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CULTURA MAFIOSA E MAFIA                             lotta agli stereotipi opprimenti  vedi anche pregiudiziantimeridionali 

     testi_suggeriti                                 

Una inchiesta sulle estorsioni da leggere per sfatare certi luoghi comuni    Leggi

Letture consigliate che, per dirla con le parole del sociologo Giovanni Lo Monaco, possono contribuire: "a svelare l’infondatezza di uno stereotipo pernicioso e opprimente come quello che identifica la cultura siciliana con quella mafiosa; identificazione che in mano a mafiosi e collusi è divenuta, all’occorrenza, un conveniente mezzo di banalizzazione del fenomeno criminoso, ma per i siciliani si è trasformata nel tempo in una marcatura negativa, difficile (ma non impossibile) da cancellare."                                                                                                                  

Scrive la sociologa Alessandra Dino: Su un versante diametralmente opposto si pone il quarto paradigma, che possiamo definire di tipo storico organizzativo. Al suo interno, sarebbe sbagliato parlare di cultura mafiosa come presunta mentalità tipica di uno specifico popolo (nel nostro caso i siciliani). La cultura mafiosa sarebbe, invece, da intendersi come la cultura, l’ideologia tipica di un gruppo di potere, quello mafioso. La mafia utilizzerebbe una strumentale affinità con una certa cultura siciliana per ottenere il consenso di cui ha bisogno. L'approccio culturalista è giudicato erroneo, privo di basi scientifiche e controproducente sul piano del contrasto al fenomeno mafioso (come si fa a sconfiggere una cultura?). La mafia è vista come un’organizzazione criminale interclassista, storicamente radicata e delimitata nel tempo e nello spazio, con solidi agganci nel mondo dell’economia e della politica. Le attività di contrasto, in linea con quest’idea, sono in primo luogo di tipo repressivo. Alessandra Dino     La Dino si rifà al  pensiero in Salvatore Lupo  

Lupo: Essa, (mafia) del resto, ha da sempre strumentalizzato i codici culturali siciliani (S.Lupo, 1993, p. 107) _e quindi il sicilianismo (14),per rafforzare il proprio dominio e per celare la sua reale natura di organizzazione criminale antipopolare, volta esclusivamente all'accrescimento del proprio potere (a discapito di un reale sviluppo economico della Sicilia). leggi

Lupo:L'equazione socio-culturale, ovvero comportamento mafioso = antropologia dei siciliani/meridionali (secondo i classici e diffusi stereotipi), non informa né sulla diffusione del fenomeno mafioso nel passato, né sulla sua pervasività in tempi più recenti. leggi

Lupo ottobre 2001:"Non è vero che l’opinione pubblica sostiene la mafia, nemmeno adesso che in Sicilia si è espressa con un voto così clamoroso, l’opinione pubblica non ritiene piuttosto che la discriminante mafia-antimafia sia così importante da farla schierare su questo problema". Da una intervista a Leoluca Orlando Cosa Nostra sempre più "nostra" 2001  

Un aiuto insperato alla lotta agli stereotipi lo possiamo trovare nel  di Terroni di Pino Aprile Potete leggere il primo capitolo "Diventare meridionali"  

Al convegno studi presso la facoltà di lettere "Cronache di mafia"  Salvatore Lupo ha aspramente criticato quella che lui chiama  siciliologia e cioè il volere a tutti i costi spiegare la mafia come frutto della cultura dell'isola, una cultura che ammira o accetta o subisce la forza della sopraffazione che i mafiosi esercitano e che arriva a spiegare la mafia come prodotto dell'humus sociale in cui si sviluppa piuttosto che come prodotto degli interessi che in essa (mafia)  vivono e creano connivenze nell'ambiente sociale circostante.

Angelo Ficarra  La strage di Canicattì del 21 dicembre 1947  Una bellissima pagina di una "straordinaria battaglia di civiltà che in tutta la Sicilia si combatteva per più umane condizioni di lavoro nelle campagne".            

Fr. Renda Il movimento contadino siciliano avanguardia di civiltà in La Sicilia degli anni '50 pag.315 consultabile online

Umberto Santino: "Raccontare la storia delle lotte contro la mafia dall'ultimo decennio del XIX secolo ai nostri giorni ci sembra il modo migliore per dare una risposta, più convincente di mille polemiche, a tutte quelle visioni della Sicilia e dell'Italia meridionale legate a schemi teorici tanto gratuiti, in tutto o in parte, quanto fortunati. Pensiamo in particolare al 'familismo amorale' (Banfield), alla concezione della mafia come subcultura condivisa dalla popolazione siciliana (Hess), alla tesi secondo cui il Mezzogiorno sarebbe caratterizzato dall'incivisme, cioè dalla mancanza di strutture della società civile. U. SANTINO, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 15 Introduzione   vedi anche S.Lupo

Umberto Santino:  gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente, in cui il familismo amorale non consente lo svilupparsi del senso dello Stato, della polis, e i comportamenti controcorrente si limitano a pochi personaggi considerati alieni [F. Di Maria - G.Lavanco 1995; I. Fiore 1997; G. Lo Verso 1998; F. Di Maria 2005]. Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito [U. Santino 2000a]. http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3   

Vedi quelli che mi sembrano i concetti chiave di Santino qui

Uno scambio di idee con Salvatore Vaiana su Facebook sulla cultura del popolo siciliano  vedi anche

  Varie di Giuseppina Ficarra sulla cultura del popolo siciliano

Franchetti rilevava una contraddizione di fondo nell'azione dello Stato: "in Sicilia lo Stato si trova in questa dolorosa condizione, che nell'adempiere al primo dei doveri di uno stato moderno, il mantenimento, cioè, dell'ordine materiale, esso non difende la Legge, ma le prepotenze e i soprusi di una parte dei cittadini a danno degli altri. Difatti, mentre l'azione del Governo è efficacissima e pronta contro i disordini popolari, rimane miseramente impotente contro quelli i quali, come il brigantaggio e la mafia, si fondano sopra la classe abbiente, o almeno sopra la parte dominante di essa" (ibidem, p. 205).
     La riprova del comportamento classista dello Stato si avrà negli anni '90 con la repressione sanguinosa dei Fasci siciliani.
in  http://www.centroimpastato.it/publ/online/dizio_istituzionale.php3   

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MAFIA E POLITICA"La mafia come gruppo criminale e con il blocco sociale di cui fa parte è insieme produttrice e prodotto della politica, cioè determina o contribuisce a determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione del potere e la distribuzione delle risorse, ma assieme a questa produzione mafiosa della politica si può parlare di una produzione politica della mafia per tutte quelle forme con cui le istituzioni contribuiscono a sostenere e a sviluppare le attività mafiose."
https://www.centroimpastato.com/mafia-e-politica-dalla-prima-alla-seconda-repubblica/?fbclid=IwAR2q74nIhoz3Vt9UM9KR9NOBup6gekh5Q1k2n-mcqsw5nAeUfyPjMSbLYOk   

Perché la mafia che dura da qualche secolo, dovrebbe dipendere da codici culturali che invece risalgono a tradizioni millenarie? E perché, ancora, alcune regioni meridionali e non altre, dove pure vigono quegli stessi codici, sono infestate dalla criminalità organizzata? E infine: non è vero che in altre regioni italiane - nelle Marche, in Veneto, in Emilia Romagna - il nucleo familiare è alla base di quella civilizzazione industriale fondata sulle piccole imprese che tanti apprezzamenti riscuote da noi e all' estero? E allora perché la famiglia è risorsa al Centro-Nord e ingombro al Sud? vedi Francesco Erbani

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Due tesi a confronto con dibattito nota pubblicata da Giuseppina Ficarra su facebook il giorno domenica 24 ottobre 2010 Varie di Giuseppina Ficarra sulla cultura del popolo siciliano

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Il culturalismo finirebbe per offrire una base teorica sufficiente per legittimare il rifiuto di convivere con i "diversi".

Considerando la mafia innanzitutto una mentalità, una cultura, la sua diffusione può essere rappresentata attraverso la dinamica di un contagio di tipo culturale, di cui si farebbero portatori i meridionali. A questo punto perché non difendersi dal contagio con misure neorazziste? Rocco Sciarrone  e Le separazioni del culturalismo  di Luciano Pellicani

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Una versione aggiornata e più sofisticata di certe teorie razzistiche di tipo culturalista è presente nella letteratura. Mi riferisco, ad esempio, al Desiderio di sonno, di oblio, di immobilità voluttuosa e di morte dei Siciliani di cui scrive Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel romanzo Il Gattopardo. Il protagonista del romanzo spiega al piemontese Chevalley di Monterzuolo cosa vogliono i Siciliani: <<Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare. […… ]. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane..>>  Vedi    

Origine di  uno stereotipo  Franchetti: <<Manca alla generalità dei siciliani il sentimento della legge uguale per tutti>>  Ancora Franchetti: <<.. le condizioni sociali dell’Italia media e superiore […..] appartengono incontestabilmente ad uno stadio di civiltà posteriore in linea di tempo a quello della Sicilia.>>  Franchetti non propone per la Sicilia «rimedi» eccezionali, ma, un po’ come Fortuzzi, una diversa forma di governo, lucida e terribile come ogni utopia reazionaria. Sono «i Siciliani d’ogni classe e ceto [...] ugualmente incapaci d’intendere il concetto del Diritto».  leggi

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Gli studenti generalmente esprimono un giudizio negativo sulla mafia vedi

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Uno degli stereotipi più longevi "il familismo amorale"  tesi dell'antropologo Edward Banfield [1958]  sulla base di una ricerca molto poco scientifica  Vedi Umberto SantinoGiovanni Lo Monaco e Francesco Erbani

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Affrontando il problema della mafia (....) richiamandosi al carattere dei siciliani si finirebbe per ricorrere (....) a tutte quelle sciocchezze di cui si dilettano i disoccupati mentali.(1) Questo è il punto che ...  nell'inchiesta Sonnino del 1876 è stato con serietà e con passione dimostrato: la mafia è un elemento permanente dell'equilibrio politico dello Stato.Ripeto: se non si capisce questo non si capisce niente (Dal discorso di Girolamo Li causi alla Camera in occasione della definitiva approvazione della legge sulla Commissione parlamentare, 29 novembre 1962. in Saverio Lodato e Marco Travaglio Intoccabili pag.30

