vedi anche
Dal conflitto fra guerra e media
al conflitto fra guerra e diritto di
Domenico Gallo
Nuovo crimine dell’Italia imperialista Aggressione alla
Libia A. C.
vedi anche
SIRIA
Iran
Afghanistan
SERVO ENCOMIO Fulvio Grimaldi
Epitaffio a
Mu’ammar Gheddafi e
qui
L'ULTIMO DISCORSO DI GHEDDAFIAddio a Mohammar, l’ultimo dei compagni
ASSASSINI
Fulvio Grimaldi Siria, Iran Libia, Italia: grisaglie e jallabieh alla
guerra mondiale
Nei tempi della storia, incommensurabilmente
piccoli a metro di universo, ma decisivi per il pur breve cammino
dell’uomo, della vita, Muammar Gheddafi è immortale. Gheddafi è la
Libia. E l’uomo nuovo. Gheddafi è tutti noi in marcia. La comunità degli
uomini ha perso un uomo, sottrattogli da ominicchi, ruffiani e
quaquaraquà. Ma ha guadagnato una guida nella tempesta. da:
"La
sinistra (eclettica plurale) dopo lunga agonia, è definitivamente
morta
a Tripoli"
Gaspare Sciortino
in
L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed
europea all'imperialismo nota pubblicata su fb il 3
settembre 2011 che è un commento
all'articolo del segretario di Rifondazione
Comunista di Liberazione il 2 settembre
Il leader libico Muammar Gheddafi ha invitato il popolo palestinese a
sollevarsi contro Israele.
Sette punti sulla guerra contro la Libia di Domenico Losurdo27/08/2011
Orwel, la Nato e la guerra contro la Libia
di Domenico
Losurdo
LA NATO CONTRO LA LIBIA. DA CHE PARTE
STANNO I COMUNISTI ?
Leonardo Masella. 24 agosto 2011
"i
comunisti veri, rivoluzionari, che non hanno paura di andare controcorrente e di
stare anche dalla parte dei perdenti, dei bombardati, degli sfruttati, degli
oppressi, dei brutti, sporchi e cattivi, stanno dalla parte della Libia di
Gheddafi contro l’illegale aggressione guerrafondaia e neocoloniale della Nato"
leggi tutto l'articolo.
Tutti quelli che fin'ora hanno continuato ad attaccare Gheddafi é ora che
gettino la maschera e si dichiarino soddisfatti dell'esito della guerra,
smettendola di dichiararsi, opportunisticamente, contrari ad essa. Non é forse
obiettivo principale dichiarato di Obama e company prendere Gheddafi vivo o
morto? G.F.
Citazioni del colonnello Gheddafi
(dai "Vuoti di memoria" di Alberto Piccinini) dal blog di Salvatore Lo Leggio
anche
qui
LIBIA: VERSO LA MORTE
DEL CNT.
Egitto
Tunisia Libia
Fulvio Grimaldi: L'invocazione finale a non fare
la guerra, suona, una volta che hai concordato sui crimini del giustiziando,
come la richiesta al boia di non affilare troppo la lama
FERRERO e la guerra in Libia
Con la scusa delle guerre umanitarie oggi neanche si
dichiara più guerra ad uno stato sovrano. I cruise lanciati
sulla Libia contengono Uranio impoverito!!!!!
....Secondo
varie stime, dal 70 all’80 per cento del territorio libico sarebbe
ancora controllato dall’esercito e dalle tribù fedeli al colonnello
Gheddafi
leggi
I serbi sono i maggiori sostenitori di Gheddafi
A quanto pare la rivoluzione in Cirenaica è telecomandata
Troppe
menzogne ci stanno raccontando qui il gionalista Ricucci ce lo ricorda
Gheddafi anche nell'ultimo rapporto dell'ONU era "elogiato"
Un intervento del
presidente dell’Uganda, Yoweri
Museveni, su Gheddafi e la Libia
fine e articolato, pieno di intelligenza
politica e di esperienza vissuta quale non siamo più abituati a sentire
dai nostri politici occidentali.
Leggi
Fulvio Grimaldi
CRIMINI
NATO-LA VERA INFORMAZIONE! FULVIO GRIMALDI -PARLA DELLA LIBIA.
docufilm
Interviste a Fulvio Grimaldi
2 settembre 2011
Rondini sulla Germania, corvi sulla Palestina (e ratti in Libia e quaquaraquà
arcobaleno.
Aquile, bisce e ratti (con noticina su embedded Rai)
Via gli artigli dell'ONU dalla Libia (e un'ammenda)
Orgoglio e pregiudizio
Via gli artigli dell'ONU dalla Libia (e un'ammenda)
Fu vera gloria!
http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2011/07/fu-vera-gloria.html
DELITTO SENZA CASTIGO? Un appello al mondo
sabato 11 giugno 2011
dal blog di Fulvio Grimaldi
Tripoli, bel
suol d’amore
dal blog di Fulvio Grimaldi
NON C'E' PALESTINA SENZA LIBIA, NON C'E' LIBIA SENZA PALESTINA
(e ancora
Radko Mladic)
L'aggressione
dell'OTAN contro la Libia e la posizione della sinistra: Intervista di Fulvio
Grimaldi
DALLA LIBIA CON AMOREFURORE Tra Gheddafi e Mladic, l’onore di Tripoli, il
disonore del “manifesto” 28.5.2011
PACIFINTI 13.5.2011
Olocausti utili e olocausti inutili, stupri veri e falsi, necro-orgsami e
cecchini Nato
'gna fanno! 30 Aprile 2011
Fatterelli e pensierini giovedì 7 aprile 2011
PERCHI SUONA LA CAMPANA DEI PACIFINTI - IL TRIDENTE AFRICANO
lunedì 4 aprile 2011
EFFEMERIDI, tra “rivoluzionari” e “mercenari” di Fulvio Grimaldi
mercoledì 30 marzo 2011
PAZZI
SANGUINARI
Blog Mondocane di Fulvio Grimaldi
23
marzo 2011
Riflettiamo
sulla Libia varie dal Blog
Mondocane di Fulvio Grimaldi
DI FIORE IN FIORE DI
STERCO IN STERCO
martedì 15 marzo 2011
ALCUNI
INTERROGATIVI SULLA GUERRA IN LIBIA
di Fulvio Grimaldi
LIBIA, ARRIVANO I LORO. INVECE IN IRAQ,,, martedì 1 marzo 2011
E LUCEAN LE STELLE,
TRA BUCHI NERI di Fulvio Grimaldi venerdì 11 marzo 2011
Occhio, la Libia è
un'altra cosa di Fulvio Grimaldi
GHEDDAFI E GLI
ALTRI di Fulvio Grimaldi
A proposito di
Abu Salim
scrive Fulvio Grimaldi:
"Nel 1996 gli islamisti tentarono una rivolta con colpo di
Stato. Fecero correre la voce che il governo aveva incendiato il
carcere di Abu Salim e che bisognava accorrere per salvare i
detenuti, quasi tutti fanatici salafiti. Contemporaneamente
innescarono una rivolta nel carcere. Intervennero prima i
secondini e furono massacrati, poi la polizia. La rivolta fu
domata con sei morti della polizia e due dei detenuti. Che,
nella pronta interpretazione di Human Rights Watch divennero
oltre mille e tali rimasero. Fanno il paio con i curdi
"massacrati da Saddam" e con i kosovari albanesi "sterminati da
Milosevic", o con i bosniaci di Srebrenica vittime di Mladic".
p.s.
Fathi Terbil è un agente della CIA. Infatti ha incarichi
ministeriali nel CNT
da
l'Ernesto
Giovani comunisti di Torino 2.0
Il piano della NATO è occupare la Libia
Le
Riflessioni del compagno Fidel
FERRERO:
CONTRO OGNI
GUERRA UMANITARIA IN LIBIA - 25.02.11
La guerra (in)utile - Fabio Amato
Liberazione
– 23.6.11
fidel
castro interviene sulla crisi libica
Un esempio vergognoso di come vengono
fabbricate prove false
Varie di Pietro Ancona
La sinistra
bertinottiana si è inventata che la geopolitica e la lotta di classe non vanno
insieme. Nei fatti debbo stare con gli americani e gli europei che
vogliono rapinare i popoli della Libia, dell'Iran e del Venezuela dei loro beni
perché sarebbe prioritario il giudizio sui loro regimi su quello
dell'imperialismo. Si nega insomma il carattere internazionale della lotta di
classe. Inoltre non si tiene conto che pur con aspetti non del tutto condivisibili la
Libia ha dato un livello di vita e di sicurezza sociale ai suoi cittadini tra i
più alti del mondo, livello che come quello degli irakeni al tempo di Sadam non
ci sarà più. L'impero li riporta all'età della pietra perché non ammette la
prosperità di civiltà diverse dalla sua....
Pietro Ancona
Gheddafi: ci rendiamo
conto che non esiste un Parlamento in Italia... Solo l'amico popolo italiano
vuole la pace.
nota
di Giuseppina Ficarra (sbagliato
giudicare altre forme di governo, di tipo socialista, oggi esistenti nel mondo
(Cuba, Libia e pochi altri) con il metro della democrazia)
Dino Greco in Derive & Approdi Liberazione
del27-04-11 a proposito di risoluzione ONU
Fabio Amato
e le sue contraddizioni note
di Giuseppina Ficarra
Protocollo tra la Repubblica Italiana e la Gran Gianahiria Araba Libica Popolare
Socialista Protocollo
tra la Repubblica Italiana e la Gran Gianahiria Araba Libica Popolare Socialista
firmato da Giuliano Amato e dal Segretario del Comitato Popolare Generale per il
Collegamento Estero e la Cooperazione Internazionale ...
I satelliti russi: la
piazza libica non ha subito alcun raid aereo di Pino Cabras | www.megachip.info
La
fine del colonialismo comincia adesso
di Ferhat Mehenni
Bye-bye Mubarak
- Michele Giorgio Manifesto 12.2.11
LA STRATEGIA DEL DOMINIO CON IL CONSENSO Né “rivoluzione islamica” né
“ribellione popolare”: L’Egitto marcia verso la “democratizzazione” imperiale
USA. 12 febbraio 2011
La
gioia di piazza Tahrir. Poi le scarpe contro Mubarak
-
Michele Giorgio
Manifesto 11.2.11
«Se se ne va è un sogno, ha vinto il popolo» - Mi.Gio.
Manifesto 11.2.11
La «storia è in marcia», ma l'Europa tace -
Anna Maria Merlo
Manifesto 11.2.11
Tra
rivolta e rivoluzione
- Nicola Melloni Liberazione 10.2.11
Le donne in Libia, a differenza di tutti gli altri paesi dell'area panaraba,
erano ai vertici di tutti i comparti della vita sociale. Guidavano industrie,
università, reparti dell'esercito. Avevano ogni sorta di agevolazione
all'interno del welfare libico che era anni luce più avanti di quello italiano.
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Epitaffio a Mu’ammar
Gheddafi
Elio Gentilini ha creato un
documento
http://www.facebook.com/groups/174174289334339/#!/notes/elio-gentilini/epitaffio-a-mu%CA%BFammar-gheddafi/10150373670351726
http://www.facebook.com/notes/elio-gentilini/epitaffio-a-mu%CA%BFammar-gheddafi/10150373670351726
è morto il 20 Ottobre 2011,
lui che aveva liberato il popolo libico dal giogo della monarchia,
dell'arretratezza e del colonialismo è stato brutalmente eliminato senza
processo dai sedicenti amanti della libertà, della giustizia e della democrazia,
a riprova di quanto potesse essere d'impaccio per quei servi dell'imperialismo e
del colonialismo europeo. Questi s...orci insorti, credendo che l'eliminazione
di un uomo possa spalancargli la strada verso la conquista e il dominio di un
paese, hanno commesso l'ennesimo, grossolano, errore strategico e hanno reso un
uomo già grande tra il suo popolo un vero emblema della lotta contro
l'imperialismo e martire per l'indipendenza africana. A nulla sono valse le
ingiurie, le demonizzazioni, le falsificazioni e mistificazioni
dell'informazione occidentale, egli saldo ha guidato il suo popolo fino alla
morte, non è fuggito quando ne aveva la possibilità, non si è arreso quando le
bombe dilaniarono il suo paese, non ha abbandonato i suoi figli acquisiti libici
nonostante la morte dei suoi veri figli, egli è nato ed è morto proprio come un
vero beduino, un vero combattente del deserto pronto a sacrificarsi per la sua
terra.
Tutti noi dobbiamo prendere
ad esempio Muʿammar Gheddafi, il leone
del deserto, che ha guidato verso l'emancipazione e la modernizzazione un paese
reso schiavo da anni di colonialismo europeo. Non era solo un patriota che unì
il suo paese profondamente diviso da differenze etniche ed economiche abissali, condannato
dalle guerre intestine tribali e con differenze tra costa ed entroterra non
paragonabili a nessun altro paese se non la Cina di Mao o la Russia di Lenin e
Stalin. Anche in questo cammino difficile lui non si è fermato, ha continuato e
come vero stratega e amico dei popoli arabi e dell'indipendenza di un continente
intero, quello africano, si è battuto per unirli economicamente e politicamente
affinché insieme potessero opporsi alle ingerenze degli sfruttatori e moderni
negrieri. Chi non riconosce questi meriti a Gheddafi non è solo un falso o un
ignorante, è anche un nemico dell'emancipazione di tutti i popoli e amico dello
sfruttamento che da secoli viene perpetrato nei continenti arretrati e
appositamente mantenuti in queste condizioni, sacrificati in cambio del
benessere di quella minoranza europea di cui noi facciamo parte
Gheddafi nel bene e nel male
ha sempre fatto l'interesse del suo popolo, per un simile eroe e liberatore
possiamo tralasciare le pecche ideologiche e lodarlo per meriti che nessuno di
noi può neanche sognare di raggiungere. Egli è riuscito a realizzare in soli
quarant'anni quasi tutti gli obbiettivi che si era prefissato, ha tolto dalle
mani straniere le risorse libiche, ha reso fertili zone desertiche
incoltivabili, ha dato pari diritti alle donne in una nazione araba, ha reso
gratuite scuole ed ospedali, ha resistito ai boicottaggi ed ai sabotaggi
occidentali, ha lottato, sempre lottato e per quarant'anni ha sempre vinto e
anche la sua morte è stata una vittoria. Si perché Gheddafi è riuscito a trarre
una vittoria anche da un apparente sconfitta, è riuscito a diventare un simbolo
per tutti i libici di buona volontà e desiderosi di emancipazione dalla
schiavitù e dall'aggiogamento occidentale che presto si abbatteranno sul paese,
ed ogni rivolta, ogni protesta, ogni lotta in Libia adesso porterà il suo nome
ed il suo marchio, il marchio del beduino di Sirte, della guida del popolo
libico verso l'indipendenza che è diritto inalienabile di ogni popolo.
Per questo tutti coloro che
si ritengono sostenitori della vera libertà di decisione,
dell'autodeterminazione dei popoli, della lotta contro l'egemonia occidentale
che condanna tutto e tutti alla miseria ed al servaggio devono riconoscere e
ammirare ciò che Gheddafi ha rappresentato e rappresenterà sino alla fine
dell'oppressioni che ogni popolo potrà mai esercitare su di un altro, e tutti
coloro che si ritengono nemici del colonialismo, del vassallaggio moderno, del
potere della minoranza sulla maggioranza e dell'oppressore sull'oppresso devono
continuare a sventolare la sua bandiera e perpetrare le sue azioni per
sconfiggere questi nemici che oggi ci sembrano invincibili ma che non sono altro
che tigri di carta.
Tremino gli imperialisti e i
loro servi nel ricordarlo e rabbrividiscano al solo pronunciare il suo nome,
perché da oggi egli è ufficialmente entrato nei cuori di ogni rivoluzionario e
militante della libertà e il suo esempio lo guiderà nel suo operato finché avrà
respiro e facoltà di pensiero. Gheddafi è stato ucciso dagli stessi servi della
monarchia che lui sconfisse, dalla tribù che prima controllava la Libia dei
tempi idrisini e da tutti quei paesi che mai si sono dati pace per non poter
affilare i loro artigli e mettere le mani sulla ricca regione africana, forti di
una benevolenza e ammirazione per la libertà apparenti, ciechi verso la
scontentezza dei loro popoli e imperterriti ad arricchirsi alle spalle di intere
masse che da oggi grideranno per ottenere la vera libertà dei popoli sconosciuta
anche ai nostri paesi. Gheddafi morendo ha acquistato una forza ed una qualità
che da vivo non avrebbe mai potuto ottenere, di questo ringraziamo gli stolti
ratti che oggi pensano di aver vinto ma che in realtà hanno segnato la loro
condanna e quella di un intero paese, svendendo ciò che per un popolo è più
importante sopra ogni altra cosa, l'indipendenza. Il leone non è morto in vano e
il suo ruggito continuerà ad echeggiare per il deserto, infondendo speranza in
tutti i popoli oppressi di tutti i continenti (primo tra tutti l'Africa) e paura
in quelli degli schiavisti moderni.
http://russiacommmunity.forumcommunity.net/?t=48335976#lastpost
Addio a Mohammar, l’ultimo dei
compagni
pubblicata da
Cloro al Clero il giorno venerdì 21 ottobre 2011 alle ore 16.47
http://www.facebook.com/groups/174174289334339/#!/notes/cloro-al-clero/addio-a-mohammar-lultimo-dei-compagni/10150343589003124
Gheddafi è morto,
assassinato come un cane da un manipolo di corrotti killer bastardi al soldo
NATO.
E’ normale, è già successo con Slobo Milosevic e con Saddam Hussein.
Quando un capo di stato (e volutamente
non uso il termine dittatore) è amato dai suoi cittadini perchè
antepone il loro benessere alle esigenze dei padroni dell’occidente finanziario,
guerrafondaio e imperialista,
diventa un nemico pubblico. Nel caso di Gheddafi non ci si è limitati alla sola
demonizzazione: si è costruito un
teatro di menzogne immenso che ha intasato tutti i media internazionali. Mai
come in questo caso
la guerra mediatica fatta di menzogne grossolane ha agito soprattutto frenando
l’appoggio popolare in occidente verso questo capo di stato.
Tutti si son bevuti
la cazzata del “dittatore” sanguinario quando la Jamariah è stata proprio
forse
l’unico esempio attuale di
democrazia dal basso. E nessuno ha fermato la guerra occidentale
che
ha devastato con i droni, il fosforo bianco, i gas e l’uranio impoverito un
paese innocente e massacrato senza pietà alcuna un intero popolo.
- Ogni cittadino o cittadina della Libia si puo’ investire nella vita
politica e nella gestione degli affari pubblici, a livello locale, regionale e
nazionale, in un sistema di DEMOCRAZIA DIRETTA (iniziando dal Congresso popolare
di base, permanente, fino ad arrivare al Congresso generale del popolo, il
grande Congresso nazionale che si riunisce una volta all’anno) .
In Libia c’era il reddito di
cittadinanza, non c’era
alcun “debito pubblico” da far pagare alla povera gente. C’era la possibilità per le giovani coppie di sposarsi,
di avere una casa, di fare l’amore e procreare senza problemi economici.
Gheddafi aveva previsto la
soddisfazione del popolo come un elemento di peso, rilevante per la politica.
Il suo ruolo era tutt’altro che dittatoriale: era il garante della Jamariah, un
“presidente della Repubblica” che solo si teneva il privilegio di far fare ai
suoi figli i manager del campionato di calcio libico. Ma
il potere ce l’avevano funzionari eletti dai comitati di popolo che li
controllavano. La
corruzione era bassissima e Gheddafi proponeva continuamente leggi per aggirare
anche questa poca.
Il livello di vita dei libici stava ampiamente superando quello dei paesi
occidentali, specialmente degli USA e dei paesi mediterranei d’Europa.
Queste statistiche lasciano senza fiato e provengono da una fonte (international
human developement) al di sopra di ogni favoritismo per la Libia di
Gheddafi.
Sarebbero stati pazzi i libici a rivoltarsi stando cosi le cose. E un uomo che
ha dato tutto questo al suo popolo non poteva da un giorno all’altro mettersi a
sparargli addosso come han detto i menzogneri mass media d’occidente.
Gheddafi è stato ucciso premeditatamente, come premeditata e preparata da
addestratori occidentali è stata questo schifo di guerra.
Perchè,
come ci spiega questo bellissimo commentatore afroamericano di cui non conosco
il nome, stava lavorando agli “Stati Uniti d’Africa”. Aveva messo 300
milioni di dollari nella costruzione del satellite che
ha permesso all’Africa intera ogni tipo di telecomunicazione.
Gli altri 200 milioni provenivano dalla colletta degli altri paesi africani.
Facendo cio’, Gheddafi ha sottratto a TIM, Vodafone e le altre multinazionali
della comunicazione un’ingente fonte di profitto (5 milioni di dollari l’anno).
Obama ha rapinato Gheddafi e i Libici
dei soldi depositati nelle banche
europee che sarebbero servite a creare strutture politiche, banche
d’investimento, leggi e moneta
propri degli africani.
Progetti a cui gli occidentali non sarebbero potuti accedere e che Gheddafi
aveva già cominciato quando
nel 2007 fece quest’intervistaa Giovanni Minoli.
Gheddafi voleva liberare l’Africa
dalla sua trappola:
la
trappola della dipendenza, della subordinazione e della schiavitu’ personale che
costringe ad immigrare in paesi stranieri e a subire il razzismo e l’umiliazione
per il fatto di “essere neri”.
Gheddafi in Libia aveva eliminato il
razzismo. Nessuno si sentiva
diverso o strano per il fatto di avere una carnagione scura.
Gli schifosi ratti che l’hanno
ucciso invece sono razzisti: hanno infierito, si sono accaniti come gli schifosi
topi di fogna che sono, proprio sulle genti di colore, che volevano bene al capo
di stato come in nessun’altra parte del mondo e sono state trucidate.
Massacrati per la loro affezione a Gheddafi: hanno subìto la crudeltà dei ratti
mercenari piu’ degli altri.
La vergogna di questa guerra, il
sangue versato, le vite e i sogni distrutti sono la
sola
eredità che la NATO lascia in questo
morente XXI secolo, prima di finire essa stessa sotto i colpi del marciume
globalizzato che ha creato, coi suoi droni, con le sue armi illegali usate in
spregio ad ogni senso del diritto, con la sua ipocrisia indefinibile in termini
umani.
Addio, Mohammar Gheddafi. Solo
una giustizia divina potrà riportare armonia dopo la tua uccisione e la tua
umanissima esistenza all’insegna dell’amore per il tuo popolo. Come Omar Mukhtar
che ha combattuto per 20 anni contro l’ingiustizia coloniale, non sarai
dimenticato.
La vergogna di questa guerra, il sangue versato, le vite e i sogni distrutti
sono la
sola
eredità
che la NATO lascia in questo morente XXI secolo, prima di finire essa stessa
sotto i colpi del marciume globalizzato che ha creato, coi suoi droni, con le
sue armi illegali usate in spregio ad ogni senso del diritto, con la sua
ipocrisia indefinibile in termini umani.
Addio, Mohammar Gheddafi. Solo una giustizia divina potrà
riportare armonia dopo la tua uccisione e la tua umanissima esistenza
all’insegna dell’amore per il tuo popolo. Come Omar Mukhtar che ha combattuto
per 20 anni contro l’ingiustizia coloniale, non sarai dimenticato.
Intervista
a Gheddafi a “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli
http://www.youtube.com/watch?v=7672zJG8k-o
LA NATO CONTRO LA LIBIA. DA CHE PARTE STANNO I COMUNISTI? Leonardo Masella. 24
agosto 2011
Alla fine dell’800 i civilissimi inglesi, nella guerra coloniale del capitalismo
alla ricerca di materie prime da rubare e di schiavi da deportare, invasero e
occuparono il territorio degli incivili Zulù. Faccio questo esempio estremo,
perché gli Zulù erano una popolazione semi-primitiva, la più lontana dalle
nostre concezioni marxiste, che opprimeva a sua volta altre popolazioni con
metodi terribili, altro che il regime di Gheddafi ! Gli Zulù si difesero come
poterono da quella invasione con archi e frecce contro le armi allora
modernissime e potenti dell’esercito inglese, e dettero anche delle sonore
lezioni di dignità e di coraggio agli inglesi, che poi però con la forza dei
cannoni, col cinismo criminale e anche con l’inganno li sconfissero e
stabilirono in Sudafrica la vergogna del regime bianco dell’apartheid.
Domanda: noi comunisti da che parte saremmo stati allora, durante quella guerra?
In tutte le guerre coloniali e imperialistiche siamo stati sempre, sempre, dalla
parte degli oppressi contro gli oppressori, dalla parte dei popoli africani,
molto più “incivili” e contro le potenze europee civilissime, democraticissime,
bianche e cristiane, ma che hanno per secoli applicato persino lo SCHIAVISMO
agli altri popoli “inferiori” perchè più “incivili”. Siamo sempre stati dalla
parte degli indiani e indios d’America contro i colonizzatori inglesi, francesi,
spagnoli. Dalla parte dei popoli latinoamericani contro l’oppressore,
torturatore, golpista civilissimo nord-americano. Dalla parte degli indiani e
dei cinesi contro le civilissime e criminalissime potenze europee sfruttatrici.
Dalla parte degli “incivili” palestinesi, un po’ scuri in faccia e governati da
Hamas, contro il civilissimo stato bianco e razzista israeliano. Mettendo in
primo piano la contraddizione principale, che è quella dell’oppressione
colonialista e imperialista contro il popolo oppresso, colonizzato, occupato,
invaso, sfruttato, senza per questo aderire ai regimi sociali o alle culture dei
popoli oppressi, a volte lontane anni luce dalla nostra concezione comunista
(come era la cultura degli indiani d’America, degli Zulù e come può essere il
regime di Gheddafi o quello siriano). Anche oggi, con questa impostazione,
i comunisti veri, rivoluzionari, che non hanno paura di andare controcorrente e
di stare anche dalla parte dei perdenti, dei bombardati, degli sfruttati, degli
oppressi, dei brutti, sporchi e cattivi, stanno dalla parte della Libia di
Gheddafi contro l’illegale aggressione guerrafondaia e neocoloniale della Nato,
moderna santa alleanza degli Stati imperialisti in declino irreversibile, che
vince (per il momento) solo perchè è super-armata di armi modernissime e
terrificanti. Leonardo
Masella. 24 agosto 2011
Bye-bye Mubarak
- Michele Giorgio
IL CAIRO
- Gioia, felicità, danze, canti, baci, carezze, abbracci, pianti, risate, fuochi
artificio, barche sul Nilo. Un fiume di parole non basta a descrivere come
milioni di egiziani hanno festeggiato ovunque nel paese il sogno divenuto
realtà, l'addio alla presidenza dopo ben trent'anni di Hosni Mubarak, l'unico
leader conosciuto da almeno la metà della popolazione. Una festa coinvolgente e
colorata che andrà avanti nei prossimi giorni e che sancisce la vittoria della
«seconda rivoluzione egiziana», quella dei giovani, nota anche come la
«rivoluzione 2.0», come l'aveva battezzata giovedì il blogger Wael Ghonim, tra i
primissimi promotori dell'insurrezione contro il faraone del terzo millennio
dopo Cristo. «Congratulazioni all'Egitto, il criminale ha lasciato il palazzo»,
così Ghonim ha salutato, ovviamente su Twitter, l'addio del raìs. Il primo
obiettivo è stato raggiunto dal popolo egiziano, ma già si guarda avanti, alla
ricostruzione dell'Egitto su nuove basi, politiche ed economiche.
La gioia
è proporzionale all'incertezza politica. Siamo ad un passaggio fondamentale
della storia del più importante dei paesi arabi, che, peraltro, potrebbe dare il
via all'effetto domino tanto evocato in Medio Oriente dopo la rivolta tunisina
del mese scorso. Dietro l'angolo forse c'è l'insurrezione di giovani e popoli di
altri paesi della regione, dominati come lo sono stati gli egiziani, da regimi
oppressivi e, quasi sempre, fedeli esecutori delle politiche degli Stati uniti.
