RASSEGNA STAMPA |
Le parole di Falcone e Borsellino
frammenti dal filmato in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
realizzato da
Antimafia Duemila
maggio 2002
a cura di Enrico Natoli e Maria
Mazzei
Falcone: La realtà siciliana è caratterizzata dall’esistenza di un’organizzazione criminale unitaria, denominata Cosa Nostra, con migliaia di adepti e con pericolosità che non ha pari al mondo, data la coesione compattezza e ferocia e date le protezioni e connivenze di cui gode a qualsiasi livello. Organizzazione questa che opera in Italia e all’estero in ogni genere di attività illecita e in particolare nel traffico internazionale di stupefacenti. Organizzazione che sta recuperando rapidamente i colpi subiti nel recente passato approfittando di un’indubbia calata di tensione nelle indagini, nonostante ogni smentita ufficiale. Questa è la realtà con cui ci deve confrontare.
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Borsellino: Io sono stato sempre estremamente convinto che la mafia sia un sistema … non lo chiamerei tanto parallelo ma lo chiamerei alternativo al sistema dello Stato perché è proprio questo che distingue la mafia da ogni altra forma di criminalità. E in particolare nel nostro Stato si tratta di un’organizzazione criminale dal grossissimo potere che mette addirittura in forse l’esercizio della democrazia. E perché? Probabilmente perché in nessuna altra parte del mondo esiste un’organizzazione criminale che si è posta storicamente e si continua a porre – nonostante questo spesso lo dimentichiamo – come un sistema alternativo, un sistema alternativo che offre dei servizi che lo stato non riesce ad offrire.
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Falcone: Ed è proprio questo quello che noi tecnici, che giornalmente ci confrontiamo operativamente con questi problemi, indichiamo quando parliamo di questa attenzione a corrente alternata da parte di chi deve provvedere a fornirci le strategie, i mezzi, le strutture per poter operare. Quante volte abbiamo affermato nel passato che è veramente strano che ci si accorga della presenza della mafia quando avvengono i fatti di sangue, cioè quando qualcosa ha turbato l’equilibrio interno dell’organizzazione mafiosa, e non ci si renda conto che esiste quando invece queste cose passano tranquillamente, cioè nel momento in cui la mafia è particolarmente forte. È necessario andare alla radice del fenomeno colpendo sistematicamente e permanentemente tutte le strutture portanti dell’organizzazione mafiosa in quanto tale, indipendentemente dagli altri delitti commessi; in altri termini, la mafia è un fenomeno troppo serio perché lo si possa affrontare in maniera poco seria. Chi pensa che possano esservi scorciatoie di qualsiasi tipo, chi pensa che la mafia si possa affrontare con leggi di emergenza quando è un fatto endemico di certe zone del meridione con una diffusività in tutto il territorio dello stato e all’estero, sbaglia di grosso.
La collaborazione di alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra e la conclusione di inchieste giudiziarie approfondite hanno inferto indubbiamente un duro colpo alla mafia. Ma che la celebrazione tra mille difficoltà di questi processi ha indotto Cosa Nostra ad un ripensamento di strategie certamente non ha segnato l’inizio della fine del fenomeno mafioso. Il declino della mafia, più volte annunciato, non si è verificato e non è purtroppo prevedibile nemmeno oggi. È vero che non pochi uomini d’onore, diversi dei quali di importanza primaria, sono detenuti; tuttavia i vertici di Cosa Nostra sono latitanti ed è proprio questa una delle particolari capacità della mafia, quella di modellare con prontezza ed elasticità i valori arcaici all’impero di esigenze della mafia. Se oltre a ciò si considerano la sua capacità di mimetizzazione nella società, la tremenda forza di intimidazione derivante dall’inesorabile ferocia delle punizioni inflitte ai trasgressori o a chi si oppone ai suoi disegni criminosi, l’elevato numero e la statura criminale dei suoi adepti, ci si può rendere conto dello straordinario spessore di quest’organizzazione, sempre nuova e sempre uguale a se stessa.
L’organizzazione siciliana denominata Cosa Nostra è la più pericolosa esistente al mondo e spero che non ci sia nessuno che pensi che io lo dica con orgoglio di siciliano… [risa dell’interlocutore] .. perché capita anche questo, capita anche questo!
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Falcone: Non è un fatto irriducibile. E’ un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inerti cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.
