche lui grande mercante d’armi, doppio agente iraniano del Mossad, figura
centrale nella porcata Iran/Contra, l’affare triangolare armi in cambio di
ostaggi e dell’assalto all’Iraq messo in piedi con i persiani di Khomeini e
Musavi dall’amministrazione Reagan. Del compare di Mussavi, Ghorbanifar, si
legge nel rapporto Walsh su Iran/Contra: “Ghorbanifar, informatore Cia,
fiduciario del primo ministro Musavi, si fece prestare da Kashoggi milioni
di dollari, con pieno consenso di Washington, per l’acquisto delle armi
israeliane da usare per distruggere l’Iraq (colpevole di aver creato il
Fronte del rifiuto contro la svendita egiziana di arabi e palestinesi a Tel
Aviv e Washington) Ottenuti fondi dal governo di Tehran, Ghorbanifar
compensò Kashoggi con una tangente del 20% . Sfiduciato in un primo momento
da Khomeini, Ghorbanifar rientrò nel gioco diventando il fiduciario e
braccio operativo di Mir-Hossein Musavi, primo ministro iraniano.
A questo proposito, ecco il commento di Michael Ledeen, allora consulente
del Pentagono per l’antiterrorismo, sulla coppia di compari: “Si tratta
delle persone più oneste, istruite e affidabili che abbia conosciuto”. Per
altri si tratta di bugiardi che non saprebbero dire la verità sugli abiti
che indossano”. Il rapporto Walsh si dilunga poi su certe lamentele di
Musavi al presidente Reagan per una spedizione di elicotteri Hawk non
corrispondenti al modello ordinato (dovevano servire contro l’opposizione
laica e di sinistra non ancora del tutto domata e contro l’Iraq). E
aggiunge: “All’inizio di maggio, 1985, il colonello Oliver North (il
gangster che raggirò il Congresso per occultare l’operazione Contra), il
capostazione Cia, George Cave, Ghorbanifar e Musavi si incontrarono a Londra
per discutere questa ed altre collaborazioni Iran-Usa-Israele. Ledeen fu
incaricato di informarsi presso il primo ministro israeliano, Shimon Peres,
sul suo accesso a buone fonti e a buoni contatti in Iran. Israele diede
garanzie in tal senso e Reagan approvò che all’Iran di Mussavi si spedissero
missili Usa Tow in cambio del rilascio degli ostaggi statunitensi in mano
alla resistenza libanese.
Il capo della Cia, Casey, raccomandò che il Congresso fosse tenuto all’oscuro
di tutto l’affare”. ll rapporto di amicizia e collaborazione tra Ledeen,
Ghorbanifar e il candidato “riformista” Musavi resistette nel tempo, fino ad
alimentare il sostegno dei “moderati” Usa alla candidatura del provato
fiduciario. Fino all’attuale tentativo di regime change alla serba, o
all’ucraina.
Davvero un bell’eroe riformista che s’è scelto la sinistra italiota. Fattosi
le ossa con le cinque pagine di lirica esaltazione per un discorso di Obama
al Cairo, zeppo di banalità e retorica e di sostanziale identificazione con
i nazisionisti di Tel Aviv (fatta salva la “preoccupazione” per la
“continuità” dell’espansione delle colonie in Cisgiordania), il “manifesto”,
in assoluta sintonia con il coro delle destre, si è fatto reclutare, con la
nota Marina Forti, nelle schiere colorate della spia Musavi, quasi fosse un
novello Mossadeq o Dubcek. Astutamente l’inviata ha messo le mani avanti fin
dai giorni della vigilia, sia anticipando brogli (è la regola dalla Serbia
di Milosevic in qua), sia dando voce esclusivamente a intervistati
dell’eversione
filoccidentale. Viaggiava sottobraccio a quella Lucia Goraci del TG3 che,
rinnovando i fasti collaborazionisti e mistificatori dell’ancor più nota
collega Giovanna Botteri, nuotava felice nell’elegante piscina verde delle
masse scese dai quartieri alti. Accodatisi tutti quanti alle geremiadi su
brogli, conclamati senza un’ombra di evidenza dalle centrali della
disinformazione ontologica (CNN, Reuters, Fox di Murdoch, NBC, New York
Times, Time), hanno dovuto subire l’onta di una smentita addirittura di
fonte statunitense.
Un sondaggio condotto da un’organizzazione non profit, “The Center for
Public Opinion”, che da tre anni monitora le posizioni dei cittadini
iraniani cogliendo sempre nel segno e venendo per questo premiata con un
“Emmy Award”, aveva constatato una prevalenza di Ahmadinejad sul diretto
rivale addirittura superiore all’esito finale del 66% contro il 32%. 12
milioni di voti di differenza, all’anima dei brogli! La ricerca era stata
condotta dall’11 al 20 maggio in tutte le 30 province del paese. Sul campo
aveva operato con una società di ricerca che da anni lavora per le
televisioni ABC e BBC e aveva previsto una vittoria del presidente in carica
per 2 a 1. Nei media infervorati per i “riformisti” si rivendicava a Musavi
la gran maggioranza dei giovani dotati di internet. Peccato che solo un
terzo degli iraniani ha accesso a tale tecnologia e che il gruppo di età fra
i 18 e i 24 è risultato il blocco dal sostegno più forte per Ahmadinejad.
Dove il suo rivale primeggiava era tra studenti, laureati e ceti dal reddito
elevato. Il che dovrebbe far riflettere anche quegli integerrimi puristi
della lotta di classe che individuavano in Musavi il vindice delle richieste
sociali delle masse. Quanto ai wrestlers per la “democrazia” contro la
“tirannia” dei mullah, che confrontino l’ultralibero e vivacissimo dibattito
pre-elettorale di quel paese, la quota dei suoi votanti (80%), con l’assetto
mediatico del nostro paese e il numero di elettori e votanti nel
paese-modello Usa, questo sì organizzatore di brogli vincenti a casa sua
(due presidenze fasulle) e nei paesi satelliti.
Dice, ma alla protesta degli sconfitti (anzi, “derubati del voto”) si sta
reagendo con la repressione, le bastonate, gli spari, la censura ai media
stranieri. Vogliamo vedere cosa farebbe qualsiasi governo occidentale se
bande istigate a foraggiate dal Cremlino facessero tutto questo ambaradan,
bloccassero il paese, in seguito a un’elezione non vinta? Vogliamo ricordare
cosa capitò ai militanti scesi in strada perchè non tollerarono il ritorno
del fascismo in salsa tambroniana? Se i media stranieri sparano balle al
servizio degli destabilizzatori di un governo, compiono reati che vanno
puniti perlomeno con l’espulsione. Da noi i giornalisti che pubblicheranno
le nefandezze del guitto mannaro e dei suoi commensali finiranno in carcere
e, quanto alla censura, si guardi al modello israeliano, che non ha ammesso
neanche un giornalista alla carneficina di Gaza, che ha espulso il
sottoscritto perché non assecondava la ferocia e le menzogne della Guerra
dei sei giorni. Gli assassini mirati e le stragi di bambini per mano
israeliana, gli stermini di oppositori in Iraq, sono stati oggetto di
analoga indignazione? Perché non se la prendono con le milizie di tagliagole
controllate da Tehran che hanno fornito il contributo decisivo
all'assassinio di quasi due milioni di inermi iracheni? Perché in quel caso
sta bene all’Occidente e punisce un popolo che ha sostenuto Saddam? Tutti
allineati e coperti nelle formazioni d’assalto dell’eurocentrismo, nel
disprezzo e nella persecuzione di popoli e culture, costumi e fedi generati
da altre storie, altri ambienti, necessitati da altre priorità e
sensibilità. Tutti ostinatamente incorreggibili. Nel 2001, quando un colpo
di Stato promosso dalle stesse matrici Usa ed eseguito dalle bande CIA-NED
di Otpor incendiando il parlamento e distruggendo le schede, rovesciò il
democratico governo serbo e sventrò la trincea jugoslava contro l’espansione
UE-Nato, riducendo i Balcani a sette malavitosi micro-protettorati del
vampirismo occidentale, “Liberazione” titolò, all’unisono con i bollettini
mafio-imperiali: “Belgrado ride” . Ancora meglio il “manifesto” con “La
primavera di Belgrado”. Una primavera finita nella ghiacciaia. Oggi lo
stesso giornale, sotto le foto del manutengolo USraeliano e dei suoi fan in
maglietta verde, spara in prima pagina: “I giorni dell’Iran” e, il giorno
dopo, “Iran contro” . Perseverare diabolicum.
Ma nei covi dei cospiratori e serial killer USraeliani si brinda a tale
stampa come Nelson ai rincalzi di Bluecher a Waterloo. Se avesse vinto
Mussavi si rallegrerebbero, costoro, che i patrioti libanesi e palestinesi
verrebbero a perdere l’unico punto d’appoggio in tutto il mondo, almeno
politico, forse strumentale ma tant’è, e che il fronte USraeliano, con il
corredo dei suoi vassalli e fantocci alla Abu Mazen, si avvantaggerebbe di
un ancora più disciplinato e incondizionato apporto persiano per meglio
sistemare Afghanistan, Pakistan, pieni di odiati sunniti, la Russia, la
Cina, tutti noi? Ma ci sono o ci fanno? E’ così che si sostiene
l’autodeterminazione
dei popoli? Mettendovi a capo spioni dell’impero, chiamandone i manichini
estratti dal sangue dei loro popoli “governo”, “presidente”, “primo
ministro”, come una qualsiasi Ong di merda? Sempre su questa linea quattro
donne stronze, quattro studenti imbecilli, indegni dell’Onda, quattro
fascisti revanscisti, un capopartito che di politica internazionale ne
capisce quanto io di astrofisica (Di Pietro), hanno fatto casino contro
Muhammar Gheddafi, il dittatore, il pagliaccio. E quando sono venuti il
nazista nucleare Lieberman, l’assassino seriale Olmert, il licantropo in
gonnella Condoleezza, il fantoccio Karzai, il macellaio Uribe? Zitti e
mosca.
Prima di aprire bocca su un presidente di un paese che dal buco nero del
colonialismo ha tirato fuori un popolo e gli ha dato dignità e benessere,
dove le leggi vengono formulate e votate da assemblee di popolo, costoro
dovrebbero sfondarsi il petto di mea culpa per i connazionali che, tra il
1911 e il 1941, hanno massacrato un libico su sette, ne hanno gassato,
torturato e impiccato decine di migliaia, sono corresponsabili della
catastrofe inflitta all’Africa intera dal colonialismo europeo. Quella
catastrofe per la quale la Libia diventa l’imbuto in cui finiscono i
profughi delle tragedie sociali, politiche, ambientali da noi provocate in
tutto il continente. E’ Gheddafi che dovrebbe sistemare a proprio agio e a
tempo indeterminato questi profughi delle terre da noi devastate, o dovremmo
essere noi, solo noi, smettendola intanto di esaltare o riconoscere i vari
tirannelli indiamantati che le nostre multinazionali mettono su troni con le
gambe radicate nel sangue, eurocentristi del cazzo?
EURASIA Rivista
di studi geopolitici
La fantasia al
potere: le invenzioni della propaganda occidentale contro la Repubblica Islamica
dell’Iran 24 Giugno 2009 di Enrico Galoppini*
In questi giorni, a
chi segue le notizie provenienti dall’Iran e cerca d’interpretare la portata
degli eventi in corso, non sarà sfuggito il totale allineamento
pro-“dimostranti” di tutte le opinioni ammesse dal sistema mediatico
occidentale. Non solo quello “ufficiale” delle tv e dei giornali ad alta
visibilità (garantita dal meccanismo delle rassegne stampa), ma anche di gran
parte di quello per così dire “alternativo” dei siti e delle agenzie
“pacifiste”. La voce unanime che accomuna tutti costoro è che le elezioni
presidenziali iraniane sono state “falsate da brogli” e che gli iraniani
vogliono “libertà e democrazia”. E tanto basterebbe per convincere un pubblico
naturalmente distratto e non qualificato della bontà dei motivi per cui “gli
iraniani” scendono in piazza per protestare contro “il regime”.
Tra tutti i motivi
messi in giro dalla macchina disinformativa ci ha colpito in particolare quello
di chi è giunto – in una sede considerata “autorevole”, gestita da “accademici”
- a definire "resistenza" un'organizzazione come quella dei “Mujahidin del
Popolo” resasi responsabile di una catena ininterrotta di attentati in tutto
l’Iran (v. il famoso "terrorismo" contro cui tutti dovremmo unirci). Forse
costoro credono sia giunto il loro momento di gloria? Ci si può documentare
facilmente sulle imprese di questa organizzazione e la scia di sangue che sin
dall’inizio della Rivoluzione del ’79 ha colpito la Repubblica Islamica
dell’Iran. Purtroppo per gli sponsor di questi "resistenti", accolti non molto
tempo fa con grandi onori presso il Parlamento Europeo (!) dagli agenti che in
quella sede ha il partito americano-sionista, la nuova "rivoluzione colorata"
(di verde!) pare già abortita prima di condurre all'agognato abbattimento del
"regime". Non ce la possono fare dall'esterno, militarmente, sia perché
impantanati in Iraq e Afghanistan, sia perché l'Iran è inattaccabile,
iperprotetto ed armato com’è fino ai denti, quindi hanno scelto di giocare la
carta della sovversione interna, resa difficilissima però dall'assenza in loco
delle ONG delle "rivoluzioni colorate" e delle tv private.
La macchina della
propaganda occidentale, come detto, va a tutto gas, sempre più patetica e dalla
fervida immaginazione. Gli inviati-fotocopia che si dolevano di non poter più
"informare" a causa della scadenza dei visti (hanno mai intervistato, questi
"professionisti", un sostenitore di Ahmadinejad?) si sono ridotti a smanettare
su Facebook e su qualche altro arnese simile alla ricerca dell’ultimo
“video-verità”. S’è narrato d’un inesistente "attentato suicida" al mausoleo
dell'Imam Khomeyni, sul quale ora, guarda caso, s’allunga postumo lo zolfo della
“benevolenza” del Mossad nei mesi che precedettero la rivoluzione (“potevamo
ucciderlo, ma non lo facemmo: ne siamo pentiti”, hanno messo in circolazione)...
Si sparano cifre tonde di "martiri" senza uno straccio di prova: anche la
"martire Neda" presto si rivelerà essere l'ennesima trovata mediatica da
affiancare al mitico “cormorano iracheno” inzuppato di petrolio (del Mare del
Nord). In apici di sbornia mediatica s’è gridato anche all’acido lanciato dagli
elicotteri dei Basij!
Le foto che
circolano dalla rete anche nei tg dimostrano solo che c'è una “mobilitazione di
piazza” dei sostenitori di Moussavi contro Ahmadinejad e quel che rappresenta,
in politica interna ed estera. Dimostrano anche che c'è una "repressione". Ma la
cosa finisce qui. Perché se i risultati delle elezioni sono veritieri (ed i
"brogli" non possono essere dell'ordine dei 30 punti di scarto!), questa
operazione si chiama "colpo di Stato". E come ad ogni latitudine le autorità non
possono non intervenire per sedare ogni tentativo di questo tipo. Nel
“democratico” Occidente, per molto meno, non succederebbe una carneficina (al di
là del giudizio su quelle vicende, ci si ricordi di quel che accadde a margine
del G8 di Genova)? Si assiste, inoltre, a tentativi di “colonialismo
elettorale”; così, sulle prime, i “verdi” hanno sperato di far ripetere le
elezioni alla presenza di "osservatori". Ma da quando un Paese sovrano accetta
simili imposizioni?