Mubarak, lasciando la presidenza ha trasmesso i suoi poteri allo stato maggiore
dell'esercito guidato dal generale Mohammed Tantawi, il ministro della difesa.
Tantawi è una figura grigia e poco stimata - anche se ieri sera era davanti al
parlamento a salutare la folla - che con ogni probabilità sarà soltanto il volto
e il portavoce del Consiglio militare supremo dove svetta il capo di stato
maggiore, generale Sami Enan, un comandante che piace molto agli Stati uniti e
che gode di simpatie anche tra i Fratelli musulmani, per la sua «onestà e
rettitudine».
Enan e
gli altri generali saranno il presente dell'Egitto, nella speranza che non
diventano anche il futuro del paese, violando l'impegno preso di garantire
l'avvio di quel processo di riforme democratiche per il quale hanno lottato
milioni di egiziani e sono morti oltre 300 manifestanti. «In nome di Allah il
misericordioso e il compassionevole: cittadini, durante le difficili circostanze
che sta attraversando l'Egitto il presidente Hosni Mubarak ha deciso di lasciare
la carica di capo dello Stato e ha incaricato lo stato maggiore delle forze
armate di amministrare gli affari del paese. Che Allah possa aiutare tutti». Con
queste parole il vicepresidente Omar Suleiman ha annunciato in un brevissimo
intervento televisivo l'abbandono del potere da parte del raìs, senza aggiungere
alcun dettaglio sul suo futuro personale o quello del premier Ahmed Shafiq.
Mubarak, che in un discorso trasmesso giovedì aveva rifiutato di dimettersi,
ieri mattina ha lasciato improvvisamente il Cairo per recarsi alla sua residenza
di Sharm el Sheikh, nel Sinai, mentre piazza Tahrir si riempiva nuovamente di
centinaia di migliaia di dimostranti e altre decine di migliaia di persone
circondavano diversi palazzi delle istituzioni, la televisione di stato e si
avvicinavano alla residenza del presidente. Alla notizia delle dimissioni la
folla ammassata nella piazza Tahrir, epicentro per due settimane delle proteste,
è esplosa di gioia. «E' fatta, siamo all'epilogo. Mubarak oggi è a Sharm el
Sheikh, domani sarà a Jedda come l'ex presidente tunisino Ben Ali», ripeteva
Omar, giunto in piazza Tahrir con la moglie e i due figli per godere di un
momento che fino a qualche settimana fa nemmeno osava sognare.
«Lui
non rinunciava alla presidenza ma noi non ci siamo arresi, siamo rimasti qui,
certi che presto o tardi avrebbe ceduto», spiegava il dottor Mansour Mahfouz con
il camice bianco e un fascia con i colori della bandiera egiziana giunto in
piazza assieme ad una nutrita delegazione di medici ed infermieri. Intorno nel
frattempo si ballava e cantava, in un tripudio di bandiere egiziane. La gioia
dell'annuncio ha cancellato in un attimo la delusione che molti avevano provato
dopo la diffusione, in tarda mattinata, del secondo comunicato dei vertici
militari, che dava l'idea di un sostegno delle forze armate al raìs contestato
da gran parte del paese. «E' la prova che la politica egiziana è controllata da
Israele e Stati uniti» aveva commentato con ira un ex deputato dei Fratelli
musulmani, Mohammed Ashiyeh. Poi tutti hanno compreso che sono stati i generali
a spedire Mubarak in riva al Mar Rosso. «Per noi la vita ricomincia adesso» ha
commentato, appena giunto in piazza Tahrir per i festeggiamenti, il premio Nobel
per la pace e uno dei leader dell'opposizione egiziana, Mohammed El Baradei. «Il
mio messaggio al popolo egiziano è: vi siete guadagnati la libertà, fatene il
miglior uso e che Allah vi benedica», ha proseguito El Baradei, un probabile
candidato alla presidenza. L'Egitto ora è in mano ai militari che i Fratelli
musulmani, principale movimento di opposizione, si sono affrettati ad elogiare
per «aver mantenuto le promesse».
Le
incognite però sono tante nonostante l'atteggiamento positivo e vicino alla
gente che soldati e ufficiali hanno avuto in questi quindici giorni nei quali
hanno presidiato le strade del Cairo e di altre città. Le forze armate non hanno
ancora comunicato quale sarà l'iter della transizione. In base all'articolo 84
della costituzione egiziana, in caso di vacanza del potere, la presidenza viene
assunta ad interim dal presidente dell'Assemblea del popolo e le elezioni devono
venire celebrate entro i successivi 60 giorni. Ma è chiaro che l'esercito non
affiderà alcun incarico a Fathi Sorour, speaker di una Assemblea dominata dai
deputati del Pnd, il partito di Mubarak, eletta alla fine dello scorso anno tra
brogli e frodi senza precedenti, e, quindi, non riconosciuta dal popolo. Fino a
ieri il vice-presidente (ed ex capo dei servizi segreti) Suleiman sembrava il
più gettonato a guidare il periodo tra il «governo militare» e la nascita di una
leadership politica eletta democraticamente. Non piace molto agli egiziani ma
Washington e Israele cercheranno di imporlo alla giunta militare che ha preso i
poteri, perché è considerato, come dice qualcuno, la «migliore garanzia di
stabilità e continuità per l'intera regione». Non è però chiaro se Suleiman goda
del pieno appoggio dell'esercito e ierisera circolavano voci, rilanciate dalla
Bbc, che anche lui avrebbe rinunciato all'incarico dopo un aspro scontro con i
vertici militari. Ieri sera è sceso in campo anche il segretario generale della
Lega Araba, Amr Moussa, che salutando lo «storico cambiamento» in Egitto e ha
invitato al «consenso nazionale» dopo le dimissioni di Mubarak. Egiziano, ex
ministro degli esteri, Musa fa parte del Consiglio dei saggi e non nasconde le
sue ambizioni presidenziali. Qualsiasi soluzione venga trovata ai piani alti
tuttavia verrà respinta dal popolo se non verrà accompagnata dalle riforme
annunciate. Gli egiziani in queste due settimane hanno imparato a non avere più
paura e non resteranno a guardare di fronte alla nascita di una dittatura
militare o di un nuovo regime, simile a quello attuale ma con un nuovo volto.
La gioia di piazza Tahrir. Poi le scarpe contro Mubarak
- Michele Giorgio Manifesto 11.2.11
IL CAIRO - «Rivoluzione: missione compiuta». La
folla ondeggiava e cantava ieri sera mentre in Piazza Tahrir, attraverso Twitter,
in omaggio ad una rivolta cominciata in internet, giungevano queste parole
scritte da Wael Ghoneim, il cyber-militante simbolo dell'insurrezione arrestato
dalla polizia politica e liberato dopo 12 giorni di detenzione. Peccato che il
Faraone, che pareva avesse ceduto di schianto dopo 17 giorni di manifestazioni
oceaniche, alla fine spiazza tutti e non se ne va. Nonostante i milioni di
persone che urlavano un solo slogan: «Hosni Mubarak vattene». Nonostante Obama,
che annunciava che «lì si fa la storia». L'uomo che per trent'anni ha avuto il
controllo dell'Egitto poggiandosi su un apparato di sicurezza e repressione
feroce, che ha consentito il ripetersi di elezioni-farsa, che sognava di passare
lo scettro al figlio dando inizio ad una dinastia, ha annunciato la fine dello
stato d'emergenza che durava dal 1981, ribadito che rispetterà gli impegni presi
e non si ricandiderà, promesso che garantirà lo svolgimento di elezioni libere e
ceduto i poteri al suo vice Suleiman. Ma senza cedere ai «diktat» di altri Paesi
e con l'avvertenza che «non lascerò mai questa terra». Fino alla tarda serata di
ieri il potere appariva saldamente nelle mani del Consiglio militare supremo,
che nel suo primo comunicato aveva annunciato di aver preso ad interim i poteri
politici e la guida del paese.
Ma nella notte Mubarak ha ribaltato tutto e
annunciato in un messaggio televisivo alla nazione il trasferimento delle
deleghe a Omar Suleiman, il vicepresidente ed ex capo dei servizi di sicurezza
che Stati Uniti e Israele vorrebbero vedere al potere, garante di una
transizione «ordinata» che non metta in discussione l'attuale posizione politica
e diplomatica dell'Egitto nella regione e verso l'Occidente. Un boato di
felicità aveva accolto quella che sembrava essere la fine del regime. Dopo era
cominciata la festa. «L'esercito e il popolo sono uniti» hanno urlato alcuni,
«viva l'Egitto» altri. Migliaia di egiziani hanno continuano ad affluire verso
la piazza simbolo della rivolta presidiata da decine di mezzi corazzati che,
almeno fino a tarda sera, non hanno effettuato alcun movimento. «Sono qui perché
non voglio perdermi questo momento storico, il momento in cui il presidente
lascerà il paese» diceva Alia Mossallam, 29 anni. Khaled e Ammar, amici per la
pelle, invece si abbracciavano felici brindando simbolicamente con l'acqua
minerale alla fine del regime di Mubarak, costretto a farsi da parte come il
tunisino Ben Ali. «This is people power» ripeteva da parte sua un uomo sulla
quarantina rivolgendosi ai giornalisti stranieri presenti, corretto
immediatamente da un ragazzo: «No, questo è il potere dei giovani, dei giovani
della rivoluzione».
La gioia si è trasformata in rabbia immediatamente dopo il
discorso di Mubarak. In migliaia hanno preso a lanciare scarpe contro il Faraone
in segno di dispregio, si è alzato un coro che chiedeva le dimissioni e sono
partite le invocazioni all'esercito ad andare insieme dal raìs per deporlo. Oggi
centinaia di migliaia di egiziani continueranno a manifestare, al Cairo e nel
resto del paese. La caduta del presidente non è che la prima delle
rivendicazioni dei gruppi di giovani e della società civile che hanno guidato la
rivolta. La voglia di cambiamento e di giustizia è enorme - tutti chiedono che
vengano giudicati e puniti i responsabili della strage di oltre 300 egiziani
compiuta da polizia e servizi di sicurezza - ma che difficilmente troverà
soddisfazione nel passaggio di poteri al vicepresidente (che Piazza Tahrir non
vuole) o nelle strategie dell'esercito, che è uscito definitivamente allo
scoperto e potrebbe assumere un ruolo più definito concentrando il potere in una
sorta di giunta militare. Il Consiglio militare supremo ha diffuso due
comunicati ieri pomeriggio nei quali si è preso carico di «esaminare le misure
necessarie per preservare la sicurezza del paese» e «sostenere le legittime
richieste della popolazione». Se Suleiman appare il candidato preferito da
Washington e Tel Aviv, l'esercito potrebbe non essere d'accordo, preferendo
assumere collettivamente la responsabilità del paese o proporre un nuovo
candidato. Non va dimenticato che entrambe le parti hanno due efficaci strumenti
di pressione: gli aiuti militari statunitensi da una parte e il trattato di Camp
David con Israele dall'altra. Di fatto, come si legge sui documenti dei
diplomatici americani diffusi da Wikileaks, i comandi militari egiziani
considerano gli aiuti un indennizzo dovuto per il rispetto del trattato. Il
premier israeliano Netanyahu perciò è stato rapido nel mettere in chiaro già
ieri sera cosa si aspetta dal nuovo Egitto che, in sostanza, vorrebbe come
quello dominato per trent'anni da Mubarak.
«Israele desidera stabilità e
continuità e che sia preservata la pace, quale che sia il governo al potere», ha
detto prima ancora del discorso del presidente sconfitto. Dagli Usa Barack Obama
si è sbilanciato poco, limitandosi a ripetere quanto già dichiarato più volte
dall'inizio della crisi egiziana. «Siamo testimoni della storia che si schiude -
ha detto il presidente Usa - È un momento di trasformazione che sta avvenendo
perché il popolo egiziano chiede un cambiamento. Sono i giovani ad essere
all'avanguardia. Una nuova generazione, la vostra generazione - ha precisato
rivolgendosi agli universitari americani della Northern State University - che
vuole che la sua voce sia udita. Vogliamo che questi giovani e tutti gli
egiziani sappiano che l'America continuerà a fare ogni cosa che può per
sostenere una transizione ordinata e autentica verso la democrazia in Egitto».
Belle parole ma la Casa Bianca ha già fatto schierare navi da guerra nel
Mediterraneo meridionale, pronte ad intervenire per tenere aperto il Canale di
Suez se in Egitto non avverrà la «transizione ordinata». Gli americani sanno
bene che buona parte degli 80 milioni di egiziani puntano ad un cambiamento
profondo, perché vogliono vivere finalmente un'esistenza decorosa, non più tra
gli stenti come hanno dovuto fare sino ad oggi. Accanto alla rivolta di Piazza
Tahrir dilagano gli scioperi di lavoratori di ogni settore che ricevono stipendi
da fame. Ieri a scioperare sono stati i 62mila autisti di autobus e mezzi di
trasporto pubblici. «Non torneremo alla guida sino a quando non verranno accolte
le nostre richieste - ha spiegato Wael Riad, un autista - Vogliamo l'aumento
immediato dello stipendio, 700 pound al mese (meno di 100 euro) sono una
miseria, a stento riusciamo a mangiare».
Il via libera agli scioperi è stato
proprio il governo a darlo, annunciando l'aumento, a partire da aprile, del 15%
delle pensioni e dei salari dei dipendenti pubblici. Assecondando i dipendenti
statali, principale bacino di consenso, il regime credeva di poter placare il
malcontento esploso in rivolta il 25 gennaio. Invece quel provvedimento ha
spinto migliaia di egiziani a scendere in strada per reclamare «aumenti per
tutti e non per pochi». Faisal, un insegnante, si lamentava ieri per «le
ricchezze del presidente». «Noi moriamo di fame e la famiglia Mubarak invece si
è arricchita», ha detto l'uomo in riferimento alle notizie circolate nei giorni
scorsi sul patrimonio di diversi miliardi di dollari che il raìs e e la sua
famiglia avrebbero accumulato in tutti questi anni. Gli scioperi si
intensificano ovunque. Ieri 24mila operai della Misr Spinning di Mahallah
(Delta), hanno fermato gli impianti della più importante fabbrica tessile del
paese, dichiarandosi solidali con la protesta in Piazza Tahrir. Seimila
lavoratori sono in sciopero nell'area del Canale di Suez, con grande
preoccupazione di Usa e Ue. Ma l'Egitto va ricostruito anche a partire dal
rispetto dei diritti umani e politici. Amnesty ha chiesto la fine dei poteri
arbitrari delle forze di sicurezza, il rilascio dei prigionieri di coscienza e
l'introduzione di garanzie contro la tortura. Parole che, si spera, verranno
ascoltate. I dubbi però restano forti. Ieri il Guardian ha riferito la denuncia
fatta da attivisti egiziani di centinaia di arresti e torture compiute anche
dall'esercito egiziano. Accuse respinte dai comandi militari. Il futuro
dell'Egitto è un foglio bianco tutto da scrivere.
«Se se ne va è un sogno, ha vinto il popolo» -
Mi.Gio.
Manifesto 11.2.11
IL CAIRO - «L'avevamo detto che questa era la
settimana dell'addio per Mubarak e così è stato. Abbiamo vinto, l'Egitto ha
vinto, i giovani hanno vinto». Non riesce a contenere l'entusiasmo Ahmed Maher,
uno dei leader del Movimento 6 Aprile che passerà allo storia dell'Egitto per
aver guidato la «seconda rivoluzione», divampata il 25 gennaio sull'onda della
rivolta tunisina e che ha portato alla fine dei trent'anni di potere assoluto di
Hosni Mubarak, il raìs che si considerava un nuovo faraone. Gli abbiamo rivolto
qualche domanda nelle fasi concitate, cariche di entusiasmo e tensione, di ieri
sera in piazza Tahrir, con un'attenzione particolare al ruolo delle Forze
Armate, che di fatto ora sono alla guida del paese. È la vittoria tanto attesa e
sognata? Sì, attesa e ottenuta. E' il successo dei tanti giovani che si sono
uniti subito a questa battaglia, degli egiziani che non hanno esitato a sfidare
un potere che appariva imbattibile. E' la vittoria di coloro che hanno dato la
vita per costruire un nuovo Egitto, democratico e moderno. Dei feriti che ancora
sono in ospedale. Vi aspettavate proprio ora le dimissioni di Mubarak? Il raìs
in fondo appariva sicuro di poter rimanere al suo posto fino al termine del
mandato. Invece qui in Piazza Tahrir abbiamo sempre creduto che fosse sul punto
di cedere. Di fronte ad una massa di egiziani, sempre più forte e numerosa, non
poteva resistere più a lungo. Alla fine anche chi lo ha sempre difeso e
appoggiato ha dovuto accettare la realtà e ha preso le distanza dal raìs,
lasciando al suo destino. E ora? Ora vogliamo festeggiare il successo che
abbiamo voluto e cercato con forza e tanti sacrifici. Il paese deve celebrare la
vittoria della seconda rivoluzione. Poi occorrerà procedere velocemente alla
ricostruzione dell'Egitto. Le Forze Armate sono scese in campo, contribuendo in
modo decisivo a questa svolta eccezionale. Tuttavia non si può fare a meno di
considerare che i generali continuano a fare la storia di questo paese. Non vi
spaventa tutto questo? Il rapporto tra il popolo e l'esercito è stato sino ad
oggi ottimo. I nostri soldati hanno garantito Piazza Tahrir ed evitato il
ripetersi degli attacchi della polizia e dei burattini di Mubarak e del suo
partito contro la folla pacifica riunita in questo luogo da oltre due settimane.
Per questo motivo tutto ci lascia credere che i militari si limiteranno a
garantire la pace e la sicurezza del paese e di tutti noi. La gioia che stiamo
vivendo è anche la gioia dei soldati che in questo paese sono giovani, parte
degli stessi giovani che hanno anticipato in internet la rivoluzione del 25
gennaio guidandola successivamente nelle strade. I prossimi obiettivi della
rivoluzione quali sono? Quelli che abbiamo ripetuto tante volte in questi
giorni. Gli egiziani chiedono che autorità civili prendano al più presto la
guida del paese lasciando tornare le Forze Armate al loro compito naturale, la
difesa dell'Egitto dai nemici esterni. Subito dopo vogliono che il paese proceda
alla revisione della Costituzione e alla revoca delle leggi d'emergenza (in
vigore da trent'anni, ndr). Infine, ma già nei prossimi mesi, dovranno svolgersi
elezioni politiche e presidenziali per eleggere un Parlamento e un capo dello
Stato che siano finalmente rappresentativi del popolo egiziano. Ma ci aspettiamo
anche politiche immediate per affrontare le crisi più gravi del paese, a
cominciare dalla disoccupazione giovanile e dalla povertà. Siamo certi che la
rivoluzione sarà capace di esprimere i nuovi leader egiziani.
La «storia è in marcia», ma
l'Europa tace - Anna Maria Merlo
PARIGI - Le notizie in provenienza dall'Egitto si
sono accavallate per tutto il pomeriggio di ieri, annunciando il discorso di
Hosni Mubarak in serata e un possibile imminente abbandono del rais. E l'Europa?
Assente. Restano senza risposta le richieste telefoniche su eventuali reazioni.
Sul web, réactions européennes, reactiones europeas, european reactions o
Europäische Reaktion non danno nessun risultato. Di Cathy Ashton, l'alta
rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, si sono perse le
tracce (ma siamo alle soglie del week-end, di solito lascia Bruxelles per la
Gran Bretagna con ampio anticipo sul fine settimana). Anche ieri, la prudenza
estrema è stata la divisa del vecchio continente, mentre Obama ha fatto una
dichiarazione in serata sottolineando che «la storia è in marcia» e la Cia, già
nel pomeriggio, annunciava attraverso una dichiarazione del suo direttore, Leon
Panetta, le «dimissioni immediate» di Mubarak. Gli Usa hanno contatti sia con il
regime che con l'opposizione, anche quella più informale, come i rappresentanti
dell'imprenditoria del paese. L'Europa, che non ha saputo prevedere le
rivoluzioni arabe, accecata dalla paura dell'immigrazione e dell'islamismo, sta
a guardare e aspetta per reagire. La sola proposta è stata, da parte di
Bruxelles, di proporre di «rafforzare l'assistenza» all'Egitto, in vista di «una
transizione» politica pacifica e «ordinata».
La Commissione europea, senza mai nominare il
presidente Mubarak, in questi giorni si è limitata a dire: «chiediamo senza
tardare la messa in opera di riforme necessarie, ivi compreso che delle elezioni
libere e giuste siano organizzate il più presto possibile». Per il premier
britannico David Cameron, «la transizione deve essere rapida, credibile e
iniziare subito». La Francia era ieri tutta presa da questioni di politica
interna, tra la grande protesta della magistratura contro gli attacchi del
presidente Nicolas Sarkozy e uno sciopero nella scuola contro i tagli della
spesa. Il presidente in serata era atteso in tv, ma per parlare dei problemi che
«interessano la gente».
Secondo il giornalista precelto dal canale Tf1 per
condurre la serata, Jean-Pierre Pernaud, «la Tunisia è fuori quadro» (per non
parlare dell'Egitto, neppure menzionato). Mercoledì sera, Sarkozy è stato
interpellato alla tradizionale cena del Crif, il Consiglio rappresentativo delle
istituzioni ebraiche di Francia. Il presidente del Crif, Richard Pasquier, ha
espresso inquietudine circa i Fratelli musulmani in Egitto, denunciando il fatto
che «sotto la bandiera della democrazia e della libertà, si camuffa gente che
cerca di distruggere la libertà e la democrazia». Sarkozy se l'è cavata
ricordando che «le manifestazioni in Tunisia o in Egitto non hanno gridato
"abbasso l'occidente, abbasso l'America, o abbasso Israele". Non hanno
propugnato un ritorno al passato di un'età d'oro islamica mitificata.
Non se la sono presa con nessuna minoranza».
Sarkozy è nell'imbarazzo, a causa delle rivelazioni sulle ultime vacanze della
ministra degli esteri Michèle Alliot-Marie e del primo ministro, François Fillon.
La prima, dopo aver proposto il 14 gennaio l'aiuto della polizia francese al
presidente Ben Ali, poi fuggito il 17, tra Natale e Capodanno era in Tunisia,
dove ha utilizzato due volte (gratis) un aereo del clan Ben Alì proprio mentre
la rivoluzione era al culmine. intempestive anche le vacanze di Fillon, che è
stato ospitato da Mubarak, assieme alla famiglia, per visitare le vestigia
dell'antico Egitto, sempre tra Natale e Capodanno. Nel 2008, Sarkozy aveva
proposto a Mubarak la co-presidenza dell'Unione per il Mediterraneo, una nuova
struttura volutra dalla Francia per facilitare il «dialogo», che visibilmente
non è servita a nulla.
Tra rivolta e rivoluzione
- Nicola Melloni Liberazione 10.2.11
Le
esplosioni di protesta del Medio Oriente e più in generale del bacino del
Mediterraneo riportano la piazza e le masse al centro del panorama politico. Non
può essere una sorpresa che queste rivolte avvengano in quei paesi periferici ma
non estranei al ciclo di sviluppo capitalista, paesi marcati non solo da regimi
politici dittatoriali ed autoritari ma da sperequazioni di reddito
inaccettabili. La questione sociale che trent'anni di sbornia neo-liberale ci
aveva chiesto di dimenticare è attuale come non mai e dimostra tutti i limiti di
un modello di sfruttamento che inevitabilmente pone la questione delle
contraddizioni del capitale. Di qui le rivolte per il pane in Algeria e
l'effetto domino in Tunisia ed in Egitto, paese che, è vero, continua a crescere
in termini di PIL ma è nonostante questo attanagliato da una crisi economica
durissima, contrassegnata da massicce fughe di capitali, drastica diminuzione
degli investimenti stranieri diretti e calo del turismo. Soprattutto, anche la
crescita economica degli ultimi anni non ha portato nessun beneficio alla
popolazione, con la cricca di Mubarak in controllo di larghi settori
dell'economia e lesta ad appropriarsi dei profitti, immiserendo sempre più la
popolazione ed allo stesso tempo cercando di cancellare qualsiasi opposizione
politica al regime. In tale contesto hanno preso forza i Fratelli Musulmani che
si sono basati su un approccio di tipo mutualistico, come altre organizzazioni
musulmane nella regione.
I
Fratelli Musulmani creano ospedali e organizzano i sindacati, in molti casi
provvedono ad un sistema alternativo di welfare, come in fondo facevano molti
gruppi socialisti in Europa tra XIX e XX secolo. Di qui la loro innegabile
popolarità - e d'altronde un modello simile ha adottato anche Hamas in
Palestina. I Fratelli Musulmani, comunque, nonostante le fobie americane, non
sono un gruppo estremista, in molti aspetti simile all'AKP turco (il partito di
Erdogan) anche se ovviamente le evoluzioni politiche di una rivoluzione, nel
caso questa davvero avvenisse, non si possono mai dare per scontate, come l'Iran
insegna. Il punto, naturalmente, è cercare di capire quali siano le relazioni di
forza tra i diversi schieramenti, come ci insegnava Antonio Gramsci,
schieramenti che contengono le forze del vecchio regime, attori internazionali
ed i vari movimenti politici e sociali che sostengono la rivoluzione. La caduta
dell'Unione Sovietica, ad esempio, vide il riaffermarsi di quella stessa
nomenklatura che doveva essere rimossa dal movimento democratico.
E
il fatidico 1989 nell'Est Europa ha spesso visto emergere il capitale
transnazionale come il vero vincitore del cambiamento, mentre in Iran, come
detto, la cacciata dello Sha portò ad una vera rivoluzione in cui però i
protagonisti finirono per essere i gruppi religiosi e non il movimento
socialista che pure era parte integrante delle piazze di Teheran. In breve, la
differenza tra rivolta e rivoluzione la si può valutare solamente a cose fatte,
cercando di capire chi in effetti risulta vincitore alla caduta del tiranno e
se, in effetti, quei famosi rapporti di forza (non solo politici ma anche e
soprattutto economici) si sono invertiti a favore delle forze antagoniste. La
piazza non deve dimostrare solo la sua forza d'urto, ma anche la sua capacità di
farsi classe dirigente. Quel che sta avvenendo in Egitto è, con tutta evidenza,
il tentativo di contenere la rivolta, sostituendo Mubarak con Suleiman, ovvero
l'uomo forte dell'esercito che diverrebbe il garante dei poteri economici
tradizionali e, allo stesso tempo, dei tradizionali alleati dell'Egitto di
Mubarak, Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele (tutti preoccupatissimi delle
rivolte di piazza, alla faccia della retorica pro-democrazia!).
Un Egitto
fedele a Washington è garanzia di stabilità della regione, una stabilità che
protegge gli affari delle potenze occidentali nell'area ma, come ormai sempre
più spesso, l'orizzonte temporale degli "strateghi" americani ed europei è
brevissimo. Il sostegno a governi corrotti e autoritari e alle politiche
israeliane di espansione neo-coloniale, insieme alle avventure militari, hanno
avuto il solo effetto di medio-termine di esasperare i conflitti, accrescere la
povertà e radicalizzare in senso religioso le istanze di cambiamento. La
ritirata del socialismo su scala planetaria, purtroppo, ha consegnato le masse a
promesse di riscatto sociale di tipo millenaristico e spesso reazionarie, nel
Maghreb come in Europa. La crisi del modello di capitalismo occidentale apre
nuovi scenari, a cominciare dal sud del mondo che più ha sofferto per le
contraddizioni generate dalla mercificazione delle relazioni sociali di questo
trentennio neo-liberista. Il problema, pressante ed urgente come non mai, è la
capacità di offrire soluzione alternative per rilanciare la lotta e per evitare
che la barbarie sia l'unica alternativa al capitalismo.