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"Una delle questioni principali riguarda il modo in cui gli esseri umani sono considerati. Devono essere classificati secondo le tradizioni (in particolare la religione) della comunità in cui sono nati, e questa identità non scelta deve avere la priorità rispetto ad altre affiliazioni riguardanti la politica, la professione, la classe, il genere, la lingua, la letteratura, l’impegno sociale e molte altre? O le persone devono essere considerate sulla base delle loro varie affiliazioni e associazioni, secondo priorità che spetta a loro decidere (assumendosi la responsabilità di una scelta ragionata)?"    La nostra umanità condivisa viene pesantemente messa a repentaglio quando le molteplici divisioni presenti nel mondo vengono unificate in un sistema di classificazione dominante, in termini di religione, comunità, cultura, nazione o civiltà  Il premio Nobel Amartya Sen   vedi qui e qui

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Nasconde un'insidia razzista il considerare gli uomini come prodotto piuttosto che produttori di cultura. Le persone devono essere giudicate e trattate in quanto individui, non in quanto membri di gruppi con caratteristiche collettive. Vedi L'imbroglio etnico in quattordici parole chiave di Gallissot René, Kilani Mondher, Rivera Annamaria e cerca Il malinteso della cultura (url corto http://urlin.it/15595 ); vedi anche "Scontri di civiltà’ e inciviltà dei CPT Intervista ad Annamaria Rivera

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Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi Umberto Santino  leggi

Cultura siciliana e cultura mafiosa Umberto Santino leggi

Quali sono i valori che animano la mafia e quali si contrappongono a questi valori? Luigi M. Lombardi Satriani

Familismo e omertà  vedi Salvatore Lupo  e (*)

La struttura mafiosa di G Lauro

 

Un altro stupido stereotipo é quello dell'omertà dei meridionali, siciliani in particolare.
Quando i cittadini sentono che le istituzioni dello Stato sono rappresentate da gente indegna diventano inevitabilmente omertosi e ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi al sud o al nord. Leggi tutto

MAFIA NEI PROMESSI SPOSI
 

Secondo lo storico Santi Correnti, la mafia è un fenomeno d'importazione, dalla Spagna si diramò infatti "nei possedimenti spagnoli in Italia, compresa la Lombardia, come ci dimostrano I promessi sposi". L'azione del romanzo si svolge in un tempo e "in una società civile che risulta mafiosa a tutti e tre i livelli: a livello di base col boss rurale Don Rodrigo (i brani del romanzo sono stati inseriti da noi),

"Signor curato, l'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente. Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in un confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: - se mi sapessero suggerire... Oh! suggerire a lei che sa di latino! interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso, che le abbiamo dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo? - Il mio rispetto..." (cap. I);

al livello medio con l'Innominato (che non è una figura di fantasia, perché è il personaggio storico di Bernardino Visconti),

"Di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò [...] Fare ciò ch'era vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui, senz'altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto da tutti, aver al mano da coloro ch'eran soliti averla dagli altri; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di costui" (cap. XIX);

e al livello di "cupola" con il "Conte-zio", che interviene autorevolmente per il trasferimento di padre Cristoforo da Pescarenico a Rimini "che è una bella passeggiata", come dice il Manzoni.

"Lo servirò io di sicuro il frate. Ci penserò, e... il signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito" (cap. XI).

E nella descrizione del Manzoni non mancano neppure i "consiglieri della mafia", rappresentati dal dottor Azzeccagarbugli;

"L'altra cosa che premeva a don Rodrigo, era di trovar la maniera che Renzo non potesse più tornar con Lucia, né metter piede in paese [...]. Si risolvette d'aprirsi col dottor Azzecca-garbugli, quanto era necessario per fargli comprendere il suo desiderio. "Le grida son tante!" pensava: "e il dottore non è un'oca: qualcosa che faccia il caso mio saprà trovare, qualche garbuglio da azzeccare a quel villanaccio: altrimenti gli muto nome". [...] Pensava al dottore, come all'uomo più abile a servirlo in questo" (cap. XI);

né mancano i "fiancheggiatori", rappresentati da Egidio;

"Costui era uno de' più stretti e intimi colleghi di scelleratezze che avesse l'innominato" (cap. XX).

né mancano "i killers", rappresentati dai "bravi".

"Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici, che potranno darne una bastante de' suoi caratteri principali, degli sforzi fatti per ispegnerla, e della sua dura e rigogliosa vitalità.
Fino all'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei Bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi,... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... [...]

Ogni dì più in questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali (bravi e vagabondi), né di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite appostatamente date, omicidi e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautori loro..." (cap. I).

Quella descritta dal Manzoni è una società mafiosa veramente completa, e moderna". http://www.perlasicilia.it/sezione/città/agrigento_provincia/favara/educazione_antimafia/cap.%203.html

 

 Varie di Giuseppina Ficarra 

Parlando su facebook con Giuseppe Carlo Marino, con Salvatore Vaiana e altri della presunta cultura mafiosa del popolo siciliano vedi  .............................................................................................................................

Due tesi a confronto con dibattito nota pubblicata da Giuseppina Ficarra su facebook il giorno domenica 24 ottobre 2010

Uno scambio di idee con Salvatore Vaiana sulla cultura del popolo siciliano di Giuseppina Ficarra

Traendo spunto da GLOBALMAFIA del Prof. Giuseppe Carlo Marino prosegue il dibattito sulla cultura del popolo siciliano di Giuseppina Ficarra

Globalmafia stimola il dibattito Ulteriore commento alla nota Due tesi a confronto con dibattito pubblicata su facebook

Discussione su facebook sul concetto di “altra sicilia” a seguito di un articolo di Salvatore Vaiana:  “Lotte contadine e repressione agrario-mafiosa”.

Riflessioni su un interessante articolo di Peppino Di Lello Perché la mafia non è stata sconfitta  apparso sul Il Manifesto il 24.02.2012 in una nota pubblicata da Giuseppina Ficarra il giorno sabato 25 febbraio 2012  su facebook

Palizzolo Cuffaro e il Comitato Pro-Sicilia di Giuseppina Ficarra

Parliamo di sicilianismo Giuseppina Ficarra

Parliamo di familismo amorale Giuseppina Ficarra

Delitto Notarbartolo alla luce de "Il ritorno del Principe" di Giuseppina Ficarra

A proposito del _consenso sociale alle organizzazioni criminali organizzate  di Giuseppina Ficarra (da rivedere in qualche punto)

Io insegnante meridionale nel profondo Nord  di Giuseppina Ficarra

Ancora io insegnante meridionale "Contro la Lega, sciopero politico della scuola" di Giuseppina Ficarra

 

LE DUE ITALIE DELLA MATURITA'

Facebook_Note_di_giuseppina_ficarra.htm

  Una inchiesta sulle estorsioni da leggere per sfatare certi luoghi comuni    Leggi

Leonardo Sciascia La linea della Palma;   Dibattito su L. Sciascia;  20 anni dopo la sua morte  Consolo e altri

(da: Agorà I blog del Sole 24ORE)   Mafia: la linea della palma si alza (dalla Sicilia a Legnano)

Francesco Renda Storia della mafia Sigma edizioni 1997

 Lotta alla mafia auspicabilmente anche un compito dell’ONU  leggi

- il teorema politico di una Sicilia e di un Mezzogiorno posti al di fuori della civiltà moderna e inabilitati a partecipare oltre che alla direzione anche alla dialettica politica del paese si rivelò del tutto inattuale e fuorviante Francesco Renda Storia della mafia leggi   

di Fr. Renda vedi anche Capitolo VI  I processi Notarbartolo

Renda: "Il problema del rapporto mafia e politica non è un'invenzione di qualcuno. La mafia è mafia perché ha un organico irrinunciabile rapporto con la politica." (op. cit. pag.318)

Renda  A proposito dei rapporti mafia-politica

 Renda   una pagina molto significativa che illustra lo scontro Nord - Sud

Origine di  uno stereotipo  Franchetti: <<Manca alla generalità dei siciliani il sentimento della legge uguale per tutti>>       

 Renda (op. cit.) considera la manifestazione contro Palizzolo  una grande manifestazione antimafia. la prima forse della storia  simile a quelle che poi saranno promosse negli anni ‘80 e ‘90.    “….. infine, il partito antipalizzoliano, (che) a Palermo può finalmente rialzare la testa, e sotto la guida di un comitato diretto dai principi di Camporeale e di Trabia, ma del quale molto significativamente sono partecipi anche i socialisti, promuove una grande manifestazione antimafia, la prima forse della storia. simile a quelle che poi saranno promosse negli anni ‘80 e ‘90.    leggi. Ancora Renda op. cit. pag.421: <<Il fenomeno della nuova cultura di opposizione alla mafia esplose a Palermo in tutta la sua imponenza nel 1992 (...).Come fenomeno rurale, invece, le origini erano ancora più antiche e la sua massima espansione si era realizzata, come abbiamo visto, al tempo delle grandi lotte contadine>>

Francesco Renda op. cit. Pag.164 scrive << Il sicilianismo non era di per sé ideologia mafiosa, ma si prestava ad essere utilizzato in chiave ideologico mafiosa.  Sotto il profilo ideologico, nella interpretazione sicilianista della mafia si trovano accomunati campioni dell'antimafia come Napoleone Colajanni, intellettuali di livello nazionale come Mosca, e studiosi di segno sicilianista inconfondibile come Pitrè. Sotto il profilo politico, lo schieramento era diverso. Colajanni, Mosca e Sturzo stavano da una parte, e Pitrè dall'altra>>

Francesco Renda  e  I ceti dominanti

<<Come conseguenza di tale concezione aberrante, i ceti dominanti siciliani e meridionali vennero considerati così coinvolti con la mafia e il brigantagio da concepire e praticare la lotta alla mafia come lotta coinvolgente anche gli stessi ceti dominanti colpevoli di alimentare e rappresentare sia l’opposizione sociale che l’opposizione politica.>> leggi

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Umberto Santino e il centro Impastato

Umberto Santino  Mafia e antimafia: un percorso di analisi   

<<Sotterranee o in superficie, permangono nel resto d’Italia visioni secondo cui mafia, camorra e ’ndrangheta sono specialità regionali; si pensa e si dice, o si pensa e non si dice, che siciliani, calabresi e campani, meridionali in genere "sono fatti così, e non c’è niente da fare", come i sardi sono stati e saranno sempre banditi e sequestratori.

