ARCHIVIO STAMPA |
Parlando in facebook con Giuseppe Carlo Marino, con Salvatore Vaiana e altri della presunta cultura mafiosa del popolo siciliano
Palermo 2012
Uno scambio di idee con Salvatore Vaiana su Facebook che é diventato un dibattito aperto sulla cultura del popolo siciliano e sul movimento contadino
Ovvero Lo “scandalo della Sicilia” come lo chiama Giuseppe Carlo Marino
Caro Salvatore, partendo dal tuo Contadino dirigente (*) che si avvale dell’antica saggezza del contadino siciliano mi piace pensare al popolo siciliano del dopoguerra composto prevalentemente di contadini come un popolo saggio e non certo pervaso in larga parte di cultura mafiosa. A tale proposito ci viene in soccorso Giuseppe Carlo Marino precisando che non si tratta di una sua colpa o di “una qualche originaria affinità antropologica tra la cultura popolare siciliana e la mafiosità”. La cultura mafiosa del popolo siciliano è effetto di “EGEMONIA”. Cosi scrive infatti Giuseppe Carlo Marino:
<<In qualsiasi sistema organico di egemonia, ha ben spiegato Antonio Gramsci, si crea una situazione nella quale le forze egemoni conseguono un’autorevolezza che in genere gli egemonizzati accettano senza obiezioni, tendendo addirittura ad avvalersene e a nutrirsene essi stessi, comunque avvertendo il dominio che li sovrasta come l’espressione di un ordine necessario assimilabile[N1] all’ordine naturale del vivere e del pensare. (……..) Di qui, tramite il comune registro delle tradizioni, si è realizzato un costante travaso al popolo dei valori elaborati e presidiati dai ceti dominanti. (….) E furono loro (i baroni e i gabellotti n.d.r.) – pervadendo dall’alto del loro conseguito potere, come si è già ricordato, e giova ripetere, il mondo culturale tradizionalista di una società di poveracci analfabeti – ad “istruire” il popolo, mostrando come l’illegalismo possa generare ricchezza, come dalla ricchezza comunque conseguita, e tenacemente preservata dal poco al molto, scaturiscano le condizioni sociali della “valentia” e del “rispetto” e, quindi, dell’onorabilità e dell’”onore”; e chiamando tutto questo, con enfasi e passione, “Sicilia”.>>
Per fortuna, ci ricorda Marino, con Gramsci, esiste la CONTROEGEMONIA e
quindi abbiamo i Fasci siciliani e le lotte contadine del dopoguerra di cui
ti occupi nel tuo libro.
Scrive ancora Marino:
<<In seguito, l’aprirsi della democrazia alla storia del
socialismo avrebbe esercitato un ruolo determinante nel liberare dalla
passività ampie masse popolari (dalle lotte dei Fasci dei lavoratori di fine
Ottocento a quelle ancor più drammatiche contro i latifondisti e i gabelloti
nel primo e nel secondo dopoguerra) generando una sempre più ampia e
capillare consapevolezza sociale dell’oppressione e inducendo contestuali
tentativi di riscatto e di liberazione mediante organizzate azioni
“antimafia” interne al conflitto tra le classi.>>
Ed ecco il punto del discorso di Marino che
più mi interessa focalizzare e cioè quello che egli chiama “lo scandalo
della Sicilia” . Scrive Marino:
<<Resta comunque da rilevare (purtroppo) che UN’EGEMONIA
ANTAGONISTICA non è mai riuscita in Sicilia a prevalere nettamente e, meno
che mai, a stabilizzarsi. Il fronte cultura politica progressista+democrazia
popolare, nei fatti, è risultato sempre sconfitto. Drammaticamente, spesso
tragicamente, sconfitto; lasciando sul terreno centinaia di vittime e di
martiri. Ed è questo il più inquietante dei retaggi che la storia siciliana
continua a lasciare all’Italia e al mondo, un retaggio tenace che, in altro
opera [Marino, 1993] si è già indicato come “lo scandalo della Sicilia” :
uno scandalo da non riferire ad un’antimodernità e a un’arretratezza
cronicamente tutelate e addirittura rivendicate in nome di speciali “valori”
e tradizioni, ma che consiste, piuttosto “nel costante riassorbimento delle
spinte innovatrici, e persino dei loro parziali esiti positivi, da parte
dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa”.
Sintetizzando possiamo dire che i tre punti della questione sono:
1) c’è un popolo siciliano pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA
2) C’è stata una CONTROEGEMONIA che ha dato luogo a lotte popolari contro la mafia di grandi proporzioni
3) “lo scandalo della Sicilia”, cioè il “costante riassorbimento delle spinte innovatrici, e persino dei loro parziali esiti positivi, da parte dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa”
Si tratterebbe di un concatenarsi di “verità”, l’una non separabile dall’altra, l’una non spiegabile senza l’altra. Ma se delle tre verità sopra evidenziate una non “funziona” allora potrebbe essere possibile dubitare delle altre?
Ecco cosa secondo il mio modestissimo parere non funziona. Non è vero che il grande movimento dei Fasci e l’altro grande movimento delle lotte contadine sono stati RIASSORBITI da parte dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa. I contadini siciliani sconfitti non sono stati risucchiati passivamente dalla cultura mafiosa della classe dominante, con buona pace di Gramsci; sono semplicemente EMIGRATI, hanno SCELTO di emigrare. Di questo non trovo traccia in Marino (*). Spero ne parlerà nel libro che a poco dovrebbe essere in libreria.
Un MILIONE di siciliani sono emigrati dopo la sconfitta dei Fasci, un MILIONE E MEZZO nel dopoguerra, una vera ferita nel corpo della Sicilia, la cui “onda lunga” come la chiama Umberto Santino, ancora si fa sentire.
Giuseppina Ficarra
Ho tratto le citazioni di Giuseppe Carlo
Marino dalle bozze del suo libro,” Globalmafia. Come combatterla” che ho
scaricato dal sito dell’università:
http://www.unipa.it/scienzepolitiche/dispense/nuovo_saggio_mafia_globalizzata.doc
(*) Salvatore Vaiana Il contadino dirigente
Commento di Salvatore Vaiana
Cara Giuseppina, il Popolo siciliano anche per me non ha una cultura mafiosa; anzi, è un popolo che ha dovuto combattere la mafia e relativa cultura mafiosa pagando quei prezzi altissimi che sappiamo (come sappiamo, l'antimafia è, a parte qualche rara eccezione, siciliana).
- La cultura mafiosa, purtroppo, ha fatto breccia in settori, minoritari, di società siciliana. Capita, per esempio, che alcuni risolvano le violente controversie personali non attraverso la legge (perchè, dicono, "nu' atri sbirri un ci semmu!") ma rivolgendosi ad intermediari(non necessariamente mafiosi). Capita, per esempio, che si gestisca un'azienda dello Stato come se fosse un feudo personale, facendo affari, minacciando, picchiando (e tutti in silenzio per paura e/o perchè "la cosa nu' n'interessa"). Questi non sono analisi sociologiche, solo due fra i tanti esempi che potrei raccontare tratti da esperienze personali o raccontate da amici e compagni.
- Affamatori del Popolo furono i Savoia quanto i Borboni. Ma non ci sono più, per fortuna, nè gli uni nè gli altri. C'è ora la Repubblica, uno Stato democratico e costituzionale (almeno sulla carta), meglio delle teste coronate).
- Penso ancora all'Internazionalismo proletario e all'unità di classe fra lavoratori del Nord e quelli del Sud Italia contro la classe dirigente settentrionale e meridionale corrotta, affarista e mafiosa. - Questo è, in pillole, quello che penso."
Risposta di Giuseppina Ficarra:
Caro Salvatore, mi riempie di gioia sentirti affermare che il Popolo siciliano anche per te non ha una cultura mafiosa e che questa é presente in settori, minoritari, di società siciliana. E' quello che ho sempre pensato anch'io e di cui spesso, come sai, mi é capitato di parlare. Sul silenzio per paura ti suggerisco un articolo inchiesta sul pagamento del pizzo che ho pubblicato su spazioamico: (http://www.spazioamico.it/inchiesta%20sulle%20estorsioni.htm). Ci sono i collusi con la mafia, purtroppo, a cominciare dai politici, e Umberto Santino li conta pure! E ci sono i comportamenti che tu descrivi. Su questi io da tempo invito quelli che hanno qualche decennio meno di me a fare una analisi descrittiva di tipo "scientifico". (Qualcosa é stato fatto dalla rivista del centro "Pio La Torre" oltre che dal sociologo Giovanni Lo Monaco: http://www.spazioamico.it/Giovanni_Lo_Monaco.htm
e Alessandra Dino).
Potremmo scoprire che cultura mafiosa (sempre parlando di persone che non hanno rapporti con mafiosi) e berlusconismo sono interscambiabili! (Vedi per esempio il ricorso alla raccomandazione: Illuminante l'articolo di FILIPPO CECCARELLI "Nella repubblica dei raccomandati Lo è un italiano su due" e varie altre inchieste). Ché la cultura veramente mafiosa, quella, caro Salvatore, i mafiosi ci tengono a "mascherarla" per essere accetti nella società. Ne ho parlato nel mio scritto "Parliamo di familismo amorale", se ti ricordi. Quali possono essere i codici culturali dei mafiosi? Acquisire potere e ricchezza, perseguire i propri scopi a qualunque costo, anche con il delitto e la strage!
Anche Giuseppe Carlo Marino ha
commentato la nota "Sognando la rivoluzione" di Salvatore Vaiana.
Giuseppe Carlo Marino ha scritto: "Ti sono davvero grato, cara e paziente Giuseppina, per l'attenzione che dedichi ai miei scritti. Prendo nota anche della tua sollecitazione sul rapporto contadini-movimento dei Fasci. Non ho parlato del dramma dell'emigrazione perché nell'economia di "Globalmafia" la parte dedicata alla storia siciliana consiste in una sessantina di pagine che fanno da premessa all'analisi dei processi della proliferazione mafiosa nel quadro della globalizzazione. Il libro ha una sua forma particolare, che non direi canonicamente storiografica. E', e vuole essere, come vedrai, un "libro di battaglia" che si propone come un Manifesto per un'Internazionale antimafia (un'idea che condivido con Antonio Ingroia, sulla scorta di un lavoro politico-culturale svolto in America latina). Data la sua impostazione e date le sue finalità, non mi sarebbe stato possibile dilungarmi su eventi e processi storici siciliani dei quali mi sono occupato ampiamente in altre opere. In "Globalmafia" (la cui prima parte è sostanzialmente quella che già conosci e citi generosamente) mi sono limitato a segnare le linee dinamiche fondamentali della dialettica egemonia-controegemonia. E, se è vero come non potrebbe che essere, trattandosi di un processo dialettico, che affermazione e negazione si superano in sintesi che comprendeno entrambi i termini, è pur vero che nelle nuove sintesi l'esperienza talvolta tanto epica quanto drammatica del movimento contadino si è largamente depotenziata.
Ma non vorrei qui né aprire una polemica con te, né accedere al mito di una cultura contadina "rivoluzionaria". Il movimento contadino diventò finalmente capace di sollevarsi dalla condanna ad uno sterile e subalterno riformismo (cattolico e socialriformista) soltanto quando fu corroborato e guidato dalla cultura del movimento operaio introdottavi dal Pci nell'orizzonte strategico Nord-Sud della cosiddetta alleanza operai-contadini (Lenin, Gramsci e, nell'azione concreta, Mommo Li Causi). Spero che potrai leggermi e magari incalazarmi con nuove critiche leggendo, a fine gennaio, l'intero testo a stampa del Manifesto. E spero che contribuirai a diffonderlo. L'ho scritto, infatti, non per una vanità accademica, ma per un'iniziativa intorno alla quale la Sinistra potrebbe ricostiuire una sua specifica identità, ben al di là della nostra Sicilia. Un caro saluto e ancora auguri di buon anno."
Giuseppina Ficarra:
Premesso che non esiste un movimento contadino che prima é impregnato di una
cultura di subalterno e sterile riformismo poi emancipato dalla cultura del
movimento operaio introdotto dal PCI, ma sono esistiti momenti di lotta e di
elaborazione di obiettivi di volta in volta riferiti a situazioni concrete,
é bene ricordare che la direzione del PCI non fu affatto entusiasta delle
occupazioni delle terre predicate da Mommo Li Causi perché anche allora,
così come ora c'é chi non vuole rompere con Marchionne e ne cerca
l'alleanza, c'era chi non voleva rompere con i grandi proprietari terrieri
siciliani. Per cui il movimento per le occupazioni delle terre che veniva
dalla cultura contadina siciliana e mondiale non ebbe adeguati appoggi
politici dalla sinistra italiana e finì sconfitto nonostante la sua enorme
ampiezza e non soltanto a causa della cattiva qualità delle terre
distribuite dalla riforma agraria. Da notare che la memoria di Mommo Li
Causi (*) non mi pare sia viva tra i comunisti nonostante sia stato un
grande martire del fascismo e fondatore del pci siciliano.
http://www.facebook.com/note.php?saved&¬e_id=10150096498229605
Mommo Li Causi: Occupazione delle terre. Un'epopea contadina http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2010/5/LE_FOTOSTORIE_33.pdf
Pietro Ancona
Dal dibattito molto stimolante sono indotto a fare qualche riflessione sui
contadini, sulla loro cultura e sul movimento contadino. Intanto il
movimento contadino non è una entità che esiste sempre. E' stato un momento
della storia della Sicilia che ha prodotto tanta cultura da impregnarne la
sinistra per oltre un trentennio conclusosi con una sconfitta dovuta ad una
riforma agraria che ebbe l'unico merito di frantumare il latifondo ma non di
distribuirne equamente il possesso ai contadini che lo coltivavano. Renda
sostiene che è stato comunque di fondamentale importanza perché ha aperto le
porte all'era moderna chiudendo il medioevo siciliano.
Una volta ero d'accordo con questa affermazione. Ora, credo che la modernità nella quale viviamo non è la migliore possibile se è vero che tutta la classe agricola e non solo i contadini sono oggi soggetti ad uno sfruttamento dell’ipercapitalismo di chi controlla i mercati di sbocco per cui un chilo di farina vale meno di una tazzina di caffè al bar ed un chilo di arance sono cedute dal produttore a 5 centesimi (con tutte le conseguenze sulla manodopera che non ricava più di venti euro al giorno per giornate interminabili di lavoro). (Vedi vertenza del pastori sardi e dei produttori di latte della pianura padana).
Mi viene anche da pensare che le uniche volte nella storia del mondo in cui la campagna vinse la città sono state la rivoluzione messicana e quella dei comunisti cinesi guidati da Mao. In generale la città ha sempre avuto il sopravvento sulla campagna esercitandovi la sua egemonia con lo scambio ineguale tra prodotti agricoli e prodotti industriali sia sul piano interno che su quello internazionale. Ma oggi la rivoluzione comunista di Mao con la sconfitta della banda dei quattro ha generato un Mostro nazicomunista che sta facendo della Cina il più grande Santuario del Capitalismo amministrato da un Partito che si dichiara Comunista ma che crea miliardari e colonizza il pianeta in concorrenza con l'Occidente. Ma sto divagando e per tornare al tema ritengo che i contadini siciliani specialmente i braccianti furono in grado di produrre un movimento antagonistico per la terra e contro la mafia perchè percepivano i mafiosi come loro oppressori o strumenti di una oppressione di classe nei loro confronti.