****
Varie di Pietro Ancona
sabato 26 febbraio 2011
Un film
già visto! La Libia come l'Iran...
A scorrere oggi le immagini delle televisioni, a leggere i giornali
compresi quelli di "sinistra" si rivede lo stesso film dei dittatori
cattivissimi che opprimono i loro popoli e si dedicano a sadici spargimenti di
sangue. Questo film l'abbiamo visto prima e durante la prima guerra dell'Irak (Desert
Storm), della guerra per il Kossovo e per la disintegrazione della Jugoslavia,
della seconda guerra contro l'Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa
che non si trovarono mai, della guerra contro l'Afghanistan alla ricerca di Bin
Laden e dei terroristi che avrebbero fatto crollare le Torri gemelle, delle
manifestazioni in Iran contro Ahmadinjed. C'è una novità importante: alla
batteria massmediatica occidentale si sono unite le due emittenti televisive
arabe AlJazeera e Al Arabia che hanno assunto il monopolio della informazione di
quanto avviene da quelle parti tutto rigorosamente nello interesse dei
plurimiliardari feudatari dell'Arabia Saudita e della nuova borghesia
"liberista" che in tutto il Nord Africa e nella penisola arabica vorrebbe fare
affari con gli occidentali, arricchirsi e che è sempre più insofferente per le
quote di reddito che in Iran ed in Libia sono assorbite dal welfare, dai salari
e dagli investimenti sociali.
Altre informazioni non possiamo averne. Abbiamo già visto nel 2003 le
cannonate del carro armato americano contro le finestre del decimo piano
dell'Hotel Palestine Ginevra abitato da giornalisti. Abbiamo visto il terrore
sul viso di Giuliana Sgrena ferita e salvata dalla morte dall'eroico Calipari.
Ad oggi 400 giornalisti sono stati uccisi nelle zone di guerra. I pochi che
riescono a seguire il fronte o lavorano nelle zone occupate debbono essere
autorizzati dai Comandi Militari USA ed i loro servizi vengono rigorosamente
censurati.-
Tutto quello che abbiamo saputo o che sappiamo delle zone "calde" del
pianeta dove gli americani portano la loro "pace" assieme a pacchetti di
"diritti umani" viene filtrato dai servizi di informazione. I servizi ammettono
soltanto giornalismo "embedded", militante anzi....militarizzato.
Oggi la Stampa di Torino portava a grandissimi titoli questa dichiarazione
di Gheddafi: "Chi non è con me deve morire!" frase smentita ieri sera da un
giornalista di rai new24 attribuendola ad un errore di traduzione. In effetti
Gheddafi ha detto: " Se il popolo non mi vuole, merito di morire!. Nonostante la
correzione la frase manomessa è stata riportata da tutta la stampa italiana e
credo mondiale e l'intervento di correzione è stato ignorato. Montagna di
menzogne si sommano a montagne di menzogne. Alcune di queste sono anche
grossolane e ridicole come quella delle fosse comuni che non erano altro che
immagini vecchie di un anno del cimitero di Tripoli. Ma la scienza della
disinformazione non bada a queste quisquilie. Anche se la notizie è falsa in
modo strepitoso viene messa in circolo lo stesso sulla base di un principio di
sedimentazione di un linguaggio, di una cultura dell'avvenimento che qui sarebbe
troppo lungo discutere. Insomma anche se falsa si incide nella memoria del
pubblico.
La rivolta popolare o meglio il golpe contro il despota Gheddavi, è mossa
dalle stesse forze che si agitano contro Ahmadinjed e ne reclamano la morte; è
la borghesia che vorrebbe fare affari con l'Occidente, arricchirsi e che non
sopporta il monopolio statale
sul petrolio e sul metano e vorrebbe che i proventi non fossero tutti
investiti in sanità, pensioni, opere pubbliche, salari, scuola...La Libia ha
dato sicurezza e benessere a tutti i suoi abitanti e per quaranta anni ha
assorbito per quasi la metà della sua popolazione immigrati dai paesi poveri
dell'africa. Anche centinaia di migliaia di egiziani lavorano in Libia. E' stato
ricordato che il reddito procapite è il più alto dell'Africa, la vita media è di
77 anni pari a tre volte quella africana ed il livello di scolarizzazione assai
alto.
Alla insofferenza della borghesia che vorrebbe arricchirsi subito bisogna
sommare un dato
regionale e tribale. La Libia è l'unione di tre regioni. La Cirenaica, la
Tripolitania ed il Fezzan. La Cirenaica è luogo in cui era radicata la monarchia
e non ha mai accettato del tutto di essere governata da Tripoli. Sul
risentimento dei cirenaici e sulle pretese della borghesia si è costruito il
blocco di forze, sostenuto dagli USA, che forse sta per abbattere Gheddafi.
Purtroppo il regime non ha tenuto conto che 42 anni sono tanti, tantissimi
e che il potere si corrompe ed invecchia. Lo stesso Gheddafi è molto
invecchiato. Fa impressione vedere che il secondo uomo della Libia è uno dei
figli di Gheddafi e che non si vede non emerge un gruppo dirigente che pure c'è
stato se ha fatto moderna e forte la Nazione. Oggi il regime non ha una classe
dirigente in grado di proporsi e di cimentarsi con il futuro. Questo pesa, pesa
l'idea di Gheddafi di sentirsi eterno ed insostituibile se non con qualcuno del
suo stesso sangue. Ma i suoi oppositori sono una pure e semplice riedizione del
colonialismo e dei suoi ascari che Gheddafi scacciò con la rivoluzione indolore
di quaranta anni fa. La libia peggiorerebbe se passasse dalla gestione arcaica
del potere di Gheddafi a quella del principe ereditario di re idris e dei
petrolieri e generali USA che gli stanno dietro.
Può darsi che diventi un protettorato USA come l'Irak.
Pietro Ancona
21 febbraio 2011
Dalla
Libia un duro colpo all'Italia di
Pietro Ancona
Una intensa e martellante campagna propagandistica sta accreditando la
menzogna di un leader che massacra il suo popolo con una repressione feroce
fatta anche di bombardamenti aerei. Si parla di diecimila morti che naturalmente
si attribuiscono a responsabilità di Gheddafi e del suo governo. Una potente e
quasi impenetrabile cortina fumogena si è alzata sugli avvenimenti. Filtrano
solo le "notizie" confezionate dalla batteria massmediatica occidentale.
Gheddafi si trova nella condizione in cui venne a trovarsi Milosovic durante la
crisi del Kossovo nella quale fu fatto credere all'opinione pubblica mondiale un
genocidio a danno degli albanesi quando invece erano i serbi ad essere
rastrellati, uccisi o costretti a scappare dalle loro case. I massmedia arabi
più importanti di proprietà dell'Arabia Saudita forniscono la versione
quotidiana degli avvenimenti e partecipano attivamente alla congiura mediatica.
Gli insorti vengono fatti passare per inermi cittadini amanti della libertà e
della democrazia e non viene spiegato come abbiano fatto a conquistare
militarmente tante città. Si tratta di un colpo di Stato con epicentro in
Cirenaica che è stato minuziosamente preparato dagli USA e da Israele che in
questo modo regolano i conti con una realtà nazionale da sempre autonoma e non
asservita come la Tunisia, l'Egitto, il Marocco, lo Yemen, la Giordania, agli
interessi coloniali e geostrategici dell'Occidente. La posta in gioco è una
profonda modificazione degli equilibri politici che non mette in discussione il
lager di Gaza e che probabilmente si estenderà al controllo di tutto il Libano.
Da questa crisi abilmente manovrata dagli USA esce anche una Italia più debole
che dovrà rinegoziare gli accordi sugli approvvigionamenti di gas e di petrolio
con i nuovi padroni americani ed i loro prestanomi. L'Italia e la Libia hanno
realizzato per tantissimi anni una politica di pace e di cooperazione basata
sulla esistenza del metanodotto ideato e concepito in Sicilia dall'Ente
Minerario Siciliano a suo tempo proposto come alternativa vincente al trasporto
del gas con navi. E' un durissimo colpo alla economia italiana ed alla sua
sicurezza energetica. L'Italia uscirà da questa crisi con le ossa rotte. Questa
crisi si sommerà alle tante altre che riguardano la nostra industria
manifatturiera a cominciare dalla Fiat e renderà assai difficile e problematico
il recupero. I guai non arrivano mai da soli!
Non sappiamo quale sarà il destino della Libia e se resterà unita o si
frammenterà in due o tre staterelli secondo la tecnica del salame affettato che
gli USA praticano con successo da anni a cominciare dalla Corea. Può darsi che
Gheddafi non sarà in grado di continuare a controllare la Tripolitania anche
perchè ha gestito il governo soltanto in termini familistici e senza proporsi la
costruzione di un gruppo dirigente forte e preparato per lo Stato. Gheddafi è
anziano e non ha successione dentro l'attuale dirigenza. Ha fatto una politica
che ha garantito ricchezza ed indipendenza alla Libia ma non ha curato lo Stato
che è sempre stato una specie di masseria. Ma certamente le condizioni del suo
popolo sono migliori di quelle che hanno portato alla rivolta i tunisini e gli
egiziani. La Libia ha sempre avuto un grande numero di lavoratori stranieri ai
quali ha dato da mangiare per tanti decenni ed il reddito dei suoi sei milioni
di abitanti è stato di 15 mila dollari contro gli 8 mila della Tunisia, i 4.300
del Marocco ed i 5000 mila dell'Egitto. Certamente ci sono problemi di diseguale
distribuzione del reddito e di riforme ma non si può dire che la popolazione
libica non abbia fruito dei proventi del petrolio in misura certamente maggiore
di quella che gli USA concedono in Iraq. La fine della Libia indipendente si
rifletterà sull'Europa che dovrà fare i conti con una nuova situazione per gli
approvvigionamenti energetici dal Sud e non è detto che gli USA non preparino un
colpo per spezzare le reni alla Russia che non ha voluto fare gestire agli
oligarchi integrati nelle multinazionali di Wall Street le sue risorse
petrolifere ed i suoi gasdotti.
Tutte le pedine che gli USA muovono sullo scacchiere mondiale sono
finalizzate agli interessi particolari del suo imperialismo. Sono tutte pedine.
Non c'è e non ci sarà mai una politica di pace ed Obama non solo non è
diverso da Bush nel suprematismo a stelle e strisce ma è ancora più pericoloso
per la capacità di manipolazione. Ricordate che fece credere di essere con il
Presidente dell'Honduras nello stesso giorno in cui questi veniva rapito da un
aereo militare americano! Continua una guerra senza fine in Afghanistan ed a
diffondere la favole di AlQaeda e del terrorismo per giustificare il lager e le
torture di Guantanamo.
Pietro Ancona
****
giovedì 24 febbraio 2011
fidel
castro interviene sulla crisi libica
Il petrolio si è trasformato nella principale ricchezza nelle mani delle
transnazionali yankee; attraverso questa fonte di energia hanno potuto disporre
di uno strumento che ha accresciuto considerevolmente il loro potere politico
nel mondo. Fu la loro principale arma quando decisero di liquidare con facilità
la Rivoluzione Cubana non appena vennero promulgate le prime leggi giuste e
sovrane nella nostra patria: privarla del petrolio.
Su questa fonte di energia si è sviluppata la civiltà attuale. Il
Venezuela è stata la nazione di questo emisfero a pagarne il maggior prezzo. Gli
Stati Uniti si fecero padroni degli enormi giacimenti di cui la natura aveva
dotato questo paese fratello.
Alla fine dell'ultima Guerra Mondiale si iniziò ad estrarre dai giacimenti
dell'Iran, come pure da quelli dell'Arabia Saudita, dell'Iraq e dei paesi arabi
situati vicino a quelli, sempre più rilevanti quantità di petrolio. Il consumo
mondiale è aumentato progressivamente fino alla favolosa cifra di circa 80
milioni di barili al giorno, compresi quelli che si estraggono nel territorio
degli Stati Uniti, a cui si sono ulteriormente sommati il gas, l'energia
idraulica e quella nucleare. Fino all'inizio del XX secolo il carbone era stato
la fonte fondamentale di energia che aveva reso possibile lo sviluppo
industriale, prima che si producessero migliaia di milioni di automobili e
motori consumatori di combustibile liquido.
I rifiuti del petrolio e del gas sono associati a una delle maggiori
tragedie, assolutamente non risolta, che soffre l'umanità: il cambiamento
climatico.
Quando la nostra Rivoluzione vide la luce, l'Algeria, la Libia e l'Egitto
non erano ancora produttori di petrolio e gran parte delle sostanziose riserve
di Arabia Saudita, Iraq, Iran ed Emirati Arabi dovevano ancora essere scoperte.
Nel dicembre del 1951 la Libia si trasforma nel primo paese africano a
conquistare l'indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui il suo
territorio fu scenario di importanti combattimenti tra le truppe tedesche e
quelle del Regno Unito, che diedero fama ai generali Erwin Rommel e Bernard L.
Montgomery.
Il 95% del suo territorio è totalmente desertico. La tecnologia ha
permesso di scoprire importanti giacimenti di petrolio leggero di eccellente
qualità che oggi raggiungono un milione 800 mila barili al giorno e abbondanti
depositi di gas naturale. Tale ricchezza le ha permesso di ottenere
un'aspettativa di vita che raggiunge quasi i 75 anni, e le più alte entrate pro
capite dell'Africa. Il suo arido deserto è ubicato su un enorme lago di acqua
fossile, equivalente a più di tre volte la superficie di Cuba, che le ha reso
possibile costruire un ampia rete di tubature di acqua dolce che si estende per
tutto il paese.
La Libia,
che aveva un milione di abitanti al momento dell'indipendenza, ne conta oggi più
di 6 milioni.
La
Rivoluzione Libica avvenne nel mese di settembre del 1968. Il suo principale
dirigente era Muammar-al-Gheddafi, militare di origine beduina, che nella sua
prima gioventù si ispirava alle idee del leader egiziano Gamal Abdel Nasser. Non
c'è dubbio che molte delle sue decisioni siano da collegarsi ai cambiamenti che
si produssero quando, come in Egitto, una monarchia debole e corrotta venne
rovesciata in Libia.
Gli abitanti di questo paese hanno millenarie tradizioni guerriere. Si
dice che gli antichi libici facevano parte dell'esercito di Annibale quando fu
sul punto di liquidare l'antica Roma con la forza che attraversò le Alpi.
Si potrà essere o no d'accordo con Gheddafi. Il mondo è stato invaso da
ogni tipo di notizia, specialmente con l'impiego dei mezzi di informazione di
massa. Si dovrà aspettare il tempo necessario per conoscere in modo rigoroso
quanto ci sia di verità o di menzogna, o il groviglio dei fatti di ogni tipo
che, in mezzo al caos, si sono prodotti in Libia. Ciò che per me è assolutamente
evidente è che il governo degli Stati Uniti non è assolutamente preoccupato per
la pace in Libia, e non esiterà a dare alla NATO l'ordine di invadere questo
ricco paese, forse nel giro di poche ore o di pochissimi giorni.
Coloro che con perfide intenzioni hanno inventato la menzogna secondo cui
Gheddafi si sarebbe diretto in Venezuela, come hanno fatto la sera di domenica
20 febbraio, hanno ricevuto oggi una degna risposta dal Ministro delle Relazioni
Estere del Venezuela, Nicolas Maduro, quando ha dichiarato testualmente che
esprimeva “l'auspicio che il popolo libico trovi, nell'esercizio della sua
sovranità, una soluzione pacifica alle sue difficoltà, che preservi l'integrità
del popolo e della nazione libica, senza l'ingerenza dell'imperialismo...”
Per parte mia, non immagino il presidente libico che abbandona il paese,
eludendo le responsabilità che gli vengono addossate, siano o no false in parte
o nella loro totalità.
Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia venga commessa
con qualsiasi popolo del mondo, e la peggiore, in questo momento, sarebbe quella
di stare in silenzio davanti al crimine che la NATO si prepara a commettere
contro il popolo libico.
La dirigenza di questa organizzazione bellicista ha fretta di compierlo.
E' doveroso denunciarlo!
****
Giovani comunisti di Torino 2.0
Il piano della NATO è occupare la Libia
Le Riflessioni del compagno Fidel
Il
petrolio si è trasformato nella principale ricchezza nelle mani delle grandi
multinazionali yankee; grazie a questa fonte d’energia dispongono di uno
strumento che ha accresciuto considerevolmente il loro potere politico nel
mondo.
È stata la loro principale arma quando hanno deciso di liquidare facilmente la
Rivoluzione Cubana appena si promulgarono le prime leggi giuste e sovrane nella
nostra Patria: privarla di petrolio.
Su questa fonte d’energia si è sviluppata la civiltà attuale. Il Venezuela è la
nazione di questo emisfero che ha pagato il prezzo più alto.
Gli Stati Uniti erano divenuti padroni degli enormi giacimenti la natura ha
posto in questo fraterno paese.
Alla fine dell’ultima Guerra Mondiale si cominciarono ad estrarre dai giacimenti
dell’Iran, così come da quelli dell’Arabia Saudita, Iraq e dei paesi arabi
situati nella zona, maggiori quantità di petrolio.
Questi divennero i principali fornitori.
Il
consumo mondiale si elevò progressivamente alla favolosa cifra di, approssimata,
80 milioni di barili al giorno, includendo quelli che si estraggono nel
territorio degli Stati Uniti, ed ai a quali ulteriormente si sommarono il gas,
l’energia idraulica e quella nucleare. All’inizio del XX secolo, il carbone era
stato la fonte fondamentale di energia che rese possibile lo sviluppo
industriale, prima che si producessero migliaia di milioni di automobili e di
motori che consumano combustibile liquido.
Lo spreco del petrolio e del gas è associato ad una delle maggiori tragedie,
irrisolta in assoluto, che l’umanità sta soffrendo: il cambio climatico.
Quando la nostra Rivoluzione è sorta, Algeria, Libia ed Egitto non erano ancora
produttori di petrolio, e gran parte delle enormi riserve dell’Arabia Saudita,
Iraq, Iran e degli Emirati Arabi Uniti non erano stati ancora scoperti.
Nel dicembre del 1951, la Libia divenne il primo paese africano a conquistare la
sua indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il suo territorio fu
scenario d’importanti combattimenti tra le truppe tedesche e del Regno Unito,
che diedero fama ai generali Erwin Rommel e Bernard L. Montgomery.
Il 95 % del suo territorio è totalmente desertico. La tecnologia ha permesso di
scoprire importanti giacimenti di petrolio leggero d’eccellente qualità, che
oggi raggiungono un milione 800.000 barili al giorno, e abbondanti depositi di
gas naturale.
Tale ricchezza le ha permesso di raggiungere una speranza di vita di quasi 75
anni e il più alto ingresso pro capite dell’Africa.
Il suo duro deserto si trova ubicato al di sopra di un enorme lago di acqua
fossile, equivalente a tre volte la superficie di Cuba, e questo ha reso
possibile la costruzione di una vasta rete di conduzioni di acqua dolce che si
estende in tutto il paese.
La Libia, che aveva un milione di abitanti quando conquistò la su indipendenza,
oggi conta su circa sei milioni.
La
Rivoluzione della Libia avvenne nel mese di settembre del 1969. Il suo
principale dirigente fu Muammar al-Gaddafi, militare d’origine beduina che,
giovanissimo, s’ispirò nelle idee del leader egiziano Gamal Abdel Nasser. Senza
dubbio molte delle due decisioni sono state associate ai cambi che avvennero
quando, come in Egitto, una monarchia debole e corrotta fu spazzata via dalla
Libia.
Gli abitanti di questo paese hanno millenari tradizioni guerriere. Si dice che
gli antichi libici facevano parte del ‘esercito di Annibale, quando fu al punto
di liquidare l’antica Roma con le forze che valicarono le Alpi.
Si
potrà essere o no d’accordo con Gaddafi. Il mondo è stato invaso con tutti i
tipi di notizie, soprattutto quelle dei media di massa dell’informazione.
Si dovrà aspettare il tempo necessario per conoscere con rigore quanto c’è di
vero o di falso, o una miscela di fatti di ogni tipo che, in mezzo al caos, si
sono prodotti in Libia.
Quello che per me è assolutamente evidente, è che il Governo degli Stati Uniti
non sono affatto preoccupati per la pace in Libia, e non vacilleranno nel dare
alla NATO l’ordine d’ invadere questo ricco paese, forse in questione di ore o
di pochi giorni.
Quello che con perfide intenzioni hanno inventati le falsità che Gaddafi si
dirigeva in Venezuela, come hanno fatto nel pomeriggio di domenica 20 febbraio,
hanno ricevuto oggi una degna risposta del Ministro degli Esteri del Venezuela,
Nicolás Maduro, che ha detto testualmente che sperava "che il popolo della Libia
incontri, nell’ esercizio della sua sovranità, una soluzione pacifica alle sue
difficoltà, che si preservino l’integrità del popolo e della nazione libica,
senza l’ingerenza dell’imperialismo"
Io, da parte mia non immagino il dirigente libico che abbandona il paese,
scordandosi delle responsabilità che gli vengono le imputate, siano o no false,
in parte o nella loro totalità.
Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia che si commetta con
qualsiasi popolo del mondo, e la peggiore di queste, in questo istante, sarebbe
stare zitti di fronte al crimine che la NATO si prepara a commettere contro il
popolo della Libia.
La
cupola di questa organizzazione bellicosa ne ha l’urgenza.
E questo va denunciato!
Fidel Castro Ruz
21 Febbraio del 2011
(Traduzione Gioia Minuti)
Pubblicato da Giovani Comunisti Torino a 10:46
http://giovanicomunistitorino.blogspot.com/2011/02/il-piano-della-nato-e-occupare-la-libia.html
________________________
I satelliti russi: la
piazza libica non ha subito alcun raid aereo di Pino Cabras | www.megachip.info
Le immagini del suolo libico, viste dallo spazio russo,
smentiscono una delle leggende mediatiche di questi giorni, ossia i
bombardamenti aerei sulla folla dei manifestanti. Ci sono ancora organi
d'informazione importanti che ripetono questa storia regalando brividi di orrore
a milioni di persone. Il pretesto per l’«intervento umanitario» in questi giorni
parte sempre dalla traccia di una strage mai vista. I militari russi sostengono
che questi ipotetici raid aerei ordinati da Gheddafi contro gli oppositori in
piazza non sono invece avvenuti.
Lo affermano addirittura al livello dei capi di stato
maggiore riuniti: dalla grande mole di immagini satellitari registrate nel corso
della crisi non hanno ricavato una sola traccia dei bombardamenti, gli atroci
raid raccontati senza prove da tutto il mainstream occidentale e dalle
principali catene televisive arabe L’analisi condotta a Mosca, unitamente alle
robuste controprove che sul web hanno subito smontato la bufala delle fosse
comuni, getta una luce inquietante sulle manovre - anche mediatiche - intorno
alla crisi del regime libico.
La corrispondente di Russia Today Irina Galushko riferisce
in particolare che i supposti raid del 22 febbraio su Bengasi e Tripoli,
ampiamente enfatizzati da BBC e Al-Jazira, non sono stati registrati dai capi
militari che esaminavano le immagini raccolte dai satelliti russi
Va detto che nessuno dubita che le forze fedeli a Gheddafi
stiano usando anche bombardamenti aerei nei combattimenti che avvengono su scala
militare con i ribelli armati nella parte orientale del paese. Altra cosa è
invece ripetere pappagallescamente l’affermazione dei primi giorni della crisi,
secondo cui Gheddafi usava uno sbrigativo metodo Guernica contro chi protestava
in piazza. La sproporzione fra la diffusione delle voci sui “diecimila morti” e
le verifiche sul campo è stata massima.
Forze
potenti, all’ombra dei prelibati pozzi di petrolio libico, stanno lottando
per piegare gli avvenimenti ai loro interessi. Una crisi dell’Impero –
questo è anche l’arco di instabilità che si sta aprendo in Nord Africa – è
comunque affrontata con spregiudicatezza imperiale. Conteranno certamente i
consiglieri militari già sguinzagliati lungo tutto il mosaico etnico della
Libia (chissà quanti di loro sono reduci delle guerre jugoslave degli anni
Novanta). E conterà, prima di loro e sopra di loro, l’uso massiccio dei
media, scatenati a far lievitare il giusto climax per far accettare le
stragi. Quelle vere, quelle delle “guerre umanitarie”.
Libia: i
sogni d'Ottone di Obama, Cameron e Sarkozy di Filippo Bovo
(18.03.2010)
Libia: i sogni imperiali di Obama, Sarkozy e Cameron e le "False Flags" in
arrivopubblicata da Filippo Bovo il giorno sabato 19 marzo 2011 alle ore 0.58
Riunisco in una sola nota le due precedenti da me scritte tra ieri e stasera.
Libia: i
sogni d'Ottone di Obama, Cameron e Sarkozy
Leggo che il
Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato la cosiddetta "No Fly Zone" su Bengasi e
dintorni, proprio quando le truppe di Gheddafi erano ormai sul punto di
impadronirsene. Curiosa coincidenza. Ma d'altra parte il governo di Bengasi
riceve, attraverso la frontiera con l'Egitto, aiuti militari proprio da inglesi
e francesi. Non dimentichiamoci poi di quel pugno di marines inglesi beccati in
territorio libico pochi giorni fa. Insomma, i colonialisti inglesi e francesi
come al solito bazzicano nei dintorni pronti ad impossessarsi del territorio e
del petrolio libici. Vogliono rimetterci le basi e spuntare royalties di favore,
e aiutando e corrompendo gli insorti possono riuscirci facilmente. Inoltre
puntano anche ai nuovi giacimenti petroliferi del vicino Ciad, che sembrerebbero
essere immensi. Con la scusa di far la guerra alla dittatura si punta a ben
altro, cioè al vil quattrino, come da che mondo è mondo. Pare però che a Tripoli
abbiano già individuato la contromossa con cui bloccare e prendere in
contropiede francesi ed inglesi, che si dichiaravano pronti all'attacco già a
partire stanotte: la Libia accetterà il "cessate il fuoco" e non ci sarà quindi
alcun attacco finale a Bengasi. Ecco che così francesi e inglesi (ma mettiamoci
pure gli americani, dacchè la Clinton oggi era a Tunisi a complottare) si
ritrovano magicamente privati di ogni giustificazione ad attaccare. Se dovessero
farlo nonostante tutto, allora la loro sarebbe soltanto un'azione imperialista,
che andrebbe al di fuori di quanto consentito dalla votazione ONU; e pertanto
pericolosa e condannabile non solo politicamente ma anche giuridicamente. Della
serie: meglio star fermi che non si sa mai. Vedremo un po' cosa ci riserverà il
domani.
(17.03.2010)
Libia: "False Flag" in arrivo
Come scrivevo nella mia precedente nota, il
fatto che la Libia abbia dichiarato di voler rispettare il "Cessate il fuoco"
priva Francia e Inghilterra di ogni giustificazione ad attaccare l'esercito e le
postazioni militari di Gheddafi. E' una buona contromossa del regime libico. Ma
se tale contromossa priva inglesi e francesi della loro scusa per attaccare, non
li priva invece della loro intenzione d'abbattere Gheddafi per impadronirsi
della sovranità territoriale e petrolifera della Libia e dei suoi più stretti
alleati (Ciad, Niger, Mali, ecc). Perchè è questo il vero obiettivo della famosa
"No Fly Zone" (un mostro giuridico, votato dal Consiglio di Sicurezza ONU, che
permette a "chiunque" di intervenire in Libia. Si tratta di un precedente
gravissimo che un indomani potremmo vedere applicato altrove, con chissà quali
gravi conseguenze: dunque bene ha fatto la Germania ad astenersi, al pari di
India, Cina, Brasile e Russia). A questo punto cosa potrebbero fare francesi,
inglesi ed americani per poter trovare una nuova giustificazione ad attaccare?
La prima cosa che mi viene in mente è un'operazione di cosiddetto "False Flag".