Ahmadinejad viene
presentato sempre più come un "nuovo Hitler", mentre giganti eurasiatici del
calibro di Turchia e Russia, a margine della riunione della Organizzazione della
Conferenza di Shanghai gli riconoscono la rielezione (e poi sarebbero loro, due
terzi d’Eurasia, che “si isolano”…). Un presidente che è amato dalle classi
popolari perché incarna i valori della "tradizione", detestato dalle classi già
agiate (simili a quelle mandate a ''spentolare' a Caracas nel 2002, aizzate
dalla Cia e dalle tv private) che vorrebbero diventarlo sempre di più! Il
Presidente iraniano – nella neolingua dei megafoni dell’informazione – sarebbe
addirittura ‘reo' d'aver aumentato pensioni e stipendi, il che ha dato lo
spunto, per i soliti in malafede, di dire che "è in campagna elettorale da 3
anni": insomma, non è importante cosa si fa, ma "chi fa cosa"! Quanto al
posizionamento dell'Iran in politica estera, un'inversione di rotta farebbe
molto comodo a Usa e soci. La linea seguita sin qui è quella giusta, compreso il
"nucleare iraniano", che nasconde la vera posta in gioco, quella energetica
(quindi, politica con la P maiuscola). Ecco cosa sono gli “studenti e gli
operai” di cui vaneggiano vecchie ciabatte dell’”antimperialismo” totalmente a
digiuno di geopolitica.
Ma chiediamoci:
perché tutta questa agitazione intorno all'Iran? Perché il risultato delle
elezioni (alle quali ha partecipato l'85% degli aventi diritto, a differenza
delle nostre elezioni, che ormai non entusiasmano più nessuno) dovrebbe essere
"falsato"? Chi lo dice? Qualche istituto "indipendente"? E chi è che ha
l'autorità per ficcare il naso in questo modo in casa d'altri? Noi lo
sopporteremmo (in effetti lo facciamo, dal '45 in poi, passando per i "casi"
Mattei, Moro, “misteri d’Italia”, servizi cosiddetti "deviati" e "terrorismo
rosso” e “stragismo nero", Cermis, Mani Pulite, fino alle ultime uscite su
"Papi&Noemi", e la cosa non ci fa molto onore come "popolo italiano"). Insomma,
qual è il "problema" con l'Iran? Quale "pericolo" rappresenta per noi?
Parliamone, magari in un confronto tra “punti di vista” divergenti così come
piace alla retorica “democratica”, così vediamo di chiarire una cosa che
altrimenti rischia di non assumere connotati chiari (le manfrine sui "diritti
umani" lasciamole perdere, perché chi ne fa uno strumento di pressione in giro
per il mondo è il primo che dovrebbe starsene zitto).
La verità – oltre
al dato geopolitico - è che non si vuol prendere atto da trent'anni che nel 1979
in Iran è avvenuto un evento di quelli che andrebbero studiati sui manuali di
Storia, come l'89 della Rivoluzione francese o il '17 della Rivoluzione
bolscevica, che a torto o a ragione sono considerate delle date-simbolo. Questo
rifiuto di accettare che anche i non europei possano scrivere pagine di "storia
universale" è uno dei tanti segni della boria della cosiddetta "civiltà
occidentale" e dei suoi rappresentanti. Una cosa è certa: dall'esito di questa
situazione in Iran dipenderà molto di quel che resta di speranza, per noi
italiani ed europei, di affrancarsi dalla presa del dominio occidentale.
*Enrico Galoppini,
saggista e traduttore dall'arabo, diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman,
ha lavorato nell’ambito di progetti internazionali (ad es. in Yemen) ed ha
insegnato per alcuni anni Storia dei Paesi islamici presso le Università di
Torino e di Enna. È nel comitato di redazione della rivista di Studi geopolitici
“Eurasia” (www.eurasia-rivista.org). Particolarmente interessato agli aspetti
religioso e storico-politico del mondo arabo-islamico, alla storia del
colonialismo, all'attualità politica internazionale, ma anche ai viaggi e a
fenomeni di costume, collabora o ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui
"LiMes", "Imperi", "Eurasia", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Kervàn",
"Africana", "Meridione. Sud e Nord del mondo", "Diorama Letterario", "Italicum",
"Rinascita". Tra le sue pubblicazioni: "Il Fascismo e l'Islàm" (Edizioni
All'Insegna del Veltro, Parma 2001), Islamofobia (Edizioni All'Insegna del
Veltro, Parma 2008).
IL CAPO DELLA
RIVOLUZIONE LIBERAL IN IRAN
Mousavi: un mostro che l’Occidente fa finta di non vedere di
Fabristol
FONTE:
http://www.giornalettismo.com/archives/29389/mousavi-il-ritratto-di-un-mostro-che-l’occidente-fa-finta-di-non-vedere/
Mentre l’Occidente sta con il fiato sospeso sperando che la piazza
rovesci il regime iraniano, nessuno si rende conto che quella piazza è
aizzata da un candidato peggiore di Ahmadinejad.
È curioso come l’opinione pubblica e i media dell’Occidente in questi
giorni si siano schierati a favore di Mousavi senza minimamente essersi
informati sul suo passato e soprattutto sulle sue idee politiche
attuali. Con questo articolo cercheremo di rispondere a due domande: chi
è Mousavi?; e, soprattutto, l’Iran sarebbe diverso con Mousavi?
CHI È MOUSAVI? – Mir-Hossein Mousavi Khameneh è stato il principale
candidato dell’opposizione nelle appena svolte elezioni iraniane.
All’interno del panorama politico iraniano è considerato un riformatore.
Il che per i canoni dell’occidente democratico rimane comunque un
conservatore di stampo fascista. Mousavi non arriva dal nulla. Non è
parte di un progetto rivoluzionario nato nell’illegalità, nel sottosuolo
della resistenza, fuori dai palazzi del regime. Mousavi è stato parte
del regime per quasi un decennio. Fu infatti il Primo Ministro (la più
alta carica in Iran prima della riforma presidenziale) della Repubblica
Islamica d’Iran dal 1981 al 1989. Fu prima ancora tra i rivoluzionari
che nel 1979 seguirono Khomeini nella sua rivoluzione culturale islamica
e scacciarono lo Shah. Fu quindi uno tra i fondatori del regime attuale.
Come Primo Ministro iraniano condusse la guerra contro l’Iraq in cui
morirono quasi un milione tra irakeni e iraniani. Fu durante il suo
mandato che il governo iraniano decise di mandare sul campo di battaglia
100.000 bambini per pulire i campi di mine, arruolandoli nel corpo dei
volontari Basij. Negli anni terribili del rapimento degli americani
all’ambasciata americana di Teheran nel 1979, Mousavi dichiarò che
quell’atto era necessario e faceva parte del “secondo stadio della
nostra rivoluzione”. Sotto il suo mandato vennero uccisi per
impiccagione migliaia di dissidenti politici, criminali, donne
fedifraghe e omosessuali. Altri vennero uccisi dai servizi segreti e dai
Pasdaran. È del 1988 invece la fatwa di Khomeini contro lo scrittore
Salman Rushdie, reo di aver scritto “Versetti satanici”. Fondamentalisti
in tutto il mondo si mobilitarono per ucciderlo e diversi traduttori
della sua opera furono assassinati o feriti (incluso quello italiano).
Mousavi appoggiò in pieno la condanna a morte di Rushdie e si felicitò
della mobilitazione internazionale dei fedeli khomeinisti, definendo
Rushdie “uno strumento dei sionisti contro l’Islam”. Nello stesso anno
Mousavi dichiarò Israele un “tumore canceroso” da eliminare. L’anno
prima definì gli Stati Uniti d’America “il grande Satana”. Tutte frasi e
concetti ricorrenti nella retorica iraniana. Di fatto Mousavi fu il
fondatore della politica isolazionista e fondamentalista dell’Iran.
Negli anni ’80 fondò e finanziò il gruppo terroristico sciita Hezbollah
in Libano e fu accusato di essere tra i mandanti degli atti di
terrorismo internazionale di quegli anni, dalla Germania all’Argentina.
Fu anche l’architetto dietro il MOIS, i servizi segreti iraniani, su
modello del KGB sovietico, che in quegli anni torturava e uccideva i
dissidenti interni.
L’IRAN SAREBBE DIVERSO CON MOUSAVI? – Per rispondere a questa domanda
bisogna capire quale sia la faccia che si nasconde dietro la maschera di
Mousavi e la sua pseudorivoluzione. È ormai assodato che si tratti di
Rafsanjani. E, allora, conviene chiedersi chi sia anche Akbar Hashemi
Rafsanjani. Fu Presidente della Repubblica alla fine degli anni ’80, fa
parte della casta clericale e del Consiglio degli Esperti, il
potentissimo organo di potere iraniano (secondo solo alla Guida Suprema,
l’Ayatollah). È considerato uno tra gli uomini più ricchi del paese e la
sua famiglia tiene in mano l’industria del petrolio. Nel parlamento
iraniano viene soprannominato “lo squalo”, per la sua tenacia e i suoi
modi duri. Ma, soprattutto, fu grande amico di Mousavi negli anni della
sua presidenza. Nei giorni scorsi la folla di centinaia di migliaia di
persone scese in piazza per sostenere la vittoria di Ahmadinejad urlava
il suo nome con rabbia, stramaledicendolo. Tutti sanno che dietro le
rivolte c’è lui. Avversario storico dell’attuale ayatollah Khamenei
(considerato debole), molti pensano che stia progettando di prendere il
suo posto.
RIVOLUZIONE O RESA DEI CONTI? - Ma allora che sta succedendo in Iran? In
poche parole, trattasi non di rivoluzione, ma di resa dei conti
all’interno del regime degli ayatollah. Nei prossimi giorni potrebbe
anche diventare guerra civile. Altro non è che una lotta per la
supremazia all’interno del regime. Nessuno dei contendenti mette in
discussione il clero, le sue leggi e le sue guide e di fatto nessuno
mette in discussione il regime iraniano. Men che meno il “riformatore”
Mousavi, dipinto come un rivoluzionario, ma che altro non è che un
gerarca del regime in cerca di potere. Sulla carta poi, tra Mousavi e
Ahmadinejad, è il primo ad essere stato il più sanguinario, integralista
e di fatto “il più cattivo”. Quest’uomo, che tutti in Occidente vedono
come il buon salvatore, ha sulla coscienza centinaia di migliaia di
morti, mutilazioni, torture, impiccagioni, sofferenze. È responsabile
dell’odio contro Israele, della fondazione di Hezbollah e di attentati
terroristici al’estero. Ahmadinejad in confronto pare un agnellino.
FONTE:
http://www.giornalettismo.com/archives/29389/mousavi-il-ritratto-di-un-mostro-che-l’occidente-fa-finta-di-non-vedere/
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IRAN: MOUSSAVI, NO A RICONTEGGIO VOTI MA NUOVE ELEZIONI
AGI) - Teheran, 27 giu. - Il leader dell'opposizione iraniana Mir Hossein
Moussavi continua a sfidare i vertici della Repubblica Islamica. L'ex
premier non intende partecipare alla commissione speciale istituita per
verificare il riconteggio del 10% delle schede, concesso dal Consiglio dei
Guardiani, e insiste nel chiedere l'annullamento delle presidenziali del 12
giugno che hanno visto la riconferma di Mahmoud Ahmdinejad. Lo riferiscono
fonti vicine a Moussavi. Ieri il Consiglio per il Discernimento del Sistema,
chiamato a verificare la correttezza del voto, ha invitato i candidati a
collaborare. La commissione all'interno del Consgilio "chiede a tutti i
candidati di collaborare con il Consiglio dei Guardiani e di sfruttare
questa corretta opportunita' (per far valere i propri diritti) inviando i
loro documenti e le prove a loro disposizione per un esame completo e
preciso". Il Consiglio, nato come organo consultivo della Guida Suprema, e'
guidato dall'ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, sostenitore del leader
dell'opposizione Mir Hossein Moussavi.
sabato 27 giugno 2009 Domenico Losurdo
In
Iran un tentativo di colpo di Stato filo-imperialista
Non
c'è dubbio che in questi giorni si è assistito a un tentativo di colpo di
Stato, fomentato e appoggiato dall'esterno. Ovviamente, tentativi del genere
possono aver chances di successo solo in presenza di una consistente
opposizione interna. E, tuttavia, la sostanza del problema non cambia.
La
tecnica dei colpi di Stato filo-imperialisti, camuffati da«rivoluzioni
colorate», segue ormai uno schema ben consolidato:
1)
Alla vigilia delle elezioni o immediatamente dopo il loro svolgimento una
gigantesca potenza di fuoco multimediale, digitale e persino telefonica
bombarda ossessivamente la tesi secondo cui a vincere è stata l'opposizione,
che dunque viene spinta a scendere in piazza per protestare contro i
«brogli».
2) Il
«colore» e le parole d'ordine delle manifestazioni sono state già
programmate da tempo; la «guerra psicologica» è stata già definita in tutti
i suoi dettagli per fare apparire l'opposizione filo-imperialista come
«pacifica» espressione della volontà popolare e per bollare come
intrinsecamente fraudolente e violente le forze di orientamento diverso e
contrapposto.
3) La
rivendicazione è quella dell'annullamento delle elezioni e della loro
ripetizione. Non sarà ritenuto valido nessun risultato che nonsia avallato
dai giudici inappellabili che risiedono a Washington e a Bruxelles. E
comunque, la ripetizione della consultazione elettorale già di per sé è
destinata a produrre un rovesciamento del risultato precedente. Il blocco
politico-sociale che aveva espresso il vincitore considerato illegittimo a
Washington e a Bruxelles tende a sgretolarsi: appare ora privo di senso
opporsi ai padroni del mondo, che già con l'annullamento delle elezioni
hanno dimostrato la loro onnipotenza; donchisciottesco risulta ora tentare
di opporsi alla corrente «irresistibile» della storia. Donchisciottesco e
anchepericoloso: come dimostra in particolare il caso di Gaza, un risultato
elettorale non gradito ai padroni del mondo spiana la stradaall'embargo, al
blocco, ai bombardamenti terroristici, alla morte per inedia o sotto il
fosforo bianco. Su versante opposto i «democratici» legittimati e benedetti
da Washington e da Bruxelles, oltre a disporre della strapotenza economica,
multimediale, digitale e telefonica dell'Occidente, saranno ulteriormente
caricati dalla sensazione di muoversi in consonanza con le aspirazioni dei
padroni del mondo e con la corrente «irresistibile» della storia.
Alla
luce di queste considerazioni evidente è la miseria intellettuale e politica
di buona parte della «sinistra» italiana. Essa non presta nessuna attenzione
ad esempio alla presa di posizione del presidente brasiliano Lula: in base a
quale principio l'Occidente può pretendere di proclamare in modo
inappellabile la legittimità delle elezioni in Messico dell'anno scorso e
l'illegittimità delle elezioni di due settimane fa in Iran? Eppure anche nel
primo caso il candidato sconfitto denunciava brogli e nel far ciò dava voce
a un sentimento largamente diffuso nella popolazione, che infatti scendeva
in piazza in manifestazioni non meno massicce di quelle che si sono viste a
Teheran. Ed è da aggiungere che in Messico il margine di vantaggio del
vincitore era assai risicato, al contrario di quello che si è verificato in
Iran...
Rinvio a altra occasione l'analisi complessiva della rivoluzione e
situazione iraniana. Ma una cosa intanto è chiara. Nel suo conformismo, una
certa «sinistra» crede di difendere la causa della democrazia: in realtà
essa prende posizione a favore di un ordinamento internazionale
profondamente antidemocratico, nell'ambito del quale le potenze oggi
economicamente e militarmente più forti avanzano la pretesa di decidere
sovranamente della legittimità delle elezioni in ogni angolo del mondo,
nonché di condannare all'inferno dell'aggressione militare e dello
strangolamento economico quei popoli che esprimono preferenze elettorali
«sbagliate»: Gaza docet!
Domenico Losurdo
Pubblicato da Domenico Losurdo
Domenica
28 giugno 2009 7 28 /06 /2009 07:13 La “Rivoluzione Verde”: il copione è
stato riproposto; questa volta in Iran Il set
Colore:
Verde
Slogan:
“Dov’è il mio voto?”
Attori
principali: Studenti e giovani delle classe media e alta, dirigenti
dell’opposizione, mezzi di comunicazione internazionale, nuove tecnologie
(Twitter, Youtube, cellulari, SMS, Internet).
Attori
secondari: Organizzazioni non governative (ONG) internazionali,
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Freedom House, Centro per
l’applicazione dell’azione non violenta “CANVAS” (ex OTPOR), Centro per il
Conflitto Internazionale Non Violento (ICNC), Istituto Albert Einstein,
Pentagono, Missione Speciale della Direzione Nazionale dell’Intelligence USA
per l’Iran.
