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http://www.wuz.it/intervista/681/intervista-caselli.html

Le istituzioni sono oggi in grado di "vincere", cioè di debellare veramente questo storico fenomeno criminale?

Per vincere bisogna prima di tutto sconfiggere questo network. Si tratta allora di rispondere ad alcune domande: Perché il contrasto investigativo giudiziario della criminalità mafiosa, raggiunti certi livelli, non riesce a mantenerli?; - perché dopo due o tre anni le cose – che pure stavano andando bene – inesorabilmente cambiano?; - perché uno dei punti di forza di Cosa nostra, la sua continuità, non trova riscontro nell’antimafia, condannata invece a risposte discontinue, soffocate entro cicli di breve durata? È successo al pool di Caponnetto, Falcone e Borsellino. È successo al pool della Procura di Palermo del “dopo stragi”. È successo (su altra dorsale) al pool di “Mani pulite”. Per due, tre anni ci sono attenzione e consenso, sostegno e talora persino “tifo”. Poi subentrano distrazione e disincanto, indispensabili affinché possa diffondersi quell’ostilità che era fin da subito nei programmi degli interessi più direttamente toccati dal recupero di legalità in atto. Perché tutto ciò accade? Perché il recupero di legalità, ad un certo punto del suo sviluppo, è costretto ad arretrare o rallentare? Perché la sua strada, pur non interrompendosi, si fa più labirintica ed impervia? Le risposte – volendo – sono facili e stanno in altri interrogativi (questa volta decisamente retorici): la verità e certa politica sono forse incompatibili? se si riesce a far passare per assoluzione anche la prescrizione dei reati commessi, non si apre la strada per assolvere tutta la malapolitica, di ieri, di oggi e di domani? Persino quella che contempla rapporti sistemici con mafia e dintorni? Con il corollario che se qualche legge ostacola il disegno, la si cambia. Mentre continua l’aggressione dei magistrati che si ostinano a tenere la schiena diritta.

Da un punto di vista legislativo e politico, sarebbero a suo parere necessarie leggi nuove o un nuovo tipo di intervento pubblico?

Decisiva è la redazione di un testo unico delle leggi antimafia, che oggi sono una foresta (spesso impraticabile) di norme contraddittorie, confuse, inadeguate, superate. Un “corpus” da aggiornare, affinare, integrare: per offrire più incisivi strumenti all’attività investigativo giudiziaria e all’antimafia dei diritti (penso in particolare alla destinazione a fini socialmente utili dei beni confiscati ai mafiosi, materia da riservare ad un’apposita Agenzia specializzata).

Nel Nord Italia in che modo si è infiltrato il fenomeno mafioso?

Pochi giorni prima di essere ucciso dalla mafia, in un’intervista a Giorgio Bocca di Repubblica del 10 agosto 1982, il generale Dalla Chiesa, premesso che disinteressarsi della mafia è uno sbaglio, spiegava che “ La mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa ‘accumulazione primitiva’ del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”. Se tutto questo era vero (e lo era!) nel 1982, figuriamoci oggi……

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http://images.to.camcom.it/f/ChiSiamo_CameraDiCommercio/CA/CASELLI07.pdf   

La consapevolezza delle difficoltà che ritardano la traduzione di questi importanti successi in una vittoria definitiva sul crimine organizzato, emerge chiaramente da considerazioni che Caselli ha ripetutamente svolto e che si possono così sintetizzare: “nonostante gli importanti successi che la lotta alla mafia è riuscita a ottenere sul versante della sua ala militare, ancora oggi ci si trova a dover fare i conti con un’organizzazione che la sociologa A. Dino esattamente descrive come in continua mutazione, in grado – più che nel passato – di mimetizzarsi e di scomparire; una struttura criminale che cambia, pur nella radicale continuità con sé stessa, che mantiene il localismo territoriale pur conducendo attività illecite in una dimensione globale e reticolare. E nello stesso tempo ci si trova di fronte anche a un network potente e articolato, che comprende esponenti del mondo della politica, dell’economia, delle professioni. Per vincere bisogna prima di tutto sconfiggere questo network”. Sono considerazioni alle quali Caselli ricollega alcune domande. “Perchè il contrasto investigativo giudiziario della criminalità mafiosa, capace di raggiungere alti e continuativi livelli contro l’ala militare dell’organizzazione, non riesce a mantenerli sul versante delle complicità e coperture? perché dopo due o tre anni le cose – quando stanno andando bene – inesorabilmente cambiano? perché uno dei punti di forza di Cosa nostra, la sua continuità, non sempre trova riscontro nell’antimafia, condannata invece a risposte discontinue, soffocate entro cicli di breve durata?(…) Le risposte – volendo – sono facili e stanno in altri interrogativi (questa volta decisamente retorici): la verità e certa politica sono forse incompatibili? Se si riesce a far passare per assoluzione anche la prescrizione dei reati commessi, non si apre la strada per assolvere tutta la malapolitica, di ieri, di oggi, di domani? Persino quella che contempla rapporti sistemici con mafia e dintorni?”.