Vale a dire che si faranno indossare agli amici di Bengasi le uniforme
dell'esercito libico e si dirà che Gheddafi viola il "cessate il fuoco"
continuando ad attaccare Bengasi e dintorni. Oppure si userà qualche vecchio Mig
con la sua brava coccarda verde della Jamahiriyya libica, guidato da piloti
americani, francesi o inglesi, spacciandolo per un aereo dell'aviazione di
Gheddafi che viola la "No Fly Zone" attaccando la Cirenaica. Questa è la famosa
"False Flag". L'hanno già utilizzata in molte occasioni, per esempio ai tempi
della guerra del Kosovo contro la Federazione Jugoslava. Sicuramente gli
imperialisti inglesi, francesi e americani lo faranno anche questa volta. E così
potranno ingiustamente, nel più totale dispregio della legalità, continuare col
loro massacro imperiale e coloniale il cui unico scopo è l'interesse economico
(mi auguro che nel 2011 gli ebeti che ancora credono alla favoletta
dell'intervento umanitario siano tutti spariti). Dopotutto, se Frattini oggi ha
detto che il "cessate il fuoco" non durerà a lungo, è proprio perchè lor signori
stanno facendo del loro meglio per sabotarlo: e cosa c'è di meglio del "False
Flag" per ottenere tale risultato?
(18.03.2010)
sabato 19 marzo 2011 Una nuova operazione
coloniale contro la Libia Domenico Losurdo
Dopo aver bloccato con un veto solitario una
risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che condannava l’espansionismo
coloniale di Israele nella Palestina occupata, ora gli Usa si atteggiano di
nuovo a interpreti e campioni della «comunità internazionale». Hanno convocato
il Consiglio di sicurezza, ma non per condannare l’intervento delle truppe
saudite in Bahrein ma per esigere e infine imporre il varo della «no-fly zone» e
di altre misure di guerra contro la Libia.
Peraltro, alcune misure di guerra erano state
già intraprese unilateralmente da Washington e da alcuni dei suoi alleati: lo
dimostrano l’addensarsi della flotta militare statunitense al largo delle coste
libiche e il ricorso al classico strumento colonialista della politica delle
cannoniere. Ma Obama non si era fermato qui: più volte nei giorni scorsi aveva
intimato minacciosamente a Gheddafi di abbandonare il potere; aveva fatto
appello all’esercito libico a inscenare un colpo di Stato. Ma l’aspetto più
grave è un altro. Assieme a Gran Bretagna e Francia, gli Usa hanno da un pezzo
sguinzagliato i loro agenti per porre i funzionari libici dinanzi a un dilemma:
o passare dalla parte dei ribelli oppure essere deferiti alla Corte penale
internazionale e trascorrere il resto della loro vita in galera, in quanto
responsabili di «crimini contro l’umanità».
Al fine di coprire la ripresa delle più infami
pratiche colonialiste, si è scatenato il consueto, gigantesco apparato
multimediale di manipolazione e disinformazione. E, tuttavia, basta leggere con
un minimo di attenzione la stessa stampa borghese per accorgersi dell’inganno.
Giorno dopo giorno si è ripetuto che gli aerei di Gheddafi bombardavano la
popolazione civile. Ma ecco cosa scriveva Guido Ruotolo su «La Stampa» del 1
marzo (p. 6): «E’ vero, probabilmente non c’è stato nessun bombardamento». La
situazione è radicalmente cambiata nei giorni successivi? Sul «Corriere della
Sera» del 18 marzo (p. 3) Lorenzo Cremonesi riferisce da Tobruk: «E come è già
avvenuto nelle altre località dove è intervenuta l’aviazione, sono stati per lo
pù raid di avvertimento. “Volevano spaventare. Tanto rumore e nessun danno”, ci
ha detto per telefono uno dei portavoce del governo provvisorio». Dunque, sono
gli stessi rivoltosi a smentire il «genocidio» e i «massacri» invocati come
giustificazione dell’intervento «umanitario».
A proposito di rivoltosi. Giorno dopo giorno
vengono celebrati quali campioni della democrazia nella sua purezza, ma ecco in
che termini la loro ritirata dinanzi alla controffensiva dell’esercito libico è
stata raccontata da Lorenzo Cremonesi sul «Corriere della Sera» del 12 marzo (p.
13): «Nella confusione generale anche episodi di saccheggio. Quello più visibile
nell’albergo El Fadeel, dove hanno portato via televisioni, coperte, materassi e
trasformato le cucine in pattumiere, i corridoi in bivacchi sporchi». Non sembra
essere il comportamento proprio di un movimento di liberazione! Il meno che si
possa dire è che la visione manichea dello scontro in Libia non ha alcun
fondamento.
Ancora. Giorno dopo giorno vengono denunciate
le «atrocità» della repressione in Libia. E ora leggiamo quello che
sull’«International Herald Tribune» scrive, a proposito del Bahrein, Nicholas D.
Kristof: «Nelle scorse settimane ho visto cadaveri di manifestanti, colpiti a
breve distanza con colpi d’arma da fuoco, ho visto una ragazza contorcersi per
il dolore dopo essere stata bastonata, ho visto il personale di ambulanze
picchiato per aver tentato di salvare manifestanti» E ancora: «Un video dal
Bahrein sembra mostrare forze di sicurezza che a pochi metri di distanza
colpiscono al petto con un candelotto lacrimogeno un uomo di mezza età e
disarmato. L’uomo cade a terra e cerca di rialzarsi. Ed ecco allora che lo
colpiscono con un candelotto alla testa». Se tutto questo non bastasse, si tenga
presente che «negli ultimi giorni le cose vanno molto peggio». Prima ancora che
nella repressione, la violenza si esprime già nella vita quotidiana: la
maggioranza sciita è costretta a subire un regime di «apartheid».
A rafforzare l’apparato di repressione
provvedono «mercenari stranieri» e «carri armati, armi e gas lacrimogeni»
statunitensi. Decisivo è il ruolo degli Usa, come chiarsice il giornalista
dell’«International Herald Tribune», riferendo di un episodio che è di per sé
illuminante: «Alcune settimane fa il mio collega del “New York Times” Michael
Slackman fu catturato dalle forze di sicurezza del Bahrein. Egli mi ha
raccontato che esse puntarono le armi contro di lui. Temendo che stessero per
sparare, egli tirò fuori il passaporto e gridò che era un giornalista americano.
A partire da quel momento l’umore cambiò in modo improvviso; il leader del
gruppo si avvicinò e prese la mano di Slackman, esclamando con calore: “Non si
preoccupi! Noi amiamo gli americani!”».
In effetti in Bahrein è di stanza la Quinta
flotta Usa: Non c’è neppure bisogno di dire che essa ha il compito di difendere
o imporre la democrazia: ovviamente, non in Bahrein e neppure nello Yemen, ma
soltanto … in Libia e nei paesi di volta in volta presi di mira da Washington.
Per ripugnante che sia l’ipocrisia
dell’imperialismo, essa non è un motivo sufficiente per passare sotto silenzio
le responsabilità di Gheddafi. Se anche storicamente ha avuto il merito di aver
spazzato via il dominio coloniale e le basi militari che pesavano sulla Libia,
egli non ha saputo costruire un gruppo dirigente sufficientemente largo. Per di
più, ha utilizzato i profitti petroliferi per inseguire improbabili progetti
«internazionalisti» all’insegna del «Libro verde», piuttosto che per sviluppare
un’economia nazionale, moderna e indipendente. E così è stata persa un’occasione
d’oro per mettere fine alla struttura tribale della Libia e al dualismo di
vecchia data tra Tripolitania e Cirenaica e per contrapporre una solida
struttura economico-sociale alle rinnovate manovre e pressioni
dell’imperialismo.
E, tuttavia, da un lato abbiamo un leader del
Terzo Mondo che in modo rozzo, confuso, contraddittorio e bizzarro persegue una
linea di indipendenza nazionale; dall’altro un leader che a Washington esprime
in modo elegante, levigato e sofisticato le ragioni del neo-colonialismo e
dell’imperialismo: ebbene, solo chi è sordo alla causa dell’emancipazione dei
popoli e della democrazia nei rapporti internazionali, oppure solo chi si lascia
guidare dall’estetismo piuttosto che dal ragionamento politico può schierarsi
con Obama (e Cameron e Sarkozy)!
Ma poi è realmente elegante e fine Obama che,
pur insignito del premio Nobel per la pace, neppure per un attimo prende in
considerazione la saggia proposta dei paesi latino-americani, l’invito cioè da
Chavez ed altri rivolto alle parti in lotta in Libia perché compiano uno sforzo
per la composizione pacifica del conflitto e per la salvezza e l’integrità
territoriale del paese? Subito dopo il voto all’Onu, andando oltre la
risoluzione appena votata, il presidente Usa ha lanciato un ultimatum a Gheddafi
e ha preteso di lanciarlo in nome della «comunità internazionale». Da sempre
l’ideologia dominante rivela il suo razzismo identificando l’umanità con
l’Occidente; ma questa volta dalla «comunità internazionale» sono esclusi non
solo i due paesi più popolosi del mondo, ma persino un paese-chiave dell’Unione
europea. Attegiandosi a interprete della «comunità internazionale», Obama ha
mostrato un’arroganza razzista persino peggiore di quella di cui davano prova
nel passato coloro che schiavizzavano i suoi antenati.
E’ elegante e fine Cameron che, per sconfiggere
l’opposizione interna alla guerra, ripete ossessivamente che essa risponde agli
«interessi nazionali» della Gran Bretagna, come se non fossero già chiari gli
appetiti per il petrolio libico? Chi non sa che questi appetiti sono diventati
ancora più voraci, una volta che la tragedia del Giappone ha gettato un’ombra
pesante sull’energia nucleare?
E che dire poi di Sarkozy? Sui giornali si può
leggere tranquillamente che egli, oltre che al petrolio, pensa alle elezioni:
quanti libici il presidente francese ha bisogno di ammazzare per far dimenticare
i suoi scandali e le sue gaffes e assicurarsi così la rielezione?
I giornalisti e gli intellettuali di corte
amano dipingere un Gheddafi isolato e incalzato da un popolo coralmente unito,
ma chi ha seguito gli avvenimenti non ha avuto difficoltà a rendersi conto del
carattere grottesco di questa rappresentazione. Il recente voto al Consiglio di
sicurezza ha smascherato un’altra manipolazione, quella che favoleggia di una
«comunità internazionale» unita nella lotta contro la barbarie. In realtà, si
sono astenuti, esprimendo forti riserve, Cina, Russia, Brasile, India e
Germania! I primi due paesi non sono andati oltre l‘astensione e non hanno posto
il veto per una serie di ragioni: intanto, non bisogna perdere di vista il fatto
che tuttora non è facile e può comportare problemi di vario genere sfidare la
superpotenza solitaria. Ma, ovviamente, non si tratta solo di questo: Cina e
Russia hanno ottenuto in cambio la rinuncia all’invio di truppe di terra (e di
occupazione coloniale); hanno evitato interventi militari unilaterali di
Washington e dei suoi più stretti alleati, come quelli messi in atto contro la
Jugoslavia nel 1999 e nell’Irak nel 2003; hanno cercato di contenere le manovre
dei circoli più aggressivi dell’imperialismo che vorrebbero delegittimare l’Onu
e mettere al suo posto la Nato e l’«Alleanza delle democrazie»; per di più si è
aperta una contraddizione nell’ambito dell’imperialismo occidentale guidato
dagli Usa, come dimostra il voto della Germania.
Con riferimento in particolare a un paese come
la Cina diretto da un partito comunista, va osservato che il compromesso che
esso ha ritenuto di accettaree non vincola in alcun modo i popoli del mondo.
Come ai suoi tempi ha spiegato Mao Zedong, una cosa sono le esigenze di politica
internazionale e i compromessi propri di paesi di orientamento socialista o
progressista, altra cosa è invece la linea politica di popoli, classi sociali e
partiti politici che non hanno conquistato il potere e non sono quindi impegnati
nella costruzione di una nuova società. Una cosa è chiara: l’aggressione che si
prepara contro la Libia rende più che mai urgente il rilancio della lotta contro
la guerra e l’imperialismo.
18 marzo 2011
_____________________
Il mondo applaude mentre la CIA affonda la Libia nel caos
di David Rothscum - 07/03/2011
Fonte:
sitoaurora
Com’era la
Libia sotto il governo di Gheddafi? Quanto male ha fatto al popolo? Erano così
oppressi così come noi, oggi, accettiamo comunemente come un dato di fatto?
Guardiamo ai fatti per un momento.
Prima che il
caos scoppiasse, la Libia aveva un tasso di carcerazione inferiore alla
Repubblica ceca. Era classificata 61ma. La Libia ha il più basso tasso di
mortalità infantile di tutta l’Africa. La Libia aveva la speranza di vita più
alta di tutta l’Africa, meno del 5% della popolazione era denutrita. In risposta
ai rincari dei prodotti alimentari in tutto il mondo, il governo della Libia ha
abolito TUTTE le tasse sul cibo.
Il popolo in
Libia era ricco. La Libia aveva il più alto prodotto interno lordo (PIL) a
parità di potere d’acquisto (PPA) pro capite, di tutta l’Africa. Il governo ha
avuto cura di garantire che tutti, nel paese, condividessero la ricchezza. La
Libia aveva il più alto indice di sviluppo umano di qualsiasi paese del
continente. La ricchezza è stata distribuita equamente. In Libia c’era una
percentuale di persone che vivevano al di sotto della soglia di povertà,
inferiore ai Paesi Bassi.
Come fa la
Libia ad essere così ricca? La risposta è il petrolio. Il paese ha parecchio
petrolio, e non consente alle multinazionali straniere di rubarle le risorse
mentre la popolazione muore di fame, a differenza di paesi come la Nigeria, un
paese che è sostanzialmente gestito dalla Shell. Come ogni altro paese, la Libia
soffre di un governo con burocrati corrotti che cercano di ottenere una porzione
più grande della torta, a danno di tutti gli altri. In risposta a ciò, Gheddafi
ha chiesto che le entrate del petrolio fossero distribuite direttamente al
popolo, perché, a suo avviso, il governo non considerava il popolo. Tuttavia, a
differenza delle dichiarazioni degli articoli, Gheddafi non è il presidente
della Libia. In realtà, non occupa alcuna posizione ufficiale del governo.
Questo è il grande errore che le persone fanno. Parlano del dominio di Gheddafi
sulla Libia, quando in realtà non c’è, la sua posizione è più o meno
cerimoniale. Deve essere paragonato ad uno dei padri fondatori.
Il vero
leader della Libia è un primo ministro eletto indirettamente. L’attuale primo
ministro è Baghdadi Mahmudi. Definire Gheddafi il leader della Libia, è come
dire che Akihito (l’imperatore, NdT) è il leader del Giappone. Contrariamente a
quanto i media indicano, le opinioni in Libia variano. Alcune persone supportano
Gheddafi, ma non vogliono Mahmudi. Altri non vogliono entrambi. Molti vogliono
solo vivere la loro vita in pace. Tuttavia, ci si sforza nel delineare una
rivolta popolare contro il presunto leader della Libia, Gheddafi, quando in
realtà egli è solo l’architetto del sistema politica corrente della Libia, una
miscela di pan-arabismo, socialismo e governo islamico.
Mentre
parliamo, i video delle proteste pro-Gheddafi stanno scomparendo da Youtube.
“Pro Gaddafi Anti Baghdadi Mahmudi demonstrations“ è andato. “Pro Gaddafi
protests in front of Libyan embassy London“ c’è ancora. YouTube normalmente
cancella tutti i video contenenti sangue, tranne nel caso della Libia. Vedere i
libici che non saltano sul carro del vincitore e vanno nelle strade per
sostenere Gheddafi è per i telespettatori apparentemente più traumatizzante che
vedere corpi massacrati.
I
manifestanti in Libia sono paragonabili ai manifestanti in Egitto e in Tunisia?
Niente affatto. La reazione del governo è più violenta, e ovviamente la violenza
eccessiva viene utilizzata. Tuttavia guardiamo per un momento le azioni dei
manifestanti. L’edificio del Congresso generale del popolo, il parlamento della
Libia, è stato incendiato da manifestanti arrabbiati. Questo è paragonabile a
dei manifestanti che incendiano Capitol Hill negli USA. Pensate anche solo per
un momento che il governo degli Stati Uniti starebbe seduto a guardare i
manifestanti incendiare il Campidoglio?
I disordini
di oggi non sono opera di giovani secolarizzati che desiderano il cambiamento, o
qualcosa di simile a ciò che si è visto in Egitto e Tunisia. Un gruppo che si fa
chiamare “Emirato islamico di Barka“, l’antico nome della parte nord-occidentale
della Libia, detiene numerosi ostaggi, e ha ucciso due poliziotti. Questo non è
uno sviluppo recente. Venerdì 18 febbraio, il gruppo ha rubato 70 veicoli
militari dopo aver attaccato un porto e ucciso quattro soldati. Purtroppo, un
colonnello si è unito al gruppo e ha fornito loro altre armi. La rivolta è
scoppiata nella città orientale di Bengasi. Il Ministro degli Esteri italiano ha
sollevato le sue paure su un emirato islamico di Bengasi che si dichiari
indipendente.
La risposta è che gli stessi gruppi che gli Stati Uniti hanno finanziato per
decenni, stanno ora cercando la loro occasione per ottenere il controllo della
nazione. Un gruppo recentemente arrestato in Libia, era composto da decine di
cittadini stranieri coinvolti in numerosi atti di saccheggio e di sabotaggio. Il
governo libico non ha potuto escludere collegamenti con Israele.
La Gran
Bretagna ha finanziato una cellula di Al Qaeda in Libia, nel tentativo di
assassinare Gheddafi. Il principale gruppo di opposizione in Libia è oggi il
Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia. Questo gruppo di opposizione è
finanziato dall’Arabia Saudita, dalla CIA, e dall’intelligence francese. Questo
gruppo si è unito con altri gruppi di opposizione per diventare la Conferenza
Nazionale dell’opposizione libica. E’ stata quest’organizzazione che ha fatto
appello alla “Giornata della rabbia“, la quale ha fatto precipitare nel caos la
Libia, il 17 febbraio scorso. Lo ha fatto a Bengasi, una città conservatrice che
si è sempre opposta al governo di Gheddafi. Va notato che il Fronte Nazionale
per la Salvezza della Libia è ben armato. Nel 1996 il gruppo ha cercato di
scatenare una rivoluzione nella parte orientale della Libia. Ha usato il Libyan
National Army, la divisione armata del NFSL, per iniziare questa rivolta
fallimentare.
Perché gli
Stati Uniti si oppongono a Gheddafi? E’ la principale minaccia all’egemonia
statunitense in Africa, poiché tenta di unire il continente contro gli Stati
Uniti. Questo concetto si chiama Stati Uniti d’Africa. In effetti, Gheddafi
possiede idee totalmente contrarie agli interessi degli Stati Uniti. Egli accusa
il governo degli Stati Uniti della creazione dell’HIV. Sostiene che Israele è
dietro l’assassinio di Martin Luther King e del presidente John. F. Kennedy.
Dice che i dirottatori del 9/11 furono addestrati negli Stati Uniti. Ha anche
invitato i libici a donare sangue per gli statunitensi dopo l’11 settembre.
Gheddafi è anche l’ultimo di una generazione di rivoluzionari socialisti
moderati pan-arabi ancora al potere, dopo che Nasser e Hussein sono stati
eliminati, e la Siria si è allineata con l’Iran.
Gli Stati
Uniti e Israele, però, non hanno alcun interesse in un mondo arabo forte. In
realtà sembra elementare che il piano sia mettere in ginocchio la Libia
attraverso il caos e l’anarchia. Alla fine del 2010, il Regno Unito ancora
puntellava il governo libico attraverso una lucrosa vendita di armi. Nulla è una
garanzia migliore per distruggere la Libia, di una sanguinosa guerra civile. Il
sistema tribale, il quale è ancora forte in Libia, è utile da sfruttare per
poter generare una guerra, nella misura in cui la Libia è stata storicamente
divisa in vari gruppi tribali.
Anche per
questo motivo il governo libico risponde importando mercenari. Le appartenenze
tribali vengono prima della fedeltà al governo, soprattutto a Bengasi, e quindi
il governo centrale non ha più alcun controllo sulla parte orientale del paese.
L’alternativa ai mercenari è un conflitto tra i vari gruppi etnici. Gheddafi ha
cercato per 41 anni di rendere il Paese più omogeneo, ma i gruppi di opposizione
finanziati dall’estero spingeranno il paese, in poco più di un paio di giorni, a
ritornare al 19° secolo, prima che la regione venisse conquistata e unificata
dagli europei. La violenza è davvero eccessiva, ma tutti sembrano dimenticare
che la situazione non è la stessa in Tunisia ed Egitto. I legami tribali
svolgono un ruolo molto importante, e quindi il conflitto sarà purtroppo più
sanguinoso.
Si ricordi in ogni momento che la violenta guerra civile libica che si dispiega,
non è paragonabile alle rivoluzioni viste in Tunisia e in Egitto. Entrambe
queste rivoluzioni hanno coinvolto manifestanti pacifici che soffrivano per la
povertà, in opposizione ai loro governi corrotti. Il caos in Libia è costituito
da una miscela di conflitti tribali, conflitti per le entrate petrolifere (dal
momento che la maggior parte del petrolio si torva a est del paese), degli
islamisti radicali contro il sistema di governo di Gheddafi, e di
destabilizzazione dall’esterno da parte di gruppi di esiliati finanziati
dall’occidente.
Gheddafi ha
preso il potere 41 anni fa con un colpo di stato senza spargimento di sangue da
un monarca malato e assente per cure mediche. La sua ideologia si basa sulla
unificazione e ha tentato di unire pacificamente il suo paese con l’Egitto e la
Siria. Ci vorrebbe un miracolo affinché la violenza in atto porti a un unico
governo democratico stabile in Libia, con il pieno controllo su tutto il paese.
Il paese è grande più del doppio del Pakistan, ma ha 6 milioni di abitanti.
Deserti senza fine separano molte delle città della nazione. Semmai dovremmo
chiederci quante nazioni saranno frantumate nei prossimi mesi, mentre il mondo
applaude.
Fonte:
http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=23474 Traduzione di
Alessandro Lattanzio
Tante altre
notizie su www.ariannaeditrice.it
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Follia razzista e guerrafondaia
21 marzo
2011 Lino Bottaro Leonardo Masella
« Libia,
uranio impoverito nei missili Usa e Gb. …Ci saranno fino a 6000
morti…Napolitano: Non è guerra? Ci dica: dov’è l’interesse nazionale? »Follia
razzista e guerrafondaia 21 marzo 2011 | Autore Lino Bottaro | Leonardo
Masella 19 marzo 2011 – http://sitoaurora.splinder.com
E’ veramente
sconcertante la follia razzista e guerrafondaia che ha preso gran parte della
sinistra italiana. Perchè non è solo una questione di propaganda, di
subalternità culturale alle campagne mass-mediatiche televisive. C’è anche
questo, ma non solo. Non è solo questione di ingenuità, di pensare che davvero
l’interesse della Francia sia di sostenere il popolo libico e non di sostituire
l’Italia nel controllo del petrolio libico. Di aver creduto che la Germania
avesse riconosciuto negli anni ’90 la secessione della Croazia e della Slovenia
per bontà e non per portarle nell’area di influenza del Marco o che la Nato
avesse bombardato la Serbia per ragioni umanitarie, che gli Usa avessero fatto
la guerra a Saddam Hussein per trovare le armi di distruzione di massa, che gli
Usa avessero invaso l’Afghanistan per trovare Bin Laden e non per installarsi
militarmente nel cuore dell’Eurasia, ai confini con India, Cina e Russia,
eccetera, eccetera.
Non è solo
questo, segno che questa sinistra, e non solo quella presente in parlamento, è
allo sbando completo e alla mercè di tutte le ideologie capitalistiche, dei
Marchionne e dei vari Emilio Fede televisivi. Secondo me non è solo questo. In
questi giorni ho sentito emergere anche un vero e proprio razzismo, una sorta di
superiorità bianca su un mondo che non è tutto “civile“, bianco e cristiano come
quel piccolo manipolo di paesi capitalisti dominatori da secoli del mondo, che
ha colonizzato, oppresso, sfruttato, schiavizzato, rapinato a mano armata la
stragrande maggioranza del mondo.
Tant’è vero
che per giustificare l’ennesima guerra neocoloniale delle potenze europee in
concorrenza fra di loro e con gli Usa, si giudica il regime di Gheddafi,
“incivile“, africano, con le amazzoni, i cammelli, gli anelli da baciare e
quant’altro, e che per questo merita di essere annientato, anche dalla Nato,
dagli Usa, dalla Francia, da chiunque! E’ un delirio razziale innanzitutto. Alla
fine dell’800 i civilissimi inglesi, nella guerra coloniale del capitalismo alla
ricerca di materie prime da rubare e di schiavi da deportare, invasero e
occuparono il territorio degli incivili Zulù. Faccio questo esempio estremo,
perché gli Zulù erano una popolazione semi-primitiva, la più lontana dalle
nostre concezioni marxiste, che opprimeva a sua volta altre popolazioni con
metodi terribili, altro che il regime di Gheddafi! Gli Zulù si difesero come
poterono con archi e frecce contro le armi allora moderne e potenti
dell’esercito inglese, e dettero anche delle sonore lezioni di dignità e di
coraggio agli inglesi, che poi però con la forza delle armi e della violenza li
sconfissero e stabilirono in Sudafrica la vergogna del regime bianco
dell’apartheid.
Noi comunisti
da che parte saremmo stati? In tutte le guerre coloniali e imperialistiche siamo
stati sempre, sempre, dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, dalla
parte dei popoli africani, molto più “incivili” e contro le potenze europee
civilissime, democraticissime, ma che hanno per secoli applicato persino lo
SCHIAVISMO agli altri popoli “inferiori” perchè più “incivili“. Dalla parte
degli indiani e indios d’America contro i colonizzatori inglesi, francesi,
spagnoli. Dalla parte dei popoli latinoamericani contro l’oppressore,
torturatore, nord-americano. Dalla parte degli indiani e dei cinesi contro le
civilissime e criminalissime potenze europee sfruttatrici. Dalla parte degli
“incivili” palestinesi, un po’ scuri in faccia e governati da Hamas, contro il
civilissimo stato bianco israeliano. Mettendo in primo piano la contraddizione
principale, che è quella dell’oppressore colonialista e imperialista contro il
popolo oppresso, colonizzato, occupato, invaso, sfruttato, senza per questo
aderire ai regimi sociali o alle culture dei popoli oppressi, a volte lontane
anni luce dalla nostra concezione comunista.
Senza
mai farci bloccare nella lotta contro le occupazioni e le guerre imperialiste
dall’analisi dei regimi dei paesi oppressi. Se sulla base della critica e della
nostra opposizione all’incivile regime di Gheddafi dovessimo parteggiare con i
civili bombardieri francesi, allora non capisco perché critichiamo la “missione”
in Afghanistan contro il regime terribile, fanatico, integralista dei Talebani!
Altro che bombardamenti sui matrimoni, sui funerali, sui bambini che giocano ci
vorrebbero, bisognerebbe raderli a zero e gasarli tutti questi incivili e
barbari popoli del mondo, così brutti, sporchi e cattivi, così diversi da noi
bianchi, democratici, occidentali, cristiani! E’ veramente sconcertante questa
follia razzista e guerrafondaia che sento in giro anche fra di noi, premessa
classica per ben più gravi altre tragedie. Fra l’altro faccio notare agli
ingenui di sinistra che, come si legge da tutti i giornali, è in corso una
guerra commerciale fra l’Italia e la Francia. Tremonti prepara un decreto per
impedire la scalata dei francesi in importanti aziende italiane.