Scenario: Elezioni Presidenziali; il candidato ufficiale, Mahmud
Ahmadinejad, l’attuale presidente che mantiene una linea molto dura contro
l’imperialismo statunitense e il sionismo israeliano e gode di un alto grado
di popolarità tra le classi popolari iraniane per gli investimenti in
programmi sociali, vince con il 63% dei voti; il candidato dell’opposizione,
Mir Hossein Musavi, di classe medio-alta, che prometteva (in inglese)
durante la campagna che la sua elezione alla presidenza avrebbe assicurato
“un nuovo saluto al mondo”, frase che stava ad indicare che avrebbe cambiato
la politica estera nei confronti di Washington, ha perso per più di 15
punti; l’opposizione denuncia una frode elettorale e chiede alla comunità
internazionale di intervenire; gli studenti manifestano nelle strade, nelle
zone della classe media e alta della capitale, Teheran; dicono di essere
“non violenti”, ma provocano reazioni repressive dello Stato con azioni
aggressive e immediatamente denunciano presunte violazioni dei loro diritti
di fronte ai media internazionali; dicono che il presidente eletto è un
“dittatore”.
Luogo:
L’Iran, quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo di riserve di
gas naturale. In piena flagranza dell’embargo commerciale imposto da
Washington, la Cina ha firmato un accordo con l’Iran nell’anno 2004, per un
valore di 200.000 milioni di dollari, per l’acquisto di gas naturale
iraniano nei prossimi 25 anni. Negli ultimi quattro anni, l’Iran ha stretto
relazioni commerciali con i paesi dell’America Latina, nonostante le minacce
di Washington, e attualmente sviluppa tecnologia nucleare a scopi pacifici.
Vi suona
familiare? Di certo suona familiare ai venezuelani e alle venezuelane che da
tre anni, senza ombra di dubbio, stanno vivendo in questo scenario. Le
cosiddette “rivoluzioni colorate”, che cominciarono in Serbia nell’anno
2000, con il rovesciamento e la demonizzazione di Slobodan Milosevic, e che
poi passarono per la Georgia, l’Ucraina, il Kirghiztan, il Libano, la
Bielorussia, l’Indonesia e il Venezuela, sempre con l’intenzione di cambiare
“regimi” non favorevoli agli interessi di Washington con governi “più
amichevoli”, sono adesso arrivate in Iran. Il copione è identico. Un colore,
un logotipo, uno slogan, un gruppo di studenti e giovani di classe media, un
processo elettorale, un candidato filo-statunitense e un paese pieno di
risorse strategiche con un governo che non rispetta l’agenda dettata
dall’impero. Sono sempre le stesse ONG e agenzie straniere quelle che
appoggiano, finanziano e promuovono la strategia, fornendo contributi
finanziari e formazione strategica ai gruppi studenteschi perché eseguano il
piano. Dovunque ci sia una “rivoluzione colorata”, si trovano anche l’USAID,
il National Endowment for Democracy, Freedom House, il Centro Internazionale
per il Conflitto Non Violento, il CANVAS (ex OTPOR), l’Istituto Albert
Einstein, l’Istituto Repubblicano Internazionale e l’Istituto Democratico
Nazionale, per citarne alcuni.
Si
esamini questo testo, intitolato “Una guida non violenta per l’Iran”,
scritto dall’ex direttore dell’Istituto Albert Einstein, fondatore del
Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento (INCR) e presidente di
Freedom House, Peter Ackerman, e dal suo collega, coautore del libro “Una
forza più potente: un secolo di conflitto non violento” e direttore
dell’INCR, Jack DuVall, anch’egli esperto in propaganda e cofondatore
dell’Istituto Arlington, insieme con l’ex direttore della CIA, James
Woolsey:
“Manifestazioni ripetute, guidate da studenti a Teheran, devono accelerare a
Washington il dibattito sull’Iran. Ci si sta ponendo due domande? Le
manifestazioni sono in grado di produrre un cambiamento di regime? Che tipo
di appoggio esterno servirebbe?
La storia
dei movimenti civili, come quello che attualmente si sta creando in Iran,
evidenzia che il riscaldamento della piazza non è sufficiente a rovesciare
un governo. Se l’aiuto degli Stati Uniti apporta semplicemente più legna al
fuoco e l’opposizione interna non lavora per indebolire le fonti reali del
potere del regime, non funzionerà.
La lotta
vittoriosa del movimento civile ha l’obiettivo di promuovere
l’ingovernabilità per mezzo degli scioperi, del boicottaggio, della
disobbedienza civile ed altre tattiche non violente – oltre alle proteste di
massa -, allo scopo di indebolire e distruggere i pilastri di sostegno del
governo. Ciò è possibile in Iran.
Gli
avvenimenti in Iran sono simili a quelli della Serbia appena prima che il
movimento diretto da studenti sconfiggesse Slobodan Milosevic. Il suo regime
si era alienato non solamente gli studenti, ma anche la maggioranza della
classe media… Anche la classe politica era divisa e molti erano stanchi del
dittatore. Cogliendo l’opportunità, l’opposizione si mobilitò per separare
il regime dalle sue fonti di potere…”
L’elemento maggiormente rivelatore di questo articolo non è solo l’ovvia
visione interventista che cerca di promuovere un colpo di stato in Iran, ma
il fatto che esso fu scritto il 22 luglio 2003, quasi sei anni fa (vedere
l’originale: http://www.nonviolent-conflict.org/rscs_csmArticle.shtml). In
questi sei anni l’organizzazione di Ackerman e DuVall, insieme ai soci,
CANVAS a Belgrado e l’Istituto Albert Einstein a Boston, ha lavorato per
formare e rendere efficienti gruppi di studenti nelle tecniche di golpe
morbido in Iran, con finanziamenti della NED, di Freedom House e delle
agenzie del Dipartimento di Stato. Non è casuale che CANVAS, composto dai
leader del gruppo OTPOR della Serbia che rovesciò Milosevic, abbia da
qualche tempo cominciato a pubblicare i suoi materiali in farsi e in arabo.
Una delle pubblicazioni principali, realizzata con il finanziamento del
Dipartimento di Stato degli USA attraverso l’Istituto Statunitense della
Pace, dal titolo “La lotta non violenta: i 50 punti critici”, è considerata
come “un manuale di perfezionamento della lotta strategica non violenta, che
offra una molteplicità di informazioni pratiche…” E’ un libro elettronico
diretto a un pubblico giovanile, come evidenzia una grafica, un disegno e un
linguaggio per i giovani. Scritto originalmente in serbo, nel corso
dell’ultimo anno è stato tradotto in inglese, spagnolo, francese, arabo e
farsi (la lingua parlata in Iran). La versione in farsi:
http://www.canvasopedia.org/files/various/50CP_Farsi.pdf.
Questo
libro è una versione moderna, con un disegno più attraente per la gioventù,
del libro originale scritto dal guru della lotta “civile” per il cambiamento
di regimi non favorevoli a Washington: Gene Sharp. Il suo libro,
“Sconfiggendo un dittatore”, che si è tradotto anche in un film prodotto da
Ackerman e DuVall, è stato utilizzato in tutte le rivoluzioni colorate in
Europa Orientale, ed anche in Venezuela, ed è considerato dai movimenti
studenteschi come la propria “bibbia”. L’introduzione del libro di CANVAS
spiega: “Questo libro è il primo che applica l’azione strategica non
violenta a campagne reali. Le tecniche presentate nei prossimi 15 capitoli
hanno avuto successo in molti luoghi del mondo… Questo libro contiene
lezioni apprese attraverso diverse lunghe e difficili lotte non violente
contro regimi non democratici e oppositori delle libertà umane fondamentali…
Gli autori sperano e credonoquesti punti cruciali in tale formato, vi
aiuterà a rendere più operativa l’azione strategica non violenta, affinché
possiate recuperare i vostri diritti, superiate la repressione, resistiate
all’occupazione, realizziate la democrazia e stabiliate la giustizia nella
vostra terra; impedendo che questo secolo sia un’altra “Era degli estremi”.
Ovviamente non è una coincidenza che il libro sia uscito in farsi e in arabo
proprio qualche mese prima delle elezioni presidenziali dell’Iran, dal
momento che queste organizzazioni avevano già cominciato a lavorare con
l’opposizione iraniana per preparare lo scenario del conflitto. E ora,
veniamo al contenuto e agli obiettivi di questo libro, che ora vengono
perseguiti all’interno del territorio iraniano. (E’ pure interessante
segnalare che l’edizione spagnola uscì proprio prima del referendum
costituzionale in Venezuela e che la traduzione fu realizzata da
un’organizzazione sconosciuta del Messico: “Non violenza in Azione” (NOVA).
Un paese in cui ha soggiornato lungamente l’ex dirigente studentesco
venezuelano Yon Goicochea, che ha ricevuto addestramento e finanziamento da
parte dei gruppi stranieri prima menzionati).
Inoltre,
la grande agenzia di destabilizzazione, National Endowment for Democracy
(NED), ha anch’essa lavorato attivamente per destabilizzare la rivoluzione
iraniana ed imporre un regime favorevole agli interessi di Washington. Dopo
le elezioni presidenziali in Iran nell’anno 2005, l’allora segretaria di
Stato Condoleeza Rice annunciò la creazione di un nuovo Ufficio per gli
Affari Iraniani, con un bilancio iniziale di 85 milioni di dollari approvato
dal Congresso statunitense. Gran parte di questo denaro fu dirottato verso
il lavoro della NED e di Freedom House, che già stavano finanziando alcuni
gruppi all’interno e all’esterno dell’Iran, i quali operavano diffondendo
informazioni sugli abusi dei diritti umani in Iran, e la formazione di
giornalisti “indipendenti”. Organizzazioni come l’Associazione dei Maestri
dell’Iran (ITA) hanno ricevuto finanziamenti della NED fin dal 1991 per
promuovere la pubblicazione di una rivista politica che contribuiva alla
costruzione di un Iran “democratico”. Anche la Fondazione per un Iran
Democratico (FDI), con base negli Stati Uniti, è stata uno dei principali
recettori dei fondi della NED. Il suo lavoro è stato orientato nel campo dei
diritti umani, principalmente per presentare il governo iraniano come
violatore dei diritti dei suoi cittadini. Questa organizzazione è
strettamente legata agli istituti dell’ultradestra negli Stati Uniti, come
l’American Enterprise Institute e il Progetto per un Nuovo Secolo Americano,
che hanno fatto pressione per le guerre in Medio Oriente*.
La NED ha
anche finanziato gruppi come la Fondazione Abdurrahman Boroumand (ABF), una
ONG che presumibilmente promuove diritti umani e democrazia in Iran. Questa
organizzazione si è incaricata di creare pagine web e biblioteche
elettroniche sui diritti umani e la democrazia. Nel 2003, ABF ricevette un
fondo di 150.000 dollari per un progetto dal titolo “La transizione alla
democrazia in Iran”. Nel 2007, ABF ottenne 140.000 dollari per “creare
coscienza sulle esecuzioni politiche dall’inizio della rivoluzione iraniana
nel 1979, promuovere la democrazia e i diritti umani tra i cittadini e
rafforzare la capacità organizzativa della società civile”. Si impegnò anche
ad “assumere un consigliere per le comunicazioni e a condurre campagne
mediatiche”.
Quantità
di denaro non rivelate pubblicamente dalla NED sono state concesse a diverse
ONG tra il 2007 e il 2009, per costruire un appoggio internazionale alle ONG
e agli attivisti dei diritti umani nazionali… favorire la società civile
iraniana e i rappresentanti dei mezzi di comunicazione a relazionarsi e a
comunicare con la comunità internazionale…”
Inoltre,
i gruppi più importanti della NED, come il Centro Americano di Solidarietà
Lavorativa (ACILS), che in Venezuela ha sostenuto il sindacato golpista
dell’opposizione, la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), ha
finanziato e consigliato il “movimento operaio indipendente” in Iran dal
2005. Anche l’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) ha ricevuto fondi
dalla NED per “legare attivisti politici in Iran a riformisti in altri
paesi” e “rafforzare la loro capacità di comunicazione e organizzazione”. Si
tratta delle stesse attività e delle stesse agenzie di Washington che
conducono le azioni di ingerenza in Venezuela, Bolivia, Nicaragua e altri
paesi in cui attualmente gli Stati Uniti cercano di promuovere un
cambiamento del governo con un altro più favorevole ai loro interessi.
Anche la
manipolazione mediatica su ciò che avviene attualmente in Iran segue un
proprio copione. In Venezuela, quando il presidente Chavez vinse le elezioni
presidenziali nel 2006 con il 64% dei voti e più del 75% di partecipazione
popolare, l’opposizione gridò alla frode (come in generale è abituata a fare
in tutti i processi elettorali che perde) e ricevette copertura mediatica
allo scopo di formulare e promuovere le sue denunce, nonostante non
presentasse nessuna prova che desse fondamento alle accuse. Tale presenza
mediatica viene attivata semplicemente per continuare a promuovere correnti
di opinione che pretendono di demonizzare il presidente Chavez, definendolo
un dittatore, e di gettare discredito sul governo venezuelano, per poi
giustificare qualsiasi intervento straniero.
Nel caso
dell’Iran, in questo momento vediamo titoli come “Proteste in Europa contro
il voto in Iran” (AP), “Khamenei v. Musavi” (Atantic Online), “Grande
manifestazione di lutto a Teheran” (Reuters), “Una nuova inchiesta indica la
frode” (Washington Post), “Biden esprime “dubbi” sulle elezioni in Iran”
(CNN, 14/06/2009), e “Analisti rivedono i risultati “ambigui” in Iran” (CNN,
16/06/2009). I titoli generano l’impressione di una possibile frode
elettorale in Iran, giustificando di conseguenza le proteste violente
dell’opposizione, sebbene Ahmadinejad abbia vinto con un risultato
impressionante, il 63% dei voti, dieci punti in più di quelli che ha
conseguito Obama negli Stati Uniti lo scorso mese di novembre. Per spiegare
la reazione mediatica, secondo l’ex ufficiale della CIA incaricato della
regione del Medio Oriente, Robert Baer, “la maggior parte delle
manifestazioni e delle proteste che trovano spazio nelle notizie sono
ubicate nella zona nord di Teheran… Si tratta, principalmente, di settori
dove vive la classe media liberale iraniana. Sono anche settori in cui,
senza dubbio, si è votato per Mir Hossein Mussavi, il rivale del presidente
Mahmud Ahmadinejad, il quale ora denuncia la frode elettorale. Ma non
abbiamo ancora visto immagini del sud di Teheran, dove vivono i poveri… Per
molti anni, i media occidentali hanno visto l’Iran attraverso lo specchio
della classe media liberale iraniana – una comunità che ha accesso a
Internet e alla musica statunitense, che ha maggiori possibilità di parlare
con la stampa occidentale e che dispone di denaro per comprare voli a Parigi
o a Los Angeles… Ma rappresenta davvero l’Iran?”
Baer, in
un articolo pubblicato nella rivista Time, afferma che una dei pochi
sondaggi affidabili, elaborati da analisti occidentali negli ultimi giorni
della campagna elettorale, dava la vittoria ad Ahmadinejad – con percentuali
ancora più alte del 63% che ha ottenuto… Il sondaggio è stato effettuato in
tutto l’Iran e non solo nelle zone della classe media”.
Eva
Golinger
20 giugno
2009 http://classeoperaia.it.over-blog.it/article-33184581.html
Da
L'Ernesto:
La
sinistra e l'Iran -
un articolo di Fosco Giannini e Mauro Gemma, su La Rinascita della Sinistra,
settimanale del PdCI
Anche se non ne condividiamo l’impianto dichiaratamente
filo-occidentale, invitiamo alla lettura di questo commento editoriale di
Barbara Spinelli (La Stampa, 28 giugno 2009) che fornisce alcuni utili
criteri interpretativi per capire la natura dello scontro politico e sociale
che si svolge oggi in Iran, al di là di luoghi comuni superficiali e
manichei – diffusi malauguratamente anche a sinistra – che impediscono di
comprendere la diversa natura delle forze in campo e dei rispettivi
riferimenti internazionali.
