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Origine e significato del concetto di terrorismo

  Note su un viaggio in Palestina di Luigi Ficarra Luglio 2010

 

                                   

Una lucida analisi della stretta connessione tra guerra unilaterale e terrorismo

Dall'intervento di Fausto Bertinotti  a Venezia il 13 dicembre 2003 in occasione del
Convegno sul problema storico e politico delle Foibe

Raniero La Valle Roma, 9 gennaio 2004  da "Liberazione"

La guerra è sempre stata un orrore. Ma perché oggi apre una crisi di civiltà e può risolversi in catastrofe? Perché la guerra oggi è rimasta prerogativa di una parte sola, anzi di una sola potenza. Gli Stati Uniti, per stabilire la loro sovranità universale, si sono riappropriati della guerra, ma nello stesso tempo l'hanno resa a tutti gli altri impossibile. Creando e gloriandosi di avere una potenza militare senza pari e quale mai si è avuta nella storia, inventandosi una guerra dove si dovrebbe morire da una parte sola, affidandosi ad armi intelligenti e maneggiate da lontano, e sprigionando una superiorità schiacciante su qualsiasi avversario, hanno reso la guerra, fatto di per sé essenzialmente dialettico, per chiunque altro impossibile. Chi osa resistere loro in guerra fa la fine della Yugoslavia, dell'Afghanistan, dell'Iraq. Le sole guerre che sono ancora possibili sono quelle tra poveracci, le cosiddette guerre dimenticate. Ma con l'America non c'è partita, se la partita è la guerra.

E allora se la guerra è stata resa impossibile, il suo surrogato è il terrorismo. Non potendo ricorrere al terrorismo principale, che è la guerra, che si combatte con armi pubbliche (publicorum armorum contentio), si ricorre al terrorismo secondario, che si combatte con "armi private". Il terrorismo è la guerra degli sconfitti, che non vogliono continuare ad essere sconfitti, e che sperano di non essere più oltre sconfitti.    

http://www.brianzapopolare.it/sezioni/politica/socialcom/metodi/20040109_leggere_con_emozione.htm

 

 

The Independent,  8 settembre 2006 

http://italiasalute.leonardo.it/News.asp?ID=3296

http://urlin.it/home.htm

Note sul viaggio in Palestina  di Luigi Ficarra  2007(?)

Arrivammo all’albergo “Sette Archi” di Gerusalemme all’alba, proprio nel momento in cui stava sorgendo il sole: era da tanti anni che non vedevo questo fenomeno e fu per me come un augurio per il nuovo anno.

Venni subito affascinato dalla bellezza di Gerusalemme: la visione della Moschea dalla cupola d’oro, che, al centro della città, si staglia verso l’alto nell’ampia spianata ove essa sorge sopra una roccia carica di storia e di miti (Abramo ed Isacco, Gesù, Maometto); i minareti, la magnificenza delle mura erette tutt’attorno da Solimano il Magnifico, il  colore azzurro profondo del cielo, che richiamava quello a me familiare della Sicilia. Ebbi un senso di gioia, di serenità, e capii Amin, mio amico  e compagno, nato in quella terra bellissima, che, pur stanco del viaggio, rinunziò al riposo e corse subito verso la città, per abbracciarla come si fa con un’amata da cui si è stati troppo tempo lontani.

Immaginavo ciò che avremmo visto, ché conoscevo, avendola letta, la storia di sopraffazione e di violenza che il popolo palestinese ha subito e tutt’ora subisce da parte di Israele, ma mai avrei potuto concepire le forme di oppressione che ho poi constatato di persona.

1. La chiave di casa.

Il primo giorno, dopo l’incontro col sindaco di Betlhlem, un combattente ed insieme un diplomatico finissimo, avemmo una delle esperienze più illuminanti ed istruttive del viaggio: la visita al campo profughi.

