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vedi anche Dal conflitto fra guerra e media al conflitto fra guerra e diritto  di Domenico Gallo

Guerra umanitaria e propaganda di guerra            varie da l'Ernesto online

http://www.lernesto.it/  5/3/2011         

  di Michel Collon | traduzione di Massimo Marcori per l'Ernesto online 

 “Bush in Irak, è stato formidabile. Lo ripeterete un po’ in Libia?”   La Nato si dichiara pronta ad intervenire in Libia. Eccoci tutti commossi. Così, coloro che bombardano i civili in Afghanistan, al contrario vogliono proteggerli in Libia. Coloro che non hanno alzato un dito quando Israele massacrava Gaza, sono colti, tutto ad un tratto, da un immenso amore per gli Arabi!

Con le lacrime agli occhi, Bernard-Henri Lévy chiama di nuovo alla guerra, come fece contro l’Irak. Ma la guerra umanitaria non esiste. La guerra per il petrolio, sì. Henry Kissinger (capo della diplomazia USA sotto Nixon) confessò un giorno con franchezza: “Le grandi potenze non hanno principi, ma solo interessi”.

Anche se si desidera che ciò finisca, i Libici non soffriranno di meno sotto un’occupazione degli Stati Uniti. Bush lo ha dimostrato in Irak, Obama in Afghanistan. Droga, violenze, terrore…

Mentre si sostengono le rivendicazioni legittime dei popoli, e si condanna ogni violenza dittatoriale, ci si ricordi che tutte le guerre degli USA sono state costruite su menzogne mediatiche. Ogni informazione o pretesa informazione sarà dunque analizzata con l’emozione della solidarietà, ma anche con la ragione dell’esperienza…

Se la guerra umanitaria esistesse, gli USA e l’Europa sarebbero intervenuti per salvare Gaza.

I cinque grandi “principi della propaganda di guerra”:

1 Nascondere gli interessi economici.

2 Presentarsi in veste umanitaria.

3 Nascondere la Storia.

4 Demonizzare l'avversario.

5 Monopolizzare l'informazione

Libia: quello che i media nascondono  

  di Miguel Urbano Rodrigues | Traduzione dal portoghese di l'Ernesto online  

Una cosa è certa: le analogie con i fatti di Tunisia ed Egitto non sono ragionevoli. Queste ribellioni hanno contribuito, ovviamente, a innescare le proteste nel paese vicino a entrambi, ma il processo libico presenta caratteristiche peculiari, inseparabili dalla strategia cospirativa dell'imperialismo e da ciò che può essere definito la metamorfosi del leader.

Muammar Gheddafi, al contrario di Ben Ali e Hosni Mubarak, assunse una posizione antimperialista quando prese il potere nel 1969. Abolì una monarchia fantoccio e praticò per decenni una politica di indipendenza iniziata con la nazionalizzazione del petrolio. 

di Miguel Urbano Rodrigues

su www.odiario.info del 02/03/2011

Traduzione dal portoghese di l'Ernesto online

*Miguel Urbano Rodrigues (1925), figura storica del comunismo portoghese, è un noto giornalista e scrittore, autore di decine di pubblicazioni. In passato e’ stato caporedattore di Avante, organo del Partito Comunista Portoghese e direttore del giornale O Diario. E’ stato deputato del PCP nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. Tra gli editori di Odiario.info (a cui collaborano prestigiosi intellettuali progressisti di molti paesi, tra cui Domenico Losurdo), dirige oggi l’autorevole sito antimperialista Resistir.info.

Trascorse due settimane dalle prime manifestazioni a Bengasi e a Tripoli, la campagna di disinformazione sulla Libia sta seminando la confusione nel mondo.

Una cosa è certa: le analogie con i fatti di Tunisia ed Egitto non sono ragionevoli. Queste ribellioni hanno contribuito, ovviamente, a innescare le proteste nel paese vicino a entrambi, ma il processo libico presenta caratteristiche peculiari, inseparabili dalla strategia cospirativa dell'imperialismo e da ciò che può essere definito la metamorfosi del leader.