I contadini siciliani non sono mai stati mafiosi ed essendo stati la stragrande maggioranza del popolo siciliano si può affermare con orgoglio che la Sicilia pur avendo il tumore mafioso non è mai stata contaminata da esso. Infatti l'infezione mafiosa non esce mai dall'habitat malavitoso non avendo forza culturale per egemonizzare nessuno. Può esercitare una prevaricazione con la violenza del mitra e della lupara ma mai diventare "sentire comune" di una popolazione.
http://www.facebook.com/note.php?saved&¬e_id=10150096498229605
http://perlasicilia.blogspot.com/2011/01/caro-salvatore-partendo-dal-tuo.html
http://www.ilpuntodue.it/?q=node/1621
Traendo ancora spunto da GLOBALMAFIA del
Prof. Giuseppe Carlo Marino prosegue il dibattito aperto sulla cultura del
popolo siciliano
Ovvero una verità controversa
Avevo concluso il mio primo intervento, “Lo scandalo della Sicilia”, chiedendomi se era possibile dubitare di alcune verità tra loro concatenate, mettendone in dubbio una.
A chiarire i miei dubbi mi viene in soccorso lo stesso Marino assieme al sociologo Satriani da lui citato nel suo libro La Globalmafia.
Ed ecco la prima “Verità” di cui dubitavo nel mio precedente intervento:
C’è un popolo siciliano pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA e
quindi non
per sua colpa.
Marino ci tiene infatti a precisare che non si tratta di una “colpa”, cioè
di “una qualche originaria affinità antropologica tra la cultura
popolare siciliana e la mafiosità”.
Sempre nel mio precedente intervento rispondendo a Salvatore Vaiana (1) dicevo che la cultura veramente mafiosa i mafiosi ci tengono a "mascherarla" per essere accetti nella società mettendo quindi in discussione che per effetto di egemonia il popolo siciliano possa essere pervaso di cultura mafiosa.
Qui non discuto la categoria interpretativa gramsciana dell’”egemonia” (anche se mi riesce non poco difficile tramite questa categoria spiegare i grandi movimenti popolari di lotta verificatesi in Sicilia). Quello che mi chiedo è come può per effetto di egemonia essere inculcata nel popolo una “mafiosità” che la classe dominante “borghesia mafiosa” fa di tutto per occultare! La mafia “liquida” e con una sempre maggiore capacità di mimetizzazione, la mafia che è entrata in borsa si presenta infatti con le vesti del perbenismo.
Ed ecco che Marino a pag.18 (op.cit.) a proposito, (ed erroneamente a sostegno, come dirò) della “cosiddetta mafiosità” che ”indubitabilmente definisce un fenomeno reale di mentalità e di costume” (n.d.r. la prima verità) ci dice che trova “impeccabile” quanto ha rilevato sull’argomento, in una recente intervista, il noto antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani (2) il
quale, cita Marino, afferma che:
«La mafia non è solo comportamento, è anche una cultura mafiosa
nell'accezione antropologica, come maniera di sentire, pensare e agire».
Sempre a pag.18 Marino, continuando a citare il noto sociologo, dice di
trovare inquietante questa frase di Satriani:
«Io, da quando ho cominciato a riflettere da antropologo sulla
società meridionale, ho cercato di capire come la mafia poteva trovare
consenso» [Lombardi Satriani, 1997].
Frase che Marino commenta dicendo che <<è una constatazione,
questa del consenso, della cui oggettività è difficile dubitare. Sempre che
l’esistenza di una “cultura mafiosa” non sia incautamente assunta
─
lo si è già detto e pare opportuno insistere ancora sull’argomento
─
come un dato antropologico da riferire ad una astratta “natura”
dei siciliani in quanto siciliani.>>.
Più avanti, a pag.25 Marino continua dicendo che le affermazioni di Lombardi Satriani sulla cultura mafiosa sono “condivisibili solo e soltanto a condizione di considerare responsabili del rapporto organico tra sicilianità e cultura mafiosa i ceti dominanti dell’isola, e non genericamente i siciliani.”
Non me ne voglia il Prof. Marino, ma io trovo impropri i suoi due precedenti
commenti a Satriani. A me sembra infatti che non è certo il Satriani che
può indurci ad assumere incautamente la cultura mafiosa come
un dato antropologico dei siciliani o a considerare questi in qualche modo
responsabili di un presunto rapporto organico tra sicilianità e cultura
mafiosa. Non solo, ma non trovo neanche inquietante (come dice
Marino) che Satriani abbia cercato di capire come la mafia abbia trovato
consenso.
Ed ecco perché. Il sociologo nel prosieguo della sua intervista dice:
“I valori che la mafia dice di avere sono quelli della dignità individuale,
dell'onore, del rispetto della "parola": una serie di valori analoghi a
quelli della cultura popolare. Il problema è che, mentre i valori della
cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di
autorealizzazione, i valori mafiosi sono "detti" per acquisire
consenso, e vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché
servono per coprire il comportamento violento.”
Marino invece, pur escludendo che il consenso alla mafia si possa fare risalire:
“ad una qualche originaria affinità antropologica tra la cultura popolare siciliana e la mafiosità ovvero a una qualche misteriosa predisposizione del popolo siciliano a generare la mafia, quasi “per generazione spontanea”
a pag.19 ci dice che la mafia ha trovato “ampio e radicato consenso permeando la cultura popolare”, (n.d.r. la prima verità), e non come spiega ampiamente Satriani, assumendo come propri i valori della cultura popolare (che è cosa ben diversa).
Lo
stesso concetto del Satriani è affermato dallo storico Salvatore Lupo
il quale in Storia della mafia Donzelli 2007 Cap. III 6 Culture: dentro
e fuori l’organizzazione a pag.163 scrive:
<<Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i
codici culturali ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne
un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza
dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso,
di incutere terrore all’interno e all’esterno>>
Riepilogando due sono le posizioni in merito:
1) Marino
La mafia ha
trovato “ampio e radicato consenso
permeando la cultura popolare”.
2) Satriani e Salvatore Lupo
La mafia trova consenso assumendo come propri i valori della
cultura popolare, valori semplicemente “detti”, ma vissuti in maniera
truffaldina
Se accettiamo, come io accetto, la tesi di Satriani e di Salvatore Lupo bisogna aggiungere che la mafia militare pesca in Sicilia consenso e manovalanza nella disoccupazione, nella miseria e nell’ignoranza.
Il consenso, invece, di chi ad alti livelli finanziari fa affari con la mafia è uguale in Sicilia come nel resto del paese e del mondo. E è il prof. Marino che ci spiega come (pag.125 op.cit.)
“Si va formando una “società civile” internazionale (nel senso gramsciano) nella quale un sostanziale metodo “mafioso” dei potenti viene occultato da enfatici richiami alle libertà, affermandone nel contempo – tramite un tanto ostentato quanto falsante a-ideologismo trasmesso alle masse dei subalterni come messaggio di concretezza e senso collettivo dei valori democratico-liberali – un’ineluttabilità valutata come di per sé virtuosa, in coerenza con il contestuale mito delle “virtù” attribuite al cosiddetto “libero mercato”.
In conclusione Marino, quando parla della mafia globale, sembra sposare la
tesi n.2, cioè pensa anche lui che il consenso la mafia lo trova “occultando
un sostanziale metodo mafioso” con “enfatici richiami alla libertà” e alle
virtù del libero mercato, cioè, possiamo dire, con l’inganno (i valori
“vissuti in maniera truffaldina” di Satriani).
D'altronde sarebbe difficile sostenere che “C’è un popolo GLOBALE
pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA”
Quando invece parla della Sicilia sostiene la tesi n.1
Ma Marino, che prima che storico è un vero “compagno” attento ai problemi
sociali, ci parla anche di “giustizia sociale” da realizzare se vogliamo
veramente combattere la mafia.
“Non esiste – egli dice - una qualsiasi legalità che sia degna di
essere tutelata e difesa se non coincide con la giustizia sociale negata dal
capitalismo” (3)
Come ho avuto occasione di dire altrove, trovo rivoluzionario questo pensiero di Marino.
Infatti, solo una RIVOLUZIONE socialista, realizzando la giustizia sociale, può sconfiggere la mafia.
Giuseppina Ficarra
(1) http://www.facebook.com/note.php?saved&¬e_id=10150096498229605
(2) Luigi Maria Lombardi Satriani Antropologia della Mafia Il Grillo 15/12/1997
http://www.spazioamico.it/Luigi_Maria_Lombardi_-_Satriani_Antropologia_della_mafia.htm
(3) Marino GLOBALMAFIA Un manifesto per un’internazionale antimafia
in: http://perlasicilia.blogspot.it/2011/02/giuseppe-carlo-marino-globalmafia.html
commenti a questa nota pubblicata su facebook il 14 aprile2011 (in una versione leggermente diversa)
https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150162618829605&comments
Lo Leggio Salvatore Non ho riflettuto sulla materia e quel che segue non è pensiero elaborato. Io penso che vada nettamente separata la storia della mafia e della sua "ideologia" da connotazioni etnico-geografiche. La mafia che Manzoni rappresenta nei promessi sposi, con i suoi diversi livelli, con i rapporti strettissimi con il potere economico e statale, con le protezioni e connivenze a tutti i livelli, non è Siciliana; ma benchè la si chiami braverìa assomiglia a tutte le mafie di tutto il mondo, dalla Cina al Kenia. La mafia ottiene consenso, rispetto e adesione, con la paura, la potenza e perfino con qualche regalìa, sicchè può essere perfino egemone in singoli luoghi e singoli momenti, specie quando il potere legittimo appare ottuso, arbitrario e straniero quanto e più della mafia. Ma da qui a parlare di egemonia culturale, ideologica sul popolo ne corre. Alla mafia il popolo si può anche rassegnare e perfino affidare come "male minore"; ma appunto "male", non bene. Se mai può essere vero il contrario, che i mafiosi, in quanto cresciuti e vissuti in un contesto culturale, assorbono loro e li deformano valori popolari, per giustificare sé stessi. Si può perfino trovare un mafioso che in buona fede crede di agire per la famiglia, l'amicizia e l'onore, ma questi valori vengono deviati e falsati.
Giuseppina Ficarra Caro Salvatore, condivido del tutto quello che dici.
Davide Castelli Giuseppina: la mafia é lo stato in connubio con la chiesa!
Giuseppina Ficarra Davide, questo lo so bene! La mia é una lotta contro lo stereotipo che vuole il popolo siciliano pervaso da cultura mafiosa. Una mafiosità inconsapevole di cui parlano Marino, Lo Verso, quindi, in teoria, una mafiiosità anche mia, anche tua. Scrive Sciarrone: "Se si assume il paradigma interpretativo culturalista, è facile che la spiegazione della diffusione mafiosa venga avanzata sulla base di una variante dell’ipotesi etnica". Ne parlo nell'ultima mia nota: "Globalmafia stimola il dibattito. Ulteriore commento alla nota Due tesi a confronto con dibattito pubblicata su facebook". Nota nella quale ti ho appena taggato
altri commenti su facebook:
Anita Silviano
E' talmente irreale (e mi appare fazioso) questo concetto antropologico che
vicende come quella di Peppino Impastato (ma non solamente) lo smentiscono
interamente.
Giuseppina Ficarra Marino ci avverte che l’esistenza di una “cultura mafiosa” non deve essere incautamente assunta come un dato antropologico da riferire ad una astratta “natura” dei siciliani in quanto siciliani. Il suo pensiero é che i siciliani hanno una cultura mafiosa per effetto di egemonia.
Fara Misuraca Io non ho letto il libro di Marino ma gli stralci che ne dai mi fanno capire abbastanza. Io credo comunque che non ci sia alcuna cultura mafiosa.. Il consenso diffuso, quello popolare, la mafia lo ottiene in due modi : la paura e la necessità di lavorare, anche in nero. A livello dei "colletti bianchi e maglioncini di cachemire" lo ottiene perché lo scopo principe della nostra società è fare soldi : molti e subito.
Gaetano Siciliano Ho letto un altro libro di Marino e devo leggere sicuramente la sua "Storia della mafia". Mi pare che di mafia si scriva tanto soprattutto per confermare la teoria antropologico-razzista sui siciliani: questa teoria viene continuamente diffusa nell'aria come arma batteriologica di guerra contro il popolo siciliano. Marino, invece, riconduce la violenza mafiosa al sistema di controllo sistematico del potere, guardacaso a partire dall'unificazione. Nel "prolungarsi di atti repressivi in un'operazione di lunga durata ed eventualmente molto estesa nello spazio, includendovi la percezione emotiva del terrore prodotto nelle vittime e della fredda crudeltà degli aguzzini". Io ci ritrovo la spiegazione dell'attuale incapacità di reagire.
Due tesi a confronto
nota pubblicata da Giuseppina Ficarra su facebook il giorno domenica 24 ottobre 2010 alle ore 7.01
http://www.facebook.com/giuseppina.ficarra#!/note.php?note_id=455045559604
1) Nella presentazione del libro La mafia dentro di Girolamo Lo Verso
leggiamo:
<<La mafia non è soltanto un fenomeno militare, capace di creare alleanze, di controllare il territorio e l'economia. È innanzitutto un fenomeno socio-psicologico, che è riuscito a far coincidere cultura, comunità, famiglia, individui. E per sconfiggerlo lo Stato deve riuscire a cambiare l'identità, la cultura e il tessuto psicologico di molte aree della Sicilia e non.>>
http://www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_Libro.asp?ID=5017&Tipo=Libro
2) Umberto Santino
<<Di indubbio interesse le analisi di psicanalisti e psicologi apparse negli ultimi anni, soprattutto per la sperimentazione di percorsi intrecciati tra discipline e pratiche diverse, ma purtroppo affette o da una sorta di "sindrome di Copernico" (pensare di avere scoperto la chiave della fenomenologia mafiosa) o pesantemente condizionate da stereotipi. Alla base degli studi degli psicanalisti [F. Di Forti 1971, 1982; S. Di Lorenzo 1996] è l'immagine di una comunità dominata dal parricidio e dalla Grande Madre, principio femminile dogmaticamente definito negativo, di fronte a un principio maschile dogmaticamente positivo (Jung dixit), mentre gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente, in cui il familismo amorale non consente lo svilupparsi del senso dello Stato, della , e i comportamenti controcorrente si limitano a pochi personaggi considerati alieni [F. Di Maria - G.Lavanco 1995; I. Fiore 1997; G. Lo Verso 1998; F. Di Maria 2005]. Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito [U. Santino 2000a].>>
http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3
Giuseppina Ficarra E' sottinteso che vi invito a scegliere tra le due tesi.....
24 ottobre 2010
Lo Leggio Salvatore Mah! Da giovanissimo Jimmy Lo Verso era di estrema destra: poi, trascinato dal maestro Canziani e dal giro degli psicologi cambiò idea. Ora leggo questa idea di uno Stato con la maiuscola che cambia identità, cultura, "tessuto psichico" (chissà com'è fatto) e mi viene il sospetto di una regressione "statolatrica". Naturalmente sto con Santino. Gli Stati (in genere espressione di un potere classista) allevano le mafie e se ne servono per opprimere: contro la mafia lotta di classe!