Israele nasce da un vulnus, preparato sì dallo stato coloniale inglese con l’atto di Balfur, ma poi deciso e voluto dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, per “riparare” alla violenza incommensurabile, come  giustamente la chiamò Benjamin, subita dagli ebrei nei campi di sterminio eretti nel cuore della civile Europa, dopo secoli di cruda e barbara persecuzione. Bisognava certo riparare, perché eravamo profondamente colpevoli, noi, popoli “cristiani” dell’occidente, nei confronti di coloro che pure tanto avevano dato con la loro cultura ed il loro sapere alla storia dell’umanità intera. Ma lo si fece ai danni di un popolo innocente del massacro, estraneo alla shoah: il popolo palestinese, cui venne tolta gran parte della terra dove viveva pacificamente da secoli. Dalle fredde cifre dell’ONU risultano quattromilioni e mezzo di profughi, uomini e donne che hanno perso quanto di più caro avevano, il suolo natio, le case, gli affetti. Mi ricorderò sempre l’impressione enorme che mi fece il racconto di Amin, originario di Nablus, quando ci conoscemmo a Padova nel lontano 1969: mi parlò dell’aranceto e dell’uliveto che era stato tolto ai suoi, perché entrava a far parte, dall’oggi al domani, di Israele.

Al campo profughi Dehishe di Betlhlem ci sono tuttora coloro che, pur cacciati dalle loro case, non hanno voluto abbandonare la terra dov’erano nati essi ed i loro avi. Mentre giravamo per il “campo”, dove ci sono case malmesse e spesso prive di servizi essenziali, ma le cui le strade sono per fortuna rallegrate dalla presenza di una moltitudine di bambini festanti, una donna, che era davanti l’uscio di casa sua assieme alla figlia, ci invitò ad entrare per offrirci un caffè. Spinsi gli altri del gruppo, più restii, a raccogliere l’invito amichevole. Entrammo in una casa povera ma molto dignitosa, come tutte quelle che poi avemmo l’occasione di conoscere nel viaggio. Nel vano d’ingresso, che era poi la stanza principale, c’era, attaccata al muro, la foto grande del figlio della donna, assassinato dai soldati israeliani in uno dei tanti raid compiuti per portare il loro “ordine” nella città. Il compagno palestinese, responsabile del campo, Zaki, sollecitato dal giornalista del “Mattino di Padova”, Filippo Tosato, parlò a lungo delle esperienze di violenza da egli direttamente vissute ed in particolare della storia di un ragazzo, che visto uccidere dagli israeliani un suo coetaneo e compagno di giochi e di studi, ne rimase profondamente sconvolto e covò nel suo animo l’intento, poi superato, di immolarsi per vendicarne la morte. Si affrontò poi il tema dei profughi e della loro tragedia, e fu a questo punto che la donna che ci aveva ospitato, rimasta prima silenziosa, intervenne con voce chiara e ferma, dicendo: “perché io che ne conservo ancora la chiave non posso ritornare nella casa dove sono nata, mentre persone che alcun rapporto hanno con questa terra, persone  venute  dalla lontana Russia, l’hanno avuta assegnata: questa è violenza!” La salutammo, abbracciandola, lei che era stata due volte colpita nei suoi più profondi affetti: il figlio assassinato e la casa natia tolta ai suoi genitori.

2. L’antica chiesa distrutta.

Siamo stati anche nel paese di Aboud, dove c’è una popolazione in maggioranza cristiana. Ospiti della comunità, fummo invitati ad un pranzo che ricordo molto buono, di tipica cucina palestinese. Poi girammo per il paese, recandoci anche, a gruppi, in alcune case, per parlare con gli abitanti. Il responsabile della comunità ci indicò quindi, fra gli uliveti ed i mandorleti bellissimi di cui è ricca tutta la zona, un punto non lontano dove si ergeva prima la chiesa cristiana di S. Barbara, risalente al quinto secolo dell’era volgare, orgoglio del paese,  perché di pregiato valore artistico e carica di storia. Una mattina non la videro più: di notte, senza neppure avvisarli, l’esercito israeliano l’aveva divelta dalle fondamenta con i buldozer, ché  lì dovrà sorgere il muro della separazione e della discordia: questa è violenza, è barbarie, è negazione dei valori più alti del vivere civile.