C’entra
qualcosa questo scontro economico-commerciale fra Francia e Italia con la
vicenda libica? E dico di più, che potrà scandalizzare gli ingenui
antiberlusconiani e filo-Pd: c’entra qualcosa l’asse Italia-Russia-Turchia sul
gasdotto con l’attacco dei mesi scorsi a Berlusconi (la Turchia accetta di far
passare il gasdotto South Stream sulle sue acque territoriali e in cambio i
russi accettano di partecipare al progetto dell’oleodotto che collegherà il Mar
Nero al Mar Mediterraneo, il tutto con la partecipazione dell’Eni e con la
mediazione del governo italiano, cosa che ha irritato molto contemporaneamente
gli Usa e Israele)? C’entra qualcosa con la vicenda libica l’asse Usa-Francia
contro l’asse Russia-Germania, come è chiaramente emerso nel voto all’Onu (da
cui si spiega la posizione della Lega da sempre filo-tedesca e la ritorsione
anti-francese di Tremonti)? Questa non è geopolitica astratta, è analisi
concreta dei conflitti economici e commerciali fra le diverse potenze
capitalistiche, che hanno portato il mondo altre volte a guerre mondiali. Invece
non è da marxisti, di qualunque tendenza, ma è proprio da ingenui credere che le
potenze capitalistiche come quelle europee o come gli Usa siano interessati ai
diritti del popolo libico.
Leonardo
Masella, 19 marzo 2011
http://www.stampalibera.com/?p=24305
I capataz
della rivolta libica una alleanza in ordine
sparso - Pierre Babancey*
Radicata nel feudo
di Bengasi, la grande città della Cirenaica che
sorge nella Libia dell'est, l'opposizione al
regime del colonnello Gheddafi è formata
sostanzialmente da tre entità: il Comitato di
coalizione, il Consiglio nazionale di
transizione (Cnt) e il Consiglio militare. Il
primo è composto da membri della cosiddetta
società civile: giuristi, avvocati, insegnanti
universitari. Il Cnt, come spiega Mohammad
Fanouch, direttore della biblioteca di Bengasi,
è animato da personalità politiche scelte in
modo da rappresentare l'insieme del territorio
libico. Infine, come si evince dal nome, il
Consiglio militare è formato da ufficiali ed ex
ufficiali dell'esercito. Tra questi organismi il
più importante è senza dubbio il Cnt che si è
riunito ufficialmente per la prima volta lo
scorso 5 marzo sotto la direzione di Mustafa
Abdujalil, ex ministro della giustizia di
Gheddafi. Una scelta che potrebbe apparire
insolita; non per Fanouch, secondo cui «Abdujalil
ha una storia diversa da quella di Gheddafi con
cui ha avuto molti dissidi, anche quando era nel
governo. Ha sostenuto la nostra rivoluzione fin
dall'inizio ed è la figura più prestigiosa
dell'opposizione al regime». La maggior parte
dei membri del Cnt agisce sotto anonimato per
ragioni di sicurezza: «Le loro famiglie
potrebbero avere seri problemi». Il Cnt afferma
che il ruolo della gioventù libica è stato
determinante per innescare la rivolta ed è per
questo che nel suo direttorio ha nominato il
giovane avvocato Fathi Terbel. «Il Consiglio è
politicamente omogeneo, siamo libici, laici e
tra noi non ci sono partiti estremisti. Ad
esempio non sono rappresentati i comunisti»,
afferma il portavoce Mustafa Guiriani. La sede
del Consiglio è il palazzo di giustizia di
Bengasi, ma solo poche persone possono assistere
alle sedute. Il Comitato di coalizione invece
funziona come una specie di organo di
regolamentazione del Cnt: «Noi assistiamo alle
sedute del Cnt e facciamo da tramite con la
popolazione», spiega Salwa Boughaghis, anche lei
avvocato. Tuttavia non è molto chiaro come il
Comitato di coalizione possa influire sugli
orientamenti politici del Cnt: «Tre settimane è
un tempo brevissimo, non abbiamo organizzato noi
questa rivoluzione e non ci sono partiti al
nostro interno», si giustifica Salwa Boughaghis.
Intanto il Cntha incaricato Mohammed Jibril e
Alì al Eisawi per rappresentarlo presso la
comunità internazionale. E così Jibril ha così
ottenuto un rapido riconoscimento del Cnt da
parte del presidente francese Sarkozy; ma Parigi
è sola capitale ad averglielo accordato. Perché?
Il nocciolo della questione è proprio questo.
«Apprezzo molto l'iniziativa di Sarkozy.
A mio avvio la Francia e tutti i paesi che ci
riconosceranno avranno una priorità nelle future
relazioni politiche ed economiche».
Poco importa che Sarkozy avesse accolto Gheddafi
in pompa magna, siglando diversi contratti (in
gran parte militari) con Tripoli e che oggi
quelle armi vengono usate contro i giovani
libici. «Un mio conoscente di Bengasi ha offerto
una villa al presidente francese, in modo che la
possa impiegare come ambasciata francese», si
rallegra Fanouch. "Nessuna ingerenza straniera
nei nostri affari interni", si può leggere su un
muro accanto al centro stampa di Bengasi. Uno
slogan scritto senz'altro da uno di quelle
migliaia di giovani che hanno fatto la
rivoluzione contro Gheddafi, e che non sembrano
essere presi molto in considerazione dal Cnt.
Salwa Boghaghis chiede agli occidentali di
«bombardare le infrastrutture di Gheddafi», ma
si dice contraria «a ogni intervento di terra».
Mentre Guiraiani si spinge oltre: «Vorrei dire a
Sarkozy che la Francia ci deve aiutare come fece
con il ciad contro la Libia», il riferimento è
al "discreto " intervento francese quando tra
Djamena e Tripoli soffiavano venti di crisi. E
quando Gheddafi non era ancora ridiventato
l'amico dell'Occidente.
*L'Humanité
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il Libro verde (arabo: الكتاب الاخضر) è un testo
pubblicato in lingua araba nel 1975 da Muammar Gheddafi.
http://www.francocenerelli.com/antologia/libroverde/indice.htm
Nel testo Gheddafi espone in maniera succinta la
sua visione della democrazia e dell'economia. Rigettando l'insieme dei principi
della democrazia liberale, auspica una forma di democrazia diretta basata sui
comitati popolari.
Il libro è diviso nelle seguenti partizioni:
Parte politica: l'autorità del popolo
Parte economica: il socialismo
Basi sociali della terza teoria universale
Gheddafi nel testo accusa i sistemi antecedenti di
non essere democratici, poiché in questi sistemi al popolo viene concesso solo
di eleggere i loro rappresentanti. Questi rimangono distanti e indipendenti nel
loro agire; di qui, Gheddafi asserisce che non vi è diretto influsso del popolo
sul sistema politico né della democrazia né del comunismo. Quindi fa una
proposta di sistema: la partecipazione del popolo al processo politico deve
essere assicurato attraverso gli strumenti del "Congresso popolare" e dei
"Comitati popolari".
Gheddafi definì la sua come la "Terza teoria
universale", che si proponeva come alternativa al capitalismo e al comunismo,
nel solco del socialismo arabo. Negli anni successivi, i principi del libro
verde saranno messi in pratica nell'organizzazione della Jamāhīriya libica.
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La Libia nomina il sacerdote nicaraguense
Miguel D'Escoto suo rappresentante all'ONU
di l'Ernesto
Online 30/03/2011
su l'Ernesto Online del
30/03/2011
Il governo libico ha nominato
Padre Miguel D'Escoto, sacerdote protagonista della Rivoluzione
Sandinista e già presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite,
quale suo rappresentante all'ONU.
“Il Comitato Popolare Generale dei Rapporti Esteri e la Cooperazione
Internazionale comunica a Vostra Eccellenza che la Jamahiriya ha deciso
di nominare il Signor Miguel D'Escoto Brookman, ex Ministro degli Esteri
del Nicaragua, come suo rappresentante alle Nazioni Unite a New York”,
L'annuncio è stato dato dal ministro degli Esteri della Libia Moussa
Kusa, in una lettera inviata al Segretario Generale dell'ONU.
La lettera informa che D'Escoto è autorizzato a parlare a nome del
popolo libico davanti agli organi delle Nazioni Unite.
Nella missiva viene precisato anche che la decisione è stata presa dopo
che Ali Abdussalam Treki, nominato rappresentante degli interessi libici
il 4 marzo, non ha potuto iniziare ad adempiere ai suoi compiti di
rappresentante della Libia per il mancato conseguimento del visto di
entrata negli Stati Uniti.
Da parte sua, il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega ha chiesto a D'Escoto
di accettare la nomina “a rappresentare il popolo e il governo libico
nella sua lotta per ristabilire la pace e difendere il suo legittimo
diritto a risolvere i suoi conflitti nazionali senza ingerenze esterne”.
“Accettiamo in solidarietà con il grande popolo libico, per ricercare la
pace attraverso la giustizia e i metodi pacifici”, ha dichiarato D'Escoto,
denunciando il massacro che stanno attuando Stati Uniti, Regno Unito,
Francia e gli altri alleati contro la Libia. “E' una violazione del
diritto internazionale che non si può far passare”.
Secondo D'Escoto, il presidente statunitense Barack Obama “ha superato
il suo predecessore Bush nelle pratiche imperiali utilizzate nella
politica estera e rappresenta la peggior minaccia alla pace e alla
sicurezza internazionale, che sta conducendo l'umanità ai limiti
dell'estinzione”.
O.k. da Obama alla guerra segreta di «truppe ombra»
- Manlio Dinucci
«Mentre il presidente Obama ha ribadito che nessuna forza terrestre
americana partecipa alla campagna di Libia, gruppi di agenti della Cia
operano in Libia da diverse settimane»: lo rivela ieri il New York Times.
Gli agenti, il cui numero è sconosciuto, sono quelli che «avevano già
lavorato alla centrale dell'agenzia spionistica a Tripoli» e altri
arrivati più di recente. Gheddafi aveva permesso alla Cia e ad altre
agenzie Usa, nel 2003, di operare in Libia per controllare che avesse
rinunciato al suo programma nucleare militare e per trasferire fuori dal
paese attrezzature e progetti per la bomba.
Queste stesse agenzie hanno
successivamente «riallacciato i loro legami con gli informatori libici»,
quando «diverse settimane fa, il presidente Obama ha segretamente
autorizzato la Cia a fornire armi e altre forme di sostegno ai ribelli
libici». I gruppi della Cia - che operano in Libia nel quadro di una
«forza ombra» di cui fanno parte agenti britannici e altri, vere e
proprie «truppe di terra ombra», in contraddizione con la Risoluzione
1973 - hanno due compiti. Anzitutto «contattare i ribelli per
comprendere chi sono i loro leader e gruppi di appartenenza».
L'ammiraglio James Stavridis, che comanda le forze Usa e Nato in Europa,
ha detto, in una audizione al Senato, che vi sono indizi di una presenza
di Al-Qaeda tra le forze anti-Gheddafi. Occorre quindi fornire armi e
addestramento ai gruppi affidabili, ossia utili agli interessi degli
Stati uniti e dei principali alleati (Francia e Gran Bretagna),
escludendo chi non offre sufficienti garanzie. La Francia si è già detta
disponibile a fornire armi e per l'addestramento sono già in Libia forze
speciali britanniche.
Allo stesso tempo, gli agenti statunitensi e
alleati hanno il compito di fornire ai piloti dei cacciabombardieri le
coordinate degli obiettivi da colpire, soprattutto nelle aree urbane,
che vengono segnalati con speciali puntatori laser portatili. I dati
trasmessi dagli agenti vengono integrati con quelli raccolti da aerei
spia di diversi tipi (Global Hawk, U-2, Jstars, Rc-135) che da diverse
settimane, prima degli attacchi aerei e navali, hanno sorvolato in
continuazione la Libia per individuare gli obiettivi. Particolarmente
importante è il ruolo dei Global Hawk, gli aerei telecomandati che
decollano da Sigonella, le cui informazioni vengono trasmesse al centro
di comando.
Questo invia le coordinate a un aereo Awacs, decollato da
Trapani, che le trasmette ai piloti dei cacciabombardieri. Sono pronti a
partire anche i Predator, i droni usati in Afghanistan e Pakistan,
armati di missili. L'inchiesta del New York Times dimostra quindi che i
preparativi di guerra erano iniziati ben prima dell'esplosione del
conflitto interno e dell'attacco Usa/Nato, e che le operazioni belliche
non sono solo quelle che appaiono ai nostri occhi.
Se anche l'Italia
faccia parte della «forza ombra» che opera in Libia, non si sa. Però il
presidente Obama, nell'esprimere al presidente Napolitano e al primo
ministro Berlusconi il suo profondo apprezzamento per il «risoluto
appoggio alle operazioni della coalizione in Libia», riconosce la
«competenza» dell'Italia nella regione. Una indubbia competenza,
acquistata da quando un secolo fa, nel 1911, le truppe italiane
sbarcarono a Tripoli.
-----------------------------
.
L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed
europea all'imperialismo.
nota pubblicata su fb da
Gaspare Sciortino
il giorno sabato 3 settembre 2011 alle ore 11.43
“Noi
eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa
oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica,
liberata dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un
protettorato dei bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Prendiamo
atto che non è così per coloro che hanno fatto l’ennesima guerra
umanitaria e la distanza da loro non è solo politica ma anche morale”.
Le precedenti parole sono del segretario di
Rifondazione Comunista in un articolo pubblicato su Liberazione il 2
settembre. Nell'articolo il segretario di Rifondazione espone anche un
punto di vista corretto circa l'ipocrisia della guerra umanitaria in
realtà fatta per il puro interesse di impadronirsi del petrolio libico
da parte dell'alleanza atlantica così come della resistibile menzogna
sottesa alla risoluzione n. 1973 con la quale si dovevano “proteggere i
civili. Parla naturalmente anche dell'informazione con l'elmetto e
dell'attuale scomparsa del protagonismo dell'Onu nell'attuale frangente
delle carneficine compiute dai mercenari della Nato, dopo aver aperto e
legittimato lo scenario di aggressione e guerra..
Ma
il punto dirimente dell'intero articolo che ne costituisce la sintesi e
l'indirizzo politico è il passo finale da me citato. “Pensiamo che la
costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e
dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia
l’unico obiettivo legittimo.”
Quindi nei fatti Ferrero concorda che era un obbiettivo legittimo
costruire, da parte di soggetti terzi, diversi dal popolo libico, una
Libia “democratica”. A questo punto l'interventismo della Nato e dei
suoi bombardieri potrebbe essere soltanto un incidente di percorso, una
contraddizione che poteva essere evitata! Bisognava, in effetti...”liberare
la Libia dal dittatore Gheddafi e dalle sue camarrille !” In questa
breve frase è concentrata tutta la miseria del pensiero della sinistra
italiana (ma anche europea...leggere analoghi articoli del quotidiano
dei comunisti francesi) e la sua perdita di orientamento nell'attuale
assetto unipolare del pianeta contrapposto ai nuovi poli emergenti
(Cina, India, Venezuela, nonché la vecchia Russia).
Nei
fatti si confessa in maniera abbastanza palese l'adesione all'orizzonte
euroamericano sia in termini ideologici, cioè i valori della democrazia
e dei diritti civili, sia in termini economici il cui grimaldello è
proprio la guerra imperialista, della quale però non si accetta
l'efferatezza e l'ipocrisia !
Niente male Ferrero!
Adesso credo sia chiaro perchè la sinistra italiana, non ha mosso un
dito (con l'onorevole eccezione della piccola area organizzata
dell'Ernesto che quantomeno si è spesa in un'opera di controinformazione
militante sui social network) prima e durante l'aggressione
imperialista. Non a caso anche Ferrara (esponente di una destra
antinterventista quantomeno a parole) se ne è accorto dalle pagine del
suo quotidiano e ha potuto sbeffeggiare i pacifisti per la loro adesione
all'oltranzismo della fazione democratica americana.
Il
pacifismo senza se e senza ma di ieri (Iraq, Serbia) che non riusciva a
distinguere tra aggressore e aggredito, ma che ad ogni modo portò in
piazza centinaia di migliaia di persone si è trasformato in
astensionismo critico (né con la Nato né con Gheddafi) circa la contesa
geopolitica considerata affare interno agli assetti imperiali.
Nei
fatti una posizione “foglia di fico” che nasconde la sostanziale
adesione all'orizzonte strategico occidentale e atlantico (in politica
non fare equivale ad aderire a qualcosa d'altro!) e l'adesione ad un'
indifferenzialismo cinico e neoqualunquista quando, addirittura, non
suffragato da analisi sedicente marxista (vedi le risibili produzioni di
Antonio Moscato e Sinistra Critica nonché dei sedicenti trotzkisti
francesi consulenti di Sarkozy che avvalorano la tesi della rivoluzione
Libica e scoprono nientedimeno le magliette di Che Guevara tra i
“ribelli”).
Non
intendo spendere una parola in questa breve nota circa le ragioni
geostrategiche dell'imperialismo nell'attuale fase di drammatica crisi
del capitalismo occidentale come foriere dell'ennesimo scenario di
aggressione e di guerra di inizio secolo. Presuppongo che i lettori di
questa nota siano sufficientemente colti e informati.
Intendo piuttosto focalizzare l'attenzione su alcuni punti che a mio
parere sono dirimenti per tutti coloro che vogliono continuare a credere
nella possibilità della costruzione di una forza comunista modernamente
attrezzata all'attuale fase.
a)
la sinistra (eclettica plurale) dopo lunga agonia, è definitivamente
morta a Tripoli e non è il caso di riesumarla.
b)I
comunisti se vogliono avere un futuro (quantomeno di riorganizzazione
nel breve periodo) devono riattrezzarsi sull'analisi di fase del nuovo
assetto imperialista, in potenza multipolare, e riscoprire un
riposizionamento, momento per momento, a fianco della lotta degli stati
sovrani e legittimi aggrediti, abbandonando l'equidistanza pelosa e lo
scimmiottamento dei contenuti dell'avversario (...sono dittature, manca
la democrazia, non ci sono i diritti civili ...e tutte le altre nobili
amenità propagandate dalle tv di Obama e degli sceicchi dell'Arabia
Saudita che naturalmente di diritti e democrazia ne fanno un grande
esercizio a Guantanamo o nelle bidonville di Detroit oppure nelle
repressioni militari nel Golfo Persico e della penisola arabica).
c)
L'imperialismo euroatlantico, nel quale il nostro paese è inserito nel
reparto degli ufficiali di complemento senza potere decisionale, insieme
all'esercizio della guerra permanente neocoloniale,per l'acquisizione
delle fonti d'energia, insieme all'esercizio del banditismo predatorio
per la sottrazione dei capitali (vedi fondi congelati della Libia) attua
nelle sue cittadelle la definitiva graduale eliminazione dell'anomalia
storica dello stato sociale novecentesco. L'avversario è lo stesso in
Libia e in Italia.
I
pentiti del comunismo novecentesco in servizio permanente effettivo (PD)
e i gruppi di opinione delle formazioni democratiche ad essi legate (Di
Pietro, Sel, ecc) costituiscono il polo politico che più coerentemente
rappresenta il precedente blocco di interessi di cui al punto c. Inoltre
costituiscono la punta avanzata e di sfondamento ideologico in seno al
conflitto organizzato in funzione di un suo deragliamento verso falsi
obbiettivi quali le campagne fintamente moralizzatrici, l'antipolitica,
il leaderismo acritico e delegante nonché l'ennesima ristrutturazione
delle regole elettive verso la completa blindatura del maggioritario.
d)
Paradossalmente la destra presenta delle evidenti fratture al suo
interno, sostanziate dall'agitazione dei gruppi di interessi
populistico-protezionisti della Lega e dalle lobby che vedevano di buon
grado una saldatura con l'asse Berlino-Mosca.
e)
E' da rigettare per tutti coloro che ambiscono soltanto a costruire
un'opposizione all'imperialismo con base di massa continuare a
farneticare di alleanze democratiche (nei fatti con i partiti
organizzati e le lobby dell'avversario).
Viceversa va scoperto e sperimentato un percorso inedito di alleanza
democratica con tutti coloro che hanno a cuore l'indipendenza politica
ed economica dall'imperialismo, secondo percorsi di sganciamento (vedere
l'interessante movimento in Grecia rappresentato coerentemente dal KKE)
e sollecitando l'aggregazione politica di organismi che abbiano
l'obbiettivo della difesa dell'economia nazionale dalla fase predatoria
e banditesca dell'imperialismo finanziario.
g)
si pone all'ordine del giorno la necessità della ricostruzione del
partito comunista, capace di innescare una battaglia di cambiamento
radicale rispetto alle attuali linee politiche dei due partiti comunisti
esistenti in Italia, per la riunificazione, sconfiggendo al loro interno
le illusioni del radicalismo post-moderno manovrato dall'imperialismo.
E' necessario ricostruire interesse nel paese circa la trasformazione
radicale in senso socialista come obbiettivo attuale e risposta alla
crisi del capitalismo euroatlantico.
gaspare sciortino 3/9/11
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877
http://www.facebook.com/#!/note.php?note_id=10150305209947579
un commento di G.F.
Giuseppina Ficarra (.....),
a me sembra che fin'ora la vera e sostanziale differenza di pensiero è
stata tra quelli che hanno praticato un: <<astensionismo critico (né con
la Nato né con Gheddafi)>> anche con il silenzio e la latitanza qui su
fb e chi invece come me, come Gaspare e molti altri l'abbiamo criticato
e abbiamo avuto il coraggio di sostenere apertamente Gheddafi
appoggiandoci anche (io l'ho fatto) a giornalisti come Fulvio Grimaldi
che vedi caso improvvisamente non è solo un giornalista, ma uno
"antipatico"!!
Pur di giustificare la posizione nè nè voluta e praticata fin da subito
(*)da Ferrero SEGRETARIO del prc (anche da altri partiti cosiddetti di
estrema sinistra) tutti i compagni "seguaci" o con tessera o hanno
continuato ad attaccare Gheddafi (2° nè) o sono stati latitanti. Questo
è il punto della discussione, il nocciolo che racchiude in se tutte le
disquisizioni che volete, più o meno colte, più o meno astruse. Il punto
Sciortino l'ha posto e poi, solo poi, discute di comunismo e comunisti.
-
(*)
Paolo Ferrero: VOGLIAMO DENUNCIARE LA SITUAZIONE CHE C'È IN
LIBIA,(http://www.youtube.com/watch?v=Ux7-5BXTUO4) SITUAZIONE INACCETTABILE CON UN MASSACRO DI UN DITTATORE CHE STA
MASSACRANDO IL SUO POPOLO, CHE HA DICHIARATO GUERRA AL SUO POPOLO E
VOGLIAMO DENUNCIARE LA CONNIVENZA DEL GOVERNO ITALIANO CHE PER GIORNI E
GIORNI È STATO AD ASPETTARE SE PER CASO GHEDDAFI CE LA FACEVA A CHIUDERE
TUTTO CON UN PO' DI SANGUE SENZA DIRE NULLA (Ferrero
ha continuato su questa linea imperterrito nonostante le ammissioni,
seppur tardive,di Fabio Amato che alla fine
riconosce (dopo
avere detto altro) che qualcuno ha fabbricato
"mostri alla
bisogna" che aiutassero ad addolcire l'amaro boccone alle opinioni
pubbliche occidentali, )
Ecco cosa ha fatto la sinistra (definitivamente morta a Tripoli )
criticata da Sciortino:
costruire mostri
per appoggiare "da sinistra" una guerra imperialista
(vedi FERRERO e la guerra in Libia)
http://www.facebook.com/#!/note.php?note_id=10150319263394605
Maurizio Acerbo, DIECI ANNI DOPO condanna la "vergognosa" partecipazione
dell'Italia in Libia e quindi la posizione ddel suo predecessore
Paolo Ferrero
Un commento di Gaspare Sciortino:Penso che non sia neanche tempo di
inutili e sterili contrapposizioni. E' la drammaticità della crisi dei
comunisti (nella drammatica crisi del sistema imperiale euroatlantico
votato alla guerra permanente) che lo impone. In una certa misura sono
d'accordo con Leonardo quando dice che è fuorviante pensare ad una base
sana contrapposta ad un gruppo dirigente ideologicamente corrotto ed
ambiguo. In realtà quel gruppo dirigente è parte, come la sua base,
della stessa crisi. Così come è vero , d'altronde, che esiste un gruppo
cosidetto dirigente (o parte di esso) impermeabile a qualsiasi
sollecitazione diversa dall'acquisizione dello strapuntino parlamentare
che deve essere perseguito a qualsiasi costo. Ed è vero inoltre che
esistono migliaia di compagni e centinaia di circoli dei due partiti,
nonchè compagni senza tessera, che sono sicuramente cooptabili in un
percorso di ricostruzione e di reinvenzione dei paradigmi teorico
politici. Il Problema è fare incontrare queste parti "sane"
contemporaneamente all'esercizio della critica per l'espulsione degli
agenti dell'avversario in seno all'organizzazione da ricostruire (...uso
una terminologia d'altri tempi ma penso mi abbiate capito). Il percorso
a suo tempo iniziato dai Comunisti 2.0 (dialetticamente interno
-esterno) mi pare al momento, in attesa di meglio e del maturare della
crisi, quello più adatto alla bisogna. Tale percorso non è che
all'inizio. nessuno sa quali possono essere gli sviluppi futuri. Si
tratta solamente di "mettersi in marcia" . A tal proposito sollecito
l'incontro per aree geografiche.
04 settembre alle ore 13.49
da The Anti-Empire Report
28 marzo 2011
La
Libia e il Santo Triumvirato di William Blum
Sono
veramente difficili da pronunciare le parole “guerra civile”. La Libia è
impegnata in una guerra civile.
Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la
NATO, il Santo Triumvirato, stanno intervenendo, sanguinariamente, in
una guerra civile. Per detronizzare Muammar Gheddafi.
All’inizio, il Santo Triumvirato
parlava di imporre solo una “no-fly zone”. Dopo aver ottenuto il
sostegno di organismi internazionali su questa intesa, il Santo
Triumvirato ha immediatamente dato inizio allo scatenamento della
guerra contro le forze militari libiche, e contro chi si trovava loro
vicino, giorno dopo giorno. Nel mondo del commercio questo viene
definito “specchietto per le allodole.”
Il delitto di Gheddafi? Non essere mai
stato abbastanza rispettoso del Santo Triumvirato, che non riconosce
alcun potere superiore, e manovra le Nazioni Unite per i propri
interessi, confidando sul fatto che la Cina e la Russia sono tanto
smidollate ed ipocrite al pari di Barack Obama.
L’uomo a cui il Triumvirato consentirà
di sostituire Gheddafi dovrà essere più rispettoso!
E allora, chi sono i buoni? I ribelli
libici, ci è stato detto. Quelli che vanno in giro picchiando e
uccidendo i neri africani sul presupposto che costoro sono tutti
mercenari di Gheddafi. Qualcuna delle vittime potrebbe effettivamente
avere fatto parte di un battaglione dell’esercito del governo libico, o
potrebbe non esserlo stato. Negli anni ‘90, in nome dell’unità
pan-africana, Gheddafi ha aperto le frontiere a decine di migliaia di
Africani sub-sahariani, perché vivessero e lavorassero in Libia. La qual
cosa, insieme con la sua precedente visione pan-araba, non gli ha fatto
conquistare punti di merito dal Santo Triumvirato. I dirigenti delle
grandi imprese presentano lo stesso problema quando i loro dipendenti
vogliono costituirsi in sindacato.
O forse dovremmo tenere ben presente
che Gheddafi è fortemente anti-sionista?
Qualcuno sa che tipo di governo i
ribelli vorrebbero instaurare? Il Triumvirato non ne ha idea. In che
misura il nuovo governo darà corpo all’influenza islamica, in totale
contrapposizione all’attuale governo secolare? Quali forze jihadiste
potrebbero scatenarsi? (E queste forze effettivamente esistono nella
parte orientale della Libia, dove si concentrano i ribelli.) Verrà
mantenuta la gran parte dello stato sociale che Gheddafi ha costruito
usando i soldi del petrolio? Il sistema economico oggi gestito e
regolato dallo Stato verrà privatizzato? Chi finirà per possedere il
petrolio della Libia? Il nuovo regime continuerà a investire i proventi
del petrolio libico in progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana?