24 ottobre 2010 alle ore 7.52
Fara Misuraca Senza dubbio io sto con Santino.
Mi riesce difficile accettare la mafia come fenomeno socio-psicologico. Sono stanca di queste analisi che inchiodano i siciliani ad un modello "umano" differente e delinquente.
La mafia nasce per esercitare un potere baronale , quello del mero e misto imperio, nelle figure dei campieri e gabelloti che vessavano e sfruttavano , per conto del "barone" e con personale tornaconto, il popolo suddito. Continua la sua opera quando si istaura la dominazione sabauda, mediando tra il popolo rimasto servo e il nuovo Stato.
Che la endemica mancanza di lavoro e l'ignoranza abbiano favorito il reclutamento di manovalanza armata non significa che il fenomeno è socio-psicologico ma semplicemente sociale, mancando un reale aiuto alla popolazione e una reale difesa dalla delinquenza da parte delle istituzioni.
24 ottobre 2010 alle ore 16.24
Patrizia Zavattaro Sono nata e vivo a Milano, ho sposato però un siciliano che è a Milano da 36 anni. Non ho mai vissuto in Sicilia (solo brevi periodi di vacanza) ma frequento molti siciliani e non sono assolutamente d'accordo con Girolamo Lo Verso: mafiosi non si nasce ma si diventa e i mafiosi più pericolosi e spietati sono del nord.
24 ottobre 2010 alle ore 20.08
Gaetano Siciliano Condivido Giuseppina e Fara. Le interpretazioni psicologiche mi sembrano fuorvianti e spesso anche diffuse in malafede. Spesso nell'osservare e giudicare i fenomeni criminali non si tiene conto delle concomitanze storiche e dei meccanismi di potere che hanno importanza nel generarli e mantenerli.
Anche Pino Aprile mi sembra aver dato questa chiave di lettura quando descrive la costruzione della minorità dei meridionali (e a mio avviso è il più grande merito del suo successo, più che la ricostruzione dei fatti storici di cui già altri hanno parlato).
Cercare la mafia tra i comportamenti e il modo di essere di una persona equivale ad etichettarla, criminalizzarla come ha fatto Lombroso per motivi ideologici e come oggi sta facendo Sgarbi col museo della mafia di Salemi (ne sono pienamente convinto e lo sto denunciando dappertutto ma vedo che non se parla).
Tuttavia penso che gli individui non sono determinati dall'ambiente sociale in cui vivono al punto da non aver possibilità di riscattarsi.
24 ottobre 2010 alle ore 20.37 ·
Daniele Girone Io sto con Lo Verso, ahimè la risposta più giusta non è quasi mai quella che vorremmo. Le mafie nascono in determinati contesti sociali e per questo sono indissolubilmente legati al luogo di nascita, il brodo di coltura nel quale queste vengono concepite nascono e proliferano è un'insieme di cause e concause che prendono vita dalla società che gli da i natali. Basta vivere in Sicilia per rendersi conto di come la "mafiosità" spesso inconsapevole dei siciliani sia un qualcosa che fa parte della propria quotidianetà, una mafiosità concettuale che si esprime nella propria necessità di sopravvivenza con tutto quello che ne consegue. Bisogna anche dire che la realtà isolana non è quella del passato, i cambiamenti sociali, per loro natura estremamente lenti, sono in atto e non è escluso che quelle cause e concause che hanno dato vita alla mafia possano un giorno venir meno ma fino a quando i binomi povertà ignoranza, stato mafia, capitale potere, non verranno meno la mafia sarà e resterà il sub stato che gestisce il "regno delle due sicilie", Concludo parafrasando Falcone; la mafia è un prodotto umano e come tale ha avuto un inizio e avrà anche una fine.
25 ottobre 2010 alle ore 20.36
Giuseppe Carlo Marino Sul tema della mafia continua ad imperversare la confusione. E' vero che esiste la "mafiosità" ovvero la mentalità mafiosa, una mentalità diffusa di cui spesso sono vittime inconsapevoli anche i non mafiosi, persino alcuni che, in buona fede si ritengono antimafiosi. Ma non si comprenderà mai il fenomeno mafioso ritenendolo una mera conseguenza della "mafiosità", così come si rimarrà su una falsante pista interpretativa insistendo nel rappresentarselo - così come si sente dire - come un fenomeno di pura e semplice "criminalità organizzata". E', invece, il fenomeno mafioso, un fenomeno di potere. Quindi, in sé e per sé, un perverso fenomeno politico, di pervertimento della politica , in funzione di un sistema che "privatizza" la stessa politica asservendola ad un contesto ampio e capillare di interessi per il quale lo Stato e le leggi sono di volta in volta soltanto degli incomodi da rimuovere o degli "strumenti" da utilizzare a vantaggio, appunto, di tali spregiudicati e "privati" interessi. Con siffatte caratteristiche, il fenomeno mafioso costituisce e radica una sua "egemonia".Mostra tutto
26 ottobre 2010 alle ore 10.19 ·
Giuseppina Ficarra
Caro Giuseppe Carlo,
il tuo commento come sempre è ricco di riflessioni interessanti che io dividerei in tre punti.
1) esiste la mentalità mafiosa diffusa di cui spesso sono vittime inconsapevoli anche i non mafiosi
2) è depistante considerare il fenomeno mafioso una mera conseguenza della “mentalità mafiosa” o come un fenomeno di pura e semplice "criminalità organizzata"
3) E', invece, il fenomeno mafioso, un fenomeno di potere, ….. di pervertimento della politica, etc.
Il secondo e il terzo punto li condivido pienamente e li possiamo definire contrari a quella che io ho chiamato la tesi di Lo Verso:
“E per sconfiggerlo lo Stato deve riuscire a cambiare l'identità, la cultura e il tessuto psicologico di molte aree della Sicilia e non”.
In qualche modo neanche quella che io ho chiamato la tesi di Santino ti trova pienamente d’accordo. Condividi sicuramente l’affermazione di Santino: “senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe”.
Appare invece chiaro che non condividi il Santino che condanna (lo considera una sorta di lombrosismo psichico) il fatto di considerare la Sicilia affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente… Infatti tu dici ESISTE LA MENTALITÀ MAFIOSA DIFFUSA DI CUI SPESSO SONO VITTIME INCONSAPEVOLI ANCHE I NON MAFIOSI.
Su questo punto io condivido l’opinione espressa da Fara Misuraca
Mi piacerebbe approfondire quest’ultimo punto. Per esempio stabilire dei descrittori che possano definire con chiarezza cosa si intende per “mentalità mafiosa”, magari ci accorgeremmo che ci rientrano tipi che siciliani non sono, come ci fa osservare Patrizia Zavattaro
Il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano se volessimo poi affrontare l’argomento portato secondo me “erroneamente” a sostegno della tesi che vorrebbe essere la cultura mafiosa presente in buona parte del popolo siciliano, cioè l’assunto marxista che dice che <<la cultura diffusa in ogni popolo è quella della sua classe dominante, che esercita appunto una egemonia>>. Dico “erroneamente” perché i borghesi mafiosi (i “facinorosi della classe media” di Franchetti) fanno parte, si, della borghesia, classe dominante, ma si guardano bene, proprio perché é interesse della mafia rimanere “sommersa”, “silente”, dal mostrare codici culturali diversi da quelli accettati dalla classe borghese e di riflesso, per effetto di egemonia, dal popolo. Falcone si è trovato a processare e condannare uomini che erano stati suoi intimi amici. Conosco persone di indubbio rigore morale che per anni sono stati in buona frequentazione con persone che poi sono state condannate come mafiosi.
Giuseppina Ficarra Caro Daniele: Intanto nella presentazione del libro di Lo Verso é detto che lo Stato se vuole sconfiggere la mafia deve riuscire a cambiare l'identità, la cultura e il tessuto psicologico. Invece tu giustamente tra le cause che danno vita alla mafia ci metti il rapporto stato mafia, capitale potere e quindi é questo rapporto che bisogna recidere.
Tu dici "Basta vivere in Sicilia per rendersi conto di come la "mafiosità" spesso inconsapevole dei siciliani sia un qualcosa che fa parte della propria quotidianetà, una mafiosità concettuale che si esprime nella propria necessità di sopravvivenza con tutto quello che ne consegue."
Come dicevo a Marino mi piacerebbe che provassimo a descrivere che cosa é la "mentalità mafiosa", la "mafiosità" spesso inconsapevole dei siciliani. Nessuno me l'ha mai detto.
Comincio io:
1) cercare sempre la raccomandazione,
2) pretendere di avere la precedenza in tutto,
3) scegliere gli amici tenendo conto del loro stato sociale,
4) non avere scrupoli a tradire una amicizia per un interesse economico.
5) pensare che a fare affari poco puliti non ci sia niente di male, lo fanno tutti.
6) pensare che non sia poi così grave venire meno ai propri principi, bisogna "campare"
Come vedi io non sono brava, non riesco a trovare descrittori di una mafiosità siciliana, infatti i sei punti che ho indicato descrivono una "mentalità" che può essere attribuita a chiunque.
Chi vuole continuare?
Naturalmente non stiamo parlando di mafiosi, stiamo parlando di siciliani che non sono mafiosi ma affetti da inconsapevole mafiosità, di "mafiosità" presente anche, come dice il Prof. Marino, in alcuni che, in buona fede si ritengono antimafiosi.
Conto sul vostro aiuto!!!
Gianni Morando Meno male che esisti, cara Giuseppina!!!
27 ottobre 2010 alle ore 12.05 ·
Giuseppina Ficarra e meno male che ci sei tu che me lo dici e così dicendo mi allunghi la vita...
27 ottobre 2010
Globalmafia stimola il dibattito.
Ulteriore commento alla nota Due tesi a confronto con dibattito pubblicata su face book
Questa mattina, rivedendo la mia nota pubblicata su fb qualche mese fa "Due tesi a confronto" ho aggiunto questo commento:
"Caro Giuseppe Carlo Marino, rivedendo questa nota a distanza di mese, tempo durante il quale mi rodeva dentro il tarlo della mafiosità inconsapevole dei siciliani di cui tu parli, quindi, in teoria, anche mia, anche tua, anche di Fara etc., e poiché io, come tu dici a pag. 17 di "Globalmafia" appartengo ai siciliani che "vivono in profondità l'angoscia", soprattuto, almeno da parte mia, per queste affermazioni, ho avuto un flash e mi sono ricordata del sociologo Rocco Sciarrone da te pure citato nella tua ultima lodevole fatica, Globalmafia, anzi sei stato proprio tu a farmelo ricordare.
Secondo il sociologo considerando la mafia innanzitutto una mentalità, una cultura, la sua diffusione può essere rappresentata attraverso la dinamica di un contagio di tipo culturale, di cui si farebbero portatori i meridionali. A questo punto perché non difendersi dal contagio con misure neorazziste? Scrive Sciarrone: "Se si assume il paradigma interpretativo culturalista, è facile che la spiegazione della diffusione mafiosa venga avanzata sulla base di una variante dell’ipotesi etnica.
Considerando la mafia innanzitutto una mentalità, la sua diffusione può essere rappresentata attraverso la dinamica del contagio, un contagio di tipo culturale, di cui si farebbero portatori i meridionali. Questa tesi viene espressa in diverse varianti e non manca chi tende a renderla più morbida, dicendosi pronto a riconoscere, per esempio, che non tutti i meridionali sono agenti infettivi. Tali affermazioni, però, hanno il più delle volte un significato che riconferma l’ipotesi etnica, poiché sembra che si riconosca ai meridionali la possibilità di essere semplici portatori sani della malattia."
Anche Luciano Pellicani ci mette in guardia dalle derive razziste di questa teoria della mafiosità come cultura diffusa anche se inconsapevole: "Accade così- dice Pellicani- che, in nome della propria identità culturale, una determinata collettività può rivendicare il diritto alla non contaminazione e, pertanto, può esigere che tutti coloro che sono portatori di atteggiamenti, valori e comportamenti “altri” siano tenuti a debita distanza […]. Il culturalismo offre una base teorica sufficiente per legittimare il rifiuto di convivere con i “diversi” (in: http://inoz.ilcannocchiale.it/post/1198085.html).
Ti assolve comunque un poco ai miei occhi, caro Marino la tua convinzione che "non si comprenderà mai il fenomeno mafioso ritenendolo una mera conseguenza della "mafiosità"". Non siamo proprio respomsabili noi poveri siciliani, così mi sembra di capire....Dell'effetto dell'egemonia di cui tu parli in Globalmafia ho parlato nella mia ultima nota su questo argomento: "Traendo spunto da GLOBALMAFIA del Prof. Giuseppe Carlo Marino prosegue il dibattito sulla cultura del popolo siciliano".
(1) (http://perlasicilia.blogspot.com/2011/01/caro-salvatore-partendo-dal-tuo.html)
(2) http://www.ilpuntodue.it/?q=node/1621
Commenti su facebook:
Bernardo Caputo Mi convince sempre più la teoria, evocata anche da Pino Aprile nel suo "Terroni" secondo la quale molti meridionali elaborano il disagio e il senso di colpa della propria condizione di antropologica?) inferiorità verso l'altro da sè - che nella fattispecie sarebbero i "nordici" , quindi "sopra" di noi, in tutte le esplicazioni dell'attività umana - cedendo alla sindrome di Stoccolma, per cui si fanno proprie le ragioni di chi ci domina. Sarà anche questa forma mentis alquanto diffusa e, (questa sì contagiosa ) tanto più, quando veicolata da cosiddetta intellettualità con intenti financo pedagogici verso tutti, e particolrmente insidiosa per settori sociali non avvezzi al senso critico, a diffondere l'autocommiserazione, la sfiucia e il fatalismo. Oggi, malgrado tutto, possiamo sperimentare, grazie ai nuovi media, l'avanzata delle ragioni del meridionalismo, la proliferazione di associazioni, movimenti e partiti nelle declinazioni più diverse, comunque una conoscenza della Storia non più funzionale agli apparati politico.economico-istituzionali che hanno retto le sorti delle nostre comunità con gli esiti che ancora una volta dobbiamo sopportare.
Parliamo di sicilianismo
Scrive Umberto Santino La storia della Sicilia non ha bisogno di
"sicilianismi"
(1) e passa subito a ricordare che
<<Fin dal suo atto di nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai
tempi dei processi per il delitto Notarbartolo (1893) e poi con il
separatismo nel secondo dopoguerra, il sicilianismo ha avuto una precisa
funzione. Quella di fare da collante ideologico, basato sulla difesa del
buon nome della Sicilia e sui "torti" che lo Stato le avrebbe fatto da
rimborsare con lo statuto speciale e moneta sonante, per assemblare un
blocco sociale.>> Si chiede Umberto
Santino, giustamente
attaccando Lombardo e i suoi seguaci:
<<A cosa mirano oggi Lombardo e i suoi seguaci, lanciando una
crociata contro l'Unità d'Italia e in particolare contro Garibaldi e
Cavour….?>>.