3. Il villaggio raso al suolo.

Ce ne parlò il reverendo Elia Shaqur, che, nei pressi di Nazareth, ha dato vita ad un’importante università islamico-cristiano-ebraica, per significare che si potrebbe ben vivere in pace insieme: due popoli in un unico stato laico. I palestinesi del villaggio Iqret, dov’egli era nato, e che sorgeva lì vicino, erano stati deportati ad alcuni chilometri di distanza dai nuovi venuti, subito dopo la “nascita” di Israele. Essi si rivolsero all’alta Corte di giustizia di Telaviv, la quale non potette fare a meno di riconoscere il loro palese e sacrosanto diritto di ritornare nelle proprie case. Non ebbero però il tempo di farlo, perché il governo di Israele, prima che la sentenza potesse avere esecuzione, fece distruggere con un bombardamento aereo l’intero villaggio, senza lasciarne pietra su pietra.  Questo è odio, prevaricazione violenta, usurpazione, negazione di ogni valore umano. Nulla potrà mai giustificare e lavare tale crimine.

____

Una delle ultime sere di permanenza a Gerusalemme, parlammo animatamente fra di noi, come spesso ci accadeva, della scritta che, più volte ripetuta, avevamo letto sulle mura delle case del campo profughi: “Moriremo in piedi, ma non ci inginocchieremo”. Qualcuno disse che sarebbe stato più saggio dire : “chinati giunco finché passa la piena”. Li per lì ritenni avesse ragione, ma poi, riflettendoci, capii che era giusto quel che avevano scritto, perché il messaggio era ed è uguale a quello che animò la nostra lunga Resistenza contro il fascismo e poi contro gli occupanti nazifascisti: “non mollare”, non piegarsi, cioè non tradire mai la propria dignità di uomini, di un intero popolo che con orgoglio e grande coraggio lotta per la propria liberazione ed indipendenza.

L’Europa, che è tanto colpevole per quel che è accaduto, non può non scegliere tra aggressore ed aggredito fra occupante ed occupati e, pena  la perdita di ogni sua autonomia, dovrebbe, contrapponendosi alla logica della guerra infinita del governo USA non a caso solidale con quello di Sharon, intervenire con forza per bloccare la costruzione del muro ed ottenere lo sgombero dei coloni israeliani dalle terre assegnate ai palestinesi. I quali con grande realismo, tramite il loro presidente Arafat, hanno detto, per amore della pace, di essere disposti ad avere anche una parte di territorio inferiore a quella che le risoluzioni dell’ONU avevano loro assegnato.

                                                                       luigi ficarra

 

Note sul viaggio in Palestina  di Luigi Ficarra  2010

 

Il 29 luglio, siamo stati ad Haifa, seconda citta' di Israele, molto bella, con un giardino incantevole curato dai seguaci della religione <<Bai>>, e con un porto grandioso. Ci sono dappertutto pomelie, buganville e gelsomini. C’è un forte nucleo di classe operaia, forte specie fra i portuali ed un recente sviluppo del settore informatico dell’I.B.M.

Abbiamo lì avuto un interessante incontro con i rappresentanti del partito comunista di Israele, cui, fra l’altro, abbiamo chiesto un giudizio critico nel confronti di Abu Mazen, che hanno espresso sia pure col velo della diplomazia. Israele, con il pieno beneplacito di Obama - hanno detto - fra poco attaccherà l'Iran: l'hanno data come notizia certa, sicura. Ci hanno in particolare parlato della storia del partito comunista di Israele, nato circa 90 anni fa, della sua presenza nella società e soprattutto fra gli operai, della sua capacità di condurre una poliltica di larga unità – significativo è stato al riguardo l’accenno fatto a Togliatti. Non hanno invece approfondito nel loro discorso il problema della struttura di classe della società israeliana ed hanno detto di ritenere tuttora valido, attuale, l’obiettivo della creazione di due stati per due popoli, uno ebraico e l’altro palestinese.