Muammar Gheddafi, al contrario di Ben Ali e Hosni Mubarak, assunse una posizione antimperialista quando prese il potere nel 1969. Abolì una monarchia fantoccio e praticò per decenni una politica di indipendenza iniziata con la nazionalizzazione del petrolio. Le sue eccentricità e il fanatismo religioso non hanno impedito una strategia che ha promosso lo sviluppo economico e ha ridotto disuguaglianze sociali scioccanti. La Libia si è alleata a paesi e movimenti che combattevano l'imperialismo e il sionismo. Gheddafi ha fondato università e industrie, un'agricoltura fiorente è sorta in aree del deserto, centinaia di migliaia di cittadini hanno ottenuto per la prima volta il diritto ad alloggi degni.

Il bombardamento di Tripoli e Bengasi nel 1986 da parte dell'USAF ha dimostrato che Reagan, alla Casa Bianca, identificava nel leader libico un nemico da abbattere. Al paese vennero applicate sanzioni pesanti.

A partire dalla II Guerra del Golfo, Gheddafi ha impresso una virata di 180 gradi. Si è sottomesso alle esigenze del FMI, ha privatizzato decine di imprese e ha aperto il paese alle grandi imprese petrolifere internazionali. La corruzione e il nepotismo hanno messo le radici in Libia.

Washington ha cominciato a vedere in Gheddafi un dirigente dialogante. E' stato ricevuto in Europa con onori speciali: ha firmato contratti favolosi con i governi di Sarkozy, Berlusconi e Brown. Ma quando l'aumento dei prezzi nelle grandi città libiche ha provocato un'ondata di malcontento, l'imperialismo ha approfittato dell'opportunità. Ha concluso che era arrivato il momento di liberarsi di Gheddafi, un leader sempre scomodo.

Le ribellioni della Tunisia e dell'Egitto, le proteste nel Bahrein e nello Yemen hanno creato condizioni molto favorevoli alle prime manifestazioni in Libia. Non è per caso che Bengasi rappresenti un polo di ribellione. E' in Cirenaica che operano le principali multinazionali petrolifere, lì sono localizzati i terminali degli oleodotti e dei gasdotti.

La brutale repressione scatenata da Gheddafi dopo le prime proteste popolari ha contribuito a far si che queste si ampliassero, soprattutto a Bengasi. Oggi si sa che in queste manifestazioni ha svolto un ruolo importante il cosiddetto Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, organizzazione finanziata dalla CIA. E' illuminante il fatto che in quella città siano stati innalzati rapidamente la vecchia bandiera della monarchia e i ritratti dello scomparso re Idris, il capo tribale Senussi incoronato dall'Inghilterra dopo l'espulsione degli italiani. E' apparso persino un “principe” Senussi a concedere interviste.

La solidarietà dei grandi media degli USA e dell'Unione Europea con la ribellione del popolo della Libia è, perciò, ovviamente ipocrita. Il “Wall Street Journal”, portavoce della grande Finanza mondiale, non ha esitato a suggerire in un editoriale (23 febbraio) che gli Stati Uniti e l'Europa dovrebbero aiutare i libici a rovesciare il regime di Gheddafi.

Obama, nell'attesa, ha mantenuto il silenzio sulla Libia per sei giorni; al settimo ha condannato la violenza, ha chiesto sanzioni. E' seguita la riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e lo sperato pacchetto di sanzioni.

Alcuni dirigenti progressisti latinoamericani hanno segnalato come imminente un intervento militare della NATO. Tale iniziativa, pericolosa e stupida, produrrebbe un effetto negativo nel mondo arabo, rafforzando il sentimento antimperialista latente nelle masse. E' sarebbe militarmente non necessario perché il regime libico apparentemente è agonizzante.

Gheddafi, nel promuovere una repressione violenta, ricorrendo anche a mercenari del Ciad (stranieri che non parlano neppure arabo), ha contribuito ad amplificare la campagna dei grandi media internazionali che descrive come eroi gli organizzatori della ribellione, dal momento che egli è presentato come un assassino e un paranoico.

Anche gli ultimi discorsi del leader libico, irresponsabili e aggressivi, sono stati abilmente utilizzati dai media per gettare discredito e stimolare le dimissioni di ministri e diplomatici, allontanando sempre più Gheddafi dal popolo che per decenni lo aveva rispettato e ammirato.

In questi giorni non si può prevedere il domani della Libia, il terzo produttore di petrolio dell'Africa, un paese le cui ricchezze sono già ampiamente controllate dall'imperialismo.