In tale visione non solo non hanno posto le lotte che ci sono state contro la mafia, e non ci si chiede perché non hanno avuto successo, ma non si considera neppure che se il "continente" offre possibilità consistenti a soggetti criminali ci deve essere qualche ragione.>> 

vedi   http://www.centroimpastato.it/tesauro/stereotipi.htm  e  Stereotipi e paradigmi

Umberto Santino L'approccio culturalista-psicologico, (che) sottolinea la rilevanza dei codici comportamentali, con particolare riferimento alle implicazioni
psicologiche. Si parla di "cultura mafiosa", di "sentire mafioso", di "psichismo mafioso", e se gli aspetti culturali hanno indubbiamente un peso notevole l'insistenza sulle pulsioni inconsce, che sarebbero alla base della trasmissione dei codici culturali, rischia di riproporre
modelli antropologici di tipo razziale: tutti i siciliani sarebbero coinvolti, transpersonalmente, cioe' inconsciamente, nella perpetuazione del sentire mafioso, affermazione che ignora che nella storia della Sicilia contemporanea ci sono stati movimenti di massa, tra i piu' grandi e continuativi d'Europa, che si sono scontrati con la mafia pagando un altissimo costo di sangue. (http://www.centroimpastato.it/publ/online/stereotipi_paradigmi.php3

Sembrerebbe che prima tutti i siciliani, o quasi, fossero con la mafia, complici o sudditi della mafia, considerata come l'incarnazione più congeniale di una "cultura siciliana" monoliticamente "perversa", e che da qualche anno tutti i siciliani, o quasi, siano contro la mafia, in uno sforzo di liberazione da un male atavico che somiglia a una sorta di mutazione antropologica.
In realtà non esiste una cultura siciliana come un blocco compatto e i caratteri che sono stati indicati come tipici di essa (il familismo, l'onore, la mafiosità diffusa) sono soltanto degli stereotipi se non vengono analizzati seriamente e colti all'interno di un contesto articolato e contraddittorio(1). In Sicilia c'è stata, e c'è, la mafia, e c'è stata, e c'è, la lotta contro la mafia. E questa lotta non è cominciata solo da qualche anno ma ha più di un secolo sulle spalle.

Questi dati smentirebbero l'immagine di un'Italia meridionale statica e caratterizzata dall'incivisme Le ricerche degli ultimi anni offrono un quadro diverso, travolgendo lo stereotipo dell'incivisme meridionale 

leggi tutto l'articolo:   http://www.centroimpastato.it/publ/online/movimenti_sociali.php3  

Umberto Santino Cu vincìu? Ovvero: la Sicilia dopo la disfatta 

La domanda ha una risposta fin troppo ovvia: ha vinto, anzi ha stravinto Totò Cuffaro ... Ma la domanda, che riprende il titolo di un libro di Liborio Guccione, un protagonista delle lotte contadine degli anni '40 e '50, vorrebbe andare oltre il voto e mirerebbe a stimolare un'analisi di ciò che accade in Sicilia volgendo lo sguardo un po' indietro nel tempo.  ....... A mio avviso la Sicilia dell'ultimo mezzo secolo è stata percorsa dall'onda lunga generata da una sconfitta e da un'esclusione. La sconfitta è quella delle lotte contadine del secondo dopoguerra che, dopo un decennio di mobilitazioni, si conclusero con l'emigrazione di più di un milione di persone.
leggi tutto l'articolo

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Umberto Santino «Palermo e la Sicilia hanno bisogno di recuperare la loro identità e la loro storia, che non è il risultato solo di stragi e crimini ma anche delle lotte che le hanno contrastate».(...)  E' chiaro come la necessità di elaborare un positivo senso di appartenenza al nostro Meridione imponga la rivalutazione di una storia che spesso è stata quasi dimenticata, che non viene raccontata nei libri di scuola. Nell' immaginario collettivo Calabria e Sicilia sono regolarmente assimilate alla ' ndrangheta e alla mafia, con effetti devastanti nella percezione di sé che si offre alle giovani generazioni. Umberto Santino    leggi tutto l'articolo

di Umberto Santino vedi anche  Movimento contadino e sindacale   e

 Contributi determinanti sulla mafia.   e ivi punti fondamentali di un atteggiamento antimafia

Augusto Cavadi  La cultura siciliana: indicazioni per una diagnosi
 

 

Umberto Santino  Lo stereotipo più opprimente: il mito della Sicilia affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi ! !  

 
 Umberto Santino
 
<<Di indubbio interesse le analisi di psicanalisti e psicologi apparse negli ultimi anni, soprattutto per la sperimentazione di percorsi intrecciati tra discipline e pratiche diverse, ma purtroppo affette o da una sorta di "sindrome di Copernico" (pensare di avere scoperto la chiave della fenomenologia mafiosa) o pesantemente condizionate da stereotipi. Alla base degli studi degli psicanalisti [F. Di Forti 1971, 1982; S. Di Lorenzo 1996] è l'immagine di una comunità dominata dal parricidio e dalla Grande Madre, principio femminile dommaticamente definito negativo, di fronte a un principio maschile dommaticamente positivo (Jung dixit), mentre gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente, in cui il familismo amorale non consente lo svilupparsi del senso dello Stato, della polis, e i comportamenti controcorrente si limitano a pochi personaggi considerati alieni [F. Di Maria - G.Lavanco 1995; I. Fiore 1997; G. Lo Verso 1998; F. Di Maria 2005]. Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito [U. Santino 2000a].>>
http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3    
 a proposito di Lo Verso  vedi Una tesi oscurantista 

Rocco Sciarrone Dipartimento di Scienze Sociali Professore associato di Sociologia generale (settore scientifico-disciplinare SPS/07) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino

 Se si assume il paradigma interpretativo culturalista, è facile che la spiegazione della diffusione mafiosa venga avanzata sulla base di una variante dell’ipotesi etnica (4). Considerando la mafia innanzitutto una mentalità, la sua diffusione può essere rappresentata attraverso la dinamica del contagio, un contagio di tipo culturale, di cui si farebbero portatori i meridionali. Questa tesi viene espressa in diverse varianti e non manca chi tende a renderla più morbida, dicendosi pronto a riconoscere, per esempio, che non tutti i meridionali sono agenti infettivi. Tali affermazioni, però, hanno il più delle volte un significato che riconferma l’ipotesi etnica, poiché sembra che si riconosca ai meridionali la possibilità di essere semplici portatori sani della malattia. Tale interpretazione si presenta, nella maggior parte dei casi, in modo implicito, camuffata con percorsi analitici complicati

Dal Libro online Mafie vecchie, mafie nuove che si può leggere tutto online qui  http://urlin.it/155e6

 Fara Misuraca   Mi riesce difficile accettare la mafia come fenomeno socio-psicologico. Sono stanca di queste analisi che inchiodano i siciliani ad un modello "umano" differente e delinquente. La mafia nasce per esercitare un potere baronale , quello del mero e misto imperio, nelle figure dei campieri e gabelloti che vessavano e sfruttavano, per conto del "barone" e con personale tornaconto, il popolo suddito. Continua la sua opera quando si istaura la dominazione sabauda, mediando tra il popolo rimasto servo e il nuovo Stato. Che la endemica mancanza di lavoro e l'ignoranza abbiano favorito il reclutamento di manovalanza armata non significa che il fenomeno è socio-psicologico ma semplicemente sociale, mancando un reale aiuto alla popolazione e una reale difesa dalla delinquenza da parte delle istituzioni. http://www.facebook.com/note.php?note_id=455045559604&comments=   

Gaetano Siciliano Cercare la mafia tra i comportamenti e il modo di essere di una persona equivale ad etichettarla, criminalizzarla come ha fatto Lombroso per motivi ideologi.

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Luciano Pellicani, direttore di mondo operaio Le separazioni del culturalismo

Pensando alla scuola di via Quaranta.

"E’ interessante notare che, a parte alcune manifestazioni di razzismo old style e persino di razzialismo di chiaro sapore nazista, gli atteggiamenti xenofobi oggi tendono a presentarsi sotto le vesti del culturalismo. Il culturalismo è una interpretazione delle differenze di mentalità e di comportamenti che caratterizzano i vari popoli che si pone in netta antitesi al razzialismo. Laddove questo assume che l’eredità biologica condanna i popoli ad essere quello che sono, il culturalismo sottolinea con il massimo vigore la forza plasmatrice e la cogenza normativa delle tradizioni. Ne deriva una sorta di determinismo culturale.
Vero è che, mentre la razza è un fattore rigido e immodificabile, la tradizione è, ex definitione, una realtà plastica, che può assumere forme diverse e può persino metamorfizzarsi. Sennonché, dal momento che i mutamenti culturali veramente significativi si collocano sull’asse della lunga durata, nel breve periodo le differenze culturali risultano essere non meno rigide delle (supposte) differenze razziali. Accade così che, in nome della propria identità culturale, una determinata collettività può rivendicare il diritto alla non contaminazione e, pertanto, può esigere che tutti coloro che sono portatori di atteggiamenti, valori e comportamenti “altri” siano tenuti a debita distanza […]
Il culturalismo offre una base teorica sufficiente per legittimare il rifiuto di convivere con i “diversi”

da Jihad: le radici, di Luciano Pellicani, Luiss University Press, roma, 2004

http://inoz.ilcannocchiale.it/post/1198085.html

Umberto Santino 

da Borghesia mafiosa  e società contemporanea            

 Negli ultimi tempi l'espressione "borghesia mafiosa" è stata rilanciata da qualche magistrato (in particolare da Pietro Grasso e da Roberto Scarpinato), che nel corso di indagini ha rilevato la presenza di soggetti del mondo imprenditoriale e professionale legati ai mafiosi e ne ha tratto l'idea che c'è una borghesia che si può definire mafiosa, per la consistenza dei legami, la condivisione di interessi e di comportamenti. Ma le critiche non sono mancate anche di recente. Salvatore Lupo ha parlato di "suggestione": "In nessun modo la mafia può essere considerata una classe sociale (e viceversa) e dunque tale suggestione non aiuta nella necessaria distinzione tra i vari elementi costitutivi del network mafioso" (Lupo 2004, p. 41). Quindi: il network c'è ma non è analizzabile con la "suggestione" borghesia mafiosa. Meglio parlare di "richiesta di mafia nella società italiana", di "bisogno di mafia" (Lupo 2002, p. 505 s.).
Giovanni Fiandaca contesta espressioni come "richiesta di mafia" e "voglia di mafia", parla di "equivoche metafore", richiama la necessità di "analisi più puntuali dell'attuale modo di funzionare della politica, dell'economia e più in generale della società siciliana", ma giudica l'espressione "borghesia mafiosa" uno "pseudoconcetto comodo proprio per la sua indistinta genericità e vaghezza". Considera una favola una borghesia "sempre intenta a ordire trame affaristiche in quei famosi e intramontabili "salotti buoni" rievocati e ridemonizzati da Leoluca Orlando. Sarà la mia pedanteria professorale, ma non mi rassegno a considerare strumenti validi di conoscenza e interpretazione della realtà quelli che non sono altro che comodi e usurati slogan" (Fiandaca 2005, p. 66).