Quali
sono le forze che si scontrano in Iran?
Iran: Chavez sostiene Ahmadinejad
(ASCA-AFP) - Caracas, 17 giu - Come previsto il leader del Venezuela, Hugo
Chavez, ha dato il suo sostegno al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad
dopo la sua vittoria elettorale definendo le proteste in atto a Teheran come
la parte di una ''campagna diffamante'' sostenuta dai Paesi stranieri. Il
Venezuela ''esprime la propria ferma opposizione alla terribile e
ingiustificata campagna'' condotta ''dall'esterno'', ha spiegato una nota
dal ministero degli Esteri. Gli attacchi cercano di ''infiammare il clima
politico'', ha affermato il ministero. Poco dopo il risultato elettorale,
Chavez ha telefonato all'omologo iraniano felicitandosi per la sua vittoria.
''E' una vittoria grande e importante per i popoli che lottano per un mondo
migliore'', aveva affermato Chavez al telefono.
Lula: Regolari le elezioni in Iran
Il Presidente brasiliano Lula da Silva ha riconosciuto la validità del
risultato delle elezioni tenutesi in Iran, dove Ahmedinejad è stato rieletto
con ampio margine. Lula ha fatto il paragone con le controversie sorte nel
2006 dopo le elezioni presidenziali in Messico, e quelle degli Stati Uniti
dove si "affermò" G.W.Bush.
Dal Kazakistan, dove si trova in visita ufficiale, Lula sostiene che è
impossibile manipolare un risultato elettorale dove il vincitore ha ottenuto
più del 60% dei voti. "Credo che è impossibile per chiunque manipolare più
del 30% dei suffragi. Impossibile in Iran e altrove".
Ahmedinejad ha vinto, "...mi piacerebbe che mi spiegassero alcune cose. Non
molto tempo fa, in Messico si tennero elezioni presidenziali e la differenza
fu dell'1%", ricordò Lula. Eppure i Paesi che oggi sono in prima fila a
protestare, ignorarono gli argomenti del candidato oppositore López Obrador
e riconobbero la vittoria di Calderón.
Lula ha sottolinento che il Presidente dell'Iran "..ha ottenuto una gran
vittoria, è bene aspettare che diminuiscano le tensioni, però non è la prima
volta che un oppositore che perde protesta con tanta veemenza".
Il
popolo iraniano deve poter decidere in modo sovrano delle proprie questioni
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) denuncia i
tentativi
di Europa e Stati Uniti di interferire negli affari interni iraniani
Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) denuncia i
tentativi di Europa e Stati Uniti di interferire negli affari interni
iraniani dopo le elezioni nel Paese, chiede la cessazione dei suddetti
tentativi e il diritto per il popolo iraniano di determinare le proprie
questioni e gestire le differenze interne senza dover subire nessuna
influenza esterna da parte di alcuno.
La dichiarazione del Fronte chiede la cessazione immediata di questi
interventi, e finiscano i tentativi di indebolire il governo iraniano e
minare la sicurezza e la stabilità del popolo iraniano e di tutta la
regione. L’FPLP ha espresso la sua solida fiducia nell’abilità del popolo
iraniano, dei suoi leader e delle forze politiche e sociali a gestire le
proprie questioni attraverso mezzi pacifici.
Fonte:
di Eva Golinger
Eva Golinger è molto vicina al presidente Chavez, è una delle più
prestigiose e coraggiose sostenitrici della causa della rivoluzione
bolivariana.
di
Domenico Losurdo
di Spartaco Puttini
di Massimo Fini su "il Sole 24 Ore"
http://www.fgciroma.it/index.php/2009/07/06/ma-ahmadinejad-ha-ragione-l’iran-della-povera-gente-e-con-lui/
Vi invitiamo infine a leggere questo articolo apparso sul n. 83 della
rivista francese “Recherches Internationales” col titolo “Mettre en deroute
l’islam politique et l’imperialisme” e tradotto dal compagno Sergio
Ricaldone che, pur non essendo condivisibile in ogni suo aspetto, è molto
documentato ed interessante.
di Samir Amin (Presidente del Forum Mondiale delle Alternative)
----- Original Message
-----
From: pietroancona@tin.it
To: barbara spinelli
Sent: Monday, July 20, 2009 10:19 AM
Subject: la militarizzazione dell'Iran
Cara Dott.ssa Spinelli,
Lei scrive una bellissima prosa ricca di riferimenti culturali. Spesso
si ha il piacere, leggendola, di fare una lettura colta, informata,
stimolante.
Quando questa bella scrittura è applicata alla dimostrazione di una
falsa verità, cioè di una menzogna, è doppiamente riprovevole. E'
preferibile la prosa ruvida ed aggressiva di quanti apertamente vogliono e
preparano un'altra apocalisse per l'Iran, l'apocalisse per la quale
sommergibili israeliani con la complicità dell'Egitto, (il cui regime anche
Lei si guarda bene dall'analizzare con lo stesso microscopio che usa per
l'Iran),hanno attraversato lo stretto di Suez e si sono piazzati, magari con
microbombe nucleari, alle spalle dell'Iran.
Forze navali israeliane, con l'assistenza europea e statunitense, da
molti mesi si esercitano al largo di Gibilterra in vista appunto di una
aggressione all'Iran.
Lei fa discendere le involuzioni del regime iraniano verso il nazionalismo
ed il militarismo da dinamiche interne, come se quanto accade in Iran possa
prescindere e non dipenda dalla situazione di accerchiamento internazionale
e di isolamento in cui è costretto da anni dall'Occidente. Si potrebbe
salvare da ciò se tornasse ad essere come lo Scia il guardiano feroce e
sanguinario degli interessi occidentali nell'area e se
collaborasse militarmente con gli Usa in Afghanistan. Mousavi e Rafsanjani
sono i grimaldelli per distruggere
l'autonomia dell'Iran e farne quello che Abu Mazen ha fatto della
Gisgiordania, una nazione non "canaglia" ma
serva di un padrone che si fa rappresentare in loco dalla enorme e
minacciosa potenza atomica israeliana.
Non ho dubbi che l'anelito di libertà e di democrazia dei giovani
iraniani sia oggi strumentalizzato alla causa della ennesima rivoluzione
colorata attentamente studiata da Gene Sharp e di già applicata con
successo in tanti posti di grande interesse strategico per gli Usa come la
Georgia, la Bielorussia, l'Ucraina........
La responsabilità dell'indurimento del regime iraniano è dell'Occidente
e delle sue politiche di strangolamento di ogni opposizione ad una
omologazione sottomessa. Tutti i popoli che si sono dati regimi
ideologicamente diversi dal capitalismo hanno subito la stessa tragica
sorte. Dalla Russia di Lenin a Cuba di Fidel Castro. Non sappiamo se i
comunismi sarebbero stati dittature senza l'accerchiamento delle diverse
"guardie bianche". Forse non lo sapremo mai. Di certo,sotto la spada di
Damocle dell'invasione e della distruzione non prospera la libertà e con
essa la democrazia.
La situazione iraniana è assai pericolosa dal momento che l'Occidente ha
spaccato il gruppo dirigente della Rivoluzione ed ha assoldato un'ala
peteinista che è assai potente e può darsi che riesca a rovesciare
Ahmanidjed ed ad aprirsi alle pretese imperiali degli Usa e del suo
pretoriano Israele. In questo caso la popolazione di Gaza continuerà a
soffrire la fame e la sete e la prigionia fino alla sua estinzione fisica e
magari il Libano, appena qualcuno avrà finito di ricostruirlo, sarà ridotto
in macerie per la terza volta. Il destino dell'Iran sarà segnato da governi
del genere di quelli che gli americani puntellano con le spade in Irak ed
Afganistan.
Che cosa avranno i giovani iraniani dalla vittoria del movimento in
corso?
Pietro Ancona
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=40&ID_articolo=162&ID_sezione=55&sezione=
Liberazione
Obama: «Dietro l'attentato
di Natale c'è la mano yemenita di al Qaeda»
Barack Obama ha scelto di
rompere gli indugi e di puntare il dito sullo Yemen per indicare i responsabili
dell'attentato fallito contro il volo Delta-Northwest. Per il presidente
statunitense non ci sono dubbi: dietro l'opera del giovane nigeriano che il
giorno di Natale voleva farsi esplodere sull'aereo in viaggio da Amsterdam a
Detroit c'è la testa yemenita di al Qaeda. «Sappiamo che quest'uomo è stato
nello Yemen, un paese che deve lottare contro una povertà devastante e una
guerriglia micidiale» ha detto Obama riferendosi al nigeriano Umar Farouk
Abdulmutallab. «Sembra» ha aggiunto, «che si sia unito a un gruppo legato ad al
Qaeda, e che questo gruppo lo abbia addestrato e mandato a colpire quell'aereo».
Non è la prima volta che i terroristi nascosti in Yemen attaccano gli Usa:
«Negli anni scorsi hanno bombardato edifici governativi yemeniti, alberghi
occidentali, ambasciate, compresa la nostra, nel 2008, provocando la morte di
uno statunitense». Obama ha assicurato che Al Qaeda nella penisola araba pagherà
per l'attacco: gli Usa sono «in guerra con una diffusa rete di violenza e di
odio». Frasi che preannunciano un cambio di strategia da definire per la
regione. Obama ha difeso gli sforzi della sua amministrazione. Oggi l'entourage
del presidente sta cercando di far luce sul buco informativo che ha consentito
ad Abdulmutallab di imbarcarsi. Obama è in attesa di informazioni che completino
le notizie contenute nel rapporto preliminare sulla revisione dei controlli
nelle procedure di imbarco e nella creazione di una «lista di attenzione». Dalle
Hawaii, dove è in vacanza, il presidente aveva chiesto uno studio immediato dei
«fallimenti umani e sistemici» che hanno dato al 23enne Abdulmutallab la
possibilità di salire sul volo Delta-Northwest. «L'indagine va avanti e abbiamo
saputo di più sul sospettato» ha aggiunto Obama, che nel suo messaggio radio si
è difeso dagli attacchi della destra repubblicana, secondo cui non è stato fatto
abbastanza per impedire il fallito attentato. Il presidente ha posto in evidenza
il ritiro programmato dall'Iraq, la nuova strategia in Afghanistan e il
rafforzamento dei rapporti con lo Yemen, dove gli Usa già addestrano ed
equipaggiano le forze di sicurezza locali, condividendo informazioni di
intelligence per colpire al Qaeda. L'anno scorso per interventi nel paese arabo
gli Usa hanno speso nel programma antiterrorismo 67 milioni di dollari. Solo il
Pakistan, con 112 milioni, ha avuto di più. Soldi ben spesi, per Obama. Il
presidente ha convocato per il prossimo martedì i capi dell'intelligence in una
riunione alla Casa Bianca. «Al Qaeda, le organizzazioni che le sono affiliate e
i singoli kamikaze hanno esaminato le nostre misure di difesa e stanno
progettando attacchi per superarle» ha aggiunto, «questi attacchi saranno più
difficili da scoprire, interpretare e fermare». In vista della riunione, il
presidente si è tenuto in contatto con il capo di gabinetto del Consiglio di
sicurezza nazionale, Dennis McDonough, e con il consigliere per
l'antiterrorismo, John Brennan. Molto, ha sottolineato Obama, è stato fatto,
anche nello Yemen, un paese amico nella lotta al terrorismo e ai gruppi
estremisti: «Chiunque sia coinvolto nell'atto di terrorismo di Natale è
avvertito: la pagherà». Il presidente ha anche ricordato quanto disse nel giorno
del suo insediamento, quasi un anno fa: «faremo ciò che sarà necessario per
sconfiggere questa rete di odio e di violenza, difenderemo il nostro Paese e ci
terremo saldi a quei valori che hanno sempre distinto l'America». r.es.
___________________________________
Yemen,
la nuova-vecchia frontiera dell’internazionale qaedista Martino Mazzonis
Una striscia di deserto con un’economia di semi-sussistenza in fondo alla
penisola araba. Il Paese di origine del padre di Osama bin Laden e uno dei
centri di reclutamento dei jihadisti stranieri che si precipitarono in
Afghanistan a combattere contro l’invasione sovietica. E poi il porto di Aden è
il luogo in cui era ormeggiata la USS Cole quando venne colpita da
un’imbarcazione che ne sfasciò la fiancata e uccise 17 marinai - quacuno ricorda
Syriana, il film con George Clooney? La presenza di al Qaeda in Yemen non è
dunque una sorpresa per nessuno. Non è il passaggio di Umar Farouk Abdulmutallab
per il Paese prima di imbarcarsi con le mutande esplosive a svelarcelo. Lo
stesso generale Usa Petraeus ne ha parlato più volte nei mesi passati. Ci sono
radici storiche, elementi recenti e alcune caratteristiche simili alla
situazione afghana o somala che rendono relativamente facile la possibilità di
organizzare delle basi senza essere troppo infastiditi dalle autorità locali. Ad
esempio un rivolta nel nord e un tentativo di secessione nel sud e una crisi
economica galoppante. Oppure vaste aree tribali nelle quali l’autorità del
governo è relativa. Negli ultimi mesi non sono mancati neppure segnali di una
ripresa - o di un rilancio - delle attività terroristiche. La rete originaria
era stata colpita duramente dopo il 2001, quando la crociata di George W. Bush,
sporca e disumana fin che si vuole, era diretta contro il nemico vero. Poi sono
venute le armi di distruzione di massa in Iraq e al Qaeda è passata in
second’ordine. E si è riorganizzata. Le cellula yemenita e saudita di al Qaeda
si sono fuse in un’organizzazione regionale guidata da Nesser al Walhishi e
dall’ex detenuto a Guantanamo Saeed al Shihiri. La loro rete ha basi solide
nelle province montagnose e isolate di Marif e Jouf. Come per la branca
maghrebina, quella yemenita- saudita è un’organizzazione regionale e le sue
attività nei mesi passati indicano un passaggio da un modus operandi nazionale e
di relativo basso profilo, a un ritorno al pensare in grande. Negli ultimi mesi
diversi memri dell’anti-terrorismo sono stati uccisi, diversi europei rapiti, un
gruppo di turisti sudcoreani attaccati da un’autobomba. Le autorità saudite, dal
canto loro, hanno scoperto di recente un tentativo di contrabbandare diverse
decine di cinture da kamikaze. Lo scorso agosto, poi, un kamikaze 23enne, riuscì
a salire a bordo del capo della sicurezza nazionale saudita, il principe
Mohammed bin Nayef, promettendo di avere rivelazioni da fare. Il giovane si è
ucciso, sembra, riuscendo a ferire lievemente il principe. In Yemen si nasconde,
predica e si collega ad internet anche il predicatore americano-yemenita Anwar
al- Awlaqi che nei mesi precedenti il massacro di Fort Hood si era scritto a
lungo con il maggiore Nidal Malik Hasan, che poi ha ucciso 13 persone nella
base. La punta della penisola araba, a un passo dalla Somalia senza tregua e
altro luogo di mille traffici è insomma la nuova zona franca di rifugio del
terrorismo qaedista. Molte fonti indicano che con l’intensificarsi delle
operazioni dell’esercito pakistano nelle aree tribali di confine con
l’Afghanistan, decine di combattenti stranieri hanno lasciato il Paese per la
nuova destinazione. La tragica crisi economica in cui versa lo Yemen non aiuta
il governo ad avere una sua politica. E questo non è un bene.
..........................