 

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La dichiarazione di Caselli la trovi pure qui
http://www.pieroricca.org/wp-content/uploads/2006/09/prefazione-polis-mafiosa.pdf
 e qui
 

Intervista a Gian Carlo Caselli
 
 
Le istituzioni sono oggi in grado di "vincere", cioè di debellare veramente questo storico fenomeno criminale?

Per vincere bisogna prima di tutto sconfiggere questo network. Si tratta allora di rispondere ad alcune domande: Perché il contrasto investigativo giudiziario della criminalità mafiosa, raggiunti certi livelli, non riesce a mantenerli?;
- perché dopo due o tre anni le cose – che pure stavano andando bene –  inesorabilmente cambiano?;
- perché uno dei punti di forza di Cosa nostra, la sua continuità, non trova riscontro nell’antimafia, condannata invece a risposte discontinue, soffocate entro cicli di breve durata?  
È successo al pool di Caponnetto, Falcone  e Borsellino. È successo al pool della Procura di Palermo del “dopo stragi”. È successo (su altra dorsale) al pool di “Mani pulite”. Per due, tre anni ci sono attenzione e consenso, sostegno e talora persino “tifo”.  Poi subentrano distrazione e disincanto, indispensabili affinché possa diffondersi quell’ostilità che era fin da subito nei programmi degli interessi più direttamente toccati dal recupero di legalità in atto. Perché tutto ciò accade? Perché il recupero di legalità, ad un certo punto del suo sviluppo, è costretto ad arretrare o rallentare? Perché la sua strada, pur non interrompendosi, si fa più labirintica ed impervia?
Le risposte – volendo – sono facili e stanno in altri interrogativi (questa volta decisamente retorici): la verità e certa politica sono forse incompatibili? se si riesce a far passare per assoluzione anche la prescrizione dei reati commessi, non si apre la strada per assolvere tutta la malapolitica, di ieri, di oggi e di domani? Persino quella che contempla rapporti sistemici con mafia e dintorni? Con il corollario che se qualche legge ostacola il disegno, la si cambia. Mentre continua l’aggressione dei magistrati che si ostinano a tenere la schiena diritta.


Da un punto di vista legislativo e politico, sarebbero a suo parere necessarie leggi nuove o un nuovo tipo di intervento pubblico?

Decisiva è la redazione di un testo unico delle leggi antimafia, che oggi sono una foresta (spesso impraticabile) di norme contraddittorie, confuse, inadeguate, superate. Un “corpus” da aggiornare, affinare, integrare: per offrire più incisivi strumenti all’attività investigativo giudiziaria e all’antimafia dei diritti (penso in particolare alla destinazione a fini socialmente utili  dei beni confiscati ai mafiosi, materia da riservare ad un’apposita Agenzia specializzata).

Nel Nord Italia in che modo si è infiltrato il fenomeno mafioso?

Pochi giorni prima di essere ucciso dalla mafia, in un’intervista a Giorgio Bocca di Repubblica del 10 agosto 1982, (http://www.wuz.it/articolo/704/intervista-bocca-dalla-chiesa.html ) il generale Dalla Chiesa, premesso che disinteressarsi della mafia è uno sbaglio, spiegava che “ La mafia  ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa ‘accumulazione primitiva’ del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere”.
Se tutto questo era vero (e lo era!) nel 1982, figuriamoci oggi……

 
vedi anche  Qui Milano Libera: Intervista a Gian Carlo Caselli
http://video.google.it/videoplay?docid=8751894016011244475&hl=it

 

Processo a Salvatore Riina per l’omicidio di Mauro De Mauro  teste Maria Eleonora Fais

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