Vedi anche  http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=818

Libia - Alcune riflessioni di Fosco Giannini

su l'Ernesto Online del 27/02/2011

Non cadete nel tranello - è l'invito rivolto con parole appassionate a tutte le forze democratiche e progressiste del mondo dal padre della rivoluzione cubana, Fidel Castro - dell’ assordante campagna mediatica levatasi sul piano planetario dopo le notizie dei terribili scontri, senza risparmio di colpi tra le parti in causa, in Libia. Un conflitto giustamente definito “una guerra civile”. Che ha trascinato l'ex colonia italiana del nord Africa in una tribale resa dei conti tra fazioni della leadership libica e delle comunità territoriali che popolano la nazione araba. Una tragedia i cui veri contorni politici e ideologici sembrano poco chiari persino ai più sperimentati specialisti della storia e della politica di quella regione del mondo.

Ed è in questo quadro che dalla leadership di Cuba socialista, dai dirigenti delle rivoluzioni latinoamericane - a cominciare da Hugo Chavez -, dalle forze più responsabili e serie della sinistra mondiale, da importanti e autorevoli partiti comunisti (come quello portoghese), da tanti paesi del terzo mondo e del movimento dei non allineati sono giunte parole improntate alla ragione, segnate da pressanti inviti a riannodare i fili del dialogo. Parole volte a preservare l'unità, l'indipendenza e la sovranità di un Paese, la Libia, che ha diritto comunque di risolvere senza ingerenze i propri conflitti interni. Riflessioni ponderate alle quali si sono aggiunti i moniti altrettanto maturi dei rappresentanti delle potenze emergenti della grande area mondiale del “Brics”, volti anch’essi a chiedere il mantenimento della calma e ad evitare inopportune strumentalizzazioni internazionali.

Ed è rispetto a questa prova di equilibrio politico proveniente dal mondo socialista e progressista mondiale che la campagna propagandistica sollevatasi in questi giorni nel mondo occidentale e diretta all’enfatizzazione del già difficile quadro libico e – al fondo – alla demonizzazione dell’intera storia post coloniale libica, ha rivelato il proprio carattere di mera strumentalizzazione. L’enfatica e nevrotica campagna occidentale si è levata in stridente contrasto con i toni distaccati utilizzati dai media e dai rappresentanti politici nord americani ed europei in relazione alle altre vicende che stanno caratterizzando i paesi che si affacciano sull'altra sponda del Mediterraneo e il Medio Oriente più in generale. Questo “taglio” interpretativo generale assunto dall’occidente capitalistico rispetto alla questione libica, ha spinto e legittimato i media subordinati alla cultura dominante a superare di gran lunga anche i limiti che deve avere almeno il buon senso. E abbiamo assistito, di conseguenza, al dipanarsi di un “racconto dal conflitto libico” segnato da incredibili forzature e disseminato da altrettanto inverosimili menzogne. Compresa la spericolata e sfacciata montatura, peraltro ben presto smascherata, delle presunte fosse comuni a Tripoli. E’ l’imperialismo che ci riprova – come nella Jugoslavia, come in Iraq – a costruire il demone da bombardare.

Anche nel caso della figura di Gheddafi la montatura mediatica occidentale si è messa alacremente al lavoro. Il colonnello libico è personaggio sicuramente discutibile e deprecabile per la gestione autoritaria interna e per aver abbandonato, per molti versi, il progetto di autonomia del proprio Paese dall’imperialismo Usa e dall’occidente capitalistico. Tuttavia siamo oggi di fronte ad uno scarto impressionante tra la demonizzazione della figura di Gheddafi fatta in questi giorni, sotto le spinte dei poteri politici, dai media occidentali e la profondità e la qualità delle relazioni che gli Usa e i paesi dell’Unione europea hanno intrattenuto sino a ieri con il colonnello. Un leader che in virtù delle giravolte di cui è stato protagonista nel corso della sua lunga carriera, sino a ieri era comunque gradito ospite di tutti i paesi europei e affidabile partner d'affari e che, in un battibaleno, si è trasformato nel bersaglio di una campagna che gli addossa tutte le responsabilità del grave conflitto che si è scatenato di fronte alle nostre coste.