Ora che il più delle volte si parli di borghesia mafiosa in modo generico e onnicomprensivo non ci sono dubbi, ma solo una lettura preconcetta e frettolosa può scambiare per slogan un'analisi che ha cercato di leggere la realtà con strumenti complessi e articolati, a fronte di stereotipi senza nessuna reale funzione conoscitiva eppure recepiti anche dalla letteratura più accreditata (dalla subcultura senza organizzazione di Hess alla mafia tradizionale in competizione per l'onore che solo negli anni '70 scopre la competizione per la ricchezza, di Arlacchi).

Ruolo della violenza privata e sistema relazionale

Con l'espressione "borghesia mafiosa", più che fare riferimento alla composizione sociale dei gruppi criminali (Franchetti come abbiamo visto rilevava l'appartenenza alla classe agiata dei capimafia), intendo denotare due fenomeni:
1) ruolo della violenza privata e dell'illegalità nei processi di accumulazione e di formazione dei rapporti di dominio e di subalternità;
2) sistema relazionale entro cui si muovono i gruppi criminali organizzati e senza di cui essi non potrebbero agire o comunque avere il ruolo che hanno avuto e continuano ad avere.
Riporto
l'ipotesi  definitoria che compendia questi due aspetti e i corollari che ne discendono:

Mafia è un insieme di gruppi criminali, di cui la più importante ma non l'unica è Cosa nostra, che agiscono all'interno di un contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale. (vedi a proposito anche  S. Lupo)


I gruppi criminali hanno composizione transclassista, altrettanto si può dire del blocco sociale che ruota attorno ad essi, che percorre trasversalmente il tessuto sociale, dagli strati più svantaggiati a quelli intermedi e ai più alti, ed è dominato dai soggetti illegali-legali più ricchi e potenti, definibili come borghesia mafiosa: capimafia, professionisti, imprenditori, amministratori, politici, che risultano in rapporto continuativo con i criminali. >>  
leggi tutto

"..i gruppi mafiosi (in Sicilia circa 6.000 affiliati) agiscono all'interno di un contesto relazionale, cioè di un blocco sociale transclassista (formato da alcune centinaia di migliaia di persone, che vanno dai vertici sociali agli strati popolari), nel cui ambito il ruolo dominante é svolto dai soggetti illegali(i capimafia) e legali (politici, amministratori, imprenditori, professionisti) più ricchi e potenti (alcune decine di migliaia), definibili come borghesia mafiosa" in Mafie e globalizzazione Umberto Santino 2007 pag.103

da  Mafia e borghesia mafiosa: un legame sempre vivo  Alessandra Ziniti intervista Umberto Santino  Pubblicata su "Repubblica Palermo", 24 marzo 2010                                                                                                                                                                                            E la zona grigia è sempre così estesa? 

 <<I mafiosi in tutto sono alcune migliaia, 6 o 7 mila, il blocco sociale può comprendere alcune centinaia di migliaia di persone, la borghesia mafiosa alcune decine di migliaia. Contro quest'ultima è difficile lottare con i mezzi attuali. Il concorso esterno è una elaborazione giurisprudenziale, sarebbe necessario regolarlo per legge, ma con i tempi che viviamo penso che sia difficile. Berlusconi è il primo a dire che è un'invenzione delle "toghe rosse".>>

vedi  Contributi determinanti sulla mafia  di Umberto Santino

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Il Ritorno del Principe di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato

 
<<Il libro sorprende e lascia a bocca aperta. In un altro paese susciterebbe polemiche e dibattiti furibondi, invece è stato subito avvolto da una coltre di imbarazzato silenzio. Forse perché rovescia a uno a uno tutti i luoghi comuni.....>>qui il video della presentazione de “Il ritorno del principe,leggi pure l'articolo di Marco Travaglio        

Delitto Notarbartolo alla luce de "Il ritorno del Principe" di Giuseppina Ficarra   

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MAFIA E POLITICA

"Per combattere e distruggere la mafia, è necessario che il Governo Italiano cessi di essere il re della mafia." On. Napoleone Colajanni 1893

Depretis, alcuni anni prima, (nell’ottica di questi equilibri politici), per mantenere un assetto di potere “che ripartisce le potestà sovrane dello Stato tra borghesia industriale del Nord e classe dirigente meridionale” (Il ritorno del Principe pag. 202), aveva rifiutato di emanare il decreto ministeriale necessario a dare esecuzione all’articolo 7 della legge di Pubblica Sicurezza, con il quale si disponeva che per esercitare la funzione di guardia campestre occorreva avere la fedina penale pulita. Una norma necessaria per contrastare la mafia. A questo proposito scrive Renda (Storia della mafia, pag 125): “Esisteva la legge , ma si faceva in modo che per legge non fosse impedito che il mafioso fosse campiere, curatolo o guardiano”.

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Umberto Santino ("Dal Gattopardo al papello: una lunga storia di patti oscuri" La Repubblica 7nov.2009) "L'Italia scopriva la mafia con il delitto Notarbartolo del primo febbraio 1893 e nonostante l'esito del processo, conclusosi con l'assoluzione del principale imputato, il deputato Raffaele Palizzolo, sono emerse le compromissioni di uomini di potere con la malavita organizzata. Scriveva Napoleone Colajanni: "e' risultato a luce meridiana che polizia, magistratura, autorita' altissime di ogni genere prese nel loro insieme tutto fecero per riuscire all'impunita' del presunto reo, per deviare la giustizia dalla scoperta della verita'".

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"Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri” (Paolo Borsellino).

leggi e ascolta le parole di Falcone e Borsellino

STRAGE DI STATO    vedi scheda

Roberto Scarpinato La seconda Repubblica nata sul sangue di Falcone e Borsellino   ascolta  interventi

Ingroia e Scarpinato Micromega 1/2003  <<E' il cane che si morde la coda, sino a quando, facendosi male (il che avviene quando sotto processo finiscono non più soltanto i "quadri militari" ma anche i colletti bianchi), la riconosce come parte di sé e molla la presa.>> 

"la dimensione politica della mafia non è un dato eventuale ed aggiuntivo del fenomeno, ma genetico e strutturale" (ivi)

Ancora Scarpinato Micromega 1/2003 <<Gli osservatori e gli analisti politici ormai denunciano apertamente il pericolo dei cosiddetti Stati mafia. >> e più  avanti <<Per restare in tema di interventi sul terreno dei rapporti tra mafia e politica, va rivelato che esiste nel nostro ordinamento un singolare e pericoloso buco normativo. [.......]Non si comprende per quale motivo la presenza di senatori e deputati condannati con sentenza definitiva per gravi reati o sottoposti a misure di prevenzione sia considerata innocua per le Camere elettive nazionali ed invece perniciosa per quelle locali, ivi comprese le comunità montane.>>

Roberto Scarpinato, Un sovversivo quale a volte è stato definito perchè, dice, si "occupa di misfatti che non riguardano i soliti Provenzano di turno, ma i loro eccellenti protettori politici senza i quali questo paese  si sarebbe liberato dalla mafia da più di un secolo" ascolta

Giancarlo Caselli  Perchè l'Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia Melampo 2009 Intervista a che Tempo che fa

Marco Travaglio Minchiate da Annozero 10 dicembre 2009 ( a proposito di Mangano Dell'Utri e Berlusconi ...)

Lirio Abate  Indagine esplosiva - Berlusconi e Dell'Utri collusi con la mafia  

  Ingroia "E il problema sostanziale è che il sistema finanziario ha ben accolto i capitali mafiosi. Gli anticorpi non hanno funzionato. Il sistema economico italiano, oggi, è fortemente pervaso dai flussi di denaro illegali [.......] E un'economia condizionata dalla mafia significa anche una politica incapace di fornire rimedi efficaci" in Lorenzo Coluccini intervista Ingroia 15-05-2009  leggi tutto

Ingroia: video intervento attaccato da Minzolini

  Ingroia  Mafia tra diritto e politica  Di cosa è figlia, si chiede Ingroia, l'alternanza (obiettivamente sconcertante per la pubblica opinione) di decisioni contraddittorie fra loro nei processi cosiddetti ”eccellenti”?

leggi   magistrati in prima linea

Renda: "Il problema del rapporto mafia e politica non è un'invenzione di qualcuno. La mafia è mafia perché ha un organico irrinunciabile rapporto con la politica." (op. cit. pag.318)

Leonardo Sciascia  ".. la mafia era, ed e' , altra cosa: un "sistema" che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel "vuoto" dello Stato (cioe' quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, e' debole o manca) ma "dentro" lo Stato...". La linea della palma

(da: Agorà I blog del Sole 24ORE)   Mafia: la linea della palma si alza (dalla Sicilia a Legnano)  Dall’agenda della politica nazionale il tema delle mafie sembra ormai cancellato. L’ultima campagna elettorale ne è stata la dimostrazione: la parola mafia non esisteva né a destra né a sinistra

Luca Tescaroli  Vedi la registrazione della presentazione del libro "Colletti sporchi" che si é tenuta sabato 7 marzo 2009 alla facoltá di Giurisprudenza di Palermo e che é stata organizzata dall´Associazione culturale Falcone e Borsellino                                                
Ascolta l'intervista di Enzo Biagi a Giuseppe Fava, pochi giorni prima della sua morte, ascoltata nell'Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza durante l'incontro organizzato da antimafiaduemila per la presentazione del libro Colletti Sporchi di Luca Tescaroli, Sostituto Procuratore della Procura di Roma.  L'aula, nonostante l'ora, era affollatissima, molti i giovani.
 