Le parole hanno una storia e quella del sicilianismo sta per difesa della
Sicilia finalizzata ad ottenere benefici. Sicilianismo che si colora di
mafiosità come nel caso del delitto Notarbartolo quando chi usa la difesa
della Sicilia, anche con argomenti validi, lo fa in modo strumentale per
depistare l’attenzione dalla mafia, magari per attribuire l’esistenza di
questa alle malelingue, a chi ci vuole male! Se n’è occupato Umberto Santino
in vari testi, come la Storia del movimento antimafia, Dalla mafia alle
mafie e la Breve storia della mafia e dell'antimafia.
Ma come ci dice Vaiana (in Didattica per un'educazione antimafia in
perlasicilia.it)
<<Sulle origini e sul valore del sicilianismo non c’è fra gli
studiosi unità di interpretazione>>. Con
l’avvento del Regno d’Italia, ci dice sempre Vaiana (op. cit.),
<<l’ideologia sicilianista si trasforma in sicilianismo, cioè in difesa tout
court dell’onore dei siciliani offeso dai nuovi dominatori romani (reazioni
antigovernative per i metodi di lotta al brigantaggio, reazioni per gli
esiti dell’inchiesta di Franchetti e Sonnino).>>
In questo senso il sicilianismo non ha una connotazione negativa,
connotazione che assume, come abbiamo visto, quando è usato strumentalmente
per ottenere benefici, o peggio ancora per difendere un mafioso (Il
Palizzolo).
E’ vero che le parole hanno una storia, ma niente ci vieta di coniarne delle
nuove, o di introdurre delle distinzioni di significato, come per esempio
tra sicilianismo tout–court, nel senso di difesa della Sicilia dai torti
subiti o dal razzismo antimeridionale e sicilianismo di stampo mafioso o
reazionario, e ancora di non tenere conto di luoghi comuni o stereotipi. La
lingua è viva, finché la parliamo.
Sana difesa della Sicilia è quella di Umberto Santino quando dice:
<<Comunque su uno dei personaggi di cui si è parlato in questi giorni, una
"modesta proposta" l'avrei anch'io. Penso a Franceso Crispi e in particolare
al monumento dedicatogli in una piazza di Palermo.>> E propone di porre una
lapide o altro che ricordi i massacri dei protagonisti dei Fasci siciliani,
ordinati da Crispi.
E sicilianista non mafiosa sarei anch’io nel momento in cui facessi la
proposta di cancellare la targa della via intitolata a Nino Bixio a Palermo
e non solo a Palermo!! Se poi non piace l’espressione
sicilianista non mafioso/a considerateci semplicemente siciliani adulti che parlano della Sicilia difendendola quando occorre, senza timore di essere considerati, con disprezzo, sicilianisti. E, credetemi, a volte non è facile!
Per quanto riguarda Garibaldi è sicuramente superfluo ricordare, ma mi piace
farlo, quanto egli stesso, amareggiato per il comportamento dei Piemontesi
in Sicilia e nell'ex regno borbonico, spogliato di tutte le sue ricchezze,
ebbe a scrivere
nel 1868: <<Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.>>
Lo storico Massimo Gangi, come ci ricorda
sempre Vaiana (op. cit.) pur respingendo fermamente il sicilianismo
reazionario critica fermamente l’«anti-sicilianismo».
Ma vediamo qualche definizione:
Santi Correnti
il sicilianismo è una esagerazione retorica, perché è una esaltazione esasperata del nazionalismo isolano, molto simile al germanesimo esasperato dei tedeschi del "Deutschland ùber alles in der Welt", che vuole "la Germania sopra ogni cosa nel mondo".
Tullio De Mauro
http://www.demauroparavia.it/108105
si|ci|lia|nì|smo
s.m.
movimento politico e atteggiamento intellettuale che rivendica l’autonomia
culturale e politica della Sicilia rispetto alla restante Italia
Nella definizione di De Mauro il sicilianismo non ha una connotazione
negativa, e non si colloca storicamente. Cosa, questa, attribuire una data
alla nascita del sicilianismo, che invece fa Umberto Santino nel suo
articolo: <<Fin dal suo atto di nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai
tempi dei processi per il delitto Notarbartolo (1893)…” e ci spiega
anche la funzione che ha avuto il sicilianismo:
“Quella di fare da collante ideologico, basato sulla difesa del
buon nome della Sicilia e sui "torti" che lo Stato le avrebbe fatto”. (Su questo condizionale non sono d’accordo perché fanno parte della
storia i torti subiti dalla Sicilia e lo stesso Santino, come abbiamo visto,
a questi torti reali e non fantomatici si riferisce quando parla del Crispi.)
Al carattere ideologico del sicilianismo fa riferimento anche Renda
nella sua definizione di sicilianismo: <<Il sicilianismo non era
di per sé ideologia mafiosa, ma si prestava ad essere utilizzato in chiave
ideologico mafiosa. Sotto il profilo ideologico, nella interpretazione
sicilianista della mafia si trovano accomunati campioni dell'antimafia come
Napoleone Colajanni, intellettuali di livello nazionale come Mosca, e
studiosi di segno sicilianista inconfondibile come Pitrè. Sotto il profilo
politico, lo schieramento era diverso. Colajanni, Mosca e Sturzo stavano da una parte, e Pitrè dall'altra>>.
(Francesco Renda Storia della mafia Sigma
edizioni 1997 Pag. 164 ).
E veniamo a Napoleone Colajanni: proprio nel contesto del processo
Notarbartolo fa una appassionata difesa della Sicilia. Era affetto da
“becero” sicilianismo? Era un mafioso? Certamente no! Vediamo cosa ci dice
la storia:
<<In effetti. il dibattito processuale che porta alla
incriminazione del Palizzolo si svolge in un clima che non si limita alla
valutazione di quanto avviene nell’aula, ma trascende in animosità che
riflettono ed esasperano le conflittualità esistenti fra Nord e Sud. Un
esempio che va oltre il segno è quello di Alfredo Oriani. In un articolo
titolato Le voci della fogna, apparso su Il Giorno dell’ 8 gennaio 1900,
scrive che “l’ isola è un paradiso abitato da demoni”, che “si rivela come
un cancro al piede dell’Italia, come una provincia nella quale né costume né
leggi civili sono possibili”. Napoleone Colajanni reagisce rimandando al
mittente “l’insulto sanguinoso”, giacché “nella fogna hanno diguazzato
allegramente e vi hanno portato un lurido e pestilenziale materiale i
Balabbio, i Venturi, i Venturini, i Codronchi, i Sacchi, i Cellario, i Mirri…
nati e cresciuti tutti al di la del Tronto” Il Colajanni coglie anche
l’occasione per rilevare e lamentare che “nella fogna ha voluto diguazzare
un poco la magistratura di Milano>>.(
Francesco Renda op. cit. Capitolo VI I processi
Notarbartolo pag.154).
Non dovrebbero esserci dubbi a questo punto che difendere la Sicilia
non significa tout - court essere “sicilianisti mafiosi”. Le visioni della
Sicilia e dell’Italia meridionale ai tempi del delitto Notarbartolo erano, a
dir poco, razziste! Ricordiamo per tutte quanto ebbe a dire il presidente
Lanza a Rattazzi: “Je ne vous demande qu’un faveur:
Muselez (mettete la museruola) le méridionaux.
Le danger pour l’Italie est dans le Sud”.
E il razzismo antimeridionale è più che mai vivo anche ai nostri giorni! Mi
riferisco agli attacchi continui che possiamo leggere sulla stampa, ma
anche, perché secondo me più perniciosa, a tutta quella letteratura
pseudo-psicologica, che fa risalire tutti i mali dell’isola alla nostra
<<cultura>>. Parlo dell’impostazione culturalista di tutti quei siciliani
che si sentono in dovere di attribuire al “carattere” dei siciliani tutti i
mali della nostra storia compresa la mafia. (Tra questi però non ho mai
trovato un magistrato!!!). Qualcuno ha detto: Il paradosso dei paradossi è
che hanno inculcato al Popolo Siciliano il pregiudizio razziale su se
stesso.
Non mancano infatti i Siciliani che potremmo definire antisicilianisti di
stampo culturalista, che amano riferirsi ad ogni pie’ sospinto
all’ideologia mafiosa, al sentire mafioso, alla cultura mafiosa del popolo
siciliano. Costoro amano anche citare quanti, uomini illustri, hanno parlato
male dei Siciliani o dei meridionali in genere, affinché questi non abbiano
mai a dimenticare di che mala carne sono fatti!! Amata la citazione del
messinese Scipione Di Castro della seconda metà del Cinquecento,
(epoca in cui certamente il concetto di razza era ben lungi dall’essere
superato!), il quale negli Avvertimenti a Marco Antonio Colonna quando andò
viceré in Sicilia traccia, fra l’altro, il carattere dei siciliani.
Questi, egli dice – <<generalmente sono più astuti che prudenti,
più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per
natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia
facile realizzare tutto quello che loro
dicono farebbero se fossero al posto dei governanti.>>
Ripeto a questo proposito, quanto ho avuto modo di dire in altre occasioni:
Attribuire alla “cultura di un popolo” comportamenti negativi è razzismo!
Infatti il razzista oggi, non potendo più fare riferimento alla razza,
concetto scientificamente superato, parla di cultura. Per costoro ecco
l’antidoto usato da Umberto Santino: “Raccontare la storia delle lotte
contro la mafia dall'ultimo decennio del XIX secolo ai nostri giorni”
questo, dice Santino, “ ci sembra il modo migliore per dare una risposta,
più convincente di mille polemiche, a tutte quelle visioni della Sicilia e
dell'Italia meridionale legate a schemi teorici tanto gratuiti, in tutto o
in parte, quanto fortunati.” (http://www.centroimpastato.it/publ/online/augusto_cultura_siciliana.php3).
A tutti i culturalisti, assieme ad Alessandra Dino, la quale sostiene che
l'approccio culturalista è sbagliato, privo di basi scientifiche e
controproducente sul piano del contrasto al fenomeno mafioso
(<<come si fa a sconfiggere una cultura?>>
), ha dato una risposta Salvatore Lupo quando dice: “Invece io
credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali ma
soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole
tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la
sua capacità di trovare consenso, di incutere terrore all’interno e
all’esterno.” (Salvatore Lupo Storia
della mafia Donzelli 2007 pag.168)
Giuseppina Ficarra
_________________________________________
(1) (E allora correggiamo l' epigrafe per Crispi Repubblica — 06 agosto
2008 pagina 16 sezione: PALERMO )
(*)Di stereotipi parla Umberto Santino quando dice <<Si
appaia allo stereotipo sicilianità-sicilitudine, lo stereotipo sicilianista,
una vera e propria ideologia
mafiosa o filomafiosa ................>>
(http://www.centroimpastato.it/publ/online/subcultura.php3)
A proposito di stereotipi, Salvatore Vaiana (op.cit.) assieme ad altri, studiosi della <<cultura>> siciliana, ci dice che << Il sicilianismo si alimenta di sub-valori, concetti, sentimenti che ne sostanziano la filosofia, sia quella del senso comune sia quella elaborata dell’intellighenzia: il silenzio («’A megghiu parola è chidda ca ‘un si dici»), ......, l'onore ........, la cavalleria ....etc.
A parte il fatto che il proverbio siciliano ha l'equivalente nel proverbio
toscano: "La parola è d’argento, il silenzio è d'oro", ecco quello che
scrive Salvatore Lupo per sfatare questo stereotipo: <<L’omertà, intesa
come ripulsa «morale» nei confronti del ricorso al sistema legale, ....
non è una guida per l’azione dei mafiosi>> e ci spiega diffusamente il
perché in Salvatore Lupo Storia della
mafia Donzelli 2007 pag.168
http://www.spazioamico.it/salvatore_lupo_storia_della_mafia.htm
commenti su
http://castrumracalmuto.blogspot.it/2012/10/parliamo-di-sicilianismo-di-giuseppina.html#comment-form
Anonimo13 ottobre 2012 16:49
Gentile Signora Ficarra, i Suoi interventi ci danno una preziosa lezione di
stile.
La profondità, l'accuratezza nel linguagio, la documentata espressione, la
semplicità nella profonda scrittura ci fanno riflettere su quali binari
bisognerebbe viaggiare per contribuire ad elevare il nostro comportamento e
affinare la nostra mentalità.
Commenti su facebook alla nota Parliamo di sicilianismo di Giuseppina Ficarra
Il testo è stato pubblicato sulla rivista il Puntodue (http://www.ilpuntodue.it/?q=node/282) e su Perlasicilia ……………………………… http://salvatorevaiana.blogspot.com/2009/11/parliamo-di-sicilianismo-di-giuseppina.html
Lo Leggio Salvatore Credo che sia
utile questa ricognizione, che chiaramente illustra come sia indispensabile,
prima di dar giudizi sul sicilianismo, mettersi d'accordo su che cosa il
termine intenda significare. I processi di globalizzazione ci mostrano come
...le mafie (cioè organizzazioni criminali con forti legami con il potere
politico ed economico) nascano e rinascano dappertutto, quando ne esistano
le condizioni: la parola (e la cosa) non hanno più un legame speciale con la
Sicilia. Si può invece dire, come dice bene Lupo, che la mafia siciliana
(come - scommetto - anche altre mafie) utilizzi motivi, anche positivi,
della cultura locale per stravolgerli e farne abuso.
Giuseppe Carlo Marino Cara Giuseppina e care amiche e cari amici,
sono io il "colpevole" di tutto: fui io a scopire e a definire l'Ideologia
sicilianista. Un mio vecchio libro, appunto intitolato "L'IDEOLOGIA
SICILIANISTA" (Flaccovio, editore, la III edizione a...ncora in commercio)
pose le basi critiche della questione e analizzò, per la prima volta in
assoluto, tale ideologia. Il libro ebbe successo nella comunità scientifica
(da Rosario Romeo e Giarrizzo in giù). Ma non è un libro facilissimo e
divulgativo, sicché lo conoscono soltanto gli studiosi più informati e
quelli più leali nel riconoscere il lavoro svolto da altri. Mi spiace molto
di essere quasi sempre sistematicamente ignorato. Il fatto è che sul mio
capo pendono le condanne e i conseguenti ostracismi proprio dei...sicilianisti!
Altro che se i scilianisti esistono! Ne ho per decenni e decenni sopportato
le sottili angherie, ne ho subìto la sostanziale "mafiosità culturale".
Loro, i sicilianisti, sono di solito dei veri e propri servitori dei potenti
di turno purché non siciliani e, in nome della Sicilia, per quanto attiene
al loro comportamento politico ricorrente, sono invero degli ascari.
Ovviamente, cara Giuseppina Ficarra, il tuo sicilianismo, se esiste, è fatto
di altra pasta e riesco a comprenderne le motivazioni, con molto rispetto.
Giuseppina Ficarra Caro Salvatore,
la mafia utilizza motivi della cultura locale non solo per stravolgerli e
farne abuso come scrivi tu, ma per tornaconto, cioé per farsi accettare.