Una campagna, occorre dirlo, che in Italia ha trovato i suoi più fanatici sostenitori proprio nello schieramento di “centro-sinistra”, con un ruolo di punta assolto da quel PD che, in quanto membro dell'Internazionale Socialista, fino a solo poche settimane fa non aveva avuto nulla da ridire sul fatto che i partiti di regimi screditati come quello egiziano e tunisino, travolti miseramente dall'ondata di rivolte popolari, facessero parte a pieno titolo e con tutti gli onori dell'organismo che riunisce le socialdemocrazie di tutto il mondo. Una campagna a cui si sono prestati, senza manifestare anche solo il minimo dubbio sulla sua veridicità, trasmissioni televisive di grande audience, su cui si concentra la simpatia di gran parte dell'opinione pubblica democratica del nostro Paese. Non un solo dubbio, un interrogativo sembra avere sfiorato l'intero apparato mediatico occidentale.

E allora, in nome dell' “ingerenza democratica e umanitaria”, di cui si arrogano il diritto l'imperialismo statunitense e quello europeo (che conta su alcune illusioni, coltivate anche a sinistra, circa un ruolo di “garante pacifico del rispetto dei diritti umani” di strutture come l'Unione europea, interessate invece cinicamente anch'esse ai processi di espansione coloniale), ecco che, rapidamente, è venuta materializzandosi la lucida previsione avanzata da Fidel Castro: “ il piano della NATO è occupare la Libia”.

Ci si appresta così a mettere in pratica il “nuovo concetto strategico” approvato all'ultimo vertice di Lisbona dell'Alleanza Atlantica, che prevede la piena legittimazione all'interventismo di questa organizzazione militare in ogni parte del mondo. La NATO sta scaldando i motori dei suoi bombardieri, minacciando esplicitamente, per bocca dei capi delle potenze che ne hanno la guida, a cominciare da premio Nobel per la pace Barack Obama, di ripetere a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane l'impresa dell'Iraq e dell'Afghanistan. Le notizie delle ultime ore sono allarmanti. E non si tratta solo di sanzioni. Navi da guerra occidentali stazionano al largo delle coste libiche, pronte a intervenire, e c'è chi parla della presenza nella Cirenaica “liberata dagli oppositori di Gheddafi” di centinaia di consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi (a proposito di mercenari presenti sul posto!).

E l'Italia, attraversata da un forsennato coro bipartisan, si appresta a trovarsi in prima linea. L'obiettivo è evidente. Alle potenze occidentali non interessa assolutamente il rispetto dei diritti umani in Libia, diritti che del resto esse contribuiscono a conculcare in tantissimi altri paesi del mondo. All'occidente imperialista e all'Unione europea stanno a cuore la difesa dei propri interessi economici e strategici in quella parte del pianeta, decisiva ( in particolare) per le enormi risorse energetiche di cui dispone. In nome di questi “sacri principi”, l'occidente è disposto non solo a prolungare il bagno di sangue, evitando ogni ipotesi di soluzione negoziata del conflitto, una soluzione pacifica e rispettosa della sovranità libica. Ma è volto invece a spezzare l'integrità territoriale della Libia, dividendola in diverse entità territoriali completamente subordinate ai propri interessi, ripetendo il tragico gioco che ha portato allo smembramento della Jugoslavia. E questo progetto di “balcanizzazione” della Libia può iniziare dall’ autonomia della Cirenaica, oggi apparentemente in mano ai seguaci della monarchia feudale libica, già scalzata dalla rivoluzione antimperialista del 1969.

Ma di tutto questo c'è consapevolezza nelle forze di progresso, nel movimento per la pace, tra tutti i comunisti del nostro Paese? L'impressione che si ricava è che tale consapevolezza non vi sia e che il rischio che si corra è quello – persino - di fornire oggettivamente sostegno ai progetti neocolonizzatori Usa e NATO. Dopo essere scese in piazza (francamente senza molto senso della misura), a fianco dei monarchici che inalberavano le bandiere dello screditato re Idris, alcune forze della sinistra “radicale” e lo stesso movimento pacifista si trovano adesso in difficoltà di fronte al precipitare della situazione, di fronte cioè allo sbocco della “guerra umanitaria”. Da tempo, del resto, il movimento pacifista italiano non sembra più in grado, non solo di suscitare le grandi mobilitazioni dell'opposizione alla guerra in Iraq; ma neppure movimenti di più modesta entità, a partire dalle questioni del coinvolgimento del nostro Paese nelle più pericolose avventure militari nel mondo. E oggi il movimento della pace, già così fortemente indebolito, rischia di essere ulteriormente “disarmato” dalla gigantesca pressione mediatica di questi giorni, che sta preparando l'opinione pubblica al consenso nei confronti della guerra.