La tesi sostenuta da Fava era quella oggi sostenuta da molti magistrati all'avanguardia, Roberto Scarpinato (*), Croce procuratore della Repubblica di Palermo, Ingroia... etc. 
 Dice Fava <<I mafiosi stanno in Parlamento, mafiosi a volte sono Ministri, i mafiosi sono banchieri, mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della Nazione.... Il problema della mafia è un problema di vertici nella gestione della Nazione.>>
 vedi anche la trascrizione dell'intervista

Un pensiero "sconvolgente" del giudice Luca Tescaroli in Colletti sporchi di Pinotti e Tescaroli a pag. 272:

 <<Finora si è parlato di concorso esterno nel reato di associazione mafiosa, ma forse oggi ci si può interrogare se non sia più la mafia che concorre nell'attività delittuosa della politica>>

 

Umberto Santino ci aveva parlato  di <<produzione politica della mafia>>

(Nel 1871 - "Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.")

Tescaroli  Oggi come ieri il gioco grande del potere  non può permettersi la verità.

 <<Bene quel faticoso cammino si è rotto, così come a partire dal 1987 Giovanni Falcone fu ostacolato nel compimento dell’azione giudiziaria sul versante delle contiguità mafiose, un’azione investigativa diretta ad individuare i mandanti altri che è stata condizionata e rallentata. Oggi come ieri il gioco grande del potere non può consentirsi, non può permettersi la verità. Ancora una volta si è assistito al sistematico, ciclico arretramento dello stato nella lotta alla mafia e ciò è avvenuto proprio quando dalla repressione della mafia militare si è tentato di passare alla repressione della borghesia mafiosa..>> leggi tutto

"Colletti sporchi" ovvero "Alfa e Beta" ovvero "Berlusconi e Dell'Utri"  leggi

Si domanda Giancarlo Caselli:
<<
- perché uno dei punti di forza di Cosa nostra, la sua continuità, non trova riscontro nell’antimafia, condannata invece a risposte discontinue, soffocate entro cicli di breve durata?  
È successo al pool di Caponnetto, Falcone  e Borsellino. È successo al pool della Procura di Palermo del “dopo stragi”.
leggi tutto

(*) 

Ne Il RITORNO DEL PRINCIPE Roberto Scarpinato a pag.14 scrive:

<<Personaggi come Provenzano, Riina e altri capi sono il sottoprodotto e la replica popolare di questo modo di esercitare il potere. Durano nel tempo non per forza propria, ma perché sono leve necessarie del gioco grande del potere. Quando esauriscono la loro funzione vengono abbandonati al loro destino. Anche dopo continuano tuttavia a svolgere un ruolo essenziale: fungere da parafulmine su cui scaricare tutta la responsabilità del male e da paravento della criminalità del potere.>>

Sempre nel Il Ritorno del Principe  leggiamo <<sono le condizioni politiche di sviluppo della democrazia  che determinano l'esistenza o meno della mafia a seconda del bisogno di violenza del potere>>

 

vedi anche  di U. Santino: Mafia e politica dalla prima alla seconda Repubblica  http://www.centroimpastato.it/publ/online/mafia_e_politica.php3

Dal Gattopardo al "papello": una lunga storia di patti oscuri 7 novembre 2009 (Scriveva Napoleone Colajanni: "e' risultato a luce meridiana che polizia, magistratura, autorita' altissime di ogni genere prese nel loro insieme tutto fecero per riuscire all'impunita' del presunto reo,(n.d.r.il Palizzolo nel delitto Notarbartolo) per deviare la giustizia dalla scoperta della verita'". ivi)
 

Giancarlo Caselli Perchè l'Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia Melampo 2009 Intervista a che tempo che fa

 

Renda  A proposito dei rapporti mafia-politica

 

Intervista a Nicola Tranfaglia autore di Perché la mafia ha vinto    

C'è stata l'avanzata di quella che nel 1876 Leopoldo Franchetti chiamava "borghesia mafiosa2'                                                                                                     

Si, sullo sfondo della debolezza della tradizione democratica italiana. Non dimentichiamo che questa debolezza è stata una delle ragioni di fondo dell'affermazione del fascismo. Le classi dirigenti italiane hanno dimostrato una forte tendenza all'illegalità, Gramsci scriveva sul "sovversivismo" delle classi dirigenti. E una borghesia mafiosa che non ama la democrazia, né la competizione per merito. leggi tutto

A proposito di Morale e Politica  Giuseppina Ficarra leggi

leggi La nascita e l'evoluzione della normativa antimafia

ARRIVA L'IMPUNITA' ASSOLUTA

RIVELAZIONI DI MASSIMO CIANCIMINO

 

                                                           

Antimafia civile e sociale

Assolutamente da leggere L'Introduzione della storia del movimento antimafia di Umberto Santino  

Umberto Santino in Antimafia civile e sociale  ricorda come primo esempio di "antimafia civile" intesa come la mobilitazione contro la mafia che vede come attori gruppi di cittadini  <<le mobilitazioni contro il delitto Notarbartolo>> http://www.centroimpastato.it/publ/online/dizio_civile.php3    

Storia del movimento antimafia siciliano - dai Fasci siciliani all'omicidio di Carmelo Battaglia IL MOVIMENTO OPERAIO PALERMITANO   http://www.terrelibere.org/storia_antimafia_2.htm

Dopo l'assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo (30 aprile 1982) il funerale civile svoltosi in piazza Politeama fu una grande manifestazione popolare, con la partecipazione di circa 100.000 persone. Confluiscono due correnti: il movimento pacifista, impegnato contro l'installazione dei missili Cruise a Comiso, contro i processi di militarizzazione che investivano pesantemente l'isola e contro la corsa al riarmo delle due superpotenze, di cui La Torre era stato uno dei protagonisti, e il nascente movimento antimafia formato da associazioni, partiti, sindacati, singoli cittadini che comprendono che con il delitto La Torre la mafia ha voluto lanciare un pesante messaggio intimidatorio alla mobilitazione in atto.
     Gli atti di nascita formali di questo movimento che ben presto assume dimensioni nazionali verranno dopo il delitto Dalla Chiesa (3 settembre 1982): a Palermo si svolgono un'assemblea nazionale degli studenti (9 ottobre), un'assemblea e una manifestazione nazionale (15-16 ottobre) organizzate dai sindacati confederali. (Umberto Santino in
"Antimafia civile e sociale")

vedi anche  Politeama 1 e Politeama

 

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NOTE

 Luigi M. Lombardi  Antropologia della mafia

Quali sono i valori che animano la mafia e quali si contrappongono a questi valori? I valori che la mafia dice di avere sono quelli della dignità individuale, dell'onore, del rispetto della "parola": una serie di valori analoghi a quelli della cultura popolare. Il problema è che, mentre i valori della cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di autorealizzazione, i valori mafiosi sono "detti" per acquisire consenso, e vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché servono per coprire il comportamento violento.
Quindi abbiamo delle diversità fondamentali, non in ciò che si dice, ma in ciò che si fa. La mafia, come la camorra e la ndrangheta, è un'organizzazione di morte, e non di difesa degli oppressi, come molte volte ama presentarsi

La cultura mafiosa, elaborata nel corso del tempo, è abbastanza similare e analoga alla cultura popolare. Quindi parlando lo stesso linguaggio crea consenso, attira consenso, perché si inserisce nello stesso universo simbolico. Pensiamo alla religiosità dei boss mafiosi di paese rispetto alla religiosità comune popolare, non mafiosa. Questo crea consenso.
I valori della famiglia, quali oggi li intendiamo, sono parte integrante del sistema dei valori mafiosi
. Lo si vede anche nell'uso degli stessi termini: per parlare di clan mafiosi, si usa molte volte l'espressione "famiglia mafiosa", proprio perché il legame tra mafiosi è analogo a quello di tipo familiare o familistico. Molte volte i clan si organizzano proprio su base parentale. Abbiamo dei clan camorristici e altri clan contrapposti, che tendono a lottare per la supremazia, l'egemonia, uccidendosi reciprocamente.
 La lotta si svolge su basi familistiche, perché l'assoluta fiducia che ci deve essere tra i componenti dei clan mafiosi è rafforzata dall'appartenenza allo stesso nucleo familiare.
Vi è una analogia di valori, di meccanismi di solidarietà, tra l'organizzazione mafiosa e la cultura popolare: la cultura mafiosa aggiunge però una finalità ulteriore, quella del raggiungimento della finalità della ricchezza e del potere e del prestigio, a qualsiasi costo, che invece la cultura popolare non ha
. Luigi M. Lombardi Satriani è ordinario di Etnologia all'Università "La Sapienza".   leggi tutto l'articolo  

http://www.123people.it/ext/frm?ti=ricerca%20di%20persone&search_term=lombardi%20satriani&search_country=IT&st=ricerca%20di%20persone&target_url=http%3A%2F%2Flrd.yahooapis.com%2F_ylc%3DX3oDMTVnN2xuMzc2BF9TAzIwMjMxNTI3MDIEYXBwaWQDc1k3Wlo2clYzNEhSZm5ZdGVmcmkzRUx4VG5makpERG5QOWVKV1NGSkJHcTJ1V1dFa0xVdm5IYnNBeUNyVkd5Y2REVElUX2tlBGNsaWVudANib3NzBHNlcnZpY2UDQk9TUwRzbGsDdGl0bGUEc3JjcHZpZANTT3VxZUdLSWNycUtXOU9DZjdaNzdocjBXODV4TDAxSU55WUFEMEVD%2FSIG%3D11q02ah77%2F**http%253A%2F%2Fwww.emsf.rai.it%2Fgrillo%2Ftrasmissioni.asp%253Fd%3D53&section=weblink&wrt_id=367

http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:juwYsgeARicJ:www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp%3Fd%3D53+Sono+antropologo+e+insegno+Etnologia+all%27Universit%C3%A0+La+Sapienza+di+Roma.&hl=it&gl=it&strip=1

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 E a proposito di omertà bisogna dire che "Omertà esiste quando qualcuno omette di comunicare reati all'autorità competente: ma se l'autorità istituzionalmente competente è legata alla mafia, è ovvio che il cittadino si guardi bene dal denunciare un reato mafioso al mafioso! Oppure, pensate che sia sempre facile in Sicilia capire se lo Stato sia con i cittadini, oppure, come spesso è accaduto, sia con la mafia, quand'anche non sia esso stesso mafia in alcuni momenti ed in alcune sue articolazioni." (A.R.) In ogni caso il comune cittadino, oltre ad avere fiducia nello Stato, deve essere disposto a vedere "rivoluzionata" la sua vita (sistema di protezione, ritorsioni mafiose e quant'altro).   

Un altro stupido stereotipo é quello dell'omertà dei meridionali, siciliani in particolare.
Quando i cittadini sentono che le istituzioni dello Stato sono rappresentate da gente indegna diventano inevitabilmente omertosi e ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi al sud o al nord.
 