Dieci anni dopo, al Qaeda c'è |
|
Al
Qaeda (o il suo marchio utilizzabile da chi creda) torna ad essere
visibile e attiva in ogni sua espressione. Si chiude un decennio che ha
visto emergere la vilenza fondamentalista nei Paesi musulmani così come
tra i giovani ideologizzati immigrati di seconda generazione. Ieri a
Copenaghen un giovane di orignie somala ha tentato di uccidere il
vignettista Wettergaard, l'autore della vignette che ritraevano
Maometto. Il ragazzo, collegato in qualche forma alle milizie qaediste
somale è stato ferito e arrestato. Dall'altra parte dello mare, in
Yemen, era passato Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane nigeriano che
ha fallito l'attentato di Natale. E nello Yemen, dove la rete ispirata
da Osama bin Laden si è riorganizzata predica e si nasconde Anwar al
Awlaqi, che ha ispirato il massacro di Fort Hood. Ieri Obama ha promesso
di colpire duro al Qaeda nel Paese e convocato una riunione degli eserti
per martedì.
|
****
Pubblichiamo di
seguito l’articolo denuncia di Vattimo e Losurdo, da cui abbiamo appreso
la notizia dell’appello manipolatorio:
Iran, un appello
che alimenta il fuoco di guerra
Il manifesto di
sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello «Per la libertà di
espressione e la fine della violenza in Iran». A firmarlo, assieme a
intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le guerre e
gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e messi in atto dagli
Usa e da Israele, ce ne sono altri che in più occasioni, invece, hanno
partecipato attivamente alla lotta per la pace e per la fine
dell'interminabile martirio imposto al popolo palestinese. Purtroppo a
dare il tono all'Appello sono i primi:
1) Sin dall'inizio
si parla di «risultati falsificati dell'elezione presidenziale del 12
giugno 2009» e di «frode elettorale». A mettere in dubbio o a
ridicolizzare questa accusa è stato fra gli altri il presidente
brasiliano Lula. Perché mai dovremmo prestar fede a coloro che
regolarmente, alla vigilia di ogni aggressione militare, fanno ricorso a
falsificazioni e manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le
«prove» esibite da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione
di massa (chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?
2) L'Appello
prosegue contrapponendo la violenza del regime iraniano alla
«non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime si annoverano anche
tra le forze di polizia. Ma è soprattutto grave un'altra rimozione: da
molti anni l'Iran è il bersaglio di attentati terroristici compiuti sia
da certi movimenti di opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e
israeliani.
Per quanto riguarda
questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva G. Olimpio sul Corriere
della Sera già nel 2003 (7 ottobre): «In perfetta identità di vedute con
Washington», i servizi segreti israeliani hanno il compito di
«eliminare», assieme ai «capi dei gruppi palestinesi ovunque si
trovino», anche gli «scienziati iraniani impegnati nel progetto per la
Bomba» e persino coloro che in altri Paesi sono «sospettati di
collaborare con l'Iran».
3) L'Appello si
sofferma con forza sulla brutalità della repressione in atto in Iran, ma
non dice nulla sul fatto che questo paese è sotto la minaccia non solo
di aggressione militare, ma di un'aggressione militare che è pronta ad
assumere le forme più barbare: sul Corriere della Sera del 20 luglio
2008 un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava tranquillamente
la prospettiva di «un'azione nucleare preventiva da parte di Israele»
contro l'Iran. In quale mondo vivono i firmatari dell'Appello: possibile
che non abbiano letto negli stessi classici della tradizione liberale
(Madison, Hamilton ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra
costituiscono il più grave ostacolo alla libertà? Mentre non è
stupefacente che a firmare (o a promuovere) l'Appello siano gli ideologi
delle guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a
riflettere i firmatari di diverso orientamento: l'etica della
responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare il fuoco
di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo complesso e che,
nelle intenzioni di certi suoi promotori, non deve esitare
all'occorrenza a far ricorso all'arma nucleare.
Domenico Losurdo e
Gianni Vattimo Fonte: www.ilmanifesto.it 9.02.2010
E chiamiamo tutti i
cittadini, tutte le coscienze deste a respingere con tutte le loro forze
ogni istigazione ed incitamento alla guerra.
Non chiedamo ai
nostri Lettori di dare il loro nome per un Controappello per la pace,
alimentando una contrapposizione fra “interventisti” e “pacifisti” che
non intendiamo esasperare. Chiediamo però di aderire alla costituzione
di un Comitato europeo per la difesa della libertà di pensiero, in primo
luogo nella stessa Europa, che pretende di insegnare ad altri, nella
specie all’Iran, cosa sia libertà di pensiero e democrazia. Possono
inviare il loro nome, cognome, qualifica è ogni altro dato utile
all’indirizzo email: comitatoeuropeo@gmail.com. I loro dati saranno
strettamente riservati e verranno utilizzati solo per le finalità
associative.
CIVIUM LIBERTAS
Iconografia: – Le
foto, eccetto il ritratto di Ahamadinejad, raffigurano tutte
l’Università islamica di Gaza, prima e dopo ”Piombo Fuso”: vera
rappresentazione dello spirito “accademico” israeliano, per non parlare
degli immensi ed incalcolabili danni irreparabili compiuti in Iraq, sede
storica della cultura babibonese, luogo di nascita della scrittura.
Video: – Cosa pensa il popolo iraniano dei teppisti verdi.
Tante altre notizie
su www.ariannaeditrice.it
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30554
IRAN, UN APPELLO
CHE ALIMENTA IL FUOCO DI GUERRA
vedi in calce all'appello il
DI
DOMENICO LOSURDO E GIANNI VATTIMO
Il manifesto 9.02.2010
Il manifesto di sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello
«Per la libertà di espressione e la
fine della violenza in Iran» . A firmarlo, assieme a
intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le
guerre e gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e
messi in atto dagli Usa e da Israele, ce ne sono altri che in
più occasioni, invece, hanno partecipato attivamente alla lotta
per la pace e per la fine dell'interminabile martirio imposto al
popolo palestinese. Purtroppo a dare il tono all'Appello sono i
primi:
1) Sin dall'inizio si parla di «risultati falsificati
dell'elezione presidenziale del 12 giugno 2009» e di «frode
elettorale». A mettere in dubbio o a ridicolizzare questa accusa
è stato fra gli altri il presidente brasiliano Lula. Perché mai
dovremmo prestar fede a coloro che regolarmente, alla vigilia di
ogni aggressione militare, fanno ricorso a falsificazioni e
manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le «prove» esibite
da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione di massa
(chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?
2) L'Appello prosegue contrapponendo la violenza del regime
iraniano alla «non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime
si annoverano anche tra le forze di polizia. Ma è soprattutto
grave un'altra rimozione: da molti anni l'Iran è il bersaglio di
attentati terroristici compiuti sia da certi movimenti di
opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e israeliani.
Per quanto riguarda questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva
G. Olimpio sul Corriere della Sera già nel 2003 (7 ottobre): «In
perfetta identità di vedute con Washington», i servizi segreti
israeliani hanno il compito di «eliminare», assieme ai «capi dei
gruppi palestinesi ovunque si trovino», anche gli «scienziati
iraniani impegnati nel progetto per la Bomba» e persino coloro
che in altri Paesi sono «sospettati di collaborare con l'Iran».
3) L'Appello si sofferma con forza sulla brutalità della
repressione in atto in Iran, ma non dice nulla sul fatto che
questo paese è sotto la minaccia non solo di aggressione
militare, ma di un'aggressione militare che è pronta ad assumere
le forme più barbare: sul Corriere della Sera del 20 luglio 2008
un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava
tranquillamente la prospettiva di «un'azione nucleare preventiva
da parte di Israele» contro l'Iran. In quale mondo vivono i
firmatari dell'Appello: possibile che non abbiano letto negli
stessi classici della tradizione liberale (Madison, Hamilton
ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra costituiscono il più
grave ostacolo alla libertà? Mentre non è stupefacente che a
firmare (o a promuovere) l'Appello siano gli ideologi delle
guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a
riflettere i firmatari di diverso orientamento: l'etica della
responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare
il fuoco di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo
complesso e che, nelle intenzioni di certi suoi promotori, non
deve esitare all'occorrenza a far ricorso all'arma nucleare.
Domenico Losurdo e Gianni Vattimo
Fonte: www.ilmanifesto.it
9.02.2010
Fulvio Grimaldi
mercoledì 10 febbraio 2010 IRAN: UNA LEZIONE AGLI UTILI
IDIOTI
Quando i dirigenti diventano più
stupidi dei sottoposti, si va verso la catastrofe . (Antonio
Gramsci) Ogni volta che ti ritrovi dalla parte della
maggioranza, è tempo di fermarsi e riflettere (Mark Twain)
Rubo un’altra volta, ma rubo ai
ricchi di intelligenza per dare ai poveri di conoscenza. Dunque,
qui sotto troverete un appello di Domenico Losurdo e Gianni
Vattimo, due delle migliori teste che la nostra disastrata
sinistra possa vantare, contro i furbi e i fessi che si
precipitano a firmare il solito appello “umanitario” spurgato
dalle viscere Cia-Mossad del’impero. Stavolta si tratta
dell’Iran e quella di Losurdo e Vattimo è un’eccellente risposta
– che mi permetto di integrare con poche considerazioni – non
tanto ai furbi, che sanno quello che fanno e sanno altrettanto
bene che i due compagni hanno perfettamente ragione, ma ai fessi
che insistono a ingurgitare la psyop (“operazione psicologica”
secondo i manuali Cia) “rivoluzione verde” come fosse una
lattina di Coca Cola (e anche più tossica). Fa impressione
sentire esternare le stesse argomentazioni sull’Iran “sotto
dittatura, carnefice di oppositori, studenti, intellettuali,
riformisti”, da voci che si piccano di essere di sinistra (“il
manifesto”, “liberazione”, corifei viola, detriti vari), o
perlomeno antimperialisti (Uruknet e altri siti di informazione
anti-Usa e anti-israeliani), e da quelle che si sanno
dichiaratamente imperialiste o nazisioniste (da Hillary Clinton
a Netaniahu, da Angela Merkel a Gordon Brown, dal rumeno che ha
appena accettato lo scudo missilistico obamiano al nostrano
guitto mannaro). Va incidentalmente ricordato anche come il
silenzio, l’ignavia, di questi umanitaristi di sinistra sia
stato la migliore copertura al colpo di stato alla cilena
allestito dagli Usa in Honduras, con specialisti israeliani a
provvedere alla necessaria liquidazione degli oppositori.
Chiediamoci come mai tutti questi benpensanti non abbiano
denunciato il regime del terrore in Honduras, quanto hanno
starnazzato sulla repressione iraniana contro gli agenti della
destabilizzazione.
La dabbenaggine politica di questi
sicofanti che guaiscono nel coro di chi prepara l’attacco,
probabilmente nucleare, all’Iran, o perlomeno ai suoi siti
nuclerari, con gli effetti collaterali alla Cernobyl che ne
conseguirebbero, supera la presunzione della buonafede e si
colloca nella zona grigia tra infantilismo ideologico e
collaborazionismo cosciente. A questo punto, non importa nemmeno
se questa gente sia consapevole o ottusa: l’effetto benefico per
i papponi che gestiscono il bordello è lo stesso, che entrino
clienti, o curiosi dell’arredo. Tutti sostengono l’impresa. Non
ci vuole davvero una laurea in geopolitica per collocare i pezzi
sulla scacchiera e ipotizzarne le opzioni e mosse. E non c’è
bisogno di tifare per uno dei giocatori, quando entrambi barano,
chi in una partita e chi nell’altra. Basta vedere chi bara per
cosa. Quando si pronosticavano guerre imminenti all’Iran mentre
era in corso quella all’Iraq, con successiva occupazione e
nazionicidio operati in armonica congiunzione, per quanto a
volte concorrenziale, da Usa, Israele e Iran, si vendevano
lucciole per lanterne e si copriva la confluenza di interessi
dell’uno e degli altri: degli Usa per il petrolio e l’avanzata
geostrategica verso l’Asia centrale, dell’Iran per il congenito
espansionismo verso l’ovest arabo. Del resto non erano stati gli
Usa di Reagan e Israele ad armare l’Iran e a pretendere da
Khomeini, in cambio del suo insediamento a capo e corruttore di
una rivoluzione fatta e vinta dalle sinistre persiane, l’assalto
al comune nemico, il laico, socialista e davvero antimperialista
e antisionista Iraq di Saddam Hussein? Allora gli strepiti di
un’imminente guerra occidentale al compare Iran aveva la stessa
fondatezza dell’attribuzione di una matrice islamica all’11
settembre e seguenti. Oggi, invece, dopo che l’Iran ha
sostanzialmente soffiato l’Iraq agli Stati Uniti e, nella sua
strategia del doppio binario, tipica di qualsiasi potenza che
per affermarsi deve giocare su più tavoli, fatto fuori (per il
momento e nemmeno tanto) l’ostacolo iracheno, si ritrova a
collidere con il colluso di prima: Israele e, dietro, gli Usa.
Abbandonato il binario iracheno sul quale correvano la
locomotiva Usa con al traino i vagoni iraniani, lungo
quest’altro binario corre il sostegno iraniano a Hezbollah che,
in Libano, rappresenta il catenaccio nord contro l’espansionismo
israeliano, e Hamas, che è quanto rimane a minare la
normalizzazione genocida del tritacarne israeliano. Possiamo
arrampicarci quanto vogliamo lungo i fili ai quali siamo appesi
dalle Parche, per individuare se l’antimperialismo di Tehran
nasca da una base antiborghese e popolare e, soprattutto, se sia
sincero o strumentale il suo appoggio alle forze che in
Medioriente o in America Latina s’infilano negli ingranaggi del
rullo compressore imperialista. E’ davvero come discutere del
sesso degli angeli, esercizio narcotizzante praticato utilmente
dalla Chiesa per duemila anni. Non caschiamoci. Il dato di fatto
è che, apparentemente risolta la questione irachena, ora se la
vedono tra di loro, Israele, gli Usa e l’Iran, su chi dalla
mattanza irachena debba trarre il massimo beneficio in termini
di egemonia regionale. E ora, dunque, anche alla luce
dell’ululare bellico sempre più forsennato dei dirigenti
israeliani e euro-statunitensi, degli allestimenti
logistico-militari in zona, dell’immagazzinamento in Israele di
quantitativi spaventosi di armi d’attacco Usa, l’ipotesi di un
assalto dei necrofori occidentali all’Iran, preparato dalla
rivoluzione verde cara ai coglioni dirittoumanisti, si fa
concreto. Non rimane che l’Iran come grande stato nazionale
islamico, non domato. Non rimane che l’Iran come trincea tra le
armate occidentali e quelle dell’India sionistizzata ai blocchi
di partenza, e l’Asia centrale, la Russia, la Cina, il resto del
mondo. Intollerabile per i cannibali di Washington, Tel Aviv e
Bruxelles. Per cui non sapere da che parte stare in questa
congiuntura, significa davvero non aver capito niente e lavorare
per il Re di Prussia. Quanto a veli, turbanti e barbe, lasciamo
questi arnesi alle fisime teodem di Giuliana Sgrena e del suo
codazzo di ginocrate, vivandiere dei lanzichenecchi. La parola a
Losurdo e Vattimo.
“La libertà di pensiero e di espressione”, quando fa comodo ed a
sproposito! di Antonio Caracciolo - 11/02/2010
Fonte: Civium Libertas [scheda fonte]
Non
crediamo ad una sola parola dell’Appello menzognero, in nome
della “libertà di espressione” che è apparso su “il Manifesto”
di sabato 6 gennaio, accompagnato da un elenco di firmatari. Non
crediamo più neppure agli Appelli, che quando non sono
“politicamente corretti” ed in sintonia con il regime servono
solo a dare i propri nomi alla psicopolizia del pensiero.
Pertanto “Civium Libertas” non si farà promotore di un
Controappello di contrasto ad ogni incitamento, diretto o
indiretto, alla guerra contro il popolo iraniano, un’operazione
che da anni viene condotta con incessante accanimento.
Non
possiamo credere a quanti gridano per una supposta mancanza di
libertà di pensiero e di espressione in Iran, ma tacciono quando
la libertà di pensiero e di espressione viene calpestata in
Italia. Non vedono come nella sola Germania ogni anno 15.000
persone vengono perseguite per meri reati di opinione. Simili
leggi liberticide esistono in Francia, in Austria, in Svizzera
ed in altri paesi, dopo che nel 1986 Israele diede l’ordine di
scuderia perché analoghe legislazioni venissero introdotte in
Europa. Costoro ci vengono a parlare della libertà in Iran,
quando non si preoccupano della libertà in casa loro, della
libertà dei loro concittadini. Abbiamo già assistito alla
campagna di menzogne che ha preceduto la guerra contro l’Iraq,
costata oltre un milione di morti civili ed ancora in atto.