Come dice Lombardi Satriani 1977 nell'intervista citata parzialmente da
Marino, (e che puoi leggere per intero qui:
http://www.spazioamico.it/dibattito_aperto_sulla_cultura_del_popolo_siciliano.htm
), “I valori che la mafia dice di avere sono quelli della dignità
individuale, dell'onore, del rispetto della "parola": una serie di valori
analoghi a quelli della cultura popolare. Il problema è che, mentre i valori
della cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di
autorealizzazione, i valori mafiosi sono "detti" per acquisire consenso, e
vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché servono per coprire il
comportamento violento.” Che poi é sostanzialmente il pensiero di Lupo. Ne
avevo parlato anche in una nota pubblicata qui su facebook e tu commentando
hai giustamente scritto: "Io penso che vada nettamente separata la storia
della mafia e della sua "ideologia" da connotazioni etnico-geografiche".
Purtroppo chi si lamenta di queste connotazione etnico-geografiche (tipo la
cultura mafiosa é presente in larga parte del popolo siciliano e simili
amenità) é tacciato di "sicilianismo" nell'accezione negativa del termine!!
Giuseppina Ficarra Caro Marino
cercherò di procurarmi "L'IDEOLOGIA SICILIANISTA". Come dicevo a Salvatore
anche a me é capitato di subire condanne, ma di senso contrario di quelle da
te subite, cioé da parte di antisicilianisti che vedono sicilianisti in
chiunque difende il popolo siciliano!
Antonietta de Santis ciao a tutti forse sbaglierò ma secondo me dove c'è capitalismo c'è mafia
Giuseppe Carlo Marino Antonietta
de Santis ha perfettamente ragione. Coglie a fondo la questione, soprattutto
nei termini nuovi che essa assume nel quadro dell'attuale "Globalmafia".
Lo Leggio Salvatore Credo che
questo legame tra crimine organizzato e capitalismo sia originario. Il
vecchio Marx non andava molto lontano dal vero quando sosteneva che
all'origine delle grandi fortune e dei capitali ingenti c'è quasi sempre il
crimine. Pensava all'accumulazione primitiva inglese nata dalla pirateria e
dal commercio degli schiavi. Ma credo che anche oggi l'ipotesi abbia
conferme. Basta guardare alla storia di Berlusconi. O per capirne di più,
basta leggere il libro del prof.Marino.
L’Altra Sicilia
Discussione su facebook sul concetto di “altra sicilia” a seguito di un
articolo di Salvatore Vaiana: “Lotte contadine e repressione
agrario-mafiosa”.
Giuseppina Ficarra Caro Salvatore, giustamente ci ricordi che <<La storia del movimento contadino siciliano è comunque (….) la storia del più imponente e radicale movimento antimafia della storia unitaria>> Giuseppe Carlo Marino (Storia della mafia pag.27) scrive: “Nonostante le sconfortanti opinioni sulla storia siciliana (…) niente sarebbe più errato che pensare ad un’isola sottomessa ad una realtà integralmente mafiosa e incapace di vitali cambiamenti”
Sempre Marino su Facebook scrive: << su questa storia del popolo siciliano filomafioso c'è una grande e infida confusione, manovrata da gente che non conosce la storia. Ne sto ampiamente scrivendo in un saggio sulla "Globalmafia" che vedrà la luce nel prossimo settembre con Bompiani. Mi piacerebbe che le mie argomentazioni, sulla base di analisi inoppugnabili, venissero conosciute e commentate.>>
(facebook 05 maggio).
Queste affermazioni che condivido in pieno contrastano con l’immagine di un
popolo siciliano succube della egemonia della borghesia mafiosa; da questa
addirittura facilmente pilotabile in rivolte “nei confronti degli
stranieri di volta in volta detentori della formale sovranità”.
Contrasta con quanti, molti, affermano che <<una parte consistente del popolo siciliano è portatore di questa cultura mafiosa>>. Non mi stancheò mai di ripetere che per me è razzismo attribuire "negatività" di qualsiasi genere ad una "parte consistente" di un popolo, di una città, di una borgata, indistintamente senza fare nomi e cognomi, o comunque precisi riferimenti a determinate persone fisiche.
Salvatore Vaiana Vorrei capire, per evitare equivoci interpretativi.
La Sicilia è una geograficamente, e questo è di per sé evidente. La storia
della Sicilia é una (la storia di ciò che è accaduto), ma non
l'interpretazioni dell'evento storico (perfino lo stesso storico dà
interpretazioni diverse in tempi diversi perché cambia la sua visione del
mondo e della storia, e poi cambia l'interpretazione alla luce di nuovi
documenti e riflessioni).
In questa difesa della Sicilia, non vorrei che i siciliani diventassero tutti gli stessi (la notte in cui tutte le vacche sono nere): mafiosi e vittime della mafia, servi e padroni e così via. Quando il prof. Marino, in "L'opposizione mafiosa", parla dell'«altra Sicilia» si riferisce alla Sicilia dei lavoratori, dei primi socialisti che lottano per l'affermazione dei propri diritti, ad esempio il diritto alla terra.
Tu, Giuseppina Ficarra, ad esempio, fai parte dell'altra Sicilia: quella del movimento antimafia, dei diritti dei lavoratori ecc. ecc.
Giuseppe Carlo Marino Bravo, caro Salvatore, sono pienamente d'accordo e non solo in virtù della gentile e appropriata citazione, dato che sono io il principale responsabile della dizione "altra Sicilia" di cui qui si discute. Da anni parlo di "altra Sicilia", perché indubbiamente esiste una certa Sicilia che non ci piace affatto, che soffoca, infanga, tradisce e violenta la nostra amata Sicilia dei lavoratori in lotta per i diritti e per la giustizia, nonché la Sicilia della grande cultura, dell'impareggiabile creatività del nostro popolo. Oggi non ci piace la Sicilia dei Cintola e dei molti politicantucci sistematicamente sorretti e votati da un magma clientelare-plebeo che sarebbe molto azzardato, e molto offensivo, appunto per l'"altra Sicilia", chiamare "popolo" . In passato, non piaceva affatto, alle persone che avevano avuto la buona sorta di pensarla come noi, la Sicilia dei "baroni" che si trascinava dietro, talvolta soltanto per qualche briciola di pane, i suoi oppressi e i suoi clienti.
Giuseppina Ficarra Niente in contrario a che tu, Salvatore, o
Giuseppe Carlo Marino a cui, apprendo, appartiene l’espressione “L’altra
Sicilia” (sono una neofita, in un certo senso, di Marino) o altri usino
questa categoria astratta di “altra Sicilia”, ma vi chiedo se è un concetto
che vi serve anche quando vi riferite ad altre realtà. …Siete portati a
pensare ad una Italia e all’altra Italia, ad una Lombardia e ad un’altra
Lombardia, ad una Romania e all’altra Romania e così via dicendo? Se è
così nulla da eccepire. E’ un modo per sottolineare che nel mondo c’é il
bene e c’è il male, ci sono gli sfruttati e gli sfruttatori, ci sono i
mafiosi e chi muore nella lotta contro la mafia, c’è tangentopoli, chi fa
affari con la mafia, chi ruba, chi stupra, chi si adopera con ogni mezzo per
ridurre i lavoratori a schiavi e chi lotta “per i diritti e per la
giustizia”.
….Ciò
non toglie che a me proprio non piace. E’ come dire che io non mi posso
presentare semplicemente come siciliana, dovrei subito chiarire che
appartengo all’altra Sicilia, cioè che non sono mafiosa, né filo-mafiosa.
Non è giusto che, sol perché siciliana, io abbia l’onere della “prova di
onestà”, cosa che non ha il lombardo, il rumeno, il catalano. (Vi siete
chiesto perché mi è tanto piaciuto il capitolo “Diventare meridionali” anche
se non è stato scritto
da un compagno?).
Caro Salvatore, mi fa
piacere che tu mi dica che io appartengo all’altra Sicilia, ma non è la
stessa cosa se mi dici che sei sicuro che sono una compagna, una persona
perbene, etc. e “soltanto” se sentissi il bisogno di farmi un complimento o
se le circostanze lo richiedessero? Ad amici non siciliani tu diresti:
sono sicuro che appartieni all’altra Emilia, all’altro Abruzzo, all’altra
Francia? Sono sicuro che non sei ladro, mafioso, pedofilo…?
Infine, caro Salvatore, tu dici: “In questa difesa della Sicilia, non vorrei che i siciliani diventassero tutti gli stessi..”.
Io non ho mai fatto una difesa della Sicilia tout-court. La faccio più o meno come la fai tu, come la fa Marino, e cioè all’occorrenza. Che occorrenza? “L’onere della prova dell’onestà”, cioè quando riteniamo di dovere difendere la Sicilia da quanti pensano che Sicilia uguale mafia.
Io difendo la Sicilia contro coloro che sostengono che <<una parte consistente del popolo siciliano é succube dell'egemonia della cultura mafiosa.>>.
Come ho detto nel commento precedente e non temo di ripetermi, sono fermamente convinta che non si possono attribuire "negatività" di alcun genere indistintamente ad una "parte consistente" di un popolo, e neanche di una città e neanche di una borgata. Bisogna fare nomi e cognomi, in ogni caso riferirsi a persone fisiche, altrimenti é razzismo.
E io come siciliana, il razzismo sulla mia pelle l’ho sentito!
http://www.facebook.com/home.php#!/pietro.ancona?v=wall&story_fbid=125435450827827
Palizzolo Cuffaro e il Comitato pro-Sicilia
http://perlasicilia.blogspot.com/2011/01/salvatore-vaiana-riflessioni-sul.html
Nessun Comitato-pro Sicilia si è costituito
in difesa di Cuffaro. Qualcosa è cambiato? Non credo. Il parallelismo
Palizzolo Cuffaro regge anche sotto questo aspetto. All’epoca del processo
al Palizzolo il comitato Pro-Sicilia, lo dice lo stesso nome, cavalcato dai
difensori di Palizzolo, viene in verità costituito in difesa della
Sicilia. Il processo al Palizzolo infatti era diventato un processo ai
siciliani attorno ai quali si disse a quel tempo “quel che Lombroso o
Niceforo nei loro libri non osarono mai scrivere”.
Intanto osserviamo che diverso è il clima in cui si svolgono i due processi.
Scrive Francesco Renda: <<In
effetti. il dibattito processuale che porta alla incriminazione del
Palizzolo si svolge in un clima che non si limita alla valutazione di quanto
avviene nell’aula, ma trascende in animosità che riflettono ed esasperano le
conflittualità esistenti fra Nord e Sud. Un esempio che va oltre il segno è
quello di Alfredo Oriani. In un articolo titolato Le voci della fogna,
apparso su I! Giorno dell’ 8 gennaio 1900, scrive che “l’ isola è un
paradiso abitato da demoni”, che “si rivela come un cancro al piede
dell’Italia, come una provincia nella quale né costume né leggi civili sono
possibili”. Napoleone Colajanni reagisce rimandando al mittente “l’insulto
sanguinoso”, giacché “nella fogna hanno diguazzato allegramente e vi hanno
portato un lurido e pestilenziale materiale i Balabbio, i Venturi, i
Venturini, i Codronchi, i Sacchi, i Cellario, i Mirri… nati e cresciuti
tutti al di la del Tronto” Il Colajanni coglie anche l’occasione per
rilevare e lamentare che “nella fogna ha voluto diguazzare un poco la
magistratura di Milano”. Verso la stessa magistratura meneghina non manca
neppure una qualche legittima censura anche sul piano strettamente
processuale. Il procuratore generale di Palermo protesta col Guardasigilli
per lo spazio che il tribunale milanese dà “all’ignobile e nauseabondo
spettacolo di una …privata vendetta”. E ineffabilmente il procuratore
generale milanese si giustifica con lo stesso Guardasigilli, argomentando
che su certi episodi il giudizio va demandato “alla pubblica opinione, la
quale spesso non falla e distribuisce a chi spetta. secondo giustizia, la
lode e il biasimo”. (Francesco Renda Storia della mafia
Sigma 1997 Capitolo VI I processi Notarbartolo pag.154)
>>.
Da questo clima, come sopra detto, nasce il Comitatopro-Sicilia
Oggi il processo e la condanna di Cuffaro non ha mai trasceso in manifestazioni di animosità Nord-Sud anche perché il Paese è in ben altre faccende affaccendato. E di conseguenza nessun Comitato pro-Sicilia a conferma che non sorgono in Sicilia pubblici comitati in difesa di mafiosi o collusi con la mafia. Ci aveva tentato Casini a salvare Cuffaro nominandolo senatore!
E a proposito di parallelismo Palizzolo Cuffaro ricordiamo che manifestazioni contro Palizzolo si ebbero allora come oggi contro Cuffaro.
Renda: <<“….. infine, il partito antipalizzoliano, (che) a Palermo può finalmente rialzare la testa, e sotto la guida di un comitato diretto dai principi di Camporeale e di Trabia, ma del quale molto significativamente sono partecipi anche i socialisti, promuove una grande manifestazione antimafia. la prima forse della storia. simile a quelle che poi saranno promosse negli anni ‘80 e ‘90. Al corteo che percorre Corso Vittorio Emanuele e via Maqueda. “per onorare la memoria di Emanuele Notarbartolo in senso di affermazione dei principi di moralità e di giustizia, e di protesta contro gli autori dell’esacrato delitto”, ma anche per promuovere “una sottoscrizione per un busto in marmo da collocarsi nell’atrio del Banco di Sicilia e per sostenere le spese del processo’. perché il popolo siciliano vuole contribuire direttamente alla scoperta e alla condanna dei rei”, partecipano più di 30 mila persone, 10 mila secondo la polizia. Renda op. cit.)>>
Oggi si vedano le manifestazioni di giubilo dei palermitani a piazza Politeama per le dimissioni di Cuffaro nel 2008 ("Cuffaro Dimettiti": Siciliani in piazza il 19 gennaio 2008
http://www.youtube.com/watch?v=p6frSW2IjUY&feature=related
Cuffaro si dimette: Siciliani in strada festeggiano
http://www.youtube.com/watch?v=htEanBvi9Fo&feature=related).
Giuseppina Ficarra
Vedi dibattito su http://perlasicilia.blogspot.com/2011/01/salvatore-vaiana-riflessioni-sul.html
Mio commento al blog salvatore-vaiana-riflessioni-sul.html :
"Il brano citato del Prof Giuseppe Carlo Marino chiarisce bene la collusione mafia-politica senza la quale, come di recente si é espresso Roberto Scarpinato, "questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da più di un secolo". Che é anche il pensiero di Antonio Ingroia che si chiede con amarezza "C’è un’incompatibilità sistemica dello strumento penale, dell’intervento penale sul terreno delle contiguità mafiose?" (in in Mafia e potere a cura di Livio Pepino e Marco Nebiolo EGA) La condanna di Cuffaro ci fa ben sperare, a meno che Cuffaro non sia da considerare un pesce piccolo! Ritornando a Marino ho solo qualche dubbio sul coinvolgimento "clamoroso" della plebe come viene chiamato il povero popolo siciliano, quello che contemporameamente dava vita al grandioso movimento dei Fasci siciliani! "
_____________________
Da aggiungere a chiarimento della discussione che non bisogna dimenticare che nel dibattito che animò la Sicilia a proposito del processo al Palizzolo stavano da un lato la parte democratica radicale e socialista e dall'altr...o la parte liberal moderata e conservatrice. Significativa a proposito la dichiarazione dell’on. Angelo Maiorana, che sarebbe stato di li a poco ministro delle finanze del governo Giolitti. "Il movimento di opinione pubblica che, dopo il verdetto di Bologna, si è determinato in Sicilia, è uno dei più profondi e coscienti che da lunga pezza siensi manifestati nell’isola nostra Non giova dissimularsene né l’estensione né la intensità. Errano molti per ignoranza, taluno per malafede, quei giornali dell’Alta Italia che l’attribuiscono alla riscossa della mafia. Così dicendo, mostrano di disconoscere le più essenziali condizioni dello spirito pubblico siciliano e contribuiscono ad inasprire un dissidio che purtroppo ripete assai complesse e diverse cagioni. E vero: altra cosa è Palizzolo, altra cosa è la Sicilia. Ma che perciò? Il fatto Palizzolo non è che l’indice o l’occasione o la goccia del vaso, per usare la frase volgare; ma la questione è molto più alta e complessa. Negarla vuol dire aggravarla; falsarla. significa invelenirla”.