Consentirà l’imposizione nel territorio di una base militare degli Stati
Uniti e le esercitazioni NATO? Quanto tempo ci servirà per scoprire che
i “ribelli” sono stati istigati e armati dai servizi segreti del Santo
Triumvirato?
Negli anni ‘90, Slobodan Milosevic di
Jugoslavia era ritenuto colpevole di “crimini” del tutto simili a questi
di Gheddafi. Il suo paese veniva comunemente indicato come quello degli
“ultimi comunisti d’Europa”. Il Santo Triumvirato lo ha bombardato, lo
ha arrestato e lasciato morire in carcere. Il governo libico, non
bisogna dimenticarlo, fa riferimento a se stesso come la Grande
Jamahiriya Libica Araba Socialista Popolare. La politica estera degli
Stati Uniti non si è mai troppo discostata da quella della Guerra
Fredda.
Dobbiamo ricordare e considerare con
attenzione la “no-fly zone” imposta sull’Iraq dagli Stati Uniti e dalla
Gran Bretagna (costoro falsamente asserivano essere stati delegati a
questo dalle Nazioni Unite), che ha avuto inizio nei primi anni ‘90 ed è
durata oltre un decennio. Era in realtà una licenza per bombardamenti
molto frequenti e per ammazzare cittadini iracheni; fiaccare l’Iraq in
preparazione dell’invasione a venire.
La forza di invasione, con la scusa
della “no-fly zone”, in Libia ogni giorno sta uccidendo persone, e non
se ne vede la fine, fiaccando il paese per il cambiamento di regime. Chi
nell’universo mondo può contrapporsi al Santo Triumvirato? In tutta la
storia del mondo si è mai visto un tale potere e tanta arroganza?
E, a proposito, per la decima volta!,
Gheddafi non ha effettuato il bombardamento del volo PanAm 103 nel1988.
[1]
Barack, “per un
premio della pace ucciderei”, Obama
C’è
qualcuno che sta tenendo il conto? Io lo sto facendo. Con la Libia sono
sei i paesi contro i quali Barack H. Obama ha scatenato una guerra nei
26 mesi di sua amministrazione. (A chi contesta il fatto che far cadere
bombe su un paese popolato sia un atto di guerra, vorrei chiedere cosa
ne pensa del bombardamento giapponese di Pearl Harbor.)
Ora, il primo
presidente nero degli Stati Uniti sta invadendo l’Africa.
C’è qualcuno a sinistra che pensa
ancora che Barack Obama costituisce una sorta di miglioramento rispetto
a George W. Bush? Probabilmente pensano ancora così due categorie: 1)
quelli a cui il colore importa di molto, 2) quelli che sono
impressionati dalla capacità di mettere insieme frasi ben costruite e
grammaticalmente corrette. Certamente, questo non ha molto a che fare
con l’intelligenza o la perspicacia.
Obama ha detto tante cose, che, se
pronunciate da Bush, avrebbero provocato lo sgranamento dei bulbi
oculari, risatine soffocate, e articoli ironici nelle colonne e nelle
trasmissioni del sistema dell’informazione.
Come quella che il presidente ha
ripetuto in diverse occasioni, quando esercitava pressioni per mettere
sotto inchiesta Bush e Cheney per crimini di guerra, in falsetto con “Io
preferisco guardare avanti piuttosto che indietro.” Immagine di un
imputato convenuto dinanzi a un giudice, che chiede di essere dichiarato
innocente per tali motivi. Questo rende semplicemente non pertinenti le
leggi, l’applicazione della legge, il crimine, la giustizia, e la
verità.
Obama ha perfino motivato la scusa di
non perseguire coloro che hanno preso parte alle torture: “costoro hanno
solo eseguito degli ordini.” Questo uomo “istruito”non ha mai sentito
parlare del processo di Norimberga, in cui questa linea di difesa è
stata sommariamente respinta? Per sempre, si presumeva!
Proprio 18 giorni prima della
fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, Obama dichiarava: “A
proposito, risulta che oggi le piattaforme petrolifere generalmente non
provocano versamenti in mare. Sono tecnologicamente molto avanzate.”
(Washington Post, 27 maggio 2010) Immaginate se questo l’avesse detto
George W., e le reazioni conseguenti.
Ai primi di marzo, Obama affermava:
“Tutte le forze che stiamo vedendo all’opera in Egitto sono forze che
ovviamente dovrebbero essere allineate con noi, dovrebbero essere
allineate con Israele.” [2] Immaginate se Bush avesse lasciato intendere
questo – che gli Arabi che manifestavano in Egitto contro un uomo che
riceveva miliardi di dollari in aiuti statunitensi, tra cui i mezzi per
reprimerli e torturarli, dovevano “ovviamente” essere allineati con gli
Stati Uniti e - Dio ci aiuti – con Israele.
Una settimana dopo, il 10 marzo, il
portavoce del Dipartimento di Stato P.J. Crowley comunicava ad un forum
a Cambridge, Massachusetts, che il trattamento applicato dal
Dipartimento della Difesa all’eroe di Wikileaks Bradley Manning in un
carcere della Marina era “assurdo, controproducente e stupido.” Il
giorno dopo, al nostro presidente “cervellone” veniva richiesto di
commentare Crowley. La Grande Speranza Nera replicava: “In effetti ho
chiesto al Pentagono se le procedure che sono state messe in atto
rispetto a questa detenzione siano o no appropriate, e se incontrino i
nostri standard di base. Mi hanno assicurato che lo sono.”
Giusto, George! Volevo dire Barack.
Come se Bush avesse chiesto a Donald Rumsfeld se qualcuno tenuto in
custodia dagli Stati Uniti veniva torturato in qualche parte del mondo.
Poteva allora indire una conferenza stampa come ha fatto Obama, per
annunciare la felice notizia – “No! Gli Stati Uniti non torturano!” Per
solo questo, ci sarebbe ancora da ridacchiare.
Obama chiudeva la sua osservazione
con: “Non posso entrare nei dettagli rispetto ad alcune delle loro
preoccupazioni, che giustamente hanno a che fare con la sicurezza e il
bene del soldato semplice Manning.”[3]
Ah sì, certo, Manning è stato
torturato per il suo bene. Per favore, qualcuno mi faccia ricordare-
Georgie Boy (di Arancia meccanica) si sarebbe mai abbassato ad
utilizzare questa assurdità particolare per giustificare l’inferno della
prigione di Guantanamo?
Ma Barack Obama non è preoccupato per
l’insulto ai diritti umani di Bradley Manning, per il quotidiano
logoramento della stabilità mentale di questo giovane uomo coraggioso?
La risposta alla domanda è “No!” Il presidente non è disturbato da
queste cose.
Come faccio a saperlo? Perché Barack
Obama non si preoccupa per nulla, fino a che può gioire di essere il
presidente degli Stati Uniti, mangiare i suoi hamburger, e giocare alla
sua pallacanestro. Lo ripeto ancora una volta ciò che ho scritto nel
maggio 2009:
“Il problema, temo questo sempre di
più, è che l’uomo in realtà non crede fermamente in nulla, di certo non
entra in questioni controverse. Ha imparato molto tempo fa come assumere
posizioni che evitano le controversie, come esprimere opinioni senza
prendere chiaramente le parti, come parlare con eloquenza senza in
realtà dire nulla, come lasciare le teste dei suoi ascoltatori piene di
frasi stereotipate commoventi, di luoghi comuni e di slogan.”
E questo ha funzionato. Oh, come ha
funzionato! Cosa potrebbe accadere ora, dopo aver raggiunto la
presidenza degli Stati Uniti, per indurlo a cambiare il suo stile?
Ricordate che nel suo libro,
“L’audacia della speranza”, Obama ha scritto: “Io mi offro come uno
schermo bianco su cui le persone di tendenze politiche le più diverse
proiettano i loro punti di vista.” Obama è un prodotto di marketing.
Egli è il primo esempio di prodotto, “proprio come visto in TV”.
Lo scrittore Sam Smith recentemente ha
scritto che Obama è il presidente Democratico più conservatore che
abbiamo mai avuto. “In tempi passati, ci sarebbe stato solo un epiteto
per lui: Repubblicano.”
Infatti, se John McCain avesse vinto
le elezioni del 2008, e poi avesse fatto nello stesso modo tutto ciò che
Obama ha esattamente fatto, i liberali sarebbero infuriati per tali
politiche terribili.
Credo che Barack Obama sia una delle
cose peggiori che siano mai capitate alla sinistra usamericana. I
milioni di giovani che giubilanti lo hanno sostenuto nel 2008, e i
numerosi sostenitori più anziani, avranno bisogno di un lungo periodo
di ricupero prima di essere pronti ad offrire ancora una volta il loro
idealismo e la loro passione sull’altare dell’attivismo politico.
Se non vi piace come le cose sono
risultate, la prossima volta cercate di scoprire esattamente cosa il
vostro candidato intende quando parla di “cambiamento”.
Caro Signore, per
favore salvaci dal Santo Impero Repubblicano
Glenn Beck, Sarah Palin, Mike
Huckabee, John Boehner, e molti altri Repubblicani spesso hanno
difficoltà a parlare di questioni nazionali o estere, senza introdurre
la religione nel complesso delle circostanze.
Per esempio, lo speaker della Camera
dei Rappresentanti John Boehner, in un recente intervento al convegno
nazionale delle organizzazioni di radio e telediffusioni religiose, ha
dichiarato che il debito nazionale statunitense è un “pericolo per la
morale”. Il Washington Post (5 marzo 2011) ha riferito che “Boehner ha
messo in evidenza che questa crisi tributaria ha bisogno di persone che
si mettano a pregare in ginocchio.”
Il rappresentante del Texas Joe Barton
ha giustificato la sua opposizione al controllo dei gas che producono
l’effetto serra, perché “non si può mettere sotto controllo Dio.”
Il senatore dell’Arizona Jon Kyl ha
accusato il leader democratico al Senato Harry Reid, di “mancare di
rispetto ad una delle due più sacre festività per i Cristiani” per avere
considerato di tenere il Congresso in sessione durante il periodo
natalizio.
Il rappresentante dello Iowa Steve
King ha paragonato i Democratici a Ponzio Pilato, il proconsole di Roma
che aveva sentenziato per la crocifissione di Gesù. [4]
E il senatore della Carolina del Sud
Jim DeMint ha recentemente dichiarato: “Più grande diventa il governo,
più piccolo diventa Dio. ... L’America opera, la libertà opera, quando
le persone hanno quel giroscopio interno che è messo in moto dalla fede
in Dio e dal credere nella Bibbia. Una volta che ci si allontana da
tutto ciò, non si ha più la capacità di vivere come una persona libera,
senza il controllo esterno di un governo autoritario. L’ho detto spesso
e io ci credo: più grande diventa il governo, più piccolo diventa Dio.
Quando le persone diventano più dipendenti dal governo, meno dipendono
da Dio.” [5]
Così, nel vano tentativo di illuminare
il calibro di questi stimati membri repubblicani del Congresso, mi sento
in dovere di precisare quanto segue:
“Il giorno 4 novembre 1796, veniva
concluso a Tripoli [Libia] un “Trattato di pace e di amicizia tra gli
Stati Uniti d’America e il Bey e i cittadini Berberi di Tripoli”.
L’articolo 11 del Trattato comincia:
“Poiché il governo degli Stati Uniti d’America non è in alcun senso
fondato sulla religione cristiana ...” Inoltre bisogna rilevare:
l’articolo VI, sezione II, della Costituzione degli Stati Uniti afferma:
“La presente Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che seguiranno
nel rispetto di questa, e tutti i trattati stipulati o da stipulare da
parte degli Stati Uniti, in base alle loro competenze, costituiranno la
Legge suprema del Paese; e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a
uniformarvisi, quali che possano essere le disposizioni contrarie
previste dalla Costituzione o dalle leggi di qualsiasi singolo Stato.”
Il credo dei fondatori degli Stati
Uniti non era né il Cristianesimo né la laicità, ma la libertà
religiosa.
Dopo gli attacchi terroristici dell’11
settembre, un leader talebano ha dichiarato che “Dio è dalla nostra
parte, e se la gente del mondo cerca di appiccare il fuoco
all’Afghanistan, Dio ci proteggerà e ci aiuterà.” [6]
“Con o senza religione, le persone
buone faranno cose buone e le persone cattive faranno cose cattive, ma
se persone buone fanno cose cattive – la causa di questo è la
religione!” - Steven Weinberg, Premio Nobel per la fisica.
I cattivi soggetti
Ho scritto in molte occasioni sull’ODE
degli Stati Uniti - Officially Designated Enemies – sui Nemici Designati
Ufficialmente: Mahmoud Ahmadinejad, Hugo Chávez, Fidel Castro, Daniel
Ortega, Hasan Nasrallah, Muammar Gheddafi, e altri.
Una volta che il governo degli Stati
Uniti d’America indica apertamente che un certo leader straniero non fa
parte dei Buoni Soggetti, che non crede che l’Usamerica sia un dono di
Dio all’umanità, e che lui non è disposto a permettere che il suo paese
diventi uno stato cliente obbediente, il sistema dei mezzi di
informazione degli Stati Uniti raccoglie e mette in evidenza tutto
questo, e si prende la briga di denigrare la persona in ogni occasione.
(Se qualche lettore conosce delle eccezioni a questa regola, sarei
interessato a recepire queste informazioni.)
Juan Forero è stato a lungo
corrispondente dall’America Latina per il Washington Post, e anche per
la National Public Radio. Ho preso l’abitudine di inviare lettere al
Post sottolineando come Forero distorceva i fatti ogni volta che
scriveva su Hugo Chávez, errori di omissione aggravati da errori di
commissione, errori su mandato. Nessuna è stata mai pubblicata, così ho
cominciato a inviare le mie missive direttamente a Forero.
Una volta ha effettivamente risposto
dicendo che lui era d’accordo (o quasi) con me sui punti che avevo
sollevato e lasciava intendere che avrebbe cercato in futuro di evitare
errori simili. In realtà, in seguito, ho registrato per un breve periodo
qualche miglioramento, poi è tornato tutto come prima.
Durante i disordini attuali in Libia
scriveva: “Chavez ha affermato che ‘era una grande menzogna’ che le
forze di Gheddafi avevano aggredito i civili.” [7] Bene, come si può
pensare che Hugo Chávez possa considerare il mondo tanto stupido? Tutti
abbiamo visto e letto di attacchi di Gheddafi contro i civili. Ma se per
contro andiamo ad analizzare la dichiarazione originale in spagnolo si
ottiene un’immagine più esauriente e diversa. Secondo il documento in
lingua spagnola dell’United Press International (UPI), Chávez aveva
dichiarato che il conflitto in Libia era una guerra civile e coloro che
venivano attaccati non erano dei semplici manifestanti o civili,
facevano parte della fazione avversa in questa guerra civile, cioè ,
erano combattenti. [8]
Al Jazeera in
America
Le rivolte in Nord Africa e nel Medio
Oriente hanno dato un grande impulso ad al Jazeera, il network
televisivo con sede a Doha, in Qatar. Fino a poco tempo fa, gli
Statunitensi evitavano la stazione televisiva; veniva subito associata
con il Medio Oriente e i Musulmani, e ovviamente si faceva riferimento
subito a terrorismo e a “terroristi”, e certamente ogni Usamericano ben
consapevole sapeva che la stazione poteva essere non tanto imparziale
quanto CBS, CNN, NPR o Fox News.
La stazione aveva buoni motivi per
sentirsi non accetta perfino nella sua sede negli Stati Uniti, terra di
dieci milioni di pazzi (molti di questi svolgono pubbliche funzioni).
Occupa sei piani in un edificio per uffici nel centro di Washington, DC,
ma il suo nome non compare nelle targhe guida del palazzo.
Ma ora il sistema dei media degli
Stati Uniti tiene in considerazione e fa riferimento ad al Jazeera
English, mostrando i loro notiziari filmati. Molti progressisti,
compreso il sottoscritto, hanno iniziato a guardare la stazione,
preferendola a quelle del sistema dei media statunitensi. In generale,
le notizie sono più di sostanza, gli ospiti sono quasi sempre più o meno
progressisti, e non ci sono annunci pubblicitari. Tuttavia, più guardo
queste trasmissioni e più mi rendo conto che i presentatori e i
corrispondenti dell’emittente non sono necessariamente così permeati da
vedute progressiste, come dovrebbe essere.
Un esempio calzante fra i molti che
avrei potuto citare:
il 12 marzo il corrispondente di al
Jazeera Roger Wilkinson stava informando sul processo a Cuba di Alan
Gross, l’Usamericano arrestato dopo aver distribuito apparecchiature
elettroniche a cittadini cubani.
Gross era entrato a Cuba come turista,
ma in effetti si trovava a Cuba per conto di Development Alternatives
Inc. (DAI), un’impresa privata che collabora con l’Agenzia per lo
Sviluppo Internazionale (AID), una divisione del Dipartimento di Stato.
Gross era quindi un agente segreto sotto copertura di un governo
straniero.
Wilkinson segnalava questa vicenda
molto controversa, con tutto il falso candore e la distorsione del
sistema dei media negli Stati Uniti. Egli menzionava fra le righe, quasi
di soppiatto, che il governo cubano cerca di controllare Internet. Da
questo, cosa si può concludere, se non che i funzionari cubani vogliono
nascondere alcune informazioni ai loro cittadini?
Proprio come il sistema dei media
negli Stati Uniti, Wilkinson non ha fornito alcun esempio di qualche
sito Internet bloccato dal governo di Cuba, per il semplice motivo,
forse, che non esistono siti bloccati. Qual è la terribile verità che i
Cubani potrebbero apprendere se avessero pieno accesso ad Internet?
Ironicamente, è il governo degli Stati
Uniti e le multinazionali statunitensi che contrastano questo accesso ad
Internet, per motivi politici e per una politica dei prezzi dei loro
servizi non alla portata dei mezzi di Cuba. È per questo che Cuba e
Venezuela stanno costruendo la propria connessione via cavo sottomarino.
Wilkinson riferiva sul programma
dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (AID) di “promozione della
democrazia”, ma non accennava al fatto che nel mondo di AID e delle
organizzazioni private in rapporti con essa – incluso il datore di
lavoro di Gross - questo termine è il codice per significare “cambio di
regime”.
AID ha da tempo un ruolo sovversivo
negli affari mondiali. Ecco l’esternazione di John Gilligan, direttore
della AID durante l’amministrazione Carter: “Ad un certo punto, molte
organizzazioni che facevano riferimento alla AID sono state infiltrate
da cima a fondo con personale della CIA. L’idea era quella di inserire
personale operativo in ogni tipo di attività che avevamo all’estero, di
ogni genere, governativo, di volontariato, religioso.” [9]
L’AID non è stata l’unica, ma una
delle molte istituzioni dipendenti dagli Stati Uniti che per più di 50
anni sono state impegnate a sovvertire la rivoluzione cubana. È per
questo che possiamo formulare la seguente equazione: gli Stati Uniti
stanno al governo cubano come al Qaeda sta al governo usamericano. Le
leggi di Cuba, che si occupano di attività tipicamente svolte da
organizzazioni del calibro di AID e DAI, riflettono questa storia. Non
è paranoia, mania di persecuzione! Invece, si tratta di
auto-conservazione. Discutere di un caso come quello di Alan Gross senza
considerare questa equazione, è un grave difetto dell’analisi
giornalistica e politica.
Speriamo che il caso Gross servirà a
moderare la natura degli sforzi degli Stati Uniti in favore della
“promozione della democrazia” a Cuba.
La politica di Washington - e quindi
la politica della Gran Bretagna - nei confronti di Cuba è sempre
derivata principalmente dal desiderio di impedire all’isola di diventare
un buon esempio per il Terzo Mondo di un’alternativa al capitalismo. Ma
i leader occidentali in realtà non capiscono, o non osano capire, quali
sono le motivazioni di persone come i dirigenti cubani e i loro seguaci.
Ecco qui uno dei cablogrammi di
Wikileaks dall’Ambasciata degli Stati Uniti, il 25 marzo 2009 - William
Hague, l’allora deputato conservatore britannico e ministro degli Esteri
ombra, forniva all’Ambasciata usamericana a Londra un rapporto sulla sua
recente visita a Cuba: Hague “affermava che era un poco sorpreso che la
dirigenza cubana non sembrava essere in movimento verso un modello
cinese di una maggiore apertura economica, ma erano ancora piuttosto dei
‘rivoluzionari romantici’.”
Nella sua conversazione con il
ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez, “la discussione si era
orientata su contenuti di ideologia politica, e Hague esprimeva il
concetto che le persone in Gran Bretagna erano più interessate allo
shopping che all’ideologia”. [Mio caro, quale splendida difesa amena del
modo di vita occidentale. Regni la Britannia! Dio benedica l’America!]
Hague poi riferiva che “Rodriguez appariva sprezzante di questo concetto
e ribadiva che uno aveva bisogno di fare shopping solo per comprarsi da
mangiare e qualche libro buono.”
Il Giappone è stato devastato da un
terremoto e dallo tsunami. L’America è stata devastata a causa del
profitto.
Christine Todd Whitman, direttrice e amministratrice dell’Agenzia per la
Protezione Ambientale (EPA) di George W. Bush, parlando di come
l’industria nucleare apprendeva e faceva tesoro da ogni precedente
incidente o disastro nucleare, dichiarava: “È più sicuro che lavorare in
un negozio di alimentari”. La Whitman è ora co-presidente della
Coalizione per l’Energia Pulita e Sicura dell’industria nucleare. [10]
Note
-
killinghope.org/bblum6/panam.htm
-
4
marzo 2011, Democratic Party function, Miami, FL, CQ Transcriptions
-
Los
Angeles Times, 11 marzo 2011
-
Per
questo e per i due esempi precedenti, vedi : "Jim
DeMint's Theory Of Relativity: 'The Bigger Government Gets, The
Smaller God Gets'", Think Progress, 15 marzo 2011 Fox News
Sunday, 9 dicembre 2010
-
Washington Post, 19 settembre 2001
-
Washington Post, 7 marzo 2011
-
UPI
Reporte LatAm, 4 marzo 2011 (per avere il testo inviatemi una email)
George Cotter, "Spies, strings and missionaries", The Christian
Century (Chicago), 25 marzo 1981, p.321
-
"Former
EPA chief: Nuke crisis 'a very good lesson'", Politico, 14 marzo
2011
http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=4483
Libia, rivoluzione telecomandata 25/03/2011
Rivelazioni sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi nella
pianificazione delle rivolte anti-Gheddafi e sulla presenza in Cirenaica
di forze speciali angloamericane fin dalle prime fasi della ribellione,
se non da prima
Se non fosse per l'aspro scontro diplomatico in atto tra Italia e
Francia sulla Libia, difficilmente saremmo venuti a conoscenza degli
imbarazzanti retroscena della 'rivoluzione libica' pubblicati ieri dalla
stampa berlusconiana, che dimostrano come la rivolta popolare contro
Gheddafi sia sta orchestrata da Parigi fin dallo scorso ottobre.
Il quotidiano Libero, citando documenti riservati dell'intelligence
francese (ottenuti dai servizi italiani) e basandosi su notizie
pubblicate dalla newsletter diplomatica Maghreb Confidential, racconta
come l'uomo più fidato del Colonnello, il suo responsabile del
protocollo Nouri Mesmari (nella foto con Gheddafi), lo abbia tradito
rifugiandosi a Parigi lo scorso 21 ottobre.
Lì, nel lussuoso hotel Concorde Lafayette, questo inquietante
personaggio ha ripetutamente incontrato i vertici dei servizi francesi,
fornendo loro informazioni politiche e militari utili per rovesciare il
regime libico e contatti libici fidati per organizzare una rivoluzione.
In base a queste indicazioni, il 18 novembre agenti francesi al seguito
di una missione commerciale a Bengasi hanno incontrato il colonnello
dell'aeronautica Abdallah Gehani, pronto a disertare. Gheddafi scopre
qualcosa e dieci giorni dopo chiede alla Francia di arrestare Mesmari,
ma lui chiede asilo politico e continua a tessere le sue trame.
Il 23 dicembre arrivano a Parigi altri tre libici: Faraj Charrant, Fathi
Boukhris e Ali Ounes Mansouri, ovvero al futura leadership della
rivoluzione libica. Mesmari, sempre sorvegliato/protetto dai servizi
francesi, si incontra con loro in un lussuoso ristorante degli Champs
Elysèe.
Subito dopo Natale arrivano a Bengasi i primi ''aiuti logisitici e
militari'' francesi.
A
gennaio Mesmari, soprannominato dagli 007 francesi 'Wikileak' per tutte
le informazioni che rivela, aiuta Parigi a predisporre i piani della
rivolta assieme al colonnello Gehani. Ma i servizi segreti libici
scoprono le intenzioni di quest'ultimo e lo arrestano il 22 gennaio.
Qui finiscono le rivelazioni di Libero, ma cominciano quelle sull'arrivo
di commando di forze speciali britanniche e statunitensi a Bengasi.
Tra il 2 e il 3 febbraio, secondo ''informazioni raccolte in ambienti
ben informati'' dal blog Corriere della Collera (dell'analista politico
Antonio De Martini, ex responsabile del movimento repubblicano 'Nuova
Repubblica'), uomini delle Sas e delle Delta Force sarebbero giunti in
Cirenaica per inquadrare e addestrare i futuri ribelli.
Il 17 febbraio scoppia la rivolta in Cirenaica.
Secondo fonti di stampa vicine ai servizi segreti israeliani e
pachistani, una settimana dopo, nelle notti del 23 e 24 febbraio,
sbarcano a Bengasi e a Tobruk centinaia di soldati delle forze speciali
britanniche, statunitensi e anche francesi per aiutare i rivoltosi a
sostenere la dura reazione militare del regime di Gheddafi: i gruppi
ribelli vengono organizzati in unità paramilitari e addestrati all'uso
delle armi pesanti catturate dai depositi governativi.
La consistente presenza di forze militari inglesi in Cirenaica fin dalle
prime fasi della rivolta anti-Gheddafi (almeno da fine febbraio) verrà
successivamente confermata dal giornale britannico Sunday Mirror.
I
primi di marzo, secondo il settimanale satirico francese Le Canard
enchainé, i servizi segreti francesi della Dgse hanno fornito ai ribelli
libici un carico di cannoni da 105 millimetri e batterie antiaeree
camuffato come aiuto umanitario e accompagnato da addesratori militari.
I
mesi di pianificazione portata avanti dall'intelligence francese e il
tempestivo, se non preventivo, sostegno militare
anglo-americano-francese sul terreno, gettano nuova luce sulla natura
della 'rivoluzione libica'.
http://it.peacereporter.net/articolo/27597/Libia%2C+rivoluzione+telecomandata
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LA GUERRA CONTRO LA LIBIA,
L’ AGENDA AMERICANA DELLA NATO E LA PROSSIMA GRANDE GUERR
DI PAUL CRAIG ROBERTS
globalresearch.ca
Negli
anni ’30 gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Olanda definirono la linea
d’azione della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico cospirando contro il
Giappone. I tre governi si appropriarono dei conti bancari nei loro paesi che il
Giappone usava per pagare le importazioni e sospesero al Giappone le forniture
di petrolio, gomma, stagno, ferro ed altre materie prime. Pearl Harbor fu la
risposta giapponese?
Ora
Washington ed i suoi burattini della NATO stanno usando la stessa strategia
contro la Cina.
Le
proteste in Tunisia, Egitto, Bahrain e Yemen si sono sollevate dalla gente che
manifestava contro i governi tiranni fantocci di Washington. Tuttavia, le
proteste contro Gheddafi, che non è un burattino dell’Occidente, sembrano essere
state organizzare dalla CIA nella parte orientale della Libia, dove si trova il
petrolio e dove la Cina ha investimenti energetici sostanziali.