 

 

■ Il 30 luglio, dopo una preliminare illustrazione, da parte del compagno palestinese Mamud, del problema dell’occupazione israeliana della Palestina realizzata nel tempo, fra fine ‘800 e 1945,  siamo stati a fare un giro per Gerusalemme assieme al suddetto compagno, che è rappresentante del movimento in difesa dei palestinesi che vengono cacciati via dalle loro abitazioni. Ci ha mostrato diversi punti della citta' divisi dal muro, in alcune parti con la specifica funzione di costringere i palestinesi ad andarsene, causa l’impossibilità di movimenti da una parte ad un’altra; e ci ha fatto vedere come continuano a ritmo serrato le costruzioni di nuovi illegittimi insediamenti, anche mediante la distruzione di interi quartieri palestinesi. – (Proprio in quei giorni sono stati cacciati via dalle loro case, dalla mattina alla sera, 51 palestinesi).

 

 

■ Nel pomeriggio dello stesso 30 luglio abbiamo partecipato ad una manifestazione in un quartiere di Gerusalemme contro la terroristica operazione degli israeliani che abbattono illegalmente le case dei palestinesi per costruire loro insediamenti.

C'era anche Grosman, scrittore israeliano molto noto, di posizioni liberali-progressiste. Alla richiesta fattagli di rilasciare un'intervista sulla politica di occupazione militare di Israele contro la legge internazionale, ha detto che gia' la sua presenza "parlava". Rispostogli che Sciascia e Sartre non avrebbero esitato a dichiarare apertamente la loro posizione in difesa della liberta', della verita' e del dititto, ha taciuto, manifestando un apparente imbarazzo.

 

 

■ Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, 30 luglio, dopo la suddetta manifestazione, abbiamo avuto un incontro con tre compagni di Hamas, eletti nel parlamento palestinese nel 2006, e che, assieme a molti altri deputati, circa 60, appartenenti a gruppi diversi dell’OLP, come il “FIDA”, il “FPLP”, il “PPP”, le “Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, sono stati “democraticamente” arrestati come indesiderati per Israele. – I tre di Hamas, rifuggiati presso la Croce Rossa Internazionale, dove ci siamo recati a trovarli in segno di solidarietà, hanno ricevuto il giorno successivo al rilascio l’arbitraria ed illegittima ingiunzione di uscire da Gerusalemme.

 

■ Molto interessante è stata la visita fatta il 31 luglio a Gerico, sita a 260 m. sotto il livello del mare, considerata la città più antica del pianeta, risalendo a bel 7000 anni fa. Interessante non solo per la visita dei famosi luoghi sacri alla mitologia cristiana, e dei resti di un monumento di arte araba dell’ottavo secolo, dove sono presenti preziosi mosaici, ma per aver appreso direttamente che i suoi prodotti agricoli, banane, pomodori e tanta altra frutta e verdura non possono, impedendolo Israele, essere portati nelle altre città della West Bank. E’ una violenta costrizione di cui si serve l’occupante per strozzare l’economia palestinese.

 

 

■ Il 1° agosto, lasciata Gerusalemme, ci siamo trasferiti a Ramallah, ospiti in un albergo di recente costruzione, e  nella prima mattinata abbiamo avuto un incontro con la ministra della cultura del “governo” dell’Autorità Palestinese, signora Bargouti. La quale, anche quale esponente della <<Unione Democratica Palestinese>> (“F.D.A.”), ha espresso posizioni progressiste, parlando in particolare della campagna popolare di boicottaggio delle merci israeliane, che sta riscontrando una adesione di massa. Cosa, questa, che abbiamo potuto constatare de visu.

 

 