Ricordiamo che la nostra costituzione al suo articolo 11 ripudia
la guerra ed è inaccettabile ogni elusione del chiaro dettato
costituzionale. Quest’articolo è stato però ripetutamente
violato. L’Italia si trova oggi in guerra in Afghanistan ed ora
con la politica estera di Frattini e della Lobby di cui è
espressione vogliono portare il popolo italiano in guerra anche
contro il popolo iraniano. A questa Lobby che sa quel che vuole
ed a chi ubbidisce si accodano gli eredi di quella “cupidigia di
servilismo” che Vittorio Emanuele Orlando già denunciò oltre
mezzo secolo fa. La storia dell’atomica iraniana è una colossale
bufala come furono una bufala gli armamenti di Saddam. Costoro
non guardano a chi l’atomica ce l’ha: Israele. È qui il vero
pericolo per la pace con rischio serio di Olocausto Nucleare: ne
abbiamo già predisposto la giornata commemorativa. Con rara
ipocrisia i soliti chierici gridano all’Atomica che non c’è e
chiudono occhi e bocca davanti ai loro committenti che l’Atomica
possiedono e ne fanno arma di ricatto!
Costoro chiedano in primo luogo che vengano smantellati gli
impianti nucleari di Israele. Solo allora ci vengano a parlare
di pace, libertà di pensiero, democrazia.
**** |
La “Rivoluzione
Verde”: il copione è stato riproposto; questa volta in Iran lunedì 22 giugno
2009 di Eva Golinger
Il set
Colore: Verde
Slogan: “Dov’è il
mio voto?”
Attori principali:
Studenti e giovani delle classe media e alta, dirigenti dell’opposizione, mezzi
di comunicazione internazionale, nuove tecnologie (Twitter, Youtube, cellulari,
SMS, Internet).
Attori secondari:
Organizzazioni non governative (ONG) internazionali, Dipartimento di Stato degli
Stati Uniti, Freedom House, Centro per l’applicazione dell’azione non violenta
“CANVAS” (ex OTPOR), Centro per il Conflitto Internazionale Non Violento (ICNC),
Istituto Albert Einstein, Pentagono, Missione Speciale della Direzione Nazionale
dell’Intelligence USA per l’Iran.
Scenario: Elezioni
Presidenziali; il candidato ufficiale, Mahmud Ahmadinejad, l’attuale presidente
che mantiene una linea molto dura contro l’imperialismo statunitense e il
sionismo israeliano e gode di un alto grado di popolarità tra le classi popolari
iraniane per gli investimenti in programmi sociali, vince con il 63% dei voti;
il candidato dell’opposizione, Mir Hossein Musavi, di classe medio-alta, che
prometteva (in inglese) durante la campagna che la sua elezione alla presidenza
avrebbe assicurato “un nuovo saluto al mondo”, frase che stava ad indicare che
avrebbe cambiato la politica estera nei confronti di Washington, ha perso per
più di 15 punti; l’opposizione denuncia una frode elettorale e chiede alla
comunità internazionale di intervenire; gli studenti manifestano nelle strade,
nelle zone della classe media e alta della capitale, Teheran; dicono di essere
“non violenti”, ma provocano reazioni repressive dello Stato con azioni
aggressive e immediatamente denunciano presunte violazioni dei loro diritti di
fronte ai media internazionali; dicono che il presidente eletto è un
“dittatore”.
Luogo: L’Iran,
quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo di riserve di gas naturale.
In piena flagranza dell’embargo commerciale imposto da Washington, la Cina ha
firmato un accordo con l’Iran nell’anno 2004, per un valore di 200.000 milioni
di dollari, per l’acquisto di gas naturale iraniano nei prossimi 25 anni. Negli
ultimi quattro anni, l’Iran ha stretto relazioni commerciali con i paesi
dell’America Latina, nonostante le minacce di Washington, e attualmente sviluppa
tecnologia nucleare a scopi pacifici.
Vi suona familiare?
Di certo suona familiare ai venezuelani e alle venezuelane che da tre anni,
senza ombra di dubbio, stanno vivendo in questo scenario. Le cosiddette
“rivoluzioni colorate”, che cominciarono in Serbia nell’anno 2000, con il
rovesciamento e la demonizzazione di Slobodan Milosevic, e che poi passarono per
la Georgia, l’Ucraina, il Kirghiztan, il Libano, la Bielorussia, l’Indonesia e
il Venezuela, sempre con l’intenzione di cambiare “regimi” non favorevoli agli
interessi di Washington con governi “più amichevoli”, sono adesso arrivate in
Iran. Il copione è identico. Un colore, un logotipo, uno slogan, un gruppo di
studenti e giovani di classe media, un processo elettorale, un candidato
filo-statunitense e un paese pieno di risorse strategiche con un governo che non
rispetta l’agenda dettata dall’impero. Sono sempre le stesse ONG e agenzie
straniere quelle che appoggiano, finanziano e promuovono la strategia, fornendo
contributi finanziari e formazione strategica ai gruppi studenteschi perché
eseguano il piano. Dovunque ci sia una “rivoluzione colorata”, si trovano anche
l’USAID, il National Endowment for Democracy, Freedom House, il Centro
Internazionale per il Conflitto Non Violento, il CANVAS (ex OTPOR), l’Istituto
Albert Einstein, l’Istituto Repubblicano Internazionale e l’Istituto Democratico
Nazionale, per citarne alcuni.
Si esamini questo
testo, intitolato “Una guida non violenta per l’Iran”, scritto dall’ex direttore
dell’Istituto Albert Einstein, fondatore del Centro Internazionale per il
Conflitto Non Violento (INCR) e presidente di Freedom House, Peter Ackerman, e
dal suo collega, coautore del libro “Una forza più potente: un secolo di
conflitto non violento” e direttore dell’INCR, Jack DuVall, anch’egli esperto in
propaganda e cofondatore dell’Istituto Arlington, insieme con l’ex direttore
della CIA, James Woolsey:
“Manifestazioni
ripetute, guidate da studenti a Teheran, devono accelerare a Washington il
dibattito sull’Iran. Ci si sta ponendo due domande? Le manifestazioni sono in
grado di produrre un cambiamento di regime? Che tipo di appoggio esterno
servirebbe?
La storia dei
movimenti civili, come quello che attualmente si sta creando in Iran, evidenzia
che il riscaldamento della piazza non è sufficiente a rovesciare un governo. Se
l’aiuto degli Stati Uniti apporta semplicemente più legna al fuoco e
l’opposizione interna non lavora per indebolire le fonti reali del potere del
regime, non funzionerà.
La lotta vittoriosa
del movimento civile ha l’obiettivo di promuovere l’ingovernabilità per mezzo
degli scioperi, del boicottaggio, della disobbedienza civile ed altre tattiche
non violente – oltre alle proteste di massa -, allo scopo di indebolire e
distruggere i pilastri di sostegno del governo. Ciò è possibile in Iran.
Gli avvenimenti in
Iran sono simili a quelli della Serbia appena prima che il movimento diretto da
studenti sconfiggesse Slobodan Milosevic. Il suo regime si era alienato non
solamente gli studenti, ma anche la maggioranza della classe media… Anche la
classe politica era divisa e molti erano stanchi del dittatore. Cogliendo
l’opportunità, l’opposizione si mobilitò per separare il regime dalle sue fonti
di potere…”
L’elemento
maggiormente rivelatore di questo articolo non è solo l’ovvia visione
interventista che cerca di promuovere un colpo di stato in Iran, ma il fatto che
esso fu scritto il 22 luglio 2003, quasi sei anni fa (vedere l’originale:
http://www.nonviolent-conflict.org/rscs_csmArticle.shtml). In questi sei anni
l’organizzazione di Ackerman e DuVall, insieme ai soci, CANVAS a Belgrado e
l’Istituto Albert Einstein a Boston, ha lavorato per formare e rendere
efficienti gruppi di studenti nelle tecniche di golpe morbido in Iran, con
finanziamenti della NED, di Freedom House e delle agenzie del Dipartimento di
Stato. Non è casuale che CANVAS, composto dai leader del gruppo OTPOR della
Serbia che rovesciò Milosevic, abbia da qualche tempo cominciato a pubblicare i
suoi materiali in farsi e in arabo. Una delle pubblicazioni principali,
realizzata con il finanziamento del Dipartimento di Stato degli USA attraverso
l’Istituto Statunitense della Pace, dal titolo “La lotta non violenta: i 50
punti critici”, è considerata come “un manuale di perfezionamento della lotta
strategica non violenta, che offra una molteplicità di informazioni pratiche…”
E’ un libro elettronico diretto a un pubblico giovanile, come evidenzia una
grafica, un disegno e un linguaggio per i giovani. Scritto originalmente in
serbo, nel corso dell’ultimo anno è stato tradotto in inglese, spagnolo,
francese, arabo e farsi (la lingua parlata in Iran). La versione in farsi:
http://www.canvasopedia.org/files/various/50CP_Farsi.pdf.
Questo libro è una
versione moderna, con un disegno più attraente per la gioventù, del libro
originale scritto dal guru della lotta “civile” per il cambiamento di regimi non
favorevoli a Washington: Gene Sharp. Il suo libro, “Sconfiggendo un dittatore”,
che si è tradotto anche in un film prodotto da Ackerman e DuVall, è stato
utilizzato in tutte le rivoluzioni colorate in Europa Orientale, ed anche in
Venezuela, ed è considerato dai movimenti studenteschi come la propria “bibbia”.
L’introduzione del libro di CANVAS spiega: “Questo libro è il primo che applica
l’azione strategica non violenta a campagne reali. Le tecniche presentate nei
prossimi 15 capitoli hanno avuto successo in molti luoghi del mondo… Questo
libro contiene lezioni apprese attraverso diverse lunghe e difficili lotte non
violente contro regimi non democratici e oppositori delle libertà umane
fondamentali… Gli autori sperano e credono che comunicare questi punti cruciali
in tale formato, vi aiuterà a rendere più operativa l’azione strategica non
violenta, affinché possiate recuperare i vostri diritti, superiate la
repressione, resistiate all’occupazione, realizziate la democrazia e stabiliate
la giustizia nella vostra terra; impedendo che questo secolo sia un’altra “Era
degli estremi”.
Ovviamente non è
una coincidenza che il libro sia uscito in farsi e in arabo proprio qualche mese
prima delle elezioni presidenziali dell’Iran, dal momento che queste
organizzazioni avevano già cominciato a lavorare con l’opposizione iraniana per
preparare lo scenario del conflitto. E ora, veniamo al contenuto e agli
obiettivi di questo libro, che ora vengono perseguiti all’interno del territorio
iraniano. (E’ pure interessante segnalare che l’edizione spagnola uscì proprio
prima del referendum costituzionale in Venezuela e che la traduzione fu
realizzata da un’organizzazione sconosciuta del Messico: “Non violenza in
Azione” (NOVA). Un paese in cui ha soggiornato lungamente l’ex dirigente
studentesco venezuelano Yon Goicochea, che ha ricevuto addestramento e
finanziamento da parte dei gruppi stranieri prima menzionati).
Inoltre, la grande
agenzia di destabilizzazione, National Endowment for Democracy (NED), ha
anch’essa lavorato attivamente per destabilizzare la rivoluzione iraniana ed
imporre un regime favorevole agli interessi di Washington. Dopo le elezioni
presidenziali in Iran nell’anno 2005, l’allora segretaria di Stato Condoleeza
Rice annunciò la creazione di un nuovo Ufficio per gli Affari Iraniani, con un
bilancio iniziale di 85 milioni di dollari approvato dal Congresso statunitense.
Gran parte di questo denaro fu dirottato verso il lavoro della NED e di Freedom
House, che già stavano finanziando alcuni gruppi all’interno e all’esterno
dell’Iran, i quali operavano diffondendo informazioni sugli abusi dei diritti
umani in Iran, e la formazione di giornalisti “indipendenti”. Organizzazioni
come l’Associazione dei Maestri dell’Iran (ITA) hanno ricevuto finanziamenti
della NED fin dal 1991 per promuovere la pubblicazione di una rivista politica
che contribuiva alla costruzione di un Iran “democratico”. Anche la Fondazione
per un Iran Democratico (FDI), con base negli Stati Uniti, è stata uno dei
principali recettori dei fondi della NED. Il suo lavoro è stato orientato nel
campo dei diritti umani, principalmente per presentare il governo iraniano come
violatore dei diritti dei suoi cittadini. Questa organizzazione è strettamente
legata agli istituti dell’ultradestra negli Stati Uniti, come l’American
Enterprise Institute e il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, che hanno
fatto pressione per le guerre in Medio Oriente*.
La NED ha anche
finanziato gruppi come la Fondazione Abdurrahman Boroumand (ABF), una ONG che
presumibilmente promuove diritti umani e democrazia in Iran. Questa
organizzazione si è incaricata di creare pagine web e biblioteche elettroniche
sui diritti umani e la democrazia. Nel 2003, ABF ricevette un fondo di 150.000
dollari per un progetto dal titolo “La transizione alla democrazia in Iran”. Nel
2007, ABF ottenne 140.000 dollari per “creare coscienza sulle esecuzioni
politiche dall’inizio della rivoluzione iraniana nel 1979, promuovere la
democrazia e i diritti umani tra i cittadini e rafforzare la capacità
organizzativa della società civile”. Si impegnò anche ad “assumere un
consigliere per le comunicazioni e a condurre campagne mediatiche”.
Quantità di denaro
non rivelate pubblicamente dalla NED sono state concesse a diverse ONG tra il
2007 e il 2009, per costruire un appoggio internazionale alle ONG e agli
attivisti dei diritti umani nazionali… favorire la società civile iraniana e i
rappresentanti dei mezzi di comunicazione a relazionarsi e a comunicare con la
comunità internazionale…”
Inoltre, i gruppi
più importanti della NED, come il Centro Americano di Solidarietà Lavorativa
(ACILS), che in Venezuela ha sostenuto il sindacato golpista dell’opposizione,
la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), ha finanziato e consigliato
il “movimento operaio indipendente” in Iran dal 2005. Anche l’Istituto
Repubblicano Internazionale (IRI) ha ricevuto fondi dalla NED per “legare
attivisti politici in Iran a riformisti in altri paesi” e “rafforzare la loro
capacità di comunicazione e organizzazione”. Si tratta delle stesse attività e
delle stesse agenzie di Washington che conducono le azioni di ingerenza in
Venezuela, Bolivia, Nicaragua e altri paesi in cui attualmente gli Stati Uniti
cercano di promuovere un cambiamento del governo con un altro più favorevole ai
loro interessi.
Anche la
manipolazione mediatica su ciò che avviene attualmente in Iran segue un proprio
copione. In Venezuela, quando il presidente Chavez vinse le elezioni
presidenziali nel 2006 con il 64% dei voti e più del 75% di partecipazione
popolare, l’opposizione gridò alla frode (come in generale è abituata a fare in
tutti i processi elettorali che perde) e ricevette copertura mediatica allo
scopo di formulare e promuovere le sue denunce, nonostante non presentasse
nessuna prova che desse fondamento alle accuse. Tale presenza mediatica viene
attivata semplicemente per continuare a promuovere correnti di opinione che
pretendono di demonizzare il presidente Chavez, definendolo un dittatore, e di
gettare discredito sul governo venezuelano, per poi giustificare qualsiasi
intervento straniero.
Nel caso dell’Iran,
in questo momento vediamo titoli come “Proteste in Europa contro il voto in
Iran” (AP), “Khamenei v. Musavi” (Atantic Online), “Grande manifestazione di
lutto a Teheran” (Reuters), “Una nuova inchiesta indica la frode” (Washington
Post), “Biden esprime “dubbi” sulle elezioni in Iran” (CNN, 14/06/2009), e
“Analisti rivedono i risultati “ambigui” in Iran” (CNN, 16/06/2009). I titoli
generano l’impressione di una possibile frode elettorale in Iran, giustificando
di conseguenza le proteste violente dell’opposizione, sebbene Ahmadinejad abbia
vinto con un risultato impressionante, il 63% dei voti, dieci punti in più di
quelli che ha conseguito Obama negli Stati Uniti lo scorso mese di novembre. Per
spiegare la reazione mediatica, secondo l’ex ufficiale della CIA incaricato
della regione del Medio Oriente, Robert Baer, “la maggior parte delle
manifestazioni e delle proteste che trovano spazio nelle notizie sono ubicate
nella zona nord di Teheran… Si tratta, principalmente, di settori dove vive la
classe media liberale iraniana. Sono anche settori in cui, senza dubbio, si è
votato per Mir Hossein Mussavi, il rivale del presidente Mahmud Ahmadinejad, il
quale ora denuncia la frode elettorale. Ma non abbiamo ancora visto immagini del
sud di Teheran, dove vivono i poveri… Per molti anni, i media occidentali hanno
visto l’Iran attraverso lo specchio della classe media liberale iraniana – una
comunità che ha accesso a Internet e alla musica statunitense, che ha maggiori
possibilità di parlare con la stampa occidentale e che dispone di denaro per
comprare voli a Parigi o a Los Angeles… Ma rappresenta davvero l’Iran?”