Spetta allora ai comunisti un compito, centrale quanto difficile. Ricordare a tutti, ad esempio, che la Libia divenne un prioritario terreno di conquista, per gli Usa e la Gran Bretagna, quando, alla fine degli anni ‘50, la compagnia statunitense “Esso” ratificò scientemente la presenza di immensi giacimenti petroliferi sul suo territorio. Da quel momento le maggiori compagnie, come la Esso e la britannica British Petroleum, ottennero vantaggiosissime concessioni di tipo colonialista, volte a garantire loro il controllo e il grosso dei profitti ricavabili dal petrolio libico. Due concessioni – è bene ricordarlo – le ottenne anche l’italiana Eni, attraverso l’Agip. E spetta ancora ai comunisti ricordare due fatti importanti: primo, che per controllare al meglio i giacimenti, venne abolita nel 1963 la forma federale di governo, eliminando le storiche regioni di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan; secondo, che fu la Repubblica Araba libica guidata dall’allora “nasseriano” Muammar Gheddafi a costringere nel 1970 le forze statunitensi e britanniche ad evacuare le basi militari e, l’anno seguente, a nazionalizzare le proprietà della British Petroleum, imponendo alle altre compagnie di versare allo stato libico quote molto più alte dei profitti.

Il ruolo dei comunisti è quello – oggi più che mai- di diradare le nebbie politiche e ideologiche, facendo capire che le antiche mire imperialiste sul mondo arabo e sulla Libia, sui giacimenti petroliferi, trovano, in questa fase, un terreno di nuovo fertile per rilanciarsi. Occorre chiarire e divulgare senza tentennamenti (e senza farsi illusioni sul ruolo di un' Unione europea sempre più reazionaria e atlantica) una linea di opposizione netta e intransigente alle “ingerenze umanitarie” dell'imperialismo, sotto qualsiasi forma esse possano presentarsi e mascherarsi. A partire dalla netta opposizione all’uso delle basi americane e NATO dispiegate sul nostro territorio, un’opposizione tanto forte quanto alta è la possibilità della piena e subordinata disponibilità del governo Berlusconi ad accettare le nuove richieste belliche che già vengono e ancor più verranno dall’amministrazione nord americana e dall’Unione europea. Lo diciamo anche rispetto ai pericoli che vanno già materializzandosi, come quello grave rappresentato dalla disponibilità del governo italiano a mettere a disposizione la base di Sigonella alle forze militari inglesi della NATO.

“ No all’intervento NATO. NO all’uso delle basi italiane” debbono essere le prime parole d’ordine del movimento contro la guerra. E compito prioritario è far recuperare quella consapevolezza antimperialista che sembra essersi smarrita negli ultimi tempi. Operando invece per una soluzione pacifica della crisi libica con strumenti politico-diplomatici ed economici che non mancano, e che rispettino però il principio della non ingerenza negli affari interni di un paese sovrano. Violato il quale, i pericoli per la pace non diminuiscono, bensì aumentano in modo esponenziale, come dimostrano le vicende dell'Iraq, del Kossovo e dell'Afghanistan.

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Libia: rivolta popolare, guerra civile o aggressione militare?

da L'ernesto rivista comunista online

(..........................................) Nessuno, del resto, sa molto di questo movimento di opposizione. Chi sono? Qual è il loro programma? Se vogliono davvero una rivoluzione democratica, perché sono ritornate le bandiere del re Idriss, simboli di un tempo in cui la Cirenaica è stata la provincia dominante del paese? Hanno chiesto il parere agli altri libici? Si può parlare di movimento democratico, quando questi oppositori massacrano i neri della regione? Chi fa parte dell'opposizione in un paese, se è patriottico e intende rovesciare il governo, lo fa in modo corretto. Non si crea una guerra civile nel proprio paese facendogli correre il rischio di una balcanizzazione.

- Pensi che sarebbe quindi più una guerra civile derivante dai conflitti tra clan libici?

E' peggio, credo. Ci sono stati conflitti tra le tribù, ma non hanno mai raggiunto una tale scala. Qui, gli Stati Uniti contribuiscono alle tensioni al fine di intervenire militarmente in Libia. Fin dai primi giorni della rivolta, il Segretario di Stato Hillary Clinton si è offerto di fornire armi agli oppositori. In un primo tempo, l'opposizione organizzata nel Consiglio Nazionale ha rifiutato ogni ingerenza da parte delle potenze straniere, perché sapeva che avrebbe screditato il suo movimento. Ma oggi, alcuni oppositori chiedono un intervento armato.