Ricorre spesso da parte dei padani l’accusa che i meridionali sono omertosi.
Molti giornalisti alla Bocca e alla Feltri si scandalizzano quando i cittadini meridionali si dimostrano restii a testimoniare contro la mafia. Ma vediamo come si comportano invece i padani quando sono loro a trovarsi a dover convivere a stretto contatto con gruppi criminali spietati come i mafiosi.
Prendiamo quindi come esempio l’epoca del terrorismo BR : un caso che si verificò a Torino alla fine degli anni 70 è altamente indicativo del fatto che di fronte alle intimidazioni dell crimine organizzato c’è poca differenza tra il comportamento dei meridionali e quello dei padani.
Nel 1977 ebbe inizio a Torino il processo ad alcuni membri delle Brigate Rosse: Renato Curcio, Alberto Franceschini, Paolo Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari
La competenza era della Corte d'Assise di Torino e pertanto vennero nominati i giudici popolari dalle apposite liste.
Ebbene, tutti - dico TUTTI! - i giudici popolari nominati (normali cittadini piemontesi) presentarono certificati medici e rifiutarono di presenziare al processo.
Il presidente della Corte, in pieno imbarazzo, fu allora costretto a nominarne altri ... ma anche questi presentarono certificati in preda al panico.
Ne vennero nominati altri ancora ma tutti rinunciavano terrorizzati: su 2 milioni di abitanti di Torino e provincia non si trovava un cittadino disposto a fare il giudice popolare!
Tanto che alla fine la Corte popolare venne formata per il rotto della cuffia grazie alla partecipazione volontaria di alcuni parlamentari radicali e comunisti e di alcuni sindacalisti.
Bisognava poi reperire gli avvocati d'ufficio: ebbene non si riuscì a trovare un avvocato - DICO UN AVVOCATO - 1 disponibile !!!! TUTTI TERRORIZZATI - ! Tutti gli avvocati d’ufficio a presentarono infatti anche loro certificati medici (di medici compiacienti) per suggire ai loro doveri .
Alla fine l'avvocato d'ufficio lo dovette fare niente meno che il presidente dell'ordine degli avvocati di Torino, il quale durante il processo tanto dalla paura balbettava terrorizzato.
Ed aveva ragione ad avere paura: fece una brutta fine, poverino ... lo uccisero dopo poco.
Se ben ricordo uccisero anche un giudice popolare.

Questo fatto ci insegna che l’omertà non è una cosa solo tipica meridionale come alcuni giornalisti vorrebbero far credere ma che non ha latitudini. Quando i cittadini sentono che le istituzioni dello Stato sono rappresentate da gente indegna diventano inevitabilmente omertosi e ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi al sud o al nord.
 
(Sintesi dalla voce Omertà di Salvatore Lupo in “La Mafia. 150 anni di storia e storie”, CD Rom, ideato e realizzato da Cliomedia Officina, per Città di Palermo, Mediateca Regionale Toscana, Regione Toscana, 1999).
Scrive Salvatore Lupo <<L’omertà, intesa come ripulsa «morale» nei confronti del ricorso al sistema legale, (....) non è una guida per l’azione dei mafiosi, i quali come abbiamo più volte visto collaborano quando e come ad essi conviene. Non si dimentichi che l’organizzazione deve mediare tra Stato e criminali, e dunque essere credibile verso l’uno e verso gli altri.>> in Salvatore Lupo Storia della mafia Donzelli 2007   pag.168.
Scrive Sciascia a proposito della diserzione dei giudici popolari al processo contro le brigate rosse a Torino: <<E devo confessare che, non fosse stato per il dovere di non avere paura, avrei rifiutato anch'io, avrei cercato anch'io un medico che con compiacenza da parte sua, con verità da parte mia - mi certificasse affetto da sindrome depressiva" in A futura memoria CRONOLOGIA pag.180
 
L'omertà é una conseguenza necessaria del principio della vendetta privata, il quale é alla sua volta una conseguenza della poca fiducia che la giustizia pubblica ha saputo conquistarsi nei secoli passati presso il popolo siciliano.
vedi: La mafia e l'omertà in "Polis", G. Lorenzoni, anno I, n.2, 1987, p.337

 

    TESTI SUGGERITI    

terre_­libere_­Storia­_del_movimento_antimafia_siciliano http://www.terrelibere.it/storia_antimafia_2.htm

Liberazione – 10.2.08   Quella politica che dialoga con la mafia - Ferdinando Imposimato                                        

 

Condizioni politiche e amministrative della Sicilia di Leopoldo Franchetti

La storia come non è mai stata insegnata dal tiranno di turno
Carlo Coppola L'insabbiamento culturale della questione meridionale

Cento anni di storia delle lotte popolari contro la mafia leggi

siti intrnet :  www.societacivile.it,         http://www.cuntrastamu.org/mafia/documenti_sen.htm

 

 

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 Una tesi oscurantista

che riduce la mafia ad un fenomeno sociologico e antropologico

Dire che la mafia è innanzitutto un fenomeno socio-psicologico è una tesi oscurantista che riduce la mafia ad un fenomeno sociologico e antropologico (molte aree della Sicilia e non).

Non a caso magistrati come Scarpinato, Croce, Tescaroli, Ingroia, per citarne solo alcuni non hanno mai sposato questa tesi che, secondo me, potrebbe essere considerata addirittura controproducente sul piano della lotta alla mafia (come si fa a fare la lotta ad un fenomeno psicologico!). E' così difficile che <<bisogna convivere con la mafia>>, bisogna rassegnarsi!

Nella presentazione del libro La mafia dentro di Girolamo Lo Verso leggiamo:

<<La mafia non è soltanto un fenomeno militare, capace di creare alleanze, di controllare il territorio e l'economia. È innanzitutto un fenomeno socio-psicologico, che è riuscito a far coincidere cultura, comunità, famiglia, individui. E per sconfiggerlo lo Stato deve riuscire a cambiare l'identità, la cultura e il tessuto psicologico di molte aree della Sicilia e non.>>

http://www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_Libro.asp?ID=5017&Tipo=Libro

sfoglia il libro La mafia dentro:  http://urlin.it/155b1

http://news2000.libero.it/editoriali/eda30.html (Scopri il boss che c'è in te In Sicilia un'iniziativa di analisi psicanalitica
per sradicare la cultura mafiosa!!!!!!!!!!!!!)

Il tema mafia visto con un occhio prevalentemente "psicoterapeutico"!

In Sicilia un'iniziativa di analisi psicanalitica   
per sradicare la cultura mafiosa

Per scoprire il "mafioso che c''è in noi" e la cultura della mafia latente, un''équipe di esperti propone l''autoanalisi di gruppo. A realizzare l''interessante iniziativa sarà il Comune di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Un paese di 15mila abitanti a pochi chilometri dal mare e dal parco archeologico di Selinunte, immerso nella cultura dell''antichità, ma anche nella cultura mafiosa. Daniele Passanante
19 aprile 2003
 

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Gli studenti generalmente esprimono un giudizio negativo

sulla mafia.

Per il secondo anno consecutivo il centro studi Pio La Torre

ha promosso, con la collaborazione volontaria di dirigenti

scolastici, docenti, studenti e dei componenti il comitato

scientifico, l’indagine sulla percezione del fenomeno mafioso da

parte degli studenti delle scuole medie superiori siciliane. L’esperienza

era stata avviata tre anni fa dai docenti Isabella Albanese

e Fabio D’Agati nel loro liceo con un questionario, da loro elaborato,

che negli anni seguenti, con piccoli adattamenti, è stato

esteso a tutte le scuole aderenti al progetto educativo antimafia

del Centro.

Ringrazio quanti hanno collaborato accomunati dall’impegno etico

e professionale di voler contribuire alla conoscenza del fenomeno

mafioso e offrire, attraverso i risultati dell’indagine, nuovi strumenti

per la sua sconfitta agli educatori, alle famiglie, ai partiti, alle forze

sociali e alle istituzioni.

Il questionario, ampio e complesso (46 domande), ha utilizzato un

campione statistico, scientificamente attendibile, di 2362 partecipanti,

selezionato tra gli studenti delle ultime tre classi di 51 scuole

medie superiori.

I commenti degli esperti danno conto della metodologia seguita e

dei risultati ottenuti. Il campione è stato estrapolato dalle scuole

delle 9 province siciliane, ha interessato tutti gli indirizzi di studi,

escluso quello linguistico, con la prevalenza degli istituti tecnici,

professionali e dei licei psicopedagogici, classici e scientifici.

Gli studenti che hanno partecipato all’indagine hanno un’età

prevalentemente compresa tra 16 e 19 anni, risiedono in 174

comuni della Sicilia, hanno genitori almeno per la metà forniti di

diploma o di laurea (11/12 %). Le loro madri sono in maggioranza

casalinghe (53%) e i loro padri lavorano per il 43,6% nel

settore pubblico, e per il 42,4% nel privato.

Il questionario partiva con una domanda aperta “cosa pensi del

fenomeno mafioso” alla quale ogni studente è stato libero di rispondere

ed esprimere sinteticamente il suo pensiero. Le risposte

sono state interpretate dagli esperti dei quali leggerete,

più avanti, i commenti e le informazioni metodologiche.

A me preme trarre qualche valutazione politica generale.

La prima: gli studenti rispetto alla precedente indagine mostrano

maggiore consapevolezza e conoscenza del fenomeno,

presuntivamente anche grazie al progetto educativo seguito.

La seconda: generalmente esprimono un giudizio negativo

sulla mafia.

La terza: è diffusa la convinzione tra gli studenti che lo Stato

non combatta la mafia e che la politica sia collusa con essa

Vedi

indagine sulla percezione del fenomeno mafioso da parte degli studenti delle scuole medie superiori siciliane in  a_sud_europa_anno-3_n-16 e a_sud_europa_anno-3_n-17

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Palermo La Repubblica /2010/04/26/

Sondaggio tra gli studenti "Mafia più forte dello Stato" E' quanto emerge dall'indagine demoscopica curata dal Centro Pio La Torre di Palermo. Intervistati gli alunni di 82 scuole in tutta Italia. Il rapporto fra mafia e politica viene ritenuto molto o abbastanza forte dal 95% degli intervistati

"La mafia fa schifo e deve essere sconfitta, ma lo Stato sia più presente tra la gente". Il giudizio dei giovani sulla mafia è assolutamente negativo, ma è accompagnato da un'ampia sfiducia sulla possibilità di liberarsene a breve fino a considerarla più forte dello Stato. E rimane grande la distanza rispetto ai politici e alla classe dirigente, ritenuti responsabili dei processi corruttivi nella vita pubblica. Questi i risultati più rilevati di una vasta indagine sulla percezione del fenomeno mafioso realizzata dal Centro Pio La Torre di Palermo, su scala nazionale, attraverso un questionario che è stato distribuito tra gli studenti di 82 scuole superiori.