Baer, in un
articolo pubblicato nella rivista Time**, afferma che una dei pochi sondaggi
affidabili, elaborati da analisti occidentali negli ultimi giorni della campagna
elettorale, dava la vittoria ad Ahmadinejad – con percentuali ancora più alte
del 63% che ha ottenuto… Il sondaggio è stato effettuato in tutto l’Iran e non
solo nelle zone della classe media”.
su www.rebelion.org
del 20/06/2009
Traduzione di Mauro
Gemma per http://www.lernesto.it
*
http://www.zmag.org/znet/viewArticle/2501
** “Don’t Assume
Ahmadinejad Really Lost”, Time online, 16 giugno 2009
Pubblicato da
rifondazionenichelino a 03.29
__________________________________
Su
Repubblica di 26-5-2010 pag.17
Il
comandante militare degli Stati Uniti per il Medio Oriente e la regione del
Golfo ha confermato che gli Stati Uniti ha messo a punto piani di emergenza per
affrontare gli impianti nucleari dell'Iran.
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=
Il Pentagono aumenta
le operazioni segrete nel mondo
Un
premio Nobel per la Pace (in teoria) non fa la guerra. O almeno, quando la fa,
non lo ostenta, preferendo, invece, parlare di dialogo, cambiamento e fine
dell’unilateralismo. Non è un caso, quindi, che sotto l’amministrazione Obama il
Pentagono abbia deciso di espandere le operazioni segrete in tutto il mondo. Con
una direttiva riservata del 30 settembre scorso, il generale David Petraeus
(foto), capo del Comando centrale Usa, ha ordinato di espandere l’attività
militare clandestina al di fuori dei teatri di guerra, in Paesi alleati e nemici
nel Vicino Oriente, nell’Asia Centrale e nel Corno d’Africa.
Lo ha
rivelato ieri il New York Times, spiegando che l’obiettivo di queste attività,
affidate agli uomini delle Operazioni Speciali, è di raccogliere informazioni,
“infiltrare, distruggere e neutralizzare” eventuali formazioni terroristiche,
oppure allacciare rapporti con gruppi combattenti locali per “preparare il
terreno” a un futuro intervento militare.
Il
documento (Joint Unconventional Warfare Task Force Executive Order) non nomina
esplicitamente alcun Paese e non chiarisce esattamente quali operazioni vengano
autorizzate. Tuttavia, fa notare il Nyt, il testo “appare autorizzare specifiche
operazioni in Iran” come “la raccolta di notizie d’intelligence sul programma
nucleare” o “l’identificazione di gruppi dissidenti che potrebbero essere utili
per una futura offensiva militare”.
Inoltre si suppone che
l’approvazione della direttiva sia alla base dell’aumento dell’attività militare
statunitense in Yemen, dove nei mesi scorsi l’aviazione Usa è intervenuta
ripetutamente con raid e bombardamenti contro sospetti membri di al Qaida.
Anche durante
l’amministrazione Bush, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld aveva
autorizzato alcune operazioni militari segrete in una dozzina di Paesi lontano
dalle zone di guerra, scatenando diverse polemiche al Dipartimento di Stato e
alla Cia. E non sempre con risultati soddisfacenti. Nel 2004 uno dei primi
gruppi inviati all’estero fu portato fuori dal Paraguay in fretta e furia dopo
aver ucciso un rapinatore armato di pistola che gli aveva attaccati appena scesi
da un taxi. Uomini delle Operazioni Speciali hanno condotto altre operazioni in
Siria, Pakistan e Somalia.
Tuttavia, sottolinea
il New York Times, il nuovo ordine di Petraeus “mira a rendere questi sforzi più
sistematici e di lungo periodo” e, soprattutto, consente al Pentagono di
aumentare la propria autonomia, riducendo la dipendenza dalla Cia e dalle altre
agenzie d’intelligence. Infatti, diversamente dalle azioni clandestine della
Cia, queste attività militari non hanno bisogno dell’approvazione del presidente
e non devono essere esposte in regolari rapporti al Congresso. Anche se fonti
del Pentagono assicurano che ogni attività significativa passa prima attraverso
il Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
Per il momento,
comunque, al Pentagono non mancano quelli che ritengono si tratti di una
direttiva “a doppio taglio”, in quanto potrebbe compromettere i rapporti con
Paesi amici come l’Arabia Saudita e lo Yemen, o alimentare l’ostilità di Stati
come la Siria e l’Iran.
PERCHE' GLI EBREI IRANIANI STANNO
MEGLIO DEI PALESTINESI DI GAZA
DI MIKE
WHITNEY
counterpunch.org
Vivere nella dignità con i benefici della cittadinanza
25 000 Ebrei vivono in Iran. È la più grande popolazione ebraica nel Medio
Oriente fuori da Israele. Gli Ebrei iraniani non sono perseguitati, né subiscono
abusi da parte dello stato, anzi, sono protetti dalla Costituzione iraniana.
Sono liberi di praticare la loro religione e di votare alle elezioni. Non
vengono fermati e perquisiti ai posti di blocco, non vengono brutalizzati da un
esercito di occupazione, e non vengono ammassati in una colonia penale
densamente popolata (Gaza) dove vengono privati dei loro mezzi di sussistenza di
base. Gli Ebrei iraniani vivono nella dignità e godono dei diritti della
cittadinanza.
Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è stato demonizzato dai media
occidentali. Viene definito un antisemita e il “nuovo Hitler”. Ma se queste
teorie sono vere, perché la maggioranza degli Ebrei iraniani ha votato per
Ahmadinejad alle recenti elezioni presidenziali? Potrebbe essere che la gran
parte di quello che sappiamo su Ahmadinejad altro non sia che voci senza
fondamento e propaganda?
Questo estratto è stato pubblicato in un articolo della BBC:
“l’ufficio di (Ahmadinejad) ha fatto una recente donazione di denaro
all’ospedale ebraico di Tehran. È solo uno dei quattro ospedali di carità
ebraici in tutto il mondo ed è finanziato con le sovvenzioni della diaspora
ebraica – una cosa straordinaria in Iran, dove persino le organizzazioni di
aiuto locali hanno difficoltà a ricevere sovvenzioni dall’estero per timore di
essere accusati di essere agenti stranieri”.
Quando mai Hitler ha donato denaro agli ospedali ebraici? L’analogia con Hitler
è un tentativo disperato di fare il lavaggio del cervello agli Americani. Non ci
dice niente di come sia realmente Ahmadinejad.
Le menzogne su Ahmadinejad non sono diverse da quelle su Saddam Hussein o su
Hugo Chavez. Gli Stati Uniti e Israele stanno cercando di creare la
giustificazione per un’altra guerra. È per questo che i media attribuiscono ad
Ahmadinejad di aver detto cose che non ha mai detto. Non ha mai detto di “volere
cancellare Israele dalla carta geografica”. Questa è un’altra finzione. L’autore
Jonathan Cook spiega quello che il presidente iraniano ha realmente detto:
“Questo mito è stato riciclato a non finire dal momento in cui fu commesso un
errore di traduzione di un discorso di Ahmadinejad fatto quasi due anni fa. Gli
esperti della lingua persiana hanno verificato che il presidente iraniano, lungi
dal minacciare di distruggere Israele, stava citando un discorso precedente del
defunto Ayatollah Khomeini, in cui rassicurava i sostenitori dei Palestinesi che
“il regime Sionista a Gerusalemme” sarebbe “svanito dalla pagina del tempo”.
Non minacciava di sterminare gli Ebrei e neppure Israele. Stava paragonando
l’occupazione da parte di Israele dei [territori] Palestinesi ad altri sistemi
illegittimi di governo il cui tempo è ormai finito, compresi gli Shah che un
tempo governavano l’Iran, l’apartheid in Sud Africa e l’impero sovietico.
Ciononostante, questa traduzione errata è persistita e ha prosperato perché
Israele e i suoi sostenitori l’hanno sfruttata per i propri crudi scopi di
propaganda”. (“Israel Jewish problem in Tehran, Jonathan Cook, The Electronic
Intifada)
Ahmadinejad non rappresenta una minaccia né per Israele né per gli Stati Uniti.
Come chiunque altro in Medio Oriente, vuole una tregua dall’aggressione degli
USA e di Israele.
Questo [estratto] proviene da Wikipedia:
“Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha mosso accuse di
discriminazione in Iran contro gli Ebrei. Secondo tale studio, gli Ebrei non
potrebbero occupare alte posizioni nel governo e non potrebbero prestare
servizio nei servizi giudiziari e di sicurezza, né diventare presidi di scuole
pubbliche. Lo studio dice che ai cittadini ebrei è consentito ottenere il
passaporto e viaggiare fuori dal paese, ma che spesso gli vengono loro negati i
permessi di uscite multiple normalmente rilasciati agli altri cittadini. Le
accuse mosse dal Dipartimento di Stato americano sono state condannate dagli
Ebrei iraniani. La Association of Tehrani Jews ha detto in una dichiarazione,
“noi Ebrei iraniani condanniamo le accuse del Dipartimento di Stato americano
sulle minoranze religiose iraniane, annunciato che siamo pienamente liberi di
praticare i nostri doveri religiosi e non sentiamo alcuna restrizione in merito
alla pratica dei nostri rituali religiosi”.
A chi dovremmo credere: agli Ebrei che a tutti gli effetti vivono in Iran, o
alle provocazioni del Dipartimento di Stato americano?
Ci sono 6 macellerie kosher, 11 sinagoghe e numerose scuole ebraiche a Tehran.
Né Ahmadinejad, né nessun altro funzionario del governo iraniano ha mai fatto
alcun tentativo di far chiudere queste strutture. Mai. Gli Ebrei iraniani sono
liberi di viaggiare (o di spostarsi) ad Israele a loro piacimento. Non sono
imprigionati da un esercito di occupazione. Non gli vengono negati né cibo, né
medicine. I loro figli non crescono con disturbi mentali provocati dal trauma
della violenza sporadica. Le loro famiglie non vengono fatte saltare in aria
dagli elicotteri d’assalto che girano intorno alle spiagge. I loro sostenitori
non vanno a finire sotto ai bulldozer, né gli vengono sparati nel cranio delle
pallottole di gomma. Quando fanno manifestazioni pacifiche per le loro libertà
civili non vengono picchiati né vengono usati gas lacrimogeni. I loro leader non
vengono perseguitati ed uccisi con assassini premeditati.
Roger Cohen ha scritto un articolo molto attento sull’argomento per il New York
Times. Ha detto:
“Sarà che io prediligo i fatti alle parole, ma dico che la realtà della
civiltà iraniana nei confronti degli Ebrei ci dice più sull’Iran – sulla sua
sofisticazione e sulla sua cultura – di quanto lo faccia tutta la retorica
incendiaria. Potrà essere perché sono ebreo, e raramente sono stato trattato con
un tale e costante calore come in Iran. O forse mi ha colpito che l’ira per
Gaza, sbandierata sui poster e sulla TV iraniana, non si è mai riversata sotto
forma di insulti o di violenze contro gli Ebrei. O forse è perché sono convinto
che la caricatura di “Mullah Pazzo” dell’Iran e che l’assimilarne qualunque
compromesso al Monaco del 1938 – una posizione popolare in alcuni circoli
ebraici americani – sia fuorviante e pericoloso”. (“What Iran’s Jews Say”,
Roger Cohen, New York Times).
La situazione non è perfetta per gli Ebrei che vivono in Iran, ma è meglio di
quella dei Palestinesi che vivono a Gaza. Molto meglio.
Mike Whitney vive nello stato di Washington. Può essere contattato
all’indirizzo fergiewhitney@msn.com.
Fonte:
Link:
18.08.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI
da
..................................................
Ho
seguito anch'io, sull'onda emotiva venutasi a creare a
seguito delle troppe notizie contrastanti divulgate in rete,
il caso di Sakineh e mi sono messo "di buzzo buono" per
saperne di più. Ho scoperto,
senza sorprendermi troppo, che l'infelice donna non è stata
giudicata per un semplice adulterio ma, e soprattutto, per
concorso in omicidio del proprio marito, consumato in
maniera brutale assieme al proprio amante.Malek Ejdar
Sharifi, un giudice che si è occupato del particolare caso
giudiziario, ha dichiarato: ''Non possiamo rendere noti i
dettagli dei crimini di Sakineh, per considerazioni di
ordine morale ed umano (a differenza della stampa Italiana,
in Iran non vengono pubblicati i particolari morbosi dei
delitti efferati - nota di nemo profeta).
Se il modo in cui suo marito
è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la
follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte
all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è
stato così crudele e agghiacciante che molti criminologi
ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse
limitata a decapitare il marito''.
Preclusa la possibilità di perseguire la donna per omicidio,
a causa del perdòno dei figli, i giudici hanno deciso di
giocare la discutibile carta dell’accusa di adulterio.
Scelta indubbiamente deprecabile sul piano procedurale – e
infatti il processo è in fase di revisione - ma dal punto di
vista culturale ed etico le cose stanno molto diversamente
da quello che centinaia di siti internet, per non parlare
della stampa, danno ad intendere ai lettori. Da fonti
Iraniane, poi, non pare che l'eventuale condanna a morte
venga eseguita per lapidazione, pratica barbara questa (per
inciso deprecata dal Governo) che sopravvive soltanto in
pochissime zone rurali della Repubblica Islamica, ma che è
in via di sdradicamento. Per sgomberare il campo dalle
troppe critiche facilone contro l'Iran, chi ha giudicato e
condannato Sakineh non è stato il Governo Iraniano o qualche
fanatico Ajatollah (o, peggio, il "deprecato regime"), ma un
Tribunale locale nella regione di Tabriz grazie
all'autonomia di cui gode.Poi, sulla pena di morte in
generale si può essere d'accordo o meno (personalmente la
aborrisco) , ma nel mondo oltre all'Iran tale pena viene
eseguita in parecchi Paesi cosiddetti "civili", a partire da
USA e Israele.Tra le fonti: Los Angeles Times | World |July
12, 2010 - 8:52 am
Fonte: http://www.valdelsa.net/det-cy61-it-EUR-40504-.htm
--------------
LA GRANDEZZA UMANA E POLITICA DI AHAMDINEJAD
pubblicata da
Claudio Moffa
il giorno lunedì 20 settembre 2010 alle ore
11.05
L’Iran chiede scusa a Carla Bruni
LA GRANDEZZA UMANA E POLITICA DI AHAMDINEJAD
La smentita di Ahmadinejad di cui
all'articolo pubblicato qui di seguito e il
cui link allego a questo intervento, è
emblematica delle “difficoltà” (per usare un
eufemismo) dell’informazione sull’Iran e
nello stesso tempo, sia delle contraddizioni
interne al processo rivoluzionario iraniano
guidato da Ahamdinejad e Khamenei, sia della
statura eccezionale del presidente iraniano,
un leader la cui grandezza umana e politica
è ormai un fatto acquisito come dimostra
anche quest’ultimo episodio, nel quale egli
mostra di saper contrastare e correggere
anche una parte del larghissimo movimento di
di massa che lo sostiene.