■ Nella tarda mattinata del 1° agosto, sempre a Ramallah, abbiamo avuto un interessante incontro col Segretariao del F.I.D.A., compagno Raba Saleh, esponente storico dell’OLP, attivamente presente, in passato, anche ad operazioni militari in Palestina ed in Libano accanto ad Arafat. Circa una prima domanda sulla possibile autonoma proclamazione dello Stato di Palestina, - [fatto un preliminare realistico riferimento •alla odierna situazione di occupaziome militare della cisgiordania, attribuita sulla “carta” alla palestina, e di tutta la valle del Giordano da parte dell’esercito israeliano, e •alla situazione internazionale che vede i principali paesi capitalistici (europa-usa-giappone-canada) schierati attivamente accanto ad Israele], ha detto che la proclamazione autonoma dello stato palestinese è stata fatta nel 1988, e che, fra i paesi presenti all’ONU, sono più quelli che riconoscono la Palestina che non Israele. Ma il Consiglio di sicurezza si è sin’ora opposto - ed è da ritenere continuerà nel prossimo futuro ad opporsi - al riconoscimento dello Stato di Palestina, (nei confini ante occupazione del ‘67, con capitale Gerusalemme est, ritiro degli insediamenti illegali, e diritto al ritorno dei profughi, come da risoluzioni ONU),  senza il beneplacito di Israele. Ha aggiunto che nel settembre prossimo verrà presentata nuova richiesta di riconoscimento all’ONU, richiesta che verrà portata sino all’assemblea generale. [Per capire l’importanza decisiva in tali questioni dei rapporti di forza, basti considerare come il Kosovo, in palese dispregio dei trattati internazionali e delle delibere ONU, è stato riconosciuto stato indipendente dai paesi capitalistici dominanti, e di recente la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, ha sanzionato tale illegittimo riconoscimento. Trattasi della stessa Corte, la nomina dei cui componenti è in buona parte di designazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha respinto il ricorso presentato dall' Italia per il riconoscimento del diritto all’indennizzo da parte della Germania  per i militari ivi deportati nel ‘43]. – Raba Saleh ha pure parlato dei positivi rapporti esistenti fra OLP, da un lato, e, dall’altro, Cuba, Venezuela, Bolivia, Brasile, ed altri paesi.

Sempre Raba Saleh, sollecitato da una domanda circa la necessità di unità delle diverse correnti politiche palestinesi, sì da poter sviluppare una efficace estesa lotta di massa contro l’occupazione israeliana che diventa viepiù violenta - [specie a Gerusalemme, con l’occupazione di abitazioni di palestinesi, cacciati via per insediarvi coloni, ovvero mediante la distruzione di dette abitazioni e ricostruzione di insediamenti nuovi; ma anche, di recente, 31 luglio 2010, a sud di Gaza, nel Negev, con la cacciata di circa 300 palestinesi da un loro storico antico villaggio] -; una lotta tale da costringere Israele al rispetto della legge e quindi all’osservanza dei deliberati ONU, e, conseguentemente, al ritiro delle sue forze armate dai territori assegnati nel ’48 alla Palestina, cessando dal “furto” oggi perpetrato delle sue acque; ha parlato a lungo del <<documento di Egitto>>, alla cui stesura hanno lavorato tutte le forze politiche palestinesi, con coinvolgimento quindi anche di Hamas. La quale, dopo aver detto, tramite il suo rappresentante presente alle trattative del Cairo, di essere pronta a firmare il suddetto documento, frutto di discussioni prolungate, ha poi detto che vuole “pensarci sopra”, soppesare cioè l’opportunità di una sua sottoscrizione. A giudizio di Raba Saleh sarebbero stati i “Fratelli musulamani”, di cui Hamas è pura espressione, ad imporre tale posizione di “separazione”, per poter continuare a gestire da soli il territorio di Gaza.  - Raba Saleh ci farà avere copia del <<documento di Egitto>>, del quale, compiutane una fedele traduzione, ci siamo impegnati a fare sì che venga pubblicato dalla stampa di sinistra italiana (Liberazione e Manifesto).

 

 

■ Nel pomeriggio dello stesso 1° agosto abbiamo avuto un incontro molto interessante col compagno ing. Saleh Al Rabi, del P.P.P. (partito comunista di palestina), responsabile del “Palestinian Water Training Istitute”, centro di formazione tecnico-professionale di palestinesi sui probelmi dell’acqua (P.W.T.I.). – Attività, questa, da considerare una intelligente forma di resistenza attiva contro la dominazione israeleiana.  Saleh Al Rabi ci ha spiegato che, in dispregio degli accordi di Oslo, che prevedevano la costituzione di un comitato congiunto palestinese-israeliano per il controllo delle acque, Israele, dando, come sempre, attuazione scientifica al programma stilato da Erzl nel libro <<Lo stato degli ebrei>> del 1896, si sono impossessati con violenza di tutte le acque del territorio della cisgiordania e cioè della intera West Bank. Israele, imponendo la <<sua>> legge, costringe ogni palestinese che vuole fare una ricerca di acqua nei territori della West Bank, che, ovviamente non siano oggi ricompresi nel <<muro>> e cioè rubati alla Palestina, a chiedere il permesso alle autorità israeliane.