Il rapporto fra mafia e politica viene ritenuto molto o abbastanza forte dal 95% del campione, questa volta senza significative differenze a livello territoriale. Una quota alta e una diffusione della sfiducia vasta a livello territoriale. Forse è anche per questo che gli studenti intervistati non sono affatto ottimisti sull'esito della lotta alla mafia. Intanto è radicata la convinzione che quest'ultima sia più forte dello Stato, come afferma ben il 55%, anche se è curioso osservare che tale convinzione è inversamente proporzionale alla percezione di influenza della mafia sull'economia regionale, infatti risponde in tal senso il 64% circa degli studenti laziali e Centro settentrionali, il 56% di quelli residenti in Calabria e Basilicata ed il 51% dei siciliani.

Sconfortante è, infine, il dato sulle possibilità di liberarsi da questa piaga: solo il 26% del campione ritiene che la mafia potrà essere definitivamente sconfitta. Particolarmente sfiduciati sembrano i ragazzi del Lazio (solo il 18%) e quelli del Centro Nord (il 25%); ci contano di più i calabresi e i lucani (30%) ed i siciliani (28%). Per questi ultimi, però, la fiducia è in costante caduta: lo scorso anno infatti la percentuale di coloro che ritenevano possibile la sconfitta della mafia si attestava al 37%. Si sarebbe registrata, dunque, una caduta della fiducia di oltre dieci punti percentuali. La fiducia nei magistrati e nelle forze dell'ordine appare ben più alta in Sicilia e tra i calabrolucani che in Lazio. Nel Centro-Nord il dato di fiducia verso i magistrati è più basso che al Sud, mentre vi è maggiore fiducia verso le forze dell'ordine rispetto al Lazio.

Il 36% degli studenti ritiene che la mafia possa rappresentare un forte ostacolo per la costruzione del proprio futuro, sono gli studenti del Mezzogiorno a nutrire i maggiori timori: il 59% dei calabresi e dei Lucani, il 42% dei siciliani contro il 29% dei Laziali ed 24% dei centro settentrionali. La piena consapevolezza dell'influenza della mafia sul mondo del lavoro da parte dei giovani viene confermata dalle risposte fornite alla domanda circa i fattori che permettono alla mafia di continuare ad esistere. Infatti, mentre gli studenti delle regioni sud e insulari pongono al terzo posto la mafia come causa delle scarse opportunità di lavoro presenti nei loro territori, gli studenti del centro e del nord, collocano tale fattore al quarto posto per importanza, su un totale di otto fattori.

Da rilevare, al proposito, che la corruzione della classe dirigente viene indicato come primo fattore dalla maggioranza degli intervistati ed in tre delle aree territoriali considerate (Sicilia, Lazio e Settentrione). Fanno eccezione la Calabria e la Basilicata dove il primo fattore è la bassa fiducia nelle istituzioni. Ma, a fronte della piena e diffusa consapevolezza delle capacità della mafia di condizionare il mercato del lavoro locale, i giovani sembrano determinati a non scendere a patti con i mafiosi; in questo addirittura i giovani del Sud sembrano mostrare, in proporzione, una maggiore determinazione rispetto ai coetanei del Centro e del Nord: ricorrerebbero ad un mafioso per avere un posto di lavoro solo il 15% dei calabresi e dei Lucani, il 24% dei siciliani, il 23% dei laziali ed il 20% dei centro settentrionali.

Per quanto riguarda l'informazione sul fenomeno, secondo i siciliani "parlano adeguatamente" della mafia i giornali nel 51% dei casi, la Tv nel 52%, i libri nel 33,6%. Per i calabro/lucani i giornali nel 64,1% dei casi, la Tv nel 69,2%, i libri nel 30,8%. Nel Centro-Nord, invece, i libri stanno al 50,9%, i giornali al 35,1%, la Tv al 37,8%. Nel Lazio i libri sono al 38,8%, i giornali al 43,9%, la Tv al 47,5%. Tali numeri dicono, in effetti, che per molti la Tv, più che un mezzo adeguato, è l'unico mezzo di informazione, e che nel Centro-Nord si leggono più libri che al Sud. In tutte le regioni circa il 40% discute del tema anche con i propri familiari.

"Se la classe dirigente del Paese sapesse ascoltare quanto proviene da questi studenti dovrebbe cambiare la propria politica. Sarebbero più difficili le pratiche devianti, sarebbe più forte il rispetto dell'etica della responsabilità, si rafforzerebbero senso civico e difesa del bene comune", dice il presidente del Centro Pio La Torre, Vito Lo Monaco.

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/04/26/news/sondaggio_tra_gli_studenti_mafia_pi_forte_dello_stato-3630865/

 

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http://www.siciliainformazioni.com/giornale/cronacaregionale/56045/linfluenza-cinema-sulla-percezione-mafiosa.htm

''Mafiosi eroi o criminali'', l'influenza di cinema e tv sulla percezione mafiosa

26 giugno 2009 14:01

I mass media non farebbero granche' per diffondere una reale coscienza antimafia e alcuni film e fiction tv innescherebbero meccanismi di pericolosa identificazione con i protagonisti raccontati. Scarsa la fiducia nelle istituzioni e rassegnazione sulla realistica possibilita' che la mafia sia estirpata. Sono alcuni dei dati che emergono dal sondaggio effettuato su un campione di studenti di scuola media superiore di Bergamo e di Cinisi (Palermo), presentato oggi in apertura della manifestazione internazionale dal titolo ''Mafiosi eroi o criminali'' in corso fino a domani a Palermo, promossa dalla Fondazione Banco di Sicilia e dal network internazionale ''Images of Justice'', su iniziativa del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e del professor Gianni Puglisi.

 

La ricerca mira a inquadrare il fenomeno ''mafia'' in Italia nel suo rapporto con il mondo della cinematografia, e descrivere il processo attraverso cui, a livello psico-sociale, le sue rappresentazioni mass-mediatiche si traducono in vissuti, opinioni e conoscenze. L'indagine e' stata svolta dal gruppo di ricerca del professor Vincenzo Russo in relazione al progetto-studio su ''Cinema e Mafia'' del critico cinematografico e docente dell'Universita' Iulm, Gianni Canova: il sondaggio investe le modalita' di rappresentazione della mafia nel cinema, partendo dalla considerazione che, soprattutto per i piu' giovani, la conoscenza del fenomeno Mafia rischia di essere profondamente influenzata dalla rappresentazione dei media, e in particolare di quella cinematografica.

L'obiettivo e' stato quello di rilevare il vissuto e le rappresentazioni degli spettatori rispetto alla mafia, stimolati dalla visione del film ''La siciliana ribelle''.

Numerosi i giovani intervistati secondo differenti modalita': a circa 900 ragazzi presenti nelle sale cinematografiche (di cui 600 a Bergamo e 300 a Cinisi, 620 le schede analizzate) e' stato distribuito un questionario, in cui erano contenuti diversi aggettivi opposti (bello-brutto, forte-debole, attivo-passivo, ecc.); venti ragazzi (dieci a Bergamo e altrettanti a Cinisi) sono stati video-intervistati subito dopo la visione del film, mentre un gruppo piu' ristretto di dodici giovani (sei a Bergamo e altrettanti a Cinisi) si sono sottoposti volontariamente a interviste in profondita' (minimo 30 minuti, massimo 1 ora per ciascuna intervista).

Dall'esito del sondaggio, emerge che i ragazzi di Bergamo risultano piu' impegnati, appassionati e desiderosi di sapere, di ricevere informazioni e di manifestare la loro decisione a contrastare il senso di impotenza che spesso accompagna i vissuti sulla mafia. Se da un lato, non hanno conoscenza diretta del problema, ovvero non hanno esperienze culturali o di fatti di mafia direttamente, dall'altro mostrano una comprensione fine e profonda del fenomeno, che per loro non e' soltanto criminalita' ma e' soprattutto un pensiero, un atteggiamento. Gran parte degli intervistati, inoltre, si rende conto della pervasivita' della cultura mafiosa, della sua capacita' di generare ''cultura'' e ''mentalita''' e di quanto questo fenomeno sia ampiamente diffuso non solo nel sud Italia. C'e' da sottolineare che alcune differenze di posizioni espresse possono dipendere anche dall'eta' degli intervistati di Bergamo, leggermente superiore rispetto a quella degli studenti di Cinisi. 

Per gli intervistati di Cinisi, la connotazione emotiva e' piu' esplicita: spesso, per descrivere la mafia, ricorrono nelle loro interviste a categorie quali ''lottare'', ''uccidere'', ''paura'', ''combattere'' e ''giusto''. La mafia e' dettagliatamente descritta come un ''fenomeno'' con una chiara connotazione geografica (Sicilia), rappresentato dalla figura-capo del ''mafioso''. I ragazzi di Cinisi mostrano, paradossalmente, un vissuto piu' distante rispetto al tema.

 I giovani intervistati a Cinisi descrivono la mafia come un fenomeno ''brutto'', ''cattivo'', ''sgradevole'', mentre dall'altra parte ci sono ''i buoni'', ''la polizia'', ''i magistrati'' e le ''cose belle''. Nelle loro descrizioni, tuttavia, sembra mancare quell'approfondimento razionale o profondita' di sentimento, che consentirebbe loro di parlare di Cosa nostra in maniera piu' dettagliata, personale e sottile: ''La mafia non si puo' descrivere, e' una cosa brutta''.

Esprimendo i propri giudizi sulla mafia, i ragazzi non sembrano fare ricorso ad un sistema di valori assoluto e astratto, ma a categorie di giudizio concrete e ancorate alla realta': ''La mafia e' cattiva perche' non permette (piu') alla Sicilia di crescere economicamente'', ''il mafioso e' cattivo perche' ammazza senza criterio'', ''il mafioso e' debole, perche' e' costretto a vivere nascosto'', ''la mafia e' nata negli anni 60, e' nata con il difendere le persone del paese, poi piano piano ha cominciato con gli appalti, con la droga, con tutte queste cose fino adesso.''