Se non si terrà conto che la connotazione come parte del pm e la sua maggiore incisività nella ricerca e nella formazione della prova richiedono inesorabilmente una sua specifica professionalità che lo differenzia necessariamente dalla figura del giudice, di cui è stata accentuata la terzietà, si correrà il rischio in concreto di formare pubblici ministeri professionalmente poco idonei e quindi di non avere un’efficace funzionamento della giustizia. Qui non si tratta di esprimere preferenze o timori per un pubblico ministero dipendente dall’esecutivo o per carriere separate all’interno della magistratura.
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Borsellino: Constatata pertanto la poca incisività della mere azioni repressive della tracotanza della criminalità, sempre risorgente, è necessario prendere atto che il fenomeno va affrontato alle sue radici con una globale risposta statuale senza inammissibile deleghe a questa o a quella parte del pubblico apparato.
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Falcone: Quando per intensificato impegno della migliore professionalità di elementi di polizia e magistratura, che hanno gradualmente consentito risultati sempre più incisivi nella repressione della criminalità organizzata, ha cominciato a manifestarsi anche in questo settore il cosiddetto fenomeno del pentitismo. Qui vorrei dire che il pentitismo è venuto fuori per effetto delle indagini e non viceversa come ho sentito dire in questi giorni. Soltanto infatti quando lo stato nel suo complesso ha mostrato di volere fare sul serio ed è apparso più credibile anche agli occhi della stessa criminalità, sono intervenute le prime dissociazioni per affermare la collaborazione degli imputati con la giustizia, che finalmente infrangeva il mito dell’omertà, uno dei principali ostacoli per il raggiungimento di concreti risultati. A questo punto un osservatore ingenuo avrebbe pensato che si sarebbe cercato di favorire in tutti i modi un fenomeno che costituisce una vera e propria mina vagante che viene a inquinare la coesione e la impermeabilità dell’organizzazione criminosa rispetto alle indagini giudiziarie. Il teste della collaborazione, e cioè il testimone d’accusa, costituisce cardine fondamentale nel processo accusatorio come è dimostrato dall’esperienza dei paesi anglosassoni in cui questo tipo di processo è determinante. E’ evidente infatti che un processo ispirato all’oralità e all’immediatezza dell’acquisizione della prova nel dibattimento deve necessariamente privilegiare i mezzi di prova più direttamente rappresentativi come la testimonianza e la chiamata in correità. Ecco quindi che nei processi di criminalità organizzata le dichiarazioni dei pentiti acquistano un rilievo forse maggiore di quello che avevano nel vecchio rito anche se ovviamente non costituiscono legge di prova unico e indispensabile.
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Falcone: Per quanto mi riguarda … nel clima garantista favorevole all’introduzione di una legislazione premiale che sancisca a determinate condizioni specifici benefici in termini di pena di altri aspetti processuali a favore di chi collabora con la giustizia. Le adesioni più ricorrenti sono ben note e a mio parere non convincenti. Si sostiene talora che lo stato attraverso le dichiarazioni dei cosiddetti pentiti viene strumentalizzato da costoro per la consumazione di sottili vendette personali ma si dimentica che uno degli specifici compiti statuali è quello di sostituire alla vendetta la giustizia impedendo che i cittadini ricorrano alla violenza. Al testimone che il pentitismo possa costituire una scorciatoia nella via all’accertamento della verità è a mio avviso infondato. Non si nega che talora non sia stato esercitato il necessario e rigoroso vaglio critico sulle dichiarazioni dei pentiti e che le stesse siano da considerare per ovvi motivi delle fonti di prova sospette ma non mi sento di condividere le affermazioni di chi ne afferma l’inutilità e addirittura la sua dannosità nelle indagini. Ma mi sembrerebbe assurdo che in questi ultimi malintesi dei principi garantistici si potrebbe rinunciare allo strumento del pentitismo che sia pure tra luce e ombre ha consentito finalmente la chiave di lettura all’interno della criminalità organizzata aprendo importanti brecce nel muro dell’omertà finora ritenute impenetrabili. Occorre ricostituire adesso – e non sarà facile – un clima favorevole per la collaborazione con la giustizia e ciò si ottiene soltanto con la previsione legislativa sia in ordine di comportamento premiale sia per la tutela dell’incolumità fisica del testimone e della sua famiglia. Ostacolare il fenomeno del pentitismo sarebbe un errore a mio avviso di portata storica.