Il compagno Saleh Al Rabi ha spiegato, con illustrazione di una mappa molto ben particolareggiata, che tutti gli insediamenti di coloni israeliani sorgono dove ci sono falde acquifere. Ha aggiunto che i palestinesi, senza l’autorizzazione di Israele, non possono neppure raccogliere le acque piovane: la prevaricazione è totale. Tutta l’aqua del fiume Giordano è sotto controllo israeliano. Saleh Al Rabi ha pure spiegato che Israele utilizza per suoi usi civili l’acqua del lago di Tiberiade, per cui il livello del Mar Morto è sceso di circa un metro all’anno, e quindi di 57 metri dal 1953 ad oggi.

Israele - ha aggiunto Saleh Al Rabi - con scelta veramente criminale, operando scavi nel sottosuolo, devia verso il Negreb, sì da poterlo fertilizzare, le acque che nei millenni sono sempre scese dalle alture della cisgiordania verso Gaza; ed ha scavato tutto attorno a Gaza numerosi pozzi, impadronendosi così di tutta l’acqua.

Israele ha proposto, a compensazione del furto operato di tutte le acque, di creare due grandi desalinatori dell’acqua marina per portarla in palestina: cisgiorania e Gaza. I palestinesi hanno con dignità detto di no, perché altrimenti perderebbero per sempre la loro indipendenza, dipendendo per l’acqua da Israele.

I palestinesi – ci ha detto sempre il compagno Saleh Al Rabi – hanno una loro centrale elettrica a Gerusalemme che copre appena il 20% del fabbisogno della popolazione palestinese. Per poterne aumentare la produzione dovrebbero poter acquistare dall’Italia nuove più potenti turbine; cosa, questa, che Israele impedisce, ché nulla può essere importato dall’estero se non tramite lo Stato di Sion. In tal modo i palestinesi dipendono per l’80% del loro fabbisogno di energia elettrica da Israele, che, nei momenti critici, come durante l’intifada del 2002, chiuse i <<rubinetti>. Come ha pure fatto per l’acqua.

 

 

■ Lunedì 2 agosto siamo andati ad Hebron, città antichissima, centro di commerci, famosa per la produzione (“poiesis”) di vetro soffiato, e per prima abbiamo visitato la moschea di Abramo, grande monumento dell’arte araba, che conserva, secondo la fede dei credenti delle tre religioni monoteistiche dominanti, le spoglie di Abramo, Sara, Isacco, Giacobbe, Adamo ed Eva - tempio oggi rigidamente diviso in due parti, una ebraica e l’altra musulmana. [Pur ricadendo Hebron nella zona “palestinese”, vi sono stati creati nella cintura, dopo la guerra dei sei giorni, numerosi insediamenti di coloni ebrei, ognuno dei quali è tutelato da ben quattro militari; e forti di tale usbergo provocano con ostentato disprezzo razzista i palestinesi. Per capire dove arriva il loro fanatismo violento, si pensi che hanno osato erigere un monumento, meta di numerosi pellegrinaggi, all’ebreo Goldstein che nel 1994, entrato nella moschea di Abramo, uccise con un mitra 29 musulmani intenti a pregare]. Guidati dal compagno ing. Walid Abu Albalaweh, abbiamo attraversato la parte antica di Hebron, ufficialmente assegnata ai palestinesi, ma dove sono pure presenti alcuni illegali insediamenti ebraici, protetti dalle torrette dei loro militari. La città, come detto è molto antica, di alcune migliaia di anni, ma il suo centro, case, vicoli e mercato, come architettura, risale al tredicesimo-quindicesimo secolo. E’ stato il Comitato per la riabilitazione di Hebron, con la presenza di numerosi architetti ed ingegneri palestinesi ed anche di altri paesi, a curare, con passione ed intelligenza, la ricostruzione-ristrutturazione delle abitazioni del centro, consentendovi il ritorno di circa 5000 palestinesi. Nella sede del Comitato ci è stato fatto vedere poi, da Walid Abu Albalaweh, un video sui lavori di ricostruzione, che ci ha fatto comprendere come vi sia stata e vi sia una resistenza viva, fattiva e concreta del popolo palestinese contro l’occupazione.