Per chi volesse approfondire tutta la problematica attorno al prosesso Palizzolo che da fatto giudiziario ben presto si trasformò in fatto politico rimando alle pagine di Renda: http://www.spazioamico.it/Rend
a_I_processi_Notarbartolo.htm
Parliamo di familismo amorale Giuseppina Ficarra
pubblicato nel blog di Salvatore Vaiana
http://perlasicilia.blogspot.it/2014/04/giuseppina-ficarra-parliamo-di.html
Bossi junior al Pirellone. Renzo Bossi è il "primo eletto della Lega" in provincia di Brescia. Lo ha annunciato il padre Umberto Bossi parlando con i giornalisti nella sede del Carroccio in via Bellerio. Alla domanda se il figlio poteva essere il suo delfino, in passato, Bossi aveva replicato: "Non vedete che è una trota?". Ora il ministro delle Riforme, soddisfatto per il successo elettorale della Lega, ma anche per quello personale del figlio, ha commentato: "Renzo è bravo e mi dà una mano, corre da tutte le parti e viene a tutti i comizi. Forse ha trovato la sua strada".(da La Repubblica 30.3.2010).
Nessuna meraviglia: l'Italia non è la Repubblica dei raccomandati? Come ebbe a dire Filippo Ceccarelli in un articolo apparso su Repubblica il 16.11.2007 lo è (raccomandato) un italiano su due. << E' incredibile - scriveva il giornalista - come l'Italia sia condannata incessantemente a cambiare per rimanere sempre più uguale a se stessa. Il mercato del lavoro, per dire: dopo la riforma del collocamento, dopo il culto della flessibilità, dopo la nascita delle agenzie interinali, dopo le controversie sulla legge Biagi, ecco che da una ricerca dell'Isfol viene fuori che il 40 per cento della gente ha trovato un posto grazie a parenti, conoscenti o potenti>>
L’occasione è buona per parlare di familismo e precisamente di familismo amorale.
Questo fino a non molto tempo fa era considerato un marchio prettamente meridionale e per molti lo è ancora.
Ma che di stereotipo si tratta lo hanno affermato gli storici Umberto Santino e Salvatore Lupo, il sociologo Giovanni Lo Monaco, la sociologa Alessandra Dino e altri.
Umberto Santino in Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi considera il familismo amorale uno degli stereotipi più longevi!. Così scrive Santino <<Mi riferisco in particolare a uno degli stereotipi più longevi, come il "familismo amorale", la tesi dell'antropologo Edward Banfield [1958] che, sulla base di una ricerca molto poco scientifica, ha individuato nell'ethos della famiglia ristretta la chiave di volta del sottosviluppo meridionale. Così tutto il Mezzogiorno, che è stato ed è una realtà ben più complessa, è diventato una grande Montegrano, il paesino lucano scenario della
ricerca di Banfield.>> (http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3)
Il sociologo Giovanni
Lo Monaco ci informa che in una ricerca realizzata nel 2007 presso la
Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo a supporto della propria tesi
di laurea (relatrice, prof.ssa Alessandra Dino) dal titolo La cultura
mafiosa e il sistema valoriale degli adolescenti a Palermo, è stato
analizzato il valore “famiglia”. Dai dati ottenuti messi a confronto
con le risultanze di altre ricerche, svolte, sia a livello nazionale
(rapporto IARD, 2002) che a livello locale (Sciarrone, 2005) é emerso che la
famiglia risulta importante per il 92% dei giovani palermitani, per il
90,3% dei giovani corleonesi e per l’85,3 % del resto dei giovani italiani.
(1)
In un interessante articolo apparso su Repubblica il 10/9/1999 Mezzogiorno di gloria torna il sud riabilitato Francesco Erbani si chiede <<non è vero che in altre regioni italiane - nelle Marche, in Veneto, in Emilia Romagna - il nucleo familiare è alla base di quella civilizzazione industriale fondata sulle piccole imprese che tanti apprezzamenti riscuote da noi e all' estero? E allora perché la famiglia è risorsa al Centro-Nord e ingombro al Sud?>> (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/09/10/mezzogiorno-di-gloria-torna-il-sud-riabilitato.html)
Ma chi contribuisce a demolire lo stereotipo del familismo amorale che
farebbe parte della “subcultura mafiosa” presente, a detta di alcuni, in
“parte non marginale” del popolo siciliano, è soprattutto Salvatore
Lupo Lupo, nella sua Storia della mafia Donzelli 2007 .
Racconta Lupo che al processo alla cosca dei
fratelli Amoroso nel 1870 avviene uno scambio di battute tra il Presidente e
l'imputato Carmelo Mendola dal quale hanno origine visioni distorte riguardo
la cultura, la "mentalità" dei siciliani, nonché lo stereotipo del familismo
amorale attribuito a detta cultura.
Presidente: Non facevate parte della mafia?
Imputato: Non so cosa significa
Il sociologo Henner Hess pose questo scambio di battute in epigrafe
al suo libro sulla mafia prefato da Leonardo Sciascia per sostenere la tesi
della mafia come figlia della cultura siciliana. Hess sostiene che
l'imputato non sa cosa sia la mafia perché chi sta tutto
"dentro" una cultura regionale non può - proprio perché ci sta dentro -
averne consapevolezza!
Scrive Salvatore Lupo (op.cit.): <<Lo scambio di battute
apparirà rivelatore a Hess che lo porrà in epigrafe al suo libro, a Sciascia
che più volte lo richiamerà: il mafioso non saprebbe effettivamente cosa la
mafia sia, rappresentando la legalità per i siciliani un concetto astratto,
portato di uno Stato del tutto estraneo, ed essendo quello che noi chiamiamo
mafioso l’unico possibile modello di comportamento in questa società. [....]
Hess ha interpretato una fonte tremendamente intenzionale qual è quella
giudiziaria come se essa potesse rispecchiare la cultura «dei siciliani»,
non venendogli in mente che i siciliani possano dire, o non dire, a seconda
delle convenienze: convenienze politico-ideologiche (o di altro genere?) per
Pitré, disperato tentativo di salvarsi per i protagonisti di un processo
destinato a concludersi con tante condanne a morte.>>
Lo storico ci fa poi notare come proprio da queste deposizioni degli
inquisiti del processo Amoroso siano state erroneamente derivate teorie
socio-antropologiche, ad esempio sul familismo dei meridionali.
Ci ricorda Lupo che l’imputato Caravello,
sempre al processo alla cosca dei fratelli Amoroso, alla domanda se i membri
della cosca siano suoi amici risponde che lui è amico solo di sua moglie e
dei suoi figli. L’imputato Emanuele Amoroso alla domanda se ha odi di
“partito” afferma: «Il mio partito sono mia moglie e i miei figli».
Sempre nel corso di questo processo quando i fratelli Amoroso vengono
accusati dallo zio Giuseppe Amoroso di avere assassinato il di lui figlio,
(loro cugino), l’imputato Emanuele Amoroso sfida lo zio a giurare sull’anima
del padre loro ascendente comune. Alla perplessità del Presidente su un
siffatto giuramento che non è quello previsto dalla legge, l’avvocato
difensore, Marinuzzi, insiste: «quello non va per il caso [...]
perché il volgo non vi crede». Il volgo
crederebbe di più ad un giuramento che richiama in causa il valore sacro
della famiglia.
Scrive Salvatore Lupo (op. cit.) << Per Hess questa sarebbe la riprova della distanza socio-culturale che separa lo Stato dai siciliani, della «lacuna tra socialità e morale statale» che genera il comportamento mafioso. A me invece pare si tratti di un’abile messa in scena di Marinuzzi, tendente a costruire davanti agli occhi dei giurati (e forse dello stesso teste) l’immagine dei suoi difesi come personaggi ingiustamente accusati, che credono nei medesimi valori familistici della gente comune e che quindi non possono essere i feroci assassini a sangue freddo di un loro stretto congiunto. Ma è chiaro che tale strumentalizzazione della cultura tradizionale può confondere le idee ad un sociologo tedesco solo attraverso una complessa mediazione colta, nella quale proprio Pitrè ha un ruolo centrale e che la cultura avvocatizia isolana contribuisce a diffondere.>>
Per concludere potremmo dire che da Hess ha origine quello che il
sociologo Giovanni Lo Monaco chiama uno stereotipo pernicioso e opprimente
come quello che identifica la cultura siciliana con quella mafiosa. Ci dice
Salvatore Lupo (op.cit.):
<<Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali (del popolo siciliano n.d.r.) ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso.>>
Il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano se volessimo affrontare infine l’argomento portato “erroneamente” a sostegno della tesi che vorrebbe essere la cultura mafiosa presente in buona parte del popolo siciliano, cioè l’assunto marxista che dice che <<la cultura diffusa in ogni popolo è quella della sua classe dominante>>. Dico “erroneamente” perché i borghesi mafiosi (i “facinorosi della classe media” di Franchetti) fanno parte, si, della borghesia, classe dominante, ma si guardano bene, proprio perché è interesse della mafia rimanere “sommersa”, “silente”, dal mostrare codici culturali diversi da quelli accettati dalla classe borghese e di riflesso dal popolo. Falcone si è trovato a processare e condannare uomini che erano stati suoi intimi amici. Conosco persone di indubbio rigore morale che per anni sono stati in buona frequentazione con persone che poi sono state condannate come mafiosi.
Giuseppina Ficarra
Note
(1) Nell'ambito della suddetta ricerca sono state concesse interviste da: D. Gozzo (magistrato) 11/10/06; A. Consiglio (magistrato) 11/10/06; P. Blandano (preside scolastico, già responsabile di Libera-Scuola) 13/10/06; M. V Randazzo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Pardo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Ingroia (magistrato) 26/10/06; N. Fasullo (direttore della rivista Segno) 26/10/06; S. Lupo (storico) 3 1/10/06; R. Borsellino (deputato all’Assemblea Regionale Siciliana) 03/11/06; R. Scarpinato (magistrato) 03/11/06; F. Di Maria (psicologo) 21/11/06.
Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe" Giuseppina Ficarra
pubblicato nella rivista
http://www.ilpuntodue.it/?q=node/295
Secondo una versione schematica e semplicistica del processo per il delitto Notarbartolo, la Corte d’assise di Bologna giudica colpevole il Palizzolo con sentenza del luglio 1902, condannandolo a 30 anni di reclusione. Ma, a seguito della pressione esercitata dal Comitato “Pro Sicilia” (*), la Corte di Cassazione, poco dopo, il 27 gennaio 1903, annulla la sentenza di Bologna per un “vizio di forma”, aprendo così la via all’assoluzione del Palizzolo
Questa versione, oltre ad ignorare il fatto storico di una grande manifestazione antimafia, la prima forse della storia, promossa dal partito antipalizzoliano (Renda in Storia della mafia pag.154, Umberto Santino antimafia civile e sociale), ed attribuire erroneamente al “sentire mafioso” dei Siciliani l’esito del processo, non tiene conto che nella vicenda del processo per il delitto Notarbartolo, durata 10 anni, sono da tenere in considerazione vari fattori di natura politica e la concomitanza con importanti eventi storici. (Come fa notare Renda op.cit.paf.150 “Quando si scopre il cadavere del Notarbartolo sul treno fra Termini e Trabia, gli ospedali di Palermo sono ancora pieni dei feriti di Caltavuturo…. Non passano che alcune settimane, e il movimento dei Fasci dei lavoratori dilaga impetuoso” e più avanti: “Tecnicamente, fra la denuncia contro i fasci accusati di mafia e la mancata denuncia contro il Palizzolo come mandante in assassinio non vi è alcun rapporto. Nella realtà, il legame è assai profondo. Intanto per le autorità. Il clima di tensione. che subito dopo l’assassinio del Notarbartolo si instaura a Palermo, è tale che politicamente ne nasce un turbinio di situazioni difficili da classificare per ordine di importanza, chiamando magistratura e polizia a indagare contemporaneamente sulla mafia «vera» che ha eseguito l’omicidio dell’ex direttore generale del Banco di Sicilia e sulla mafia «presunta» che dovrebbe mettere a ferro e fuoco la Sicilia.).
In “Il ritorno del Principe” di Saverio Lodato e
Roberto Scarpinato (pag.206), leggiamo:
“un eventuale condanna definitiva di Palizzolo era, dunque,
incompatibile con gli equilibri politici esistenti? Direi proprio
di si.” E ancora:
“L’assoluzione del Palizzolo non era un’eccezione, ma un caso paradigmatico
di quella che era la normalità” invece “ La consegna di mafiosi dell’ala
militare, (ilFontana, esecutore materiale del delitto) mediante
patteggiamento all’interno della classe dirigente con gli esponenti
dell’alta mafia è sempre rientrata, nelle tradizioni del sistema mafioso”.
(op. cit.pag.207)
Il presidente del Consiglio Depretis alcuni anni prima, nell’ottica di
questi equilibri politici, per mantenere un assetto di potere “che
ripartisce le potestà sovrane dello Stato tra borghesia industriale del Nord
e classe dirigente meridionale” (in
Il ritorno del Principe pag.202), aveva
rifiutato di emanare il decreto ministeriale necessario a dare esecuzione
all’articolo 7 della legge di pubblica sicurezza con il quale si disponeva
che per esercitare la funzione di guardia campestre occorreva avere la
fedina penale pulita. Una norma necessaria per contrastare la mafia………………………...
A questo proposito scrive Renda (op. cit. pag 125):
“Esisteva la legge , ma si faceva in modo che per legge non fosse
impedito che il mafioso fosse campiere, curatolo o guardiano”.
Caso emblematico del prevalere della logica degli equilibri politici era
stato anche quello del procuratore generale Tajani, del mandato di cattura
da lui fatto spiccare contro il questore Albanese e degli ostacoli e
mancato sostegno che gli furono opposti dalle autorità governative locali e
dallo stesso Ministero, delle sue dimissioni dalla magistratura in senso di
protesta. (vedi ai nostri giorni De Magistris, Forleo, etc!)
Diceva Sciascia: “Il potere non è nel Consiglio comunale di
Palermo. Il potere non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è sempre
altrove. …...”
In “Il ritorno del Principe” di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato
leggiamo: “Le imposture del potere non servono infatti solo a
legittimarlo ma anche a celare la sua oscenità. Il vero potere è sempre
“osceno”. Opera cioè nel fuori scena”.