Dal momento che il conflitto è scoppiato, Obama ha detto che tutte le opzioni sono possibili e il Senato degli Stati Uniti ha esortato la comunità internazionale ad adottare una no-fly zone sopra il territorio della Libia, che sarebbe un vero e proprio atto di guerra. Inoltre, la portaerei nucleare USS Enterprise, che si trova nel Golfo di Aden per combattere la pirateria, è risalita fino alle coste libiche. Due navi anfibie, la USS Kearsarge e USS Ponce, con a bordo migliaia di marines e flotte di elicotteri da combattimento, sono state posizionate nel Mediterraneo.

La scorsa settimana, Louis Michel, ex Commissario europeo per lo Sviluppo e gli aiuti umanitari dell'Unione europea, si è chiesto con forza durante un programma televisivo quale governo avrebbe il coraggio di impedire davanti al proprio parlamento la necessità di intervenire militarmente in Libia. Ma Louis Michel non si è mai appellato a un tale intervento in Egitto e Bahrain. Perché?

- La repressione non è più violenta in Libia?

La repressione fu molto violenta in Egitto, ma la NATO non ha mai posizionato le navi da guerra lungo la costa dell'Egitto a minacciare Mubarak. E' stato solo esortato a trovare una soluzione democratica!

Per la Libia, si deve stare molto attenti con le informazioni che riceviamo. Un giorno si parla di 2.000 morti e il giorno dopo, il bilancio viene aggiornato a 300. Si è detto che all'inizio della crisi che Gheddafi aveva bombardato il proprio popolo, ma l'esercito russo, che monitora la situazione da satellite, ha ufficialmente negato queste informazioni. Se la NATO si prepara a intervenire militarmente in Libia, possiamo essere sicuri che i media mainstream diffonderanno la solita guerra di propaganda.

In effetti, la stessa cosa è successa in Romania con Ceausescu. La vigilia di Natale del 1989, il primo ministro belga Wilfried Martens ha tenuto un discorso in televisione sostenendo che le forze di sicurezza di Ceausescu avevano appena ucciso 12.000 persone. Era falso. Ma le immagini della celebre tomba di Timisoara hanno ugualmente fatto il giro del mondo. Dovevano dimostrare la violenza indiscriminata del Presidente rumeno. Più tardi è emerso che questi fatti sono stati una messa in scena: i cadaveri furono prelevati da una camera mortuaria e messi in scena per impressionare i giornalisti. Hanno anche detto che i comunisti avevano avvelenato l'acqua e che mercenari siriani e palestinesi erano presenti in Romania e addirittura che Ceausescu aveva addestrato degli orfani per farne macchine per uccidere. E' stata pura propaganda per destabilizzare il regime.

Alla fine, Ceausescu e sua moglie sono stati uccisi dopo un processo farsa durato 55 minuti. Naturalmente, come Gheddafi, il presidente rumeno non era un chierichetto. Ma che cosa è successo da allora? La Romania è diventata una semi-colonia d'Europa. La manodopera a basso costo viene sfruttata. Molti servizi sono stati privatizzati a favore delle imprese occidentali e sono inaccessibili per gran parte della popolazione. E ora, ogni anno, molti romeni vanno a piangere sulla tomba di Ceausescu. La dittatura era una cosa terribile, ma da quando il paese è economicamente distrutto, è peggio!

- Perché gli Stati Uniti vogliono rovesciare Gheddafi? Negli ultimi dieci anni il colonnello è divenuto frequentabile dall'Occidente e ha privatizzato una gran parte dell'economia libica a beneficio delle società occidentali.

Bisogna analizzare questi avvenimenti alla luce dei nuovi rapporti di forza nel mondo. Le potenze imperialiste sono in declino mentre le altre forze sono in piena espansione. Recentemente, la Cina ha offerto di acquistare il debito portoghese! In Grecia, la popolazione è sempre più ostile verso questa UE che viene percepita come una copertura dell'imperialismo tedesco. Gli stessi sentimenti sono in crescita in Europa orientale. Inoltre, gli Stati Uniti hanno attaccato l'Iraq per impadronirsi del petrolio, ma alla fine, solo una compagnia USA ne approfitta e il resto è sfruttato da imprese malesi e cinesi. In breve, l'imperialismo è in crisi.