■ Il pomeriggio del 2 agosto, dopo aver visitato a Betlhem i luoghi sacri per i cristiani, in particolare la Chiesa della Natività, abbiamo avuto un incontro di notevole interesse politico col rappresentante dell’A.I.C. (Alternative Information Center), compagno Nassar Ibrahim, comunista e membro del F.P.L.P. Autore di una tesi, di prossima probabile pubblicazione, su <<L’illusione dello sviluppo sotto occupazione>>, si è prima soffermato sul tema della massa enorme di profughi palestinesi, rifuggiati oggi in Libano, Siria, Giordania, Egitto e nei paesi del Magreb, che aspirano al legittimo ritorno nella loro terra, come riconosciuto e sancito, anche da delibere dell’ONU. Diritto - ha detto – che Israele si rifiuta di riconoscere, perseguendo non la pace, che a parole continua ipocritamente ad evocare, ma solo l’obiettivo di estendere e consolidare, con la realizzazione di nuovi molteplici insediamenti attuata con violenza, come uno stupro continuato sotto gli occhi dei suoi alleati, lo stato confessionale ebraico nei confini segnati nel 1896 da Erzl. Tra i primi alleati di Israele - ha sottolineato il compagno Nassar Ibrahim – ci sono l’Europa e gli Usa, che sotto la voce <<aiuti umanitari>> fanno pervenire all’Autorità Palestinese fiumi di denaro, talvolta, ha precisato, con la mediazione dello stesso governo israeliano. [Come è noto, dopo le elezioni del 2006, svoltesi nella massima regolarità e che hanno visto la piena vittoria di Hamas, Israele ha illegittimamente trattenuto, come forma di pressione e di ricatto, i ricavi doganali e l’Iva che, in base agli accordi di Oslo, riscuote per conto dell’Anp; ed Usa ed Europa, essendosi formato dopo le elezioni del gennaio 2006 un governo formato in maggioranza da membri di Hamas, hanno sospeso i finanziamenti all’autorità Palestinese, ponendo, assieme agli altri membri del quartetto (Russia e nazioni Unite) tre condizioni fondamentali: ●il riconoscimento del diritto all’esistenza dello stato di Israele; ●la rinuncia alla violenza; ●il rispetto degli accordi pregressi, compresa la Roadmap. E’ incongruente, paradossale, assurdo, che si chieda al popolo palestinese di riconoscere lo stato di Israele, così come esso è oggi, mentre è in atto da parte di quest’ultimo lo stupro violento, continuato e programmato anche per il futuro dei territori che, come da deliberazioni ONU, negate e disconosciute proprio da Israele, appartengono di diritto alla Palestina. -Fino a quando - non attraverso nuove elezioni ma nelle forme critiche che conosciamo -, non è stata “rimossa” nella West Bank la presenza di Hamas, Usa ed Ue si sono limitati ad assicurare solo l’assistenza umanitaria – che non passa per le mani dell’Anp; ed hanno considerarato ed attuato la possibilità di canalizzare gli aiuti attraverso il presidente moderato Mahmoud Abbas (Abu Mazen), invece che attraverso i normali canali governativi]. – Occorre, per acquistare piena soggettività, autonomia ed indipendenza, porsi con realismo l’obiettivo politico – ha detto con forza Nassar Ibrahim – di non continuare a ricevere finanziamenti da parte di chi sostiene, anche militarmente, l’occupnte israeliano. E’ – ha spiegato – la presenza di una forte e consolidata borghesia nazionale palestinese ad avere interesse a mantenere questo statu quo.