Nel 2006 la voce della società civile siciliana riesce ad imporre nelle primarie la candidatura di Rita Borsellino. Ma la reazione dei vertici fu immediata e Rita fu lasciata priva di sostegno! (Il ritorno del Principe pag.23) Nel 2008 viene respinta a larghissima maggioranza la proposta di impedire che facciano parte della Commissione Parlamentare Antimafia soggetti inquisiti per mafia e di detta Commissione entrarono a fare parte soggetti condannati per fatti di corruzione con sentenza definitiva. (Il ritorno del Principe pag.48)
Non ci sono due Sicilie, non c’è nessun
“spartiacque”: condanna di Palizzolo, assoluzione di Palizzolo, repressione
dei fasci siciliani, “assoluzione” di Andreotti, Cuffaro senatore, vicenda
di Rita Borsellino e quant’altro. Prevale sempre il potere osceno!
Finora!
Leggo in una presentazione del libro Il
ritorno del Principe: La mafia oggi appare cancellata dalle priorità di
chi governa. I cittadini che ancora le si oppongono, le associazioni di
Addio Pizzo, Ammazzateci Tutti, la Confindustria Siciliana fino a quanto
potranno reggere la battaglia (contro il pizzo, contro la 'mdrangheta,
contro la mafia) se lasciati isolati?
La battaglia contro il Principe deve essere una rivoluzione civile che mette
assieme tutte le componenti dello stato: magistratura, polizia e politica.
Il Principe deve sentirsi isolato, escluso dalla società,
dal mondo istituzionale.
E' lui l'anomalia.
Amaro il finale del magistrato, nella lunga intervista con il giornalista:
"Se il meridione dovesse essere abbandonato al suo destino, le
mafie - quelle alte e quelle basse - avrebbero finalmente coronato l'antico
sogno di riaffermare la loro totale supremazia su quella parte del paese.
Verrebbe da dire: buona fortuna, Italia".
http://unoenessuno.blogspot.com/2008/07/il-ritorno-del-principe-di-saverio.html
Negare la specificità e la portata nazionale della mafia e coinvolgere
in essa solo la Sicilia e i Siciliani, nonché la loro storia e relative
mentalità e abitudini, (n.d.r il loro presunto “sentire mafioso”),
non consente di leggere e affrontare la realtà con l’intelligenza
necessaria. (Renda op. cit. pag.177)
(*)Per quanto riguarda il comitato «Pro-Sicilia», Salvatore Lupo in Storia
della mafia Donzelli 2007 a pag.156/157 scrive:
“Il «Pro-Sicilia» guadagnò forze e consensi ben oltre l’area palermitana, ma nel corso di questa espansione geografica il riferimento allo specifico del caso Palizzolo si fece più tenue mentre prevalevano temi modellati sugli argomenti nittiani di Nord e Sud, sulle polemiche liberiste a proposito del «mercato coloniale», sulle altre ragioni della protesta meridionale.”
A questo proposito Renda (op. cit.) ci dice che “il processo
al Palizzolo divenne un processo ai Siciliani, e se ne disse quel che
Lombroso o Niceforo nei loro libri non osarono mai scrivere.”
P.S.
Renda (op. cit. pag. 163) scrive: Il “Comitato pro Sicilia” non ebbe però gli sviluppi che i suoi promotori certamente si aspettavano. Sul piano organizzativo si estese in tutta l’isola, costituendo nelle varie province ben 60 sezioni e raccogliendo 200 mila adesioni. Sul piano politico il suo principale successo fu, invece, solo l’annullamento della condanna del Palizzolo".
Queste osservazioni di Renda sembrano avvalorare il pensiero di Lupo sopra riportato sul Comitato Pro Sicilia. Renda che a pag. 162 aveva chiamato il "Pro Sicilia" nuovo Partito, ci parla qui di sezioni e dice che si estese in tutta l'isola e noi sappiamo che la mafia non era estesa in tutta l'isola dove invece possiamo pensare che fervesse la protesta meridionale.. Ci fa intendete infine che non aveva il solo scopo dell’annullamento della condanna del Palizzolo.
Nella stessa pagina, immediatamente prima, Renda (op. cit. pag. 163), ci riporta la dichiarazione di Angelo Maiorana: <<Non meno significativa fu la dichiarazione dell’on. Angelo Maiorana, prossimo ministro delle finanze del governo Giolitti:
‘‘Il movimento di opinione pubblica che, dopo il verdetto di Bologna, si è determinato in Sicilia, è uno dei più profondi e coscienti che da lunga pezza siensi manifestati nell’isola nostra Non giova dissimularsene né l’estensione né la intensità. Errano molti per ignoranza, taluno per malafede, quei giornali dell’Alta Italia che l’attribuiscono alla riscossa della mafia. Così dicendo, mostrano di disconoscere le più essenziali condizioni dello spirito pubblico siciliano e contribuiscono ad inasprire un dissidio che purtroppo ripete assai complesse e diverse cagioni E vero: altra cosa è Palizzolo, altra cosa è la Sicilia. Ma che perciò? Il fatto Palizzolo non è che l’indice o l’occasione o la goccia del vaso, per usare la frase volgare; ma la questione è molto più alta e complessa. Negarla vuol dire aggravarla; falsarla. significa invelenirla”.>>
Per le pagine di Renda vedi Renda_I_processi_Notarbartolo
Io insegnante meridionale nel profondo Nord di Giuseppina Ficarra 29-08-2008
Chi ha elevato
il livello della scuola
del nord?
Caro direttore, ero emigrata a Pieve di Cadore, in provincia di Belluno,
dove mi era stata assegnata una cattedra di lettere alla scuola media. Come
tutti gli insegnanti avevo corretto e consegnato in presidenza il "mio"
primo pacco di compiti in classe di italiano. Una collega di Agordo già mi
aveva chiesto come mai "laggiu" (la terra è rotonda e non ci può essere un
giù e un su!) non ci mandano a scuola di dizione. Io allora ero molto timida
e con il complesso di inferiorità o "sicilianite", come direbbe Umberto
Santino, e non ho saputo rispondere che mi sarebbe veramente piaciuto andare
a scuola di dizione, ma per imparare a parlare con la cadenza catanese o
messinese, non certamente per parlare come lei che aveva una cantilena
eccessiva, proprio dialettale (chi è stato ad Agordo sicuramente mi può dare
ragione). Un bel giorno comincia a terrorizzarmi, lei che già insegnava da
alcuni anni e "sapeva come andavano le cose!": «Guarda che il Preside si
legge i compiti ad uno ad uno e non è mai contento di come li correggiamo e
del voto assegnato», mi diceva. Io ero veramente preoccupata, m'avesse
avvisato prima, l'agordina, avrei fatto le nottate su quei compiti da
correggere prima di consegnarli, per essere sicura di non fare una brutta
figura! Volle il caso che il Preside ci convocasse di lì a qualche giorno
assieme, noi due, e lei per strada continuava ad assillarmi: «Vedrai, non è
mai contento!». Il Preside, senza tanti preamboli si rivolse per prima a me
dicendomi che era molto soddisfatto di come avevo corretto i compiti, che
forse ero stata un tantino troppo esigente, nel senso che correggevo anche
le virgole. Era altresì molto soddisfatto del mio criterio di valutazione
che giudicò «molto obiettivo». Poi si rivolse alla mia collega e le disse:
«Signorina, lei dovrebbe adeguarsi al criterio di valutazione della
Professoressa Ficarra». Sono passati 50 lunghi anni e il ricordo è ancora
vivo! E oggi aggiungo che, visto che nel Nord da sempre insegnano molti
meridionali, questi contribuiscono a tenere alto il livello della scuola
della Padania! Non oso pensare come potrebbe abbassarsi il livello di questa
scuola del Nord se Bossi riuscisse a mandare via tutti gli insegnanti
meridionali: dovrebbe fare ricorso a insegnanti di fortuna del posto,
tirando fuori dalle fabbriche e mettendo in cattedra magari gente con solo
il diploma triennale!
Giuseppina Ficarra via e-mail
pubblicato su Liberazione del 29-08-2008 a pag.18:
http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=29/08/2008
Ancora io insegnante meridionale "Contro la Lega, sciopero politico della scuola"
----- Original Message -----
From: Giuseppina Ficarra
To: liberazione
Sent: Saturday, August 01, 2009 1:58 PM
Subject: Ho letto l’articolo pubblicato ieri su Liberazione "Contro la Lega,
sciopero politico della scuola"
Ho letto l’articolo pubblicato ieri su Liberazione
"Contro la Lega, sciopero politico della scuola"
e naturalmente non posso che condividerlo al cento per cento con il solo rammarico di non potere partecipare a questo sciopero perché ormai da tempo pensionata. Ma già negli anni ’50 come ebbi a scrivere in una lettera pubblicata su Liberazione proprio un anno fa dal titolo <<Io insegnante meridionale nel profondo Nord>> ebbi a sperimentare il razzismo nei confronti degli insegnanti provenienti dal sud. Allora mi si rimproverava di non essere andata a scuola di dizione, ma devo supporre, alla luce dei fatti odierni, non per avere una buona dizione, che quella per una insegnante è cosa utile, ma per parlare con la loro cadenza dialettale visto che a farmelo notare fu un’insegnante di Agordo che parlava con una cantilena veneta molto pronunciata. Oggi agli insegnanti si chiede di conoscere anche il dialetto oltre che a saperlo pronunciare bene!
Io allora percepii non solo un certo razzismo, ma come un'antipatia nei confronti dei siciliani e non era certamente complesso di persecuzione o mania la mia.
Anche il nostro grande Leonardo Sciascia ebbe a scrivere <<dell’antipatia che i siciliani godono in quanto siciliani>> prima parlando di Borgese (si veda articolo o sul Corriere della Sera, 2 settembre 1984 e inserito nel volume “A futura memoria” pag.85) e poi di Quasimodo, (ivi), ricordando l’ostilità con la quale l’Italia “letteraria” reagì all’assegnazione del Nobel al poeta siciliano e cioè “Come ad una offesa”! Il verso di Quasimodo “Uomo del Nord che mi vuoi / minimo o morto per tua pace..” è un grido mosso da motivi personali ma che possiamo leggere come universali, “come espressi da un’infelice comunità insidiata dall’egoismo di uomini materiali”. E sempre Sciascia in quell’articolo notava come invece la Spagna franchista si rallegrò, a differenza nostra che pur già eravamo Repubblica democratica fondata sul lavoro, del Nobel assegnato a Juan Ramon Jimenez fuoriuscito, in esilio.
Mi piace riportare testualmente le parole conclusive di Sciascia che ancora oggi suonano attualissime. <<Ora se questo accade, come accade, a livello di “civiltà perfezionata”, non c’è da meravigliarsi che tale antipatia, digradando e degradandosi in certe piaghe di stupidità collettiva, arrivi ad invocare l’Etna a che dia lava a seppellire intera la Sicilia con tutti i siciliani>>
Giuseppina Ficarra
Palermo
Cultura del popolo siciliano Riflessioni di Giuseppina Ficarra
Leggendo "Riflessioni e commenti su I Padrini di Giuseppe Carlo Marino" di Gabriella Portalone (http://www.isspe.it/Ago2002/portalone_g_.htm) sembrerebbe che il popolo siciliano non sia mai stato attore autonomo di rivolte, ma sia sempre stato strumento nelle mani dei baroni che ricattavano il potere centrale minacciando rivolte del popolo, aizzato da loro a ribellarsi al potere costituito nell'illusione di ottenere condizioni meno miserevoli di vita. Il popolo in verità non avrebbe una sua cultura.
Dice inoltre la Portalone, commentando il libro di Marino, <<Un popolo abituato all’anarchia e al dominio dei più forti, cioè alla prevaricazione e alla prepotenza, viene naturalmente abituato ad accettare supinamente la mentalità mafiosa, l’individualismo, il rifiuto di ogni tipo di sottomissione a poteri legittimi, la negazione dello Stato. Di conseguenza tutti i siciliani, per dirla come Gaetano Falzone, sono mafiosi,- è una questione di percentuale, - o come affermò dopo lunghi e dettagliati studi Franchetti, sono mafiosi per proliferazione genetica.>>
Nella presentazione del libro La Sicilia delle stragi Carlo Marino afferma: <<Questo volume dimostra almeno la credibilità della linea interpretativa che ho seguito ai fini di una valorizzazione della cultura siciliana come cultura “trafitta”, come cultura “crocifissa”, dalle classi dirigenti che si sono susseguite e che purtroppo hanno rappresentato il potere.>> Senza dubbio nel libro c'è veramente una valorizzazione della cultura del popolo siciliano, attore in primo piano di grandi lotte e rivolte.
A questo punto, crocifissione o meno della cultura, mi chiedo cosa veramente pensa Marino. Me lo chiedo anche perché, come ci dice Luigi Ficarra in "Dalla bolla di componenda....", lo storico Giuseppe Carlo Marino, si serve del concetto di egemonia di Gramsci, per dar ragione della presenza della cultura mafiosa in parte del popolo siciliano.Ma“erroneamente”, , come ho già detto altrove,perché i borghesi mafiosi (i “facinorosi della classe media” di Franchetti) fanno parte, si, della borghesia, classe dominante, ma si guardano bene, proprio perché é interesse della mafia rimanere “sommersa”, “silente”, dal mostrare codici culturali diversi da quelli accettati dalla classe borghese e di riflesso, per effetto di egemonia, dal popolo. Falcone si è trovato a processare e condannare uomini che erano stati suoi intimi amici. Conosco persone di indubbio rigore morale che per anni sono stati in buona frequentazione con persone che poi sono state condannate come mafiosi.
Se poi penso che Giuseppe Carlo Marino ha definito la sua Storia della mafia "ardimentosa", ritenendo necessario usare, oltre alle fonti classiche della ricerca storiografica, "metodi di ricerca di tipo indiziario", (http://www.centroimpastato.it/tesauro/biblio.htm) e poiché per me per via indiziaria non si dovrebbe condannare nessuno, tanto meno un popolo, mi chiedo se si è mai fatta una verifica concernente la “mentalità” del popolo siciliano che sia in qualche modo scientifica
La presenza della cultura mafiosa tra gli studenti, classe molto rappresentativa di tutti gli strati della popolazione, fin’ora non è stata confermata dalle ricerche fatte (Franco Di Maria e Falgares, Daniela Dioguardi in Liberazione 28-Gennaio-2006, La Torre a_sud_europa_anno-3_n-16) Non si tratta di ricerche rigorosamente scientifiche? Bene, ce ne sono altre che dimostrano il contrario? Non risulta neanche dall’esperienza pluridecennale di insegnamento mia, di colleghe mie molto affidabili, di Daniela Dioguardi con la quale ho avuto uno scambio di idee a proposito. Il sociologo Giovanni Lo Monaco (http://www.spazioamico.it/Giovanni_Lo_Monaco.htm) in una ricerca scientificamente seria (fa riferimento anche a ricerche effettuate in campo nazionale), pubblicata su Segno – mensile
Palermo – Anno XXXIII – N. 289+ - Settembre-Ottobre 2007, confuta molti luoghi comuni riguardo l’ipotetica cultura mafiosa del popolo siciliano.