Inoltre, la rivoluzione tunisina ha notevolmente sorpreso l'Occidente. La caduta di Mubarak ancora di più. Washington sta cercando di recuperare questi movimenti popolari, ma il controllo gli sfugge. In Tunisia, il primo ministro Mohamed Ghannouchi, un puro prodotto della dittatura di Ben Ali, doveva assicurare la transizione e dare l'illusione del cambiamento. Ma la determinazione del popolo lo ha costretto a dimettersi. In Egitto, gli Stati Uniti contano sull'esercito per mantenere un sistema accettabile. Ma ho ricevuto informazioni che confermano che nelle innumerevoli caserme militari sparse in tutto il paese, dei giovani ufficiali si organizzano in comitati rivoluzionari in solidarietà con il popolo egiziano. Essi avrebbero anche fatto arrestare alcuni degli ufficiali coinvolti nel regime di Mubarak.

La regione potrebbe sfuggire al controllo degli Stati Uniti. Intervenire in Libia permetterebbe a Washington di spezzare questo movimento rivoluzionario e di evitare che esso si estenda nel resto del mondo arabo e nell'Africa. Da una settimana dei giovani sono in rivolta in Burkina Faso ma i media non ne parlano. Non più che delle manifestazioni in Iraq.

L'altro pericolo per gli Stati Uniti è di veder emergere dei governi antimperialisti in Tunisia e in Egitto. In questo caso, Gheddafi non sarebbe più isolato e potrebbe rivedere gli accordi con l'Occidente. Libia, Egitto e Tunisia potrebbero unirsi e formare un blocco antimperialista. Con tutte le risorse a loro disposizione, comprese le grandi riserve di valuta estera di Gheddafi, questi tre paesi potrebbero diventare una grande potenza nella regione. Probabilmente più importante della Turchia.

- Tuttavia, Gheddafi aveva sostenuto Ben Ali in Tunisia, quando il popolo si è ribellato.

Questo dimostra quanto egli è debole, isolato e scollegato dalla realtà. Ma i rapporti di forza mutati nella regione potrebbero cambiare la situazione. Gheddafi potrebbe cambiare idea e non sarebbe la prima volta.

- Come potrebbe evolversi la situazione in Libia?

Le potenze occidentali e il cosiddetto movimento d'opposizione hanno respinto la proposta di mediazione di Chavez, lasciando intendere che non vogliono una soluzione pacifica. Ma gli effetti di un intervento NATO sarà disastroso. Abbiamo visto che cosa ha fatto in Kosovo o in Afghanistan.

Inoltre, l'aggressione militare potrebbe promuovere l'ingresso in Libia di gruppi islamici che potrebbero impadronirsi di importanti arsenali. Al-Qaeda potrebbe infiltrarsi e fare della Libia un secondo Iraq. Inoltre, ci sono già gruppi armati in Niger che nessuno sembra controllare. La loro influenza potrebbe estendersi in Libia, Ciad, Mali, Algeria ... In effetti, preparando un intervento militare, l'imperialismo sta aprendo le porte dell'inferno!

In conclusione, il popolo libico merita di meglio di questo movimento di opposizione che ha fatto precipitare il paese nel caos. Avrebbe bisogno di un vero movimento democratico per rimpiazzare il regime di Gheddafi e instaurare la giustizia sociale.

In ogni caso, i libici non meritano un'aggressione militare. Le forze imperialiste sembrano indirizzate ad avviare un'offensiva controrivoluzionaria nel mondo arabo. Attaccare la Libia è la loro soluzione d'urgenza... che gli ricadrebbe addosso.

* Mohamed Hassan è uno specialista di geopolitica e del mondo arabo. Nato ad Addis Abeba (Etiopia), ha partecipato ai movimenti studenteschi nel quadro della rivoluzione socialista del 1974 nel suo paese. Ha studiato scienze politiche in Egitto, prima di specializzarsi nel campo dell’amministrazione pubblica a Bruxelles. Negli anni '90, come diplomatico del suo paese di origine ha operato a Washington, Pechino e Bruxelles. Co-autore de “L'Irak sous l'occupation” (EPO, 2003), ha anche partecipato alla redazione di pubblicazioni concernenti il nazionalismo arabo e i movimenti islamici, e sul nazionalismo fiammingo. Hassan è uno dei più profondi conoscitori contemporanei del mondo arabo e musulmano. leggi tutto l'articolo