In uno scambio di email il 16 settembre
scorso con un collega iraniano che mi aveva
chiesto fra l’altro cosa pensassi della
lapidazione di Sakineh, dopo aver
sottolineato che “chiedere a Obama di far
arrestare e condannare Jones … non tiene
conto del fatto che Obama non controlla
direttamente la magistratura negli Usa, e
chissà quanto magistrati la pensano come
Jones” e che dunque “chiedere a Obama di
arrestare Jones diventa qualcosa di simile
alle accuse a Ahmedinejad e Khamenei in
Occidente per la lapidazione della Sakineh …
la scelta della moschea al ground zero è
alla fin fine giusta, è come dire: l’Islam
non c’entra niente con l’attentato. E’ un
inizio di svolta” così aggiungevo: “… Sarò
forse ingenuo o magari offensivo, ma non
credo che Ahamdinejad controlli tutto e
tutti: non a caso è andato una volta in
minoranza in parlamento … Un paese che vive
una rivoluzione grandiosa come l’Iran, non è
interpretabile come un monolite assoluto: ci
sono sacche di arretratezza da eliminare, e
una di questa sicuramente è la condanna per
lapidazione …”
Ieri dunque l’intervento di Ahamadinejad
risolutivo dell’aggressione mediatica subita
dall’Iran in coincidenza con l’avvio
concreto nella centrale di Busheher
dell’industria nucleare iraniana: il
presidente iraniano, che domani interverrà
all’assemblea dell’ONU a New York, non solo
ha difeso Carla Bruni dalle offese da lei
subite da un giornale iraniano e con la
motivazione che tale offesa (“prostituta”)
non hanno nulla a che vedere con l’Islam;
non solo ha ribadito quello che i mass media
occidentali hanno cercato di occultare
sempre – tranne rarissime eccezioni – e cioè
che Sakineh è stata condannata per omicidio
e che attende ancora altri gradi di
giudizio, ma ha anche dichiarato che la
donna non è stata condannata per
lapidazione.
Si può pensare che la tardiva smentita sia
da correlarsi all’intervento del presidente
di oggi all’ONU, ma al di là di questo altre
tre considerazioni sono importanti: 1)
l’attestarsi nella ricerca e proposizione
delle tante Sakineh vittime dell’Occidente
per difendere l’Iran non basta: la
lapidazione è un metodo orribile di
perpretare quello che comunque resta una
modalità sanzionatoria sempre più criticata
e avversata nel mondo – la pena di morte – e
dunque un qualcosa da eliminare; 2) esiste
una dialettica dentro il processo
rivoluzionario iraniano che sarebbe
schematico e superficiale negare: pensare a
Ahmedinejad come a un “dittatore” che tutto
controlla non solo confligge con la natura
profondamente democratica del sistema
elettorale iraniano (questo fa la differenza
ad esempio con il sistema iracheno ai tempi
di Saddam) ma è comunque, come sempre (vedi
mutatis mutandis, le polemiche su Mussolini
e persino su Berlusconi) sbagliato. La
realtà è più complessa di quanto la
superficialità massmediatica spesso
pretende; 3) In questa dialettica, il
presidente iraniano rappresenta la parte
“laica” del regime o per meglio dire –
fuoriuscendo dal linguaggio nostrano – la
parte religiosa del regime capace di
intervenire sugli aspetti più arretrati
della tradizione islamica (fermo restando
che la lapidazione è una pratica ben più
antica della fede propagata da Maometo) fino
a smussare e diminuire, come è
fisiologicamente naturale, il monopolio
assoluto del vertice religioso del regime
creato nel 1979 da Khomeiny. Una dialettica
che i mass media occidentali – abituati a
fare non solo dell’Islam, ma anche del
“regime” iraniano un sol fascio, senza
guardare alla dialettica parlamentare e a
quella fra ceto politico “laico” e imam –
negano sempre, a fini di demonizzazione del
“nemico”.
Ecco dunque che il presidente iraniano “osa”
dire no alle espressioni più retrive del
mondo che lo sostiene. La grande forza di
Ahamedinejad risiede non solo nella sua
abilità tattico-politica, non solo
nell'essere un leader credente nella
religione del suo paese, ma anche e
soprattutto nel fatto che sa correggere la
rotta quando è necessario, forte di tre
aspetti fondanti il suo carisma popolare:
una politica estera coraggiosa, perseguita a
orgogliosa difesa della sovranità e
dell’indipendenza dell’Iran; una filosofia
modernizzatrice perché aperta allo sviluppo
tecnologico del paese fino ad accettare – in
sfida anche a tanto oscurantismo ecologista
occidentale – l’opzione nucleare; e una
politica sociale interna protesa alla difesa
dei ceti più disagiati e poveri dell’Iran.
Questo spiega perché, al contrario del
reazionario Moussawi e dei suoi seguaci
studenti figli di papà, il presidente
iraniano goda del sostegno della stragrande
maggioranza del popolo iraniano, quello che
riempie a milioni i suoi comizi e le
manifestazioni in suo sostegno.
14 settembre 2010
QUEGLI SPARI NEL GOLFO DELLA SIRTE:
LA PRIMA OPERAZIONE CONGIUNTA
ITALO-LIBICA CONTRO
L'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA?
Claudio Moffa
“Forse pensavano ci fossero migranti
clandestini”: così più o meno l'on. Roberto
Maroni sull'incidente nel Golfo della Sirte
di ieri. Una battuta escamotage? Un
tentativo di giustificare quella che appare
a molti una aggressione ingiustificata? Una
gaffe di chi non sa cosa dire? Personalmente
ritengo che la spiegazione ipotizzata dal
ministro dell'interno italiano sia quella
più vicina alla realtà: ho seguito con
discreta attenzione negli ultimi anni i
ripetuti incidenti nella striscia di mare
che separa l'Italia da Libia e Tunisia, e a
partire da un'altra (più che) ipotesi – e
cioè che il traffico di clandestini sia non
solo il prodotto di guerre e carestie, ma
anche l'effetto di una “impresa” politico
e/o economica condotta o da ingenui
volontari dei “diritti umani” o più spesso
da organizzazioni criminali di trafficanti
neo-schiavisti – non ho potuto non notare
alcuni episodi e personaggi curiosi di
questo fenomeno che per nostra fortuna sta
scomparendo grazie alla svolta politica
impressa dal governo di centrodestra e
all'accordo fra Italia e Libia.
Fra i personaggi strani due tedeschi apolidi
che diversi anni fa (2004), a bordo di una
nave chiamata Cap Anamur, avevano raccolto
“profughi” del Darfur e li avevano fatti
sbarcare in Italia[1]: alcuni proposero uno
scenario oscuro,
teso anche a demonizzare il governo di
Karthum, all'epoca assai più che oggi
sottoposto ad una durissima e campagna
internazionale partita da oltre Mediterraneo
e oltre Oceano, che lo accusava di un
inesistente “genocidio”. Ipotesi per nulla
peregrina sia in senso generale – persino
Maurizio Molinari de La Stampa aveva
offerto una visione “complottista” delle
ondate di migranti clandestini dal
Curdistan, qualche anno prima, ovviamente
accusando della manovra … la Siria – sia in
senso particolare: appunto perché la partita
sudanese era in pieno svolgimento all'epoca,
e lo stesso Elie Wiesel nell'intervento
all'ONU nel gennaio 2005 aveva elencato fra
i “genocidi” della nostra epoca, in primis
appunto, proprio il Darfur.
Quanto agli episodi strani, notai proprio
poco tempo prima l'accordo fra Italia e
Libia del 2008 uno sconfinamento o accusa di
sconfinamento di un altro peschereccio
italiano nel golfo della Sirte, con
conseguenze di fatto nulle anche allora non
solo per l'equipaggio della nave, ma anche
per la storica firma di pace fra l'Italia e
la sua ex colonia di qualche settimana dopo.
Il comandante, lo ricordo benissimo, si
chiamava Asaro ed è proprio questo nome che
ricompare in queste ore, come armatore della
nave comandata da Gaspare Marrone, la
vittima dell'attacco di ieri. Nessuno
scenario complottista ovviamente, simile a
quello evocabile per lo yacht del tedesco
appena raccontata, e questo nonostante le
congetture e le fantasie possano galoppare
ad altissima velocità in modo assurdo e
sconsiderato [2]. Ma è un dato di fatto che
una banale immediata ricerchina internet su
Marrone fa scoprire in lui un “capitano
coraggioso” [3], un comandante molto
sensibile ai diritti umani dei clandestini,
secondo umori molto diffusi nel nostro paese
per iniziativa sia della Chiesa sia del 99
per cento della sinistra e del
centrosinistra.
"Pietro Russo, Nicola Asaro, Salvatore
Cancemi, Antonio Cittadino e Gaspare Marrone
sono cinque dei capitani che più si sono
esposti negli ultimi anni per i loro
interventi di salvataggio. Ogni volta
perdono intere giornate di lavoro che
nessuno gli rimborsa" (3)
Sentimento encomiabile quello di Marrone ma
che da una parte non è risolutivo della
questione migratoria, e dall'altra si
scontra con la nuova politica di rigore del
governo italiano contro l'immigrazione
clandestina. Non risolve la questione
migratoria, questo tipo di umanitarismo,
perché il problema da affrontare è semmai –
in una visione di largo respiro – bloccare
le guerre che insanguinano l'Africa e il
Medio Oriente e che destabilizzano e
distruggono gli Stati sovrani e indipendenti
delle due regioni. Basta fare 2 più 2 per
capire: le guerre dei Balcani, protagonista
anche l'Italia di D'Alema, hanno provocato
ondate di profughi dall'ex Jugoslavia e
dall'Albania; l'assedio all'Iraq e la no-fly
zone in Curdistan, già all'epoca di Saddam,
hanno scatenato a un certo punto l'arrivo di
migliaia di clandestini curdi sulle coste
siciliane e calabresi. E così via.
D'altro canto la legge va rispettata e non
c'è “capitano coraggioso” che tenga. E
dunque, viste le esternazioni giornalistiche
dello stesso comandante Mazzone sopra citate
in nota, ecco il possibile abbaglio della
motovedetta che ha confuso una attività di
pesca in acque sembra internazionali, con un
atto delittuoso. Ed ecco la spiegazione del
perché, su quella motovedetta, c'erano non
solo militari libici ma anche finanzieri
italiani.
La prima “operazione congiunta” fra Roma e
Tripoli per un efficace, “finale” stop a
ogni tentativo di infrangere il blocco
dell'immigrazione clandestina in Italia? E'
possibile, l'accenno di Maroni lo
confermerebbe. Ed è comprensibile e a mio
avviso, giustificabile. Nel 2001 o 2002,
quando partecipai a un progetto di ricerca
europeo per un “Osservatorio
sull'immigrazione” e poi a una ricerca
interregionale finanziata dalla Regione
Abruzzo, finii per scontrarmi (in senso
amicale, ovviamente) con molta sociologia
“progressista” che teorizzava una assurda e
suicida politica del laissez faire
sull'immigrazione, senza rendersi conto che
quella “politica” era una non politica non
solo antiitaliana (l'effetto era
"minoranzizzare" il nostro paese ricettivo e
sensibile a tutte le tradizioni e indentità
tranne quella di italiani), ma anche
antisindacale e contraria agli interessi dei
lavoratori. Ricordo un battibecco vivace in
un convegno con un sociologo mazziniano
(sic) pro-libera immigrazione (sic), un
intervento di un onorevole del PD da me
invitato che ripeteva il ritornello che gli
italiani non vogliono più fare certi lavori
senza porsi il problema delle paghe
salariali miserrime già all'epoca, proprio a
causa di un offerta di massa di manodopera
immigrata a basso costo; e un dialogo
divertente e scherzoso con un mio
interlocutore che riprendendo nei fatti quel
che avevo scritto persino su il Centro di De
Benedetti, mi chiese : “ma insomma, tu pensi
che se si “spara” sugli immigrati si
sbaglia, e se si fa lo stesso sugli scafisti
si fa una cosa giusta, e di sinistra”. Sì,
fu la mia risposta. Questo è il senso alto
dell'accordo fra Italia e Libia, i finti
umanitarismi non passano più: l'abbaglio sul
caso Marrone è assai probabile ma, se vera
la spiegazione del ministro Maroni, il
segnale forte è stato dato. Anche per questo
la visita di Gheddafi a Roma è stato un
successo.
[1]
http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/cronaca/immigrati-12/cap-anamur/cap-anamur.html
[2]
http://www.jewishroots.it/Zudei_siciliani.shtm
[3]
________________________
Tutti contro l'Iran di
Tommaso Di Francesco
Fonte:
Il
Manifesto
Link:
[qui]
10
novembre 2011
Parlano di una nuova guerra. Non hanno
ancora spento i motori dei jet occidentali
che hanno bombardato la Libia, dove sotto le
macerie di Sirte e delle altre città
scheletrite prende corpo il nefasto presagio
di un nuovo, più violento conflitto
intestino, né hanno smesso di far volare i
bombardieri sui cieli afghani, che già
tornano a ripetere la parola guerra.
Stavolta contro l'Iran, accusato ora anche
dall'Aiea di essere «quasi pronto» a
detenere l'atomica, e minacciato
direttamente da Israele.
Dove da settimane si dibatte se è giusto o
no attaccare militarmente Tehran e dove
l'opzione militare viene addirittura
annunciata e sponsorizzata dal Nobel "per la
pace", il presidente Peres. Una follia
globale. Perché i rapporti di forza dicono
che se si aprirà anche questa porta
dell'inferno, non solo non sarà una
passeggiata ma le ripercussioni di morte
saranno subito evidenti in tutto il
Mediterraneo e il Medio Oriente, a
cominciare da Israele. Né spaventa più di
tanto il fatto che siamo in presenza
dell'arsenale atomico israeliano, per un
eventuale target iraniano anch'esso
nucleare.
Certo, la pubblicità con cui si annunciano
le nuove minacce di guerra potrebbero far
pensare proprio all'impossibilità di un
nuovo conflitto armato. Eppure appare sempre
più evidente il contrario, pensando anche
alla tragedia che si consuma di ora in ora
in Siria, ai margini della questione
iraniana. Anche perché, c'insegna la storia
degli ultimi quindici anni, la parola
«guerra» è fatta di materia, è action
painting, pensarla e pronunciarla attiva
l'iniziativa, cambia la rotta delle
portaerei e dei listini di borsa, trasforma
mercati, banche, consumi, governi e popoli.
In una parola, distrugge il diritto
internazionale. Solo due anni fa Mahmud
ElBaradei, presidente egiziano dell'Aiea
certificava che Tehran non aveva il nucleare
militare; solo un anno e mezzo fa Barack
Obama riconosceva nel suo discorso del Cairo
il diritto dell'Iran ad avere il nucleare
civile; solo due anni, fa nei mesi
precedenti alle presidenziali Usa, la Cia
metteva le mani avanti contro i precedenti
imbrogli iracheni sulle armi di distruzione
di massa di Bush, resocontando l'inesistenza
dell'atomica iraniana e dei preparativi per
realizzarla. Non è chiaro che cosa sia
cambiato in questi due anni, tanto più che i
preparativi atomici risalirebbero al 2003.
Quel che
davvero non esiste più è la funzione delle
Nazioni unite per una eguale difesa del
diritto internazionale. Una funzione del
resto bombardata dalle tante scelte armate
dell'amministrazione Usa, della leadership
euro-atlantica e della stessa Israele che
hanno fatto strame di convenzioni e leggi.
Basta vedere il fatto che il «colpevole»
Iran aderisce al Trattato di non
proliferazione atomica e non ha «ancora» la
bomba, mentre Israele non aderisce al
Trattato, ha centinaia di testate nucleari -
strategiche e tattiche - e le punta anche su
Tehran. Ma l'Aiea ora a guida giapponese non
lo dice e preferisce tacere.
A questo punto non basta piangere sul
pacifismo versato che non c'è più. La
questione vera è interrogarsi subito - ora,
suggerisce il movimento americano di Occupy
Wall Street - sul nesso indissolubile tra
crisi globale del capitalismo finanziario e
guerra.
Continuare a parlare di spread, bot, borsa,
euro, banche da salvare, welfare da
cancellare, lavoro da distruggere, morte
delle sovranità nazionali, crisi
dell'Europa, perdita della primazia Usa,
separatamente dai venti di guerra che
tornano a spirare, è colpevole quanto se non
più di chi prepara una nuova avventura
militare.
PRC e
l'Iran
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