Si
ritiene che l’80% delle riserve di petrolio libiche siano situate nel bacino
della Sirte nella Libia orientale, ora controllata dai ribelli sostenuti da
Washington. Dal momento che il 70% del PIL della Libia è prodotto dal petrolio,
una buona ripartizione della Libia lascerebbe impoverito il regime di Gheddafi
con base a Tripoli. (http://www.energyinsights.net)
Il
People’s Daily Online del 23 marzo ha riportato che la Cina ha 50 progetti su
larga scala in Libia. Lo scoppio delle ostilità ha sospeso questi progetti ed ha
provocato l’evacuazione dal paese di 30.000 lavoratori cinesi. Le compagnie
cinesi riportano che si aspettano la perdita di centinaia di milioni di yen.
La
Cina sta facendo affidamento sull’Africa, specialmente sulla Libia, l’Angola e
la Nigeria, per soddisfare i suoi futuri bisogni energetici. In risposta
all’impegno economico cinese con l’Africa, Washington sta impegnando
militarmente il paese con il Commando Africa degli USA (AFRICOM) creato dal
presidente George W. Bush nel 2007. 49 stati africani si sono accordati per
partecipare con Washington all’AFRICOM, ma Gheddafi ha rifiutato, creando così
un secondo motivo per Washington di mirare alla presa di controllo sulla Libia.
Un
terzo motivo per mirare al paese è che la Libia e la Siria sono gli unici due
paesi con accesso al Mediterraneo che non sono sotto il controllo di Washington.
Suggestivamente, le proteste si sono accese anche in Siria. Per qualsiasi cosa
possano pensare i siriani del loro governo, dopo aver visto il destino dell’Iraq
ed ora quello della Libia è improbabile che i siriani si prepareranno per un
intervento militare americano. Sia la CIA che il Mossad sono noti per l’uso di
social network per fomentare le proteste e per diffondere disinformazione.
Questi servizi di intelligence sono i probabili cospiratori che i governi
siriano e libico incolpano per le proteste.
Colto
di sorpresa dalle proteste in Tunisia ed Egitto, il governo di Washington si è
reso conto che le proteste potevano essere usate per rimuovere Gheddafi e Assad.
La scusa umanitaria per l’intervento in Libia non è credibile considerando il
via libera di Washington all’esercito saudita per soffocare le rivolte nel
Bahrain, casa base della Quinta Flotta degli USA.
Se
Washington riuscisse a rovesciare il governo di Assad in Siria, la Russia
perderebbe la sua base navale mediterranea nel porto siriano di Tartus. Quindi,
Washington ha molto da guadagnare se riesce ad usare il mantello della
ribellione popolare per espellere sia la Cina che la Russia dal Mediterraneo. Il
mare nostrum di Roma diventerebbe il mare nostrum di Washington.
“Gheddafi se ne deve andare” ha dichiarato Obama. Quanto passerà prima di poter
sentire anche “Assad se ne deve andare”?
La
stampa americana ammaliatrice sta lavorando al fine di demonizzare sia Gheddafi
che Assad, un oculista tornato in Siria da Londra per guidare il governo dopo la
morte del padre. L’ipocrisia passa inosservata quando Obama chiama Gheddafi e
Assad dittatori. Dall’inizio del 21° secolo, il presidente americano è stato un
Cesare. Sulla base di niente più che un promemoria del Dipartimento di
Giustizia, George W. Bush è stato dichiarato essere al di sopra della legge
ufficiale degli USA, della legge internazionale e del potere del Congresso fin
quando ha giocato il ruolo del comandante in capo nella “guerra al terrore”.
Obama
Cesare ha fatto un passo avanti rispetto a Bush. Ha impegnato gli USA in guerra
contro la Libia senza neanche far finta di chiedere l’autorizzazione del
Congresso. Questa è un reato meritevole di impeachment, ma un Congresso
impotente non è capace di proteggere il suo potere. Accettando le richieste
dell’autorità esecutiva, il Congresso ha acconsentito al Cesarismo. Il popolo
americano non ha più potere sul suo governo di quanto ne abbiano i popoli dei
paesi governati da dittatori.
La
ricerca di Washington dell’egemonia globale sta portando il mondo verso la Terza
Guerra Mondiale. La Cina non è meno orgogliosa del Giappone degli anni ’30 ed è
improbabile che si sottometterà ai maltrattamenti ed al controllo di quello che
la Cina considera come l’Occidente decadente. Il risentimento della Russia per
il suo accerchiamento militare sta crescendo. L’arroganza di Washington potrebbe
portare ad un fatale errore di calcolo.
Paul
Craig Roberts
Fonte:
www.globalresearch.ca
Link:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24146
4.04.201
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALE
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8150&mode=flat&order=0&thold=-1
Trattatto di Amicizia,
Partenariato e Cooperazione fra la Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria
Araba Libica Popolare Socialista
PREAMBOLO
La Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica
Popolare Socialista, qui di seguito denominati “le Parti", consapevoli dei
profondi legami di amicizia tra i rispettivi popoli e del comune patrimonio
storico e culturale;
decise ad operare per il rafforzamento della pace, della
sicurezza e della stabilita, in particolare nella regione del Mediterraneo;
impegnate, rispettivamente, nell'ambito dell'Unione Europea
e dell'Unione Africana nella costruzione di forme di cooperazione ed
integrazione, in grado dì favorire l'affermazione della pace, la crescita
economica e sociale e la tutela dell'ambiente;
ricordando l'importante contributo dell'Italia al fine del
superamento del periodo dell'embargo nei confronti della Grande Giamahiria;
tenendo conto delle importanti iniziative già realizzate
dall'Italia in attuazione delle precedenti intese bilaterali;
esprimendo la reciproca volontà di continuare a collaborare
nella ricerca, con modalità che saranno concordate tra le Parti, riguardante i
cittadini libici allontanati coercitivamente dalla Libia in epoca coloniale;
ritenendo di chiudere definitivamente il doloroso
"capitolo del passato", per il quale l'Italia ha già espresso, nel Comunicato
Congiunto del 1998, il proprio rammarico per le sofferenze arrecate al popolo
libico a seguito della colonizzazione italiana, con la soluzione di tutti i
contenziosi bilaterali e sottolineando la ferma volontà di costruire una nuova
fase delle relazioni bilaterali, basata sul rispetto reciproco, la pari dignità,
la piena collaborazione e su un rapporto pienamente paritario e bilanciato;
esprimendo, pertanto, l'intenzione di fare del presente Trattato il quadro
giuridico di riferimento per sviluppare un rapporto bilaterale "speciale e
privilegiato", caratterizzato da un forte ed ampio partenariato politico,
economico e in tutti i restanti settori della collaborazione;
hanno convenuto quanto segue:
Capo I - PRINCIPI GENERALI
Articolo 1
Rispetto della legalità internazionale - Le Parti, nel
sottolineare la comune visione della centralità delle Nazioni Unite nel sistema
di relazioni internazionali, si impegnano ad adempiere in buona fede agli
obblighi da esse sottoscritti, sia quelli derivanti dai principi e dalle norme
del diritto Internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al
rispetto dell'Ordinamento Internazionale.
Articolo 2
Uguaglianza sovrana - Le Parti rispettano reciprocamente la
loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in
particolare, il diritto alla libertà ed all'indipendenza politica. Esse
rispettano altresì il diritto di ciascuna delle Parti di scegliere e sviluppare
liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale.
Articolo 3
Non ricorso alla minaccia o all'impiego della forza - Le
Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza
contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica dell'altra Parte o a
qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite,
Articolo 4
Non ingerenza negli affari interni
-1) Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza
diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella
giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.
-2) Nel rispetto dei principi della legalità
internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in
qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso
dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia.
Articolo 5
Soluzione pacifica delle controversie - In uno spirito
conforme alle motivazioni che hanno portato alla stipula del presente Trattato
di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, le Parti definiscono in modo pacifico
le controversie che potrebbero insorgere tra di loro, favorendo l'adozione di
soluzioni giuste ed eque, in modo da non pregiudicare la pace e la sicurezza
regionale ed, internazionale.
Articolo 6
Rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali -
Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive
legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
Articolo 7
Dialogo e comprensione tra culture e civiltà - Le Parti
adottano tutte le iniziative che consentano di disporre di uno spazio culturale
comune, ispirandosi ai loro legami storici ed umani. Le iniziative suddette si
ispirano ai principi della tolleranza, della coesistenza e del rispetto
reciproco, della valorizzazione e dell'arricchimento del patrimonio comune
materiale e immateriale nel contesto bilaterale e regionale.
Capo II - CHIUSURA DEL CAPITOLO DEL PASSATO E DEI
CONTENZIOSI
Articolo 8
Progetti infrastrutturali di base
-1) L'Italia, sulla base
delle proposte avanzate dalla Grande Giamahiria e delle successive discussioni
intervenute, si impegna a reperire i fondi finanziari necessari per la
realizzazione di progetti infrastrutturali di base che vengono concordati tra i
due Paesi nei limiti della somma di 5 miliardi di dollari americani, per un
importo annuale di 250 milioni di dollari americani per 20 anni.
-2) Le aziende italiane provvederanno alla realizzazione di
questi progetti previo un comune accordo sul valore dì ciascuno.
-3) La realizzazione di questi progetti avverrà nell'arco
di 20 anni secondo un calendario temporale che verrà concordato tra le due
Parti, libica ed italiana.
-4) I fondi finanziari assegnati vengono gestiti
direttamente, dalla Parte italiana.
-5) La Grande Giamahiria rende disponibili tutti i terreni
necessari per l'esecuzione delle opere senza oneri per la Parte italiana e le
aziende esecutrici.
-6) La Grande Giamahiria agevola la Parte italiana e le
aziende esecutrici, nel reperimento dei materiali accessibili in loco e
nell'espletamento di procedure doganali e di importazione esentandole dal
pagamento di eventuali tasse. I consumi di energia elettrica, gas, acqua e linee
telefoniche saranno pagati con l'esenzione delle tasse.
Articolo 9
Commissione Mista
-1) E' istituita una Commissione Mista paritetica,
costituita da componenti designati dai rispettivi Stati. La Commissione Mista
individua le caratteristiche tecniche dei progetti dì cui al precedente Articolo
e stabilisce l'arco temporale complessivo e le cadenze di realizzazione dei
progetti, nel quadro degli importi di ordine finanziario contenuti nello stesso
articolo.
-2) La Gran Giamahiria si impegna a garantire, sulla base
di specifiche intese a trattativa diretta con società italiane, la realizzazione
in Libia, da parte delle stesse, di importanti opere infrastrutturali, progetti
industriali ed investimenti. I progetti vengono realizzati ai prezzi da
concordare fra le Parti. Queste imprese, secondo le consuetudini esistenti,
contribuiscono in maniera volontaria alle opere sociali ed alla bonifica
ambientale nelle zone ove realizzano i loro progetti.
La Gran Giamahiria si impegna, inoltre, ad abrogare tutti i
provvedimenti e le norme regolamentari che imponevano vincoli o limiti alle sole
imprese italiane.
-3) La Commissione Mista individua, su proposta della Parte
libica, le opere, i progetti e gli investimenti di cui al paragrafo 2, indicando
per ciascuno tempi e modalità di affidamento e di esecuzione.
-4) La conclusione ed il buon andamento di tali intese
rappresentano le premesse per la creazione di un forte partenariato italo-libico
nel settore economico, commerciale, industriale e negli altri settori ai fini
della realizzazione degli obiettivi indicati in uno spirito di leale
collaborazione.
-5) La Commissione Mista ha il compito di verificare
l'andamento degli impegni di cui all'Articolo 8 e al presente Articolo e redige
un processo verbale periodico che faccia stato degli obiettivi raggiunti o da
raggiungere in relazione agli obblighi assunti dalle Parti contraenti.
-6) La Commissione Mista segnala ai competenti Uffici degli
Affari Esteri delle due Parti eventuali inadempienze, proponendo ipotesi
tecniche di soluzione.
Articolo 10
Iniziative Speciali - L'Italia, su specifica richiesta
della Grande Giamahiria, si impegna a realizzare le Iniziative Speciali sotto
riportate a beneficio del popolo libico. Le Parti concordano l'ammontare di
spesa complessivo per la realizzazione di tali iniziative ed affidano ad
appositi Comitati Misti la definizione delle modalità di esecuzione delle stesse
ed il limite di spesa annuale da impegnare per ognuna di esse ad eccezione delle
borse di studio di cui al punto b).
-a) La costruzione in Libia di duecento unità abitative,
con siti e caratteristiche da determinare di comune accordo.
-b) L'assegnazione di borse di studio universitarie e
post-universitarie per l'intero corso di studi a un contingente di cento
studenti libici, da rinnovare al termine del corso di studi a beneficio di altri
studenti. Con uno scambio di lettere si precisa il significato di rinnovare, per
assicurare la continuità.
-c) Un programma di cure, presso Istituti specializzati
italiani, a favore di alcune vittime in Libia dello scoppio di mine, che non
possano essere adeguatamente assistite presso il Centro di Riabilitazione
Ortopedica di Bengasi realizzato con i fondi della Cooperazione italiana,
-d) Il ripristino del pagamento delle pensioni ai titolari
libici e ai loro eredi che, sulla base della vigente nominativa italiana, ne
abbiano diritto,
-e) La restituzione alla Libia di manoscritti e reperti
archeologici trasferiti in Italia da quei territori in, epoca coloniale: il
Comitato Misto di cui all'articolo 16 del presente Trattato individua i reperti
e i manoscritti che saranno, successivamente, oggetto di un atto normativo ad
hoc finalizzato alla loro restituzione.
Articolo 11
Visti ai cittadini italiani espulsi dalla Libia - La Grande
Giamahiria si impegna dalla firma del presente Trattato a concedere senza
limitazioni o restrizioni di sorta ai cittadini italiani espulsi nel passato
dalla Libia i visti di ingresso che gli interessati dovessero richiedere per
motivi di turismo, di visita o lavoro o per altre finalità.
Articolo 12
Fondo sociale
-1) La Grande Giamahiria si impegna a sciogliere l'Azienda
Libico-Italiana (ALI) e a costituire contestualmente il Fondo Sociale,
utilizzando i contributi già versati dalle aziende italiane alla stessa.
-2) L'ammontare del Fondo Sociale sarà utilizzato per le
finalità che sono state previste al punto 4 del Comunicato Congiunto
italo-libico del 4 luglio 1998 per avviare la realizzazione delle Iniziative
Speciali, di cui all'articolo 10 lettere b) e c) del presente Trattato, fino a
concorrenza di tale ammontare. In particolare, potranno essere finanziati
progetti di bonifica dalle mine e valorizzazione delle aree interessate,
programmai di cura in favore di cittadini libici danneggiati dallo scoppio delle
mine, nonché altre iniziative a favore dei giovani libici nel settore della
formazione universitaria e post-universitaria, sino ad esaurimento del credito
del Fondo Sociale. Quindi continuerà il finanziamento dalla Parte italiana, in
attuazione del Trattato.
-3) A tal fine, è istituito un Comitato Misto paritetico
per la gestione dei Fondo Sociale secondo le modalità previste dal Comunicato
Congiunto.
-4) Definite le modalità di gestione dell'ammontare già
costituito del Fondo Sociale e le iniziative da finanziare, le due Parti
considerano definitivamente esaurito il Fondo Sociale.
Articolo 13
Crediti
-1) Per quanto riguarda i crediti vantati dalle aziende
italiane nei confronti di Amministrazioni ed Enti libici, le Parti si impegnano
a raggiungere con uno scambio di lettere una soluzione sulla base del negoziato
nell'ambito del Comitato Crediti.
-2) Con il medesimo scambio di lettere, le Parti si
impegnano a raggiungere una soluzione anche per quanto riguarda gli eventuali
debiti di natura fiscale e/o amministrativa di aziende italiane nei confronti di
Enti libici.
CAPO III - NUOVO PARTENARIATO BILATERALE
Articolo 14
Comitato di Partenariato e consultazioni politiche
-1) Le due Parti imprimono nuovo impulso alle relazioni
bilaterali politiche, economiche, sociali, culturali e scientifiche ed in tutti
gli altri settori, con la valorizzazione dei legami storici e la condivisione
dei comuni obiettivi di solidarietà tra i popoli e di progresso dell'Umanità.
-2) Nel desiderio condiviso di rinsaldare ì legami che le
uniscono, le due Parti decidono la costituzione di un Partenariato all'altezza
del livello di collaborazione e coordinamento cui ambiscono sui temi bilaterali
e regionali e sulle questioni internazionali di reciproco interesse. A tale
scopo, le due Parti decidono quanto segue:
-a) una riunione annuale del Comitato di Partenariato, a
livello del Presidente dei Consiglio dei Ministri e del Segretario del Comitato
Popolare Generale, da tenersi alternativamente in Italia e in Libia;
-b) una riunione annuale del Comitato dei Seguiti, a
livello del Ministro degli Affari Esteri e del Segretario del Comitato Popolare
Generale per il Collegamento Estero e la Cooperazione Internazionale, da tenersi
alternativamente in Italia e in Libia, con il compito di seguire l'attuazione
del Trattato e degli altri Accordi di collaborazione, che presenterà le proprie
relazioni al Comitato di Partenariato. Qualora una delle Parti ritenga che
l'altra Parte abbia contravvenuto ad uno qualsiasi degli impegni previsti dal
presente Trattato, richiederà una riunione straordinaria del Comitato dei
Seguiti, per un esame approfondito e al fine di trovare una Soluzione
soddisfacente.
-c) il Comitato di Partenariato adotta tutti i
provvedimenti necessari all'attuazione degli impegni previsti dal presente
Trattato e le due Parti si adoperano per la realizzazione dei suoi scopi;
-d) lo svolgimento di regolari consultazioni tra altri
rappresentanti delle due Parti.
-3) Il Ministro degli Affari Esteri e il Segretario del
Comitato Popolare Generale per il Collegamento Estero e la Cooperazione
Internazionale, ricevuta la segnalazione di cui all'Articolo 9 comma 6, si
adoperano per definire una soluzione adeguata.
Articolo 15
Cooperazione negli ambiti scientifici - Le due Parti
intensificano la collaborazione nel campo della scienza e della tecnologia e
realizzano programmi di formazione e di specializzazione a livello
post-universitario. Favoriscono a tal fine lo sviluppo di rapporti tra le
università e tra gli Istituti di ricerca e di Formazione dei due Paesi.
Sviluppano ulteriormente la collaborazione nel campo sanitario e in quello della
ricerca medica, promuovendo i rapporti tra enti ed organismi dei due Paesi.
Articolo 16
Cooperazione culturale
-1) Le due Parti approfondiscono i tradizionali vincoli
culturali e di amicizia che legano i due popoli ed incoraggiano í contatti
diretti tra enti ed organismi culturali dei due Paesi. Sono altresì facilitati
gli scambi giovanili e i gemellaggi tra città ed altri enti territoriali dei due
Paesi.
-2) Le due Parti danno ulteriore impulso alla
collaborazione nel settore archeologico. In tale ambito è altresì esaminata, da
un apposito Comitato Misto, la problematica concernente la restituzione alla
Libia di reperti archeologici e manoscritti.
Le due Parti collaborano anche ai fini della eventuale
restituzione alla Libia, da parte di altri Stati, di reperti archeologici
sottratti in epoca coloniale.
-3) Le due Parti agevolano, sulla base della reciprocità,
l'attività rispettivamente dell'Istituto Italiano di Cultura a Tripoli e
dell'Accademia Libica in Italia.
-4) Le due Parti concordano sulla opportunità di rendere le
nuove generazioni sempre più consapevoli delle conseguenze negative generate
dalle aggressioni e dalla violenza e si adoperano per la diffusione dì una
cultura ispirata ai principi della tolleranza e della collaborazione trai
Popoli.
Articolo 17
Collaborazione economica e industriale
-1) Le due Parti promuovono progetti di trasferimento di
tecnologie e di collaborazione industriale, con riferimento anche a iniziative
comuni in Paesi terzi.
-2) Sviluppano la collaborazione nei settori delle opere
infrastrutturali, dell'aviazione civile, delle costruzioni navali, del turismo,
dell'ambiente, dell'agricoltura e della zootecnia, delle biotecnologie, della
pesca e dell'acquacoltura, nonché in altri settori di reciproco interesse,
favorendo in particolare lo sviluppo degli investimenti diretti.
-3) Esse sostengono le PMI e la costituzione di società
miste.
-4) Le due Parti si adoperano per concordare entro breve
una Intesa tecnica in materia di cooperazione economica, scientifica e
tecnologica nel settore della pesca e dell'acquacoltura e favoriscono Intese
analoghe tra altri Enti competenti dei due Paesi.
Articolo 18
Collaborazione energetica
-1) Le due Parti sottolineano l'importanza strategica per
entrambi i Paesi della collaborazione nel settore energetico e si impegnano a
favorire il rafforzamento del partenariato in tale settore.
-2) Attribuiscono particolare rilievo alle energie
rinnovabili ed incoraggiano la cooperazione tra enti ed organismi dei due Paesi,
sia sul piano industriale che su quello della ricerca e della formazione.
Articolo 19
Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità
organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina
-1) Le due Parti intensificano la collaborazione in atto
nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di
stupefacenti e all'immigrazione clandestina, in conformità a quanto previsto
dall'Accordo firmato a Roma il 13/12/2000 e dalle successive intese tecniche,
tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta all'immigrazione
clandestina, i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007.
-2) Sempre in tema di lotta
all'immigrazione clandestina, le due Partì promuovono la realizzazione di un
sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società
italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo
italiano sosterrà il 50% dei costi, mentre per il restante 50% le due Parti
chiederanno all'Unione Europea di farsene carico, tenuto conto delle Intese a
suo tempo intervenute tra la Grande Giamahiria e la 'Commissione Europea.
-3) Le due Parti collaborano alla definizione di
iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno
dell'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori.
Articolo 20
Collaborazione nel settore della Difesa
-1) Le due Parti si impegnano a sviluppare la
collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate, anche
mediante la finalizzazione di specifici Accordi che disciplinino lo scambio di
missioni di esperti, istruttori e tecnici e quello di informazioni militari
nonché l'espletamento, di manovre congiunte.
-2) Si impegnano altresì ad agevolare la realizzazione. di
un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle
industrie militari.
-3) In tale ambito, l'Italia sosterrà nelle sedi
internazionali la richiesta della Libia di indennizzi per i danni subiti da
propri cittadini vittime dello scoppio delle mine e per la riabilitazione dei
territori danneggiati, con tutti gli Stati interessati.
Articolo 21
Collaborazione nel settore della non proliferazione e del
disarmo
Le due Parti si impegnano a proseguire e rinsaldare la
collaborazione nel settore del disarmo e della non proliferazione delle armi di
distruzione di massa e dei relativi vettori e ad adoperarsi per fare della
Regione del Mediterraneo una zona libera da tali armi, nel pieno rispetto degli
obblighi derivami dagli Accordi e Trattati internazionali in materia.
Articolo 22
Collaborazione parlamentare e tra Enti locali - Le due
Parti favoriscono lo sviluppo di rapporti tra il Parlamento italiano ed il
Congresso Generale del Popolo della Grande Giamahiria, nonché tra gli Enti
locali, nella consapevolezza della loro importanza per una più intensa ed
approfondita conoscenza reciproca.
Articolo 23
Disposizioni finali
-1) Il presente Trattato, nel rispetto della legalità
internazionale, costituisce il principale strumento di riferimento per lo
sviluppo delle relazioni bilaterali. Esso è sottoposto a ratifica secondo le
procedure costituzionali previste dall'ordinamento di ciascuna delle Parti ed
entra in vigore al momento dello scambio degli strumenti di ratifica.
-2) Il presente Trattato sostituisce il Comunicato
Congiunto del 4 luglio 1998 e il Processo verbale delle conclusioni operative
del 28 ottobre 2002, che pertanto cessano di produrre effetti.)
-3) A partire dal corrente anno, il giorno del 30 Agosto
viene considerato, in Italia e nella Grande Giamahiria, Giornata dell'Amicizia
italo-libica.
-4) Il presente Trattato può essere modificato previo
accordo delle Parti. Le eventuali modifiche entreranno in vigore alla data di
ricezione della seconda delle due notifiche con le quali le Parti si comunicano
ufficialmente l'avvenuto espletamento delle rispettive procedure interne.
I
volenterosi puntano al fondo sovrano libico di Manlio Dinucci Il
Manifesto del 22/04/2011
L'obiettivo della guerra in Libia
non è solo il petrolio, le cui riserve (stimate in 60 miliardi di barili)
sono le maggiori dell'Africa e i cui costi di estrazione tra i più bassi del
mondo, né il gas naturale le cui riserve sono stimate in circa 1.500
miliardi di metri cubi. Nel mirino dei «volenterosi» dell'operazione
«Protettore unificato» ci sono anche i fondi sovrani, i capitali che lo
stato libico ha investito all'estero.
I fondi sovrani gestiti dalla Libyan Investment Authority (Lia) sono stimati
in circa 70 miliardi di dollari, che salgono a oltre 150 se si includono gli
investimenti esteri della Banca centrale e di altri organismi. Ma potrebbero
essere di più. Anche se sono inferiori a quelli dell'Arabia Saudita o del
Kuwait, i fondi sovrani libici si sono caratterizzati per la loro rapida
crescita. Quando la Lia è stata costituita nel 2006, disponeva di 40
miliardi di dollari. In appena cinque anni, ha effettuato investimenti in
oltre cento società nordafricane, asiatiche, europee, nordamericane e
sudamericane: holding, banche, immobiliari, industrie, compagnie petrolifere
e altre.
In Italia, i principali investimenti libici sono quelli nella UniCredit
Banca (di cui la Lia e la Banca centrale libica possiedono il 7,5%), in
Finmeccanica (2%) ed Eni (1%): questi e altri investimenti (tra cui il 7,5%
dello Juventus Football Club) hanno un significato non tanto economico
(ammontano a circa 4 miliardi di euro) quanto politico.
La Libia, dopo che Washington l'ha cancellata dalla lista di proscrizione
degli «stati canaglia», ha cercato di ricavarsi uno spazio a livello
internazionale puntando sulla «diplomazia dei fondi sovrani». Una volta che
gli Stati uniti e l'Unione europea hanno revocato l'embargo nel 2004 e le
grandi compagnie petrolifere sono tornate nel paese, Tripoli ha potuto
disporre di un surplus commerciale di circa 30 miliardi di dollari annui che
ha destinato in gran parte agli investimenti esteri. La gestione dei fondi
sovrani ha però creato un nuovo meccanismo di potere e corruzione, in mano a
ministri e alti funzionari, che probabilmente è sfuggito in parte al
controllo dello stesso Gheddafi: lo conferma il fatto che, nel 2009, egli ha
proposto che i 30 miliardi di proventi petroliferi andassero «direttamente
al popolo libico». Ciò ha acuito le fratture all'interno del governo libico.
Su queste hanno fatto leva i circoli dominanti statunitensi ed europei che,
prima di attaccare militarmente la Libia per mettere le mani sulla sua
ricchezza energetica, si sono impadroniti dei fondi sovrani libici. Ha
agevolato tale operazione lo stesso rappresentante della Libyan Investment
Authority, Mohamed Layas: come rivela un cablogramma filtrato attraverso WikiLeaks, il 20 gennaio Layas ha informato l'ambasciatore Usa a Tripoli che
la Lia aveva depositato 32 miliardi di dollari in banche statunitensi.
Cinque settimane dopo, il 28 febbraio, il Tesoro Usa li ha «congelati».