Non mancano ricerche sicuramente attendibili su la "cultura", la "struttura mentale" del mafioso che è stato analizzato e studiato da medici e psicologi, proprio in quanto criminale mafioso. Ma questa è un’altra cosa.
Giuseppina Ficarrahttp://ilpuntodue.it/?q=node/1028
FALCONE E BORSELLINO 20 ANNI DOPO
Di Lello in un interessante articolo Perché la mafia non è stata sconfitta apparso sul Il Manifesto il 24.02.2012 (*)
ci offre un'interessante riflessione sull’'illusione della via giudiziaria alla sconfitta della mafia e ci propone una similitudine con un’altra illusione, la stagione di mani pulite cui non è seguita la sconfitta dell’illegallità ma addirittura un “peggioramento dello stato di corruzione politico-istituzionale”.
Anche se ci mette in guardia dal considerare inutili le due stagioni dell’antimafia e dell’anticorruzione, “se si è fatto allora, - dice -si può fare anche oggi”, il magistrato si chiede perché le mafie continuano ad espandersi in piena salute nel resto del Paese e di pari passo continua a dilagare la corruzione politica-istituzionale e le ruberie di stato.
E qui Di Lello gramscianamente ci spiega la causa di ciò con l’adesione "culturale" di larghi strati della nostra società ad un modello di “illiceità diffusa” offerto dalla classe dominante (“il potere berlusconiano”) “con pensieri, legislazione e opere”, modello accattivante – ci dice Di Lello – e trasversalmente imitato”.
La politica - infine dice Di Lello - ha esercitato un ruolo "pedagogico", un’egemonia culturale, potremmo aggiungere, devastante. Ha colpito le fasce più deboli ed emarginate della società e ha lasciato indisturbati i potenti “nei loro affari di mafia e corruzione”.
Il problema, conclude Di Lello torna ad essere quello di una immoralità politica che è refrattaria all'opinione pubblica e non riesce a trovare sanzione nelle leggi.
Il Prof. Giuseppe Carlo Marino allargando il
problema affrontato da Di Lello alla società internazionale, nella sua
ultima opera globalmafia scrive: “Si va formando una “società civile”
internazionale (nel senso gramsciano) nella quale un sostanziale metodo
“mafioso” dei potenti viene occultato da enfatici richiami alle libertà,
affermandone nel contempo – tramite un tanto ostentato quanto falsante
a-ideologismo trasmesso alle masse dei subalterni come messaggio di
concretezza e senso collettivo dei valori democratico-liberali –
un’ineluttabilità valutata come di per sé virtuosa, in coerenza con il
contestuale mito delle “virtù” attribuite al cosiddetto “libero mercato””.
Giuseppina Ficarra
(*) Perché la mafia non è stata sconfitta di Giuseppe Di Lello
Il manifesto : 24.02.2012
http://www.eddyburg.it/article/articleview/18611/0/418/
Giuseppina Ficarra
Caro Marino,
ho citato questo tuo brano di Globalmafia perché, in un certo senso, mi pare avvalori un pensiero che io da tempo vado svolgendo tra me e me e non solo.
Cioè io penso non si possa affermare che ci sia una cultura mafiosa “diffusa in larga parte del popolo siciliano” per effetto di “egemonia”, non perché contesti la teoria di Gramsci, ma perché quella che viene trasmessa nel popolo per effetto di egemonia non può essere, a mio avviso, una mafiosità occultata, come tu stesso affermi, dal perbenismo, da richiami enfatici alle libertà, alle “virtù” attribuite al cosiddetto “libero mercato””, proprio perché occultata. Ciò che viene trasmesso per effetto di egemonia è quello che non è occultato dalla classe dominante, anzi addirittura ostentato, e cioè, come dice Di Lello e sostanzialmente anche tu a giudicare del passo da me citato del tuo libro, il modello di “illiceità diffusa”, di illegalità, di berlusconismo, (leggi ad personam, enorme ricchezza ), etc., modello accattivante.
Giuseppina Ficarra
Caro Marino, è più facile sia stata trasmessa per effetto di
egemonia la "cultura" dei baroni e dei gabelloti. Ma oggi la mafia è non
solo sommersa, non solo occultata dal perbenismo, ma diffusa a livello
globale, GLOBALMAFIA, per cui mi sembra ormai direi quasi anacronistico far
risalire le cause della mancata sconfitta della mafia alla cultura mafiosa
presente in parte consistente del popolo siciliano. La mafia militare
certamente pesca consenso e manovalanza nella disoccupazione, nella miseria
e nell’ignoranza. E tu Marino giustamente parli di “giustizia sociale” da
realizzare se vogliamo veramente combattere la mafia.E questo, come ho avuto
modo di dirti già, è un concetto assolutamente nuovo e direi rivoluzionario:
La mafia sconfitta se ci sarà maggiore giustizia sociale!! D'altronde sei
statu tu ad affermare: "non si comprenderà mai il fenomeno mafioso
ritenendolo una mera conseguenza della "mafiosità". 29 febbraio 2012
Giuseppe Carlo Marino Certamente, come soleva dire J.P.Sartre, i lettori contribuiscono, con le loro colte letture (se e quando siano davvero registrabil come tali) ad integrare e persino a "rifare" i libri. Tu, Giuseppina, sei tra i miei colti lettori e ti ringrazio ogni volta per quanto ti viene da segnalarmi e da ricordarmi.
Giuseppina Ficarra Ti ringrazio per l'apprezzamento, caro Giuseppe. Sei veramente gentile. Per me questa questione è stata sempre di grande interesse.
LE DUE ITALIE DELLA MATURITA’
Giuseppina Ficarra·Sabato 27 agosto 2016
L’articolo di Gian Antonio Stella (*) come sospettavo è privo di qualunque fondamento. E da esperta di valutazione scolastica proverò brevemente a spiegare il perché. Quello che Stella vuole contestare è il fatto che <<I numeri pubblicati ieri raccontano di un Mezzogiorno che trabocca di giovani diplomati con 100 e lode, con la Puglia che gode di una quota di geni proporzionalmente tripla rispetto al Piemonte o al Veneto, quadrupla rispetto al Trentino, quintupla rispetto alla Lombardia.>>
E come fa? Si avvale delle prove
INVALSI, cioè della valutazione scientifica. Si proprio cosi, valutazione
oggettiva e quindi scientifica e perciò a maggior ragione credibile più di
quanto possa esserlo una valutazione soggettiva. Benissimo! E Stella cita il
rapporto Invalsi 2015 che dice: «Il quadro generale
delineato dai risultati delle rilevazioni, che non è particolarmente
preoccupante a livello di scuola primaria, cambia in
III SECONDARIA DI PRIMO GRADO,
assumendo le caratteristiche ben note anche dalle indagini internazionali
(...): il Nordovest e il Nordest conseguono risultati significativamente
superiori alla media nazionale, il Centro risultati intorno alla media e il
Sud e le Isole risultati al di sotto di essa». E si stupisce il
povero Stella che solo dopo due anni (terzo e quarto anno del superiore) le
cose cambiano e si e ci chiede: <<Allora,
come la mettiamo? Come possono i
monitoraggi nazionali e internazionali sui ragazzi
fino a quindici anni
segnalare nel Mezzogiorno una scuola in grave affanno e i
voti alla maturità
una scuola ricca di spropositate eccellenze?
>> La spiegazione è semplice.
Gli alunni che arrivano al quarto superiore hanno superato due serie prove
di valutazione: la prima quella della terza media e la seconda l’ammissione
al quarto superiore. Soprattutto all’ammissione al quarto superiore avviene
una fortissima selezione,e al sud, come testimonia il rapporto INVALSI del
2015 citato da Stella, i risultati sono molto al di sotto della media. Come
dicevo prima gli alunni che arrivano al quarto superiore e poi alla maturità
sono alunni che hanno superato una forte selezione. Fino al terzo superiore
la popolazione scolastica rispecchia il quadro socioeconomico di questo Sud
povero. A mano a mano che gli studi si fanno più difficili l’appartenenza ad
una determinata condizione sociale più che ad un’altra conta e come. I figli
di avvocati, ingegneri, professori, di gente benestante hanno maggiore
possibilità di farcela perché dispongono di un supporto culturale ed
economico (ripetizioni private) che altri non hanno. E sono in larga parte
questi ragazzi più fortunati assieme ad altri anche poveri ma superdotati (e
al sud proprio non ne mancano) che superano le forche caudine
dell’ammissione in IV secondaria.
Ebbene, questi ragazzi selezionati che ora frequentano la quarta e quinta
classe e giungono alla maturità diciamo che socialmente mostrano ora quadro
socioculturale simile a quello dei ragazzi del Nordovest e il Nordest!!!
MA CONSEGUONO RISULTATI MIGLIORI!!
Apriti cielo… questo è quello che il Nordovest e il Nordest LEGHISTI e il
FAZIOSO Stella non possono accettare!! E a questo punto si passa a
considerazioni vergognosamente offensive, leghiste appunto!! Ecco cosa
scrive Stella: Ecco cosa scrive Stella: <<
probabile la tesi che i professori del Sud, per una
sorta di solidarietà meridionale basata sul comune sentimento di
emarginazione e di abbandono, abbiano verso gli studenti la manica un po’
più larga>> Cioè Stella accusa i professori del sud di falso
ideologico. E mi risulta che estimatori di Stella, fedeli lettori del
Corriere, aggiungono anche l’accusa di sicilianismo!!! Incitano infatti i
siciliani “a non assumere una posizione culturale
subalterna e gridare all’antimeridionalismo, all’attacco del Nord contro il
Sud, non assumere cioè una sterile posizione vittimista.” E
invece proprio di becero antimeridionalismo leghista si tratta e non altro!!
Concordo pienamente con quanto scrive
in proposito Pietro Ancona e cioè che
“c'è una campagna in corso per denigrare e quindi
escludere da incarichi dirigenziali i meridionali che surclassano
regolarmente altri nei pubblici concorsi”. Non c'è dubbio, continua
Ancona, che “il livello culturale del Sud finora si è
sempre imposto laddove è più visibile: nella pubblica amministrazione. I
gradi altissimi ed alti della Magistratura, della Polizia, dei Carabinieri,
delle amministrazioni dello Stato sono in grande parte occupati
legittimamente da meridionali. Non è raro che Presidenti di Tribunali o
Provveditori alle Opere Pubbliche giunti alle loro cariche perchè vincitori
di concorso siano meridionali cioè compaesani di Archimede, Pitagora,
Benedetto Croce, Leonardo Sciascia,.GB Vico.... E'
un attacco studiato a tavolino quello in corso che tuttavia ha finalità non
solo antimeridionalistiche ma anche generali-Si vuole denigrare un grande
patrimonio culturale umano che ha fatto per la crescita dell'Italia la sua
parte come la fabbrichetta del Nord. Si vuole
raccogliere il pregiudizio leghista contro il sud frutto spesso di invidia e
di malanimo per creare una ampia zona di favore ed un privilegio su quanti
finora si sono sentiti frustrati dal successo dei meridionali nella
competizione.”
Giuseppina Ficarra
p.s. Da notare che, come risulta da indagini statistiche varie, agli scrutini finali delle classi del superiore (e quindi anche della terza classe) nel Mezzogiorno d’Italia c’è uno scarto di 2-5 punti tra i tassi degli alunni non promossi della Sicilia e Sardegna rispetto a quello delle altre regioni. C’è da pensare che i docenti delle Isole adottano criteri di valutazione più rigidi dei loro colleghi del resto d’Italia, altro che manica larga come sostiene il leghista Stella e non solo lui!!!
Tenuto quindi conto della forte selezione nelle classi precedenti oltre che naturalmente delle eccelse doti di molti dei nostri alunni, sono più che comprensibili i risultati eccellenti del Sud con buona pace di Stella e dei suoi estimatori leghisti!
https://www.facebook.com/notes/giuseppina-ficarra/le-due-italie-della-maturita/189651748105019
(*)http://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2016/08/12/1/le-due-italie-della-maturita_U43210906242481KWH.shtml
Commenti:
Giuseppe Carlo Marino
E' sempre andata più o meno come Giuseppina, giustamente
indignata, ha ben spiegato. Anche nell'Ottocento le cose andavano così nel
rapporto Nord-Sud. Si pensi che negli anni trenta dell'Ottocento una regione
come la Sicilia era agli ultimi posti in Italia per l'alfabetizzazione, ma
aveva un numero di laureati - per Stella sarebbe inspiegabile e
"truffaldino" - che era tra i maggiori d'Italia. Dellka questione mi occupai
tanti anni fa nel mio fortunato libro "La formazione dello spirito borghese
in Italia" (La Nuova Italia, 1974) che pochi ormai, anche tra i cosiddetti
"esperti", conoscono, almeno in Italia (ben al contrario di quanto avviene
ancora all'estero). Ogni tanto un'autocitazione ci vuole, se non altro
perché la fatica di "fare storia" può ormai contare, assai drammaticamente,
soltanto su se stessa, mentre la gente tende a dar credito ai pennivendoli.
Essere umili, da queste parti, non paga.
Concordo pienamente Giuseppina Ficarra! Sono stata correttrice di 100 Prime Prove d'Esame di Stato Invalsi che dovevano essere anonime e, in gran parte lo erano, pur tuttavia, quando il bollo identificativo della scuola era accanto al contenuto di scrittura, non lo hanno potuto oscurare e da questo ho potuto notare che il livello di un buon numero di prove di istituti della Lombardia e di altre regioni del Nord erano di molto inferiori a quelli dei miei alunni di livello scarso/mediocre o equivalenti. Ma Stella non considera nemmeno il fatto che un numero considerevole di docenti del Nord sono provenienti dal Sud! Che significa che cambiano i criteri di valutazione passando al Nord? Non credo proprio"
(*) http://www.corriere.it/digital-edit...
https://www.facebook.com/notes/giuseppina-ficarra/le-due-italie-della-maturita/189651748105019
pubblicato qui:
A proposito del _consenso sociale alle
organizzazioni criminali organizzate
di
Giuseppina Ficarra
Indice
Uno scambio di idee con Salvatore
Vaiana su Facebook |
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Traendo ancora spunto da GLOBALMAFIA del
Prof. Giuseppe Carlo Marino prosegue il dibattito aperto sulla cultura del
popolo siciliano |
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Due tesi a confronto 2010 |
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Globalmafia stimola il dibattito. Ulteriore commento alla nota Due tesi a confronto con dibattito pubblicata su facebook |
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Parliamo di sicilianismo |
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L’Altra Sicilia |
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Palizzolo Cuffaro e il Comitato pro-Sicilia 2011 |
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Parliamo di familismo amorale Giuseppina Ficarra |
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Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe |
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Io insegnante meridionale nel profondo Nord 29-08-2008 |
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Ancora io insegnante meridionale "Contro la Lega, sciopero ……." 2009 |
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Cultura del popolo siciliano Riflessioni di Giuseppina Ficarra
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FALCONE E BORSELLINO 20 ANNI DOPO |
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LE DUE ITALIE DELLA MATURITA’ Giuseppina Ficarra·Sabato 27 agosto 2016A proposito del _consenso sociale alle organizzazioni criminali organizzate |
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