Nassar Ibrahim ha concluso dicendo che, facendo leva sulle masse popolari, bisogna sviluppare con decisione e sino in fondo il boicottaggio delle merci israeleiane. Ed ha in particolare insistito nel dire che occorre superare l’illusione, oggi solo ideologica, dei due stati, e porsi l’obbiettivo politico di un unico stato, laico e plurietnico, nel quale condurre la lotta di classe contro il capitalismo, per la democrazia e la creazione di una società retta da principi egualitari. Invero, la percezione netta che si ha oggi è quella di un grande stato sionista, organizzato alla perfezione, con un esercito enorme e tecnologicamente avanzatissimo (che produce anche i droni), uno stato colonioalista occidentale che ha il dominio totale su tutto il territorio, con all'interno delle enclaves-riserve di palestinesi, nelle quali vigono pure rapporti di produzione capitalistici, che si colgono subito nelle grandi città come Ramallah, Nablus, Hebron (Si rileva sul punto che nella West Bank servizi essenziali, quali l’istruzione, anche universitaria, e la sanità, sono prevamntemente in mano ai privati). Uno stato che controlla con l'esercito ogni angolo del paese e nelle cui carte e' scomparsa la parola <<cisgiordania>>, essendo per esso tutto Israele. - Anche Martin Buber, nel ‘900 e prima di lui Ginzburg, fine ‘800, sostennero che occorreva lavorare per la creazione di uno stato binazionale, plurietnico, arabo-ebraico; tesi, questa, oggi fatta propria da consistenti, anche se minoritari, gruppi di cittadini di cultura ebraica in Israele ed in Europa, e che, aggiungiamo, purtroppo stenta ancora a farsi strada nella sinistra italiana. – Lavorare per l’obbiettivo politico di un unico stato, laico e democratico - ha detto Nassar Ibrahim a margine dell’incontro - non è una lotta a breve scadenza. Richiede intelligenza tattica e strategica, organizzazione, conquista di una piena autonomia e soggettività rivoluzionaria del popolo palestinese, capacità di collegamenti con gli strati sociali più sfruttati e vittime dello sviluppo capitalistico in Israele e con le forze politiche di opposizione che vi sono presenti ed in particolare con il Partito comunista che vi agisce da tempo. E soprattutto richiede che tale idea diventi prioritariamente egemone fra le forze politiche palestinesi disposte a lottare sino in fondo per obiettivi di vera liberazione contro la odierna illegittima occupazione israeliana e trovi consenso nei governi di quei paesi oggi più vicini alla causa della Palestina, come Cuba, Venezuela e Brasile.

 

 

 

■ Di grande interesse è stata per tutto il gruppo la visita fatta il 3 agosto a Jenin, città martire della resistenza palestinese (1500 assassinati solo nel 2002), specie per l’incontro con il comitato delle donne che hanno affrontato con realismo il problema  dell'istruzione e della lotta di liberazione di genere. Così come a Hebron, con il comitato per la ricostruzione, ed a Ramallah con la visita al “Palestinian Water Training Istitute”, abbiamo avuto la netta percezione di un lavoro serio svolto nella società civile per condurre, non propagandisticamente, ma nel concreto, la lotta contro l’occupazione straniera. Stessa percezione, ad altro livello, quello della battaglia delle idee, abbiamo avuto nell’incontro, sempre a Jenin, con il <<The Freedom Theatre>> (teatro della libertà), che forma in loco nuovi attori fra i ragazzi ed i giovani palestinesi. Teatro, che si sostiene da solo con donazioni e finanziamenti dal basso, avendo il governo di Abu Mazen chiuso-negato ogni finanziamento per le critiche contro di esso svolte in una commedia in cui veniva rappresentata- criticata la corruzione presente fra i funzionari governativi. 

 

■  Nella discussioni avute anche fra di noi, a margine dei diversi incontri, è emerso che Israele continua ad esercitare illegittimamente il controllo dell’anagrafe anche nella “Zona A”, che, invece, in base agli accordi di Oslo è da ritenere avrebbe dovuto essere soggetto solo al quello dell'Autorità palestinese, previsto infatti come “p i e n o” in detta zona. [E’ noto che gli accordi di Oslo sono stati e sono negati-calpestati in toto da Israele, che, in opposizione ad essi, ha alacremente continuato nella costruzione di nuovi estesi insediamenti di coloni nelle West Bank, Gerusalemme in primis compresa, e continua ancora oggi a farlo, anche nella stessa Ramallah, assicurando la presenza-assistenza minima di due-tre militari per ogni colono]. 

Padova 8 agosto 2010

                                                                                       luigi ficarra