Le differenze fra i due gruppi appaiono ancora piu' evidenti nei giudizi espressi sulla figura del padre della protagonista del film ''La Siciliana ribelle'', che, paradigmaticamente, rappresenta la mafia di altri tempi. In questo caso i ragazzi di Cinisi sembrano essere molto piu' permissivi, quasi giustificando o quantomeno comprendendo il personaggio del padre, che rappresenta la vecchia mafia, quella che proteggeva, aiutava, e per alcuni versi si sostituiva allo Stato nella crescita del territorio.

Questa rappresentazione della differenza tra vecchia e nuova mafia e' invece totalmente assente nell'immaginario dei ragazzi di Bergamo, cosi' come emerge sia dall'analisi quantitativa che dall'analisi delle interviste. Anche per quanto riguarda l'immagine dello Stato che viene fuori dal film preso in esame, i due campioni rispondono in maniera differente.

A Bergamo sembra che lo Stato, almeno quello rappresentato nella pellicola, non sia visto come positivo, ma, come prevedibile, debole, freddo e impotente: uno Stato che soccombe alla mafia e non ha mezzi o strumenti per contrastarla.

Diversa e' l'immagine riportata dai ragazzi di Cinisi, dove invece lo Stato, pur con le sue difficolta', appare in maniera piu' positiva: (so che ci sono delle persone che ci proteggono; i carabinieri, le forze dell'ordine quindi non ho paura;''). Tuttavia e' presente la consapevolezza che anche le istituzioni sono fatte di persone, e quindi possono essere soggette a inquinamenti della criminalita' mafiosa: (''e' da persona a persona; perche' c'e' l'amministratore che e' contro la mafia e' quello che invece viene aiutato'').

 I pensieri che mi sono apparsi più interessanti di U.Santino:

quello che mi ha colpito di più:
"gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente, in cui il familismo amorale non consente lo svilupparsi del senso dello Stato, della polis, e i comportamenti controcorrente si limitano a pochi personaggi considerati alieni [F. Di Maria - G.Lavanco 1995; I. Fiore 1997; G. Lo Verso 1998; F. Di Maria 2005]. Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito [U. Santino 2000a]. "
e poi
-"In realtà non esiste una cultura siciliana come un blocco compatto e i caratteri che sono stati indicati come tipici di essa (il familismo, l'onore, la mafiosità diffusa) sono soltanto degli stereotipi se non vengono analizzati seriamente e colti all'interno di un contesto articolato e contraddittorio(1). In Sicilia c'è stata, e c'è, la mafia, e c'è stata, e c'è, la lotta contro la mafia. E questa lotta non è cominciata solo da qualche anno ma ha più di un secolo sulle spalle. "
-"Nell' immaginario collettivo Calabria e Sicilia sono regolarmente assimilate alla ' ndrangheta e alla mafia, con effetti devastanti nella percezione di sé che si offre alle giovani generazioni. Umberto Santino"
-"Si parla di "cultura mafiosa", di "sentire mafioso", di "psichismo mafioso", e se gli aspetti culturali hanno indubbiamente un peso notevole l'insistenza sulle pulsioni inconsce, che sarebbero alla base della trasmissione dei codici culturali, rischia di riproporre modelli antropologici di tipo razziale: tutti i siciliani sarebbero coinvolti, transpersonalmente, cioe' inconsciamente, nella perpetuazione del sentire mafioso, affermazione che ignora che nella storia della Sicilia contemporanea ci sono stati movimenti di massa, tra i piu' grandi e continuativi d'Europa, che si sono scontrati con la mafia pagando un altissimo costo di sangue. "
-"Raccontare la storia delle lotte contro la mafia dall'ultimo decennio del XIX secolo ai nostri giorni ci sembra il modo migliore per dare una risposta, più convincente di mille polemiche, a tutte quelle visioni della Sicilia e dell'Italia meridionale legate a schemi teorici tanto gratuiti, in tutto o in parte, quanto fortunati"

 

INDICE AUTORI, TESTI CITATI

autore titolo
Amartya Sen     Un nobel e lo scontro di civiltà CORRIERE DELLA SERA  26-02-20
Augusto Cavadi La cultura siciliana: indicazioni per una diagnosi  CDS giuseppe impastato
Bassi Cristina   Confcommercio: in aumento le estorsioni, ma solo 5 su cento denunciano  Giovedì 20 Settembre 2007  Panorama
Dino Alessandra Dov'è sparita la mafia Segno mensile Palermo – Anno XXXIII – N. 285-286 - Maggio-Giugno 2007
Erbani Francesco Mezzogiorno di gloria torna il Sud riabilitato  Repubblica  10 settembre 1999   pagina 43   
Ficarra Angelo La strage di Canicattì del 21 dicembre 1947
Ficarra Giuseppina  Parliamo di sicilianismo
Ficarra Giuseppina  Cultura del popolo siciliano Riflessioni 
Ficarra Giuseppina  Delitto Notarbartolo alla luce de "Il ritorno del Principe" 
Franchetti  Franchetti  citato in Francesco Renda Storia della mafia  Sigma 1997 pag.102
Franchetti Leopoldo Franchetti rilevava una contraddizione di fondo nell'azione dello Stato in Umberto Santino Antimafia istituzionale  CDS giuseppe impastato
Gaetano Gullo Mafia: la linea della palma si alza (dalla Sicilia a Legnano) Agorà I blog del Sole 24ORE
Gallissot René, Kilani Mondher, Rivera Annamaria Il malinteso della cultura in  L'imbroglio etnico in quattordici parole chiave editore Dedalo
Giuseppe Tomasi di Lampedusa Giuseppe Tomasi di Lampedusa citato in Tra Europa e Indie di quaggiù  di Giuseppe Maria Viscardi   
Leoluca Orlando Intervista a Leoluca Orlando di Francesco Silvestri  Lupo: "Non è vero che l’opinione pubblica sostiene la mafia"
Leonardo Sciascia La linea della palma in  Il giorno della civetta  L.Sciascia Opere – 1956.1971, p. 479
Lo Monaco Giovanni La percezione del fenomeno mafioso in Sicilia Segno mensile Palermo – Anno XXXIII – N. 289+ - Settembre-Ottobre 2007
Lombardi Satriani  Luigi M.    Antropologia della mafia
Lupo Salvatore Storia della mafia Donzelli 2007   Cap. II La rivelazione 4. Sotto la lente di Franchetti  Pag. 90, 91 e 92
Lupo Salvatore Storia della mafia Donzelli 2007 Delitto Notarbartolo Rivolta morale
Lupo Salvatore Storia della mafia Donzelli 2007 google libri
Lupo Salvatore Salvatore Lupo in Rivista di Antropologia 2006 numero VII no  equazione socio-culturale, ovvero comportamento mafioso = antropologia dei siciliani
Pellicani Luciano Luciano Pellicani direttore di mondo operaio  Le separazioni del culturalismo 
Renda Francesca i ceti dominanti siciliani in Storia della mafia  Sigma 1997 pag.94
Renda Francesco “il teorema politico di una Sicilia e di un Mezzogiorno posti al di fuori della civiltà moderna …” in Storia della mafia  Sigma 1997 pag.23/93/94/95; pag.102 
Renda Francesco Storia della mafia  Sigma 1997 Capitolo VI  I processi Notarbartolo
Renda Francesco una grande manifestazione antimafia, la prima forse della storia in Storia della mafia  Sigma 1997 Capitolo VI  I processi Notarbartolo pag.154
Renda Francesco il sicilianismo in  Storia della mafia  Sigma 1997 pag.164
Renda Francesco Origine di  uno stereotipo in Storia della mafia  Sigma 1997 pag.102
Renda Francesco A proposito dei rapporti mafia-politica in  Storia della mafia  Sigma 1997 pag.88
Renda Francesco Il movimento contadino siciliano avanguardia di civiltà in La Sicilia degli anni '50 pag.315 consultabile online
Roberto Scarpinato Il ritorno del Principe 2008, Chiarelettere
 
Rocco Sciarrone  Rocco Sciarrone e il paradigma interpretativo culturalista in Mafie vecchie, mafie nuove 
Santino Umberto  Una storia contro gli stereotipi in  Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 15  Introduzione 
Santino Umberto   Borghesia mafiosa e società contemporanea CSD giuseppe impastato
Santino Umberto  Cultura siciliana e cultura mafiosa in  Subcultura  CSD Giuseppe impastato
Santino Umberto  Un museo laboratorio sulla lotta alla mafia Repubblica — 31 ottobre 2006   pagina 16   sezione: PALERMO
Santino  Umberto  F. Di Maria – (…) G. Lo Verso 1998  in Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi CSD Giuseppe impastato
Travaglio Marco Dopo Tangentopoli, cosi' il Principe si riprese le leggi e ricomincio' come prima L'Unità 2 ottobre 2008
Umberto Santino delitto Notarbartolo in "Dal Gattopardo al papello: una lunga storia di patti oscuri"  La Repubblica  cronaca di Palermo, il 7 novembre 2009
Umberto Santino l'approccio culturalista-psicologico  in  Stereotipi e paradigmi  CDS Giuseppe impastato
Umberto Santino il "paradigma della complessità" in  L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997
Umberto Santino punti fondamentali di un atteggiamento antimafia  in Storia del movimento antimafia Editori Riuniti, Roma 2000
Umberto Santino Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi CDS giuseppe impastato
Umberto Santino cu vincìu? …. ha stravinto Totò Cuffaro in Cu vincìu? Ovvero: la Sicilia dopo la disfatta CDS giuseppe impastato
Umberto Santino Movimento contadino e sindacale CDS giuseppe impastato
Umberto Santino lo stereotipo dell'incivisme meridionale  in Movimenti sociali e movimento antimafia CDS giuseppe impastato
Umberto Santino Palermo e la Sicilia hanno vissuto la lotta alla mafia come una Resistenza permanente  in Un museo laboratorio sulla lotta alla mafia Repubblica  31 ottobre 2006   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dire, poi, che <<l’analisi di Giuseppe di Lello conferma anche una lettura più illuminata del  sicilianismo nel caso del delitto Notarbartolo, sicilianismo non “causa di..”, ma “strumento” nelle mani della classe politica di destra,  “..funzionale alla sua tenuta”>>, è una battuta stupida ed anche infelice: boutades di questo tipo sono e devono restare sempre estranee al nostro orizzonte culturale, da cui le abbiamo bandite sin dalla nostra prima adolescenza.