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Borsellino: In Italia mi sembra che tutti abbiamo talvolta la sensazione che le istituzioni pubbliche vengano usate normalmente come teatri o adoni di lobby che dentro si azzuffano per impossessarsi di quanto più possibile di pezzi di questo potere e di esercitarlo in funzione non tanto per il bene pubblico ma di esercitarlo in funzione di interessi particolari. E questa è l’accusa che da più parti congiuntamente si fa a quella che viene chiamata da tutti dispregiativamente ma da tutti sostanzialmente portata avanti. Il nodo è pertanto essenzialmente politico. La via obbligata per la rimozione delle cause che costituiscono Cosa Nostra passa attraverso la distruzione della fiducia nella pubblica amministrazione. Nessun impiego anche massiccio di risorse finanziario produrrà benefici effetti se lo stato e le pubbliche istituzioni in genere non saranno poste in grado e non agiranno in modo da apparire imparziali detentori e distributori della fiducia necessaria al libero e ordinato svolgimento della vita civile. Continuerà altrimenti il ricorso e non si spegnerà il consenso che spesso è latente attorno ad organizzazioni alternative in grado di assicurare egoistici vantaggi.
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Falcone: Altro punto fermo da tenere ben presente è che al di sopra dei vertici organizzativi non esistono terzi livelli di alcun genere che influenzano e determinano gli indirizzi di Cosa Nostra. Ovviamente può accadere ed è accaduto che in determinati casi e a determinate condizioni l’organizzazione mafiosa abbia stretto alleanze con organizzazioni criminali o abbia prestato ausilio ad altri per fini svariati e di certo non disinteressati. Gli omicidi politici commessi in Sicilia specie negli ultimi anni sono la dimostrazione più evidente di specifiche convergenze di interessi tra la mafia e altri centri di potere. Cosa Nostra però nelle sue alleanze non accetta posizioni di subalternità. Pertanto è da escludere alla radice che altri, chiunque esso sia, possa condizionarne e dirigerne all’esterno le sue attività.
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Borsellino: Noi ci troviamo spesso di fronte a dichiarazioni di politici, e io stesso mi sono trovato davanti a politici, i quali parlano di affari oscuri di intrecci di faccende e lanciano l’allarme di faccende criminali e quando loro vengono intesi come testi si limitano normalmente a dirci che non intendono fare una denuncia politica e non scendono mai nel particolare. Il mondo politico siciliano è un mondo politico omologato del tutto al mondo politico nazionale. Io penserei di più in questi termini: che oggi la mafia è nella politica.
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Falcone: … connubi tra criminalità mafiosa e alcuni centri di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti con la conseguenza che sino a quando non sarà fatta luce sui moventi e sui mandanti dei nuovi come dei vecchi omicidi eccellenti non si potranno fare significativi passi in avanti. Per lunghi anni abbiamo tollerato quasi con indifferenza che la criminalità organizzata raggiungesse in Italia livelli assolutamente intollerabili per qualsiasi convivenza civile sino a costituire un gravissimo pericolo per la stessa stabilità delle istituzioni democratiche. Le istruttorie tuttora in corso in diverse sedi giudiziarie stanno portando alla luce realtà estremamente inquietanti e particolarmente complesse fatte di ibridi connubi tra criminalità organizzata, centri di potere extra istituzionali e settori devianti dello stato che hanno la responsabilità di aver tentato ad un certo punto perfino di condizionare il libero svolgimento della democrazia e di avere ispirato crimini efferati.
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Borsellino: Falcone è morto insieme alla moglie e agli agenti della sua scorta e allora tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita, anche coloro che per averlo denigrato, ostacolato e talora odiato hanno perso il diritto di parlare. Nessuno tuttavia ha perso il diritto anzi il dovere sacrosanto di continuare questa lotta. Per far avere un senso a questa morte di Falcone, a questa morte di sua moglie, a questa morte degli uomini della sua scorta; che sono morti per noi; abbiamo un grosso debito verso di loro. Questo debito dobbiamo pagarlo gioiosamente continuando la loro opera: facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono dei sacrifici, rifiutando dal sistema mafioso anche quei benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia, accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità, dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.
http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/230502/falcbors.htm