Secondo le dichiarazioni ufficiali, è «la più grossa somma di denaro mai
bloccata negli Stati uniti», che Washington tiene «in deposito per il futuro
della Libia». Servirà in realtà per una iniezione di capitali nell'economia
Usa sempre più indebitata. Pochi giorni dopo, l'Unione europea ha
«congelato» circa 45 miliardi di euro di fondi libici.
L'assalto ai fondi sovrani libici avrà un impatto particolarmente forte in
Africa. Qui la Libyan Arab African Investment Company ha effettuato
investimenti in oltre 25 paesi, 22 dei quali nell'Africa subsahariana,
programmando di accrescerli nei prossimi cinque anni soprattuttto nei
settori minerario, manifatturiero, turistico e in quello delle
telecomunicazioni. Gli investimenti libici sono stati decisivi nella
realizzazione del primo satellite di telecomunicazioni della Rascom (Regional
African Satellite Communications Organization) che, entrato in orbita
nell'agosto 2010, permette ai paesi africani di cominciare a rendersi
indipendenti dalle reti satellitari statunitensi ed europee, con un
risparmio annuo di centinaia di milioni di dollari.
Ancora più importanti sono stati gli investimenti libici nella realizzazione
dei tre organismi finanziari varati dall'Unione africana: la Banca africana
di investimento, con sede a Tripoli; il Fondo monetario africano, con sede a
Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria).
Lo sviluppo di tali organismi permetterebbe ai paesi africani di sottrarsi
al controllo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale,
strumenti del dominio neocoloniale, e segnerebbe la fine del franco Cfa, la
moneta che sono costretti a usare 14 paesi, ex-colonie francesi. Il
congelamento dei fondi libici assesta un colpo fortissimo all'intero
progetto. Le armi usate dai «volenterosi» non sono solo quelle
dell'operazione bellica «Protettore unificato».
****
Dino Greco
in Derive & Approdi Liberazione del27-04-11:
"E' noto che la discutibilissima risoluzione che autorizza l'abbattimento
dei caccia di Gheddafi che dovessero sorvolare i cieli della Cirenaica altro
non è che una foglia di fico, lì posta per coprire, come si è subito visto,
un intervento di ben altre dimensioni e che la giustificazione addotta - la
protezione della popolazione civile - si è rivelata una volgare bugia."
Dichiarazione di R R
****
Le contraddizioni di Fabio Amato
note di
Giuseppina Ficarra
1) 23/2/2011 Afferma che
si tratta di la rabbia, soprattutto giovanile
e speranza di libertà
Gli scappa una
affermazione a dir poco insostenibile: “ La
carneficina che le forze armate fedeli al regime del colonnello Gheddafi
stanno perpetrando in Libia ha dei complici politici evidenti: Silvio
Berlusconi e il suo zelante portavoce Ministro degli Esteri Frattini.”
2) 21 Marzo 2011
Dice: “Si tratta,
in realtà, di un precedente ben pericoloso, sul quale giustamente paesi come
la Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di
una riserva. Che si è limitata però ad un'astensione, che
lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e
sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili
per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze “
Amato prende atto
quindi che la guerra ha lo scopo di sostituire
Gheddafi con le fazioni a lui ostili .
Ma non era il popolo che aspira alla democrazia, non era rabbia
giovanile? O esistono queste fazioni armate da altri paesi o non esistono e
si tratta solo di giovani in rivolta e disarmati di cui Gheddafi sta facendo
carneficina.
Il 3/3/2011 dice che
“La Libia sta
sprofondando di in ora in una guerra civile.
Le divisioni fra clan e tribù, quelle geografiche e quelle politiche
interne allo stesso regime sono fra
le cause del conflitto in corso.” Ma non si trattava giovani in rivolta?
=============================================
Nord Africa, nulla
sarà più come prima
di Fabio Amato
23/02/2011
La rivoluzione del nord
Africa travolge la Libia e il suo ultraquarantennale leader Gheddafi. Le
notizie che arrivano dal paese nordafricano, frammentate e dall'unica fonte
che non è stata oggetto della censura del regime, Al Jazeera, parlano di una
carneficina e di una violenza inaudita nella repressione.
L'uso dell'aviazione contro i manifestanti a Tripoli avrebbe prodotto
oltre mille morti. La rivoluzione nordafricana non si ferma, e
travolge anche quello che veniva considerato come uno dei regimi più
stabili, grazie ai dividendi della rendita petrolifera ed energetica, che
hanno reso la Libia uno dei paesi con dati macroeconomici e di reddito fra i
più alti del continente africano e dell'area. Non basta questo dato a
placare la rabbia, soprattutto giovanile,
che ha travalicato la cirenaica e la ribelle Bengasi per arrivare nel cuore
del potere del regime di Gheddafi, Tripoli. La crisi e le riforme
neoliberali comunque applicate anche dalla Libia in questi anni, insieme
alla concentrazione nelle mani del clan vicino al Colonnello di gran parte
delle ricchezze, hanno creato sacche grandi di malcontento e rabbia. Rabbia
unita alle domande e speranza di libertà
dall'oppressiva macchina poliziesca, dalla censura e dalla grottesca idea
della successione dinastica dell'oramai anziano leader che hanno come
protagonisti anche in Libia le giovani generazioni.
Nel suo disperato e
criminale tentativo di mantenere il potere a tutti i costi,
Gheddafi sta giocando le ultime carte della sua storia politica.
Contro il suo popolo e contro ogni senso di umanità. Una carta
disperata e inutile, che non salverà il suo regime e il suo proposito di
continuazione dinastica del potere.
Una carta il cui esito
potrebbe essere quello di far sprofondare il paese in una guerra civile
dagli esiti catastrofici. Già pezzi dell'esercito e della diplomazia
si sono uniti alle proteste e alle rivolte.
Anche se è complesso
prevedere quali saranno le evoluzioni delle rivoluzioni arabe, è bene
ricordare come altri paesi ne siano contagiati, come il Marocco, lo Yemen,
il Barhein, crediamo che se anche le transizioni saranno gestite dalle forze
armate, e che nel breve periodo esse garantiranno una continuità perlomeno
formale nella collocazione geopolitica dei paesi del sud del mediterraneo, i
movimenti sociali che sono esplosi avranno conseguenze durature, apriranno
scenari di cambiamento impensabili fino a poco tempo fa. Tutto il quadro
mediorientale ne uscirà ridisegnato. Le ipocrisie e la politica dei due pesi
e delle due misure applicata dall'imperialismo e dall'occidente in questi
anni avranno vita breve. Lo abbiamo già scritto a proposito di Tunisia ed
Egitto, lo ribadiamo oggi. Nulla potrà tornare come prima. Il risveglio
delle masse arabe rappresenta una tappa storica, paragonabile, come ha
scritto Valli su Repubblica, a quello che accadde nel 1848 in Europa.
Un'Europa, quella
attuale, le cui responsabilità sono grandi nell'aver in questi anni fatto
fallire l'ipotesi euro mediterranea, nell'essere stata semplice spettatrice
o esecutrice dei voleri di Washington, e nell'aver limitato la sua azione
politica a garantirsi liberalizzazioni dei mercati e risorse energetiche,
mantenendo al potere, con la scusa della minaccia islamica, regimi
indifendibili, che hanno represso, vale la pena ricordarlo, anche tutte le
forze progressiste, democratiche e fra queste quelle comuniste, di quei
paesi. Ora si trova del tutto impreparata difronte alle conseguenze che i
cambiamenti in corso porteranno.
Occorre però soffermarsi
su quello che l'Italia ha fatto e detto in questi giorni. La
carneficina che le forze armate fedeli al regime del colonnello Gheddafi
stanno perpetrando in Libia ha dei complici politici evidenti: Silvio
Berlusconi e il suo zelante portavoce Ministro degli Esteri Frattini. Le
loro tardive condanne servono oramai a ben poco. Il loro silenzio prima, le
allucinanti e vergognose dichiarazioni di sostegno durante l'esplosione
della rivolta e della sanguinosa repressione, rimarranno tra le pagine più
vergognose della triste storia del berlusconismo e dei suoi ultimi
giorni a cui assistiamo. Berlusconi non disturba Gheddafi mentre massacra il
suo popolo, perché teme che quello che travolge oggi i suoi amici del sud
del Mediterraneo, possa molto presto travolgere anche lui e porre fine alla
sua squallida stagione politica.
in data:23/02/2011
http://www.liberazione.it/rubrica-file/Nord-Africa--nulla-sar--pi--come-prima---LIBERAZIONE-IT.htm
LA
SCELLERATA RISOLUZIONE ONU CHE PORTA ALLA GUERRA Fabio
Amato
21
Marzo 2011 16:29
Il
Consiglio di sicurezza dell'Onu si è pronunciato a favore dell'istituzione
della No fly zone sulla Libia e dell'autorizzazione all'uso di non meglio
precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri
termini, ha autorizzato la guerra.
Il pallido e fino ad
oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell'Onu solo in virtù
dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato
fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio
della protezione internazionale della popolazione civile.
Un principio che vale
a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i
cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan.
Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell'aviazione
israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili
innocenti.
Si tratta, in
realtà, di un precedente ben pericoloso, sul quale giustamente paesi come la
Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di una
riserva. Che si è limitata però ad un'astensione,
che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare
Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui
ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze.
Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani
libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c'entrano nulla con la
decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama,
di attivare l'intervento militare.
Chi sarà in futuro a
decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo
e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno
con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla
bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
Chi stabilisce, infatti,
che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all'Arabia Saudita
di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Bahrein, mentre si
lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh,
sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le
dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar,
anch'essa impegnata nel reprimere le proteste del Bahrein con il suo
esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la
democrazia in Libia.
Tutto ciò dimostra solo
come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per
interessi geopolitici.
Qual è infatti la
razionalità politica di tale scelta? Semplice.
Come sempre, ciò che
muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e
motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la
risposta.
Per ciò che riguarda la
Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del
petrolio, quella dell'uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle
che vende per il mondo.
Il cessate il fuoco
unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare
di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco.
Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l'attacco,
ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla
sciagurata risoluzione 1973.
L'Onu, che dovrebbe
prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione
che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione
quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente,
non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi
all'impresa. In buona compagnia del Pd - già d'altronde in prima fila nelle
guerre umanitarie del passato - che condivide apertamente tale scelta.
Mentre la situazione in
Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell'America latina
hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di
soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e
l'intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata.
Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti
fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per
fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. Serve
scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l'Italia
rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.
E' il
tempo della politica, non delle bombe
Liberazione 3/3/2011
Fabio Amato
La Libia sta
sprofondando di in ora in una guerra civile.
Le divisioni fra clan e tribù, quelle geografiche e quelle politiche
interne allo stesso regime sono fra
le cause del conflitto in corso. Divisioni che evidenziano tanto il
fallimento del regime e del suo tentativo di costruzione di uno stato
nazione, quanto il suo collasso secondo quelle che erano e restano le
prevalenti strutture sociali che regolano la società libica, ovvero quelle
di appartenenza tribale e di clan. Le ultime notizie che arrivano dal Paese,
oltre a raccontare l'esodo dei profughi egiziani e tunisini, parlano di un
Gheddafi che ostenta sicurezza, sfida i suoi oppositori interni ed
internazionali e sferra una controffensiva con le forze a lui leali per
riconquistare città in mano ai ribelli. Dato troppo presto per spacciato,
anche grazie ad un fuoco di fila mediatico che ha avallato delle vere e
proprie fanfaluche, quali quelle di una Tripoli prossima a cadere nelle mani
degli insorti, il raìs ostenta sicurezza e minaccia, accusa, come il
Ministro Maroni, Al Qaeda e le potenze occidentali ed estere di essere
dietro la rivolta. Si tratterebbe di un caso alquanto curioso di convergenze
parallele. Mentre l'assemblea delle Nazioni
Unite e il suo consiglio di sicurezza prendono posizioni di condanna
dell'azione repressiva del regime, le potenze imperialiste si
dividono sul da farsi. Ma quello che finora è emerso è una preoccupante e
netta propensione a voler intervenire militarmente nella contesa.
Un'avventura militarmente e politicamente folle, che malgrado sembri
allontanarsi per la sua problematicità, solletica diversi , dai mai domi
neocons statunitensi fino al Primo ministro britannico, forse ansioso di
rimettere le mani sul petrolio libico. E' questo che preoccupa più di ogni
altra cosa le cancellerie di mezzo mondo. Chi controllerà il petrolio e il
gas di quel paese. E questo spiega anche il perché di tanta attenzione e
solerzia nel prepararsi anche all'opzione militare.
Il Governo Italiano,
senza colpo ferire, è passato nel giro di pochi giorni dal tacito sostegno a
Gheddafi a megafono delle potenze angloamericane. Una inversione di rotta
che dimostra l'assenza di una strategia politica, l'assoluta inadeguatezza
politica e di autorevolezza per poter tentare di giocare un ruolo nella
crisi libica. L'unica preoccupazione della squalificata compagine di governo
italiana è oggi quella di assecondare le paure dell'esodo dei profughi e di
utilizzare a fini interni l'emergenza umanitaria.
La rivolta contro
Gheddafi e il suo regime personal-clanistico, pur nella sua particolarità, è
anch'essa frutto delle sommosse e delle rivoluzioni che coinvolgono tutta
l'area sud del mediterraneo e i paesi del medio oriente e del golfo persico.
Le sue ragioni sono sacrosante.
ONORE AL VERO: IMPORTANTE AMMISSIONE DI FABIO
AMATO
Fabio Amato riconosce (dopo
avere detto altro) che
qualcuno ha fabbricato "mostri alla bisogna" che
aiutassero ad addolcire l'amaro boccone alle opinioni pubbliche occidentali,
Ma ciò non ha indotto
il segretario Ferrero a fare un passo indietro rispetto alle
dichiarazioni all'inizio
(e anche
dopo: cerca Ferrero in questa pagina)
(http://www.youtube.com/watch?v=Ux7-5BXTUO4)
in cui a proposito della Libia parlava del MASSACRO DI UN DITTATORE
CHE HA DICHIARATO GUERRA AL SUO POPOLO.
La guerra (in)utile - Fabio Amato
Liberazione – 23.6.11
Un
decennio di guerre umanitarie, democratiche, libertarie, preventive: tutta
retorica.
La guerra (in)utile - Fabio Amato
Il titolo
non inganni. Siamo sempre e ostinatamente contrari alla guerra. Quella alla
Libia come quella in Afghanistan. Ma visto che in questi anni l'imperialismo
e le agenzie informative al suo servizio, quelle che fabbricano mostri
alla bisogna (sia ben inteso, riconoscere il ruolo di queste agenzie
nella campagna mediatica per giustificare le guerre non significa fare dei
loro obiettivi dei santi) si sono ben esercitate nell'affiancare aggettivi
che aiutassero ad addolcire l'amaro boccone alle
opinioni pubbliche occidentali, ne proponiamo uno noi: la
guerra "utile". Utile per i pescecani che si azzanneranno per spartirsi le
ricchezze della Libia; utile per i signori della guerra che in Afghanistan
hanno fatto fortune sulla pelle dei civili vittime dei bombardamenti Nato o
degli attentati; utile all'industria militare statunitense e mondiale, con i
profitti che salgono e le commesse in armamenti che crescono in tutto il
mondo. In Afghanistan, fino ad oggi, gli Stati Uniti hanno speso oltre 190
miliardi di dollari. E i costi aumentano. L'Italia, che con il governo
Berlusconi ha aumentato la sua presenza, circa 700 milioni di euro all'anno.
Utile per i narcotrafficanti di tutto il globo e per chi ne amministra le
finanze. Utile a pochi quindi, disastrosa per molti. Per le popolazioni
civili, che rimarranno per anni contaminate dall'uranio impoverito delle
bombe. Per quei paesi che non vedranno mai la ricostruzione, ma la
spoliazione delle loro risorse e la distruzione delle loro società. Sulla
Libia siamo stati fra i pochi che sin dall'inizio si sono opposti senza
esitazione a qualsiasi intervento armato, denunciando tutta la strumentalità
dell'ipocrita e illegittima risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza
dell'Onu con la quale Francia, Usa, Gb e Italia al seguito, hanno potuto
dare inizio ai bombardamenti su Tripoli. Lo scrivemmo allora, ed oggi tutto
ciò è di una evidenza cristallina. La guerra in Libia non ha nulla a che
fare con i diritti umani o la protezione dei civili. La guerra in Libia è
un'operazione neocoloniale finalizzata alla rapina delle risorse
energetiche, finanziarie e naturali di quel paese. Tutti i tentativi che in
questi mesi sono stati tentati di evitare o di porre fine alla guerra civile
e di produrre un'ipotesi di uscita negoziale dallo stallo militare di cui
sono vittime in primis i civili, sono stati boicottati o ignorati. Ultimo in
ordine di tempo quello dell'Unione africana attraverso il Presidente
Sudafricano Zuma. La vicenda afgana è altrettanto evidente. Quando 10 anni
fa ci opponevano all'intervento armato e alla guerra, sostenuta allora
sull'onda emotiva della tragedia dell'11 Settembre, venivamo accusati, noi e
il movimento pacifista, di voler lasciare l'Afghanistan ai talebani, se non
addirittura, i più facinorosi fra i guerrafondai, arrivavano ad accusarci di
essere sostenitori del terrorismo. Bin Laden, che doveva essere preso in
quel paese, come sappiamo, invece che in Afghanistan è stato ucciso in
Pakistan, decennale alleato dell'imperialismo Usa. Pochi giorni fa inoltre è
stato rivelato dall'ex capo della Cia e Ministro della difesa di Bush anche
di Obama, Robert Gates, che gli Stati Uniti hanno iniziato colloqui con i
Talebani. Ovvero si torna al punto di partenza. E come si spiegano allora
dieci anni di guerra? Le migliaia di vittime? E i diritti delle donne?
Quelli valgono solo quando servono. In Arabia saudita, il regime più retrivo
e reazionario del mondo, un sistema feudale e barbaro, le donne non possono
neanche guidare. Ma per gli Stati Uniti sono, insieme ad Israele, l'alleato
chiave nella regione. E quindi lì non esistono diritti umani da far valere,
ne democrazie da esportare. Lo stesso valeva d'altronde per i talebani
stessi, creatura inventata e foraggiata dagli Usa negli anni 80 e 90,
riconosciuta e sostenuta nei primi anni al potere, e poi, quando questa si è
rivolta contro, sono diventati il nemico perfetto, con cui di nuovo ora
trattare. Tra vecchi amici un accordo alla fine crediamo si troverà. Tutta
la retorica al servizio di un decennio di guerre umanitarie, democratiche,
libertarie, preventive, alcune continuate ed altre addirittura iniziate da
improbabili premi Nobel per la pace, si disvela per quella che è. Propaganda
al servizio degli interessi economici e politici delle potenze imperialiste.
Per questo crediamo che sia venuto il tempo per tutti di fare i conti con la
realtà. Lo è soprattutto per chi in nome della fedeltà atlantica ha
sostenuto il coinvolgimento italiano in queste guerre. Sbagliate tanto
quanto quella all'Iraq. Chiediamo a tutte le forze della Sinistra di dirlo
insieme. Ritiriamo le truppe dall'Afghanistan. Fermiamo la guerra alla
Libia. Impegniamoci affinché l'Italia non sia più la portaerei della Nato
nel Mediterraneo, evitando in futuro di partecipare a nuove e sciagurate
guerre, per quanto umanitarie, democratiche, o non so in quale altro modo
verranno presentate. Se non ora, quando?
Liberazione – 23.6.11
a
proposito di Fabio Amato vedi anche (*)
-------------
Rifondazione e
la guerra in Libia
LIBIA: FERRERO,
PARTECIPEREMO A MANIFESTAZIONE ROMA
http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=12084&catid=39&Itemid=68
21/02/2011 15:27 | POLITICA - INTERNAZIONALE
Voglio
esprimere la piena solidarietà al popolo libico in rivolta per la
democrazia e la libertà. Con questo spirito stiamo partecipando alla
manifestazione indetta per oggi alle 12 davanti all’ambasciata libica da
esponenti della comunità libica in Italia e tutt’ora in corso. E’ una
vergogna che il governo italiano non faccia nessuno pressione al fine di
fermare la repressione in Libia. Evidentemente gli affari con Gheddafi di
Berlusconi sono stati migliori del previsto
www.youtube.com
Paolo Ferrero:
VOGLIAMO DENUNCIARE LA SITUAZIONE CHE C'È IN LIBIA, SITUAZIONE
INACCETTABILE CON UN MASSACRO DI UN DITTATORE CHE STA MASSACRANDO IL SUO
POPOLO, CHE HA DICHIARATO GUERRA AL SUO POPOLO
E VOGLIAMO DENUNCIARE LA
CONNIVENZA DEL GOVERNO ITALIANO CHE PER GIORNI E GIORNI È STATO AD
ASPETTARE SE PER CASO GHEDDAFI CE LA FACEVA A CHIUDERE TUTTO CON UN PO' DI SANGUE SENZA DIRE NULLA
Pietro Ancona
Libia febbraio 2011 Un feroce colpo di Stato organizzato minuziosamente
dalla Cia e dal Mossad per restaurare in Libia la Monarchia di Re
Idrissi con rivoltosi armati fino ai denti viene spacciato per pacifica
dimostrazione di inermi cittadi...ni contro il tiranno Gheddafi. Se
Gheddafi resiste in tripolitania,organizzeranno
due stati come hanno fatto in tutto il mondo in Sud Sudan, in Vietnam,
in Corea, in Yemen, etc..... Il megafono è fornito dei plurimiliardari
dell'Arabia Saudita con la televisione che diffonde menzogne AlJazeera...23
febbraio alle ore 20.15
Paolo Ferrero
La Libia è in Nord Africa e in nord africa sta succedendo qualcosa in
termini di ribellione di massa. Cos'è, la CIA o il Mossad dappertutto o
solo in LIBIA? Come direbbe Totò, ma mi faccia il piacere!
http://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=201697483190465&id=88466229193
http://www.facebook.com/?&sk=inbox&action=read&tid=zAbagfFT6d5V9PK3vOsdlg&mid=4989775G5be06a4dG28aaa22G0&bcode=N3xiysMt&n_m=giuseppina.ficarra%40tin.it#!/permalink.php?story_fbid=201697483190465&id=88466229193
http://vodpod.com/watch/5646000-paolo-ferrero-sulla-libia
Ferrero
chiede che il governo italiano si faccia sentire seriamente contro il
governo libico, mentre fino adesso gli ha retto il bordone e poi che
l'Italia e l'Europa decida immediatamente di intervenire e proponga un
piano di cooperazione economica con i paesi del Nord africa etc.
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FERRERO:
CONTRO OGNI
GUERRA UMANITARIA IN LIBIA - 25.02.11 - 25.02.11 (ma continua a parlare
di massacri......)
http://www.youtube.com/watch?v=wnOroiRdqKY
In queste ore in Libia stanno continuando i
massacri, noi speriamo che finiscano il prima possibile, che Gheddafi se
ne vada, che il popolo libico possa decidere del suo futuro.......
Noi siamo contro Gheddafi, perchè il popolo libico
possa decidere del proprio futuro; siamo totalmente contrari
a qualsiasi idea che dalla caduta di Gheddafi possa derivare un
intervento militare....... che ricostituisca un protettorato...
commento di
Giuseppina Ficarra:
"che Gheddafi se ne vada, che il popolo libico possa decidere del suo
futuro"
sono gli obiettivi dichiarati
della guerra di Obama e company
su fb: marzo 2011
La repressione che le truppe del
Colonnello Gheddafi stanno praticando in Libia contro la parte del
popolo libico che è insorto è inaccettabile e tipica di un regime
reazionario.
Abbiamo giustamente protestato contro l'ipotesi di
interventi militari occidentali in Libia e proposto la trattativa ma
protestiamo parimenti contro questa inaccettabile repressione.
Non è
repressione ma difesa della Libia come Allende difese il Cile dai
generali felloni venduti a Kissinger. Il grande Gheddafi che in 42
anni ha reso prospero il suo popolo e dato da mangiare a tre milioni
di immigrati si sta difendendo valorosamente da un gruppo di
facinorosi addestrati dal Pentagono e dal Mossad sostenuti da
migliaia di contractors infiltrati a bengasi attraverso l'Egitto.
Viva la gloriosa lotta del popolo libico che a differenza di quello
irakeno forse non soccomberà all'artiglio sanguinario della Mafia
delle multinazionali e degli USA scrocconi delle risorse dei popoli
del mondo.
E' stupefacente che i comunisti italiani non spendano una parola per
i giovani del Bahrain aggrediti dalle forze armate saudite e degli
emirati arabi accorsi per difendere i miliardari che affamano il
paese....
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Paolo Ferrero e
la NATO
( Segretario del PRC ha dichiarato) :
E' una vergogna senza precedenti quella che sta accadendo in Libia
dove i caccia della Nato stanno ancora bombardando città dove c'è la
popolazione civile. Questa guerra, inaugurata sotto le insegne
dell'intervento a difesa dei civili si è trasformata nel suo
opposto, con gli aerei della NATO che bombardano ancora al di fuori
di ogni mandato e con il rischio concreto di un bagno di sangue
nelle città di Sirte e Bani Walid. Ancora più grave ed il silenzio
assordante dell'Onu che dovrebbe invece intervenire chiedendo una
tregua, della politica italiana ed europea, e dei grandi media. Dove
sono finiti oggi i sponsor della guerra intrapresa per difendere i
civili dai massacri?
-- Ufficio stampa Prc-SE
Libia,
sui massacri silenzio bipartisan
- Paolo Ferrero
La Libia è lo specchio del degrado delle classi dirigenti a livello
mondiale. L'Onu qualche mese fa ha benedetto la guerra dando il via libera
ai bombardamenti contro Gheddafi. Lo ha fatto violando la sua carta
costitutiva, che la obbligava ad aprire una trattativa tra le parti.
Contravvenendo ai suoi scopi e ai suoi principi l'Onu ha accettato il fatto
compiuto della guerra ovviamente in nome di scopi umanitari: fermare i
massacri. Adesso che la guerra è stata vinta dalla parte appoggiata dai
bombardieri, cosa fa l'Onu? Nulla. In Libia sono in corso vendette e man
mano che il conflitto procede cambia il suo scopo. Adesso veniamo a sapere
che il problema è uccidere Gheddafi e che per ottenere questo obiettivo il
conflitto può proseguire e con esso la distruzione e gli ammazzamenti. Cosa
ha da dire su questo l'Onu? Nulla. E le nazioni occidentali che hanno
bombardato, cosa fanno? I più furbi e scaltri, come la Francia, hanno
organizzato una Conferenza che dietro le belle dichiarazioni di principio è
finalizzata unicamente alla spartizione del bottino di guerra. Al padrone di
casa andrà la fetta più grande delle forniture petrolifere: gli altri sono
in fila per prendere o difendere.
E' il caso del governo italiano che, confermando il detto "Francia o Spagna
purché se magna", dopo l'ennesima giravolta sta cercando di mantenere con i
nuovi padroni i contratti che aveva con i vecchi. Ovviamente chi è
interessato a fare buoni accordi per lo sfruttamento dei giacimenti
petroliferi o di gas naturali non può certo mettersi a fare le pulci se
viene compiuta qualche strage di troppo o se la guerra assume un profilo
diverso da quella con cui era cominciata. C'è un che di disgustoso in questa
distanza tra le roboanti dichiarazioni umanitarie che hanno giustificato
l'intervento militare e il totale disinteresse concreto per la vita delle
persone che viene dimostrato oggi. Vite umane in cambio di petrolio, questo
è il mercanteggiamento in corso oggi a Parigi. Per quanto riguarda l'Italia
le responsabilità di questa situazione non riguardano solo il governo.
Coinvolgono l'opposizione parlamentare - Pd in primis - e coinvolgono il
Presidente della Repubblica. Che cosa ha da dire oggi Giorgio Napolitano di
fronte ai massacri in corso in Libia e alla palese assenza di una soluzione
politica che la nostra carta Costituzionale fissa come il punto fondante dei
rapporti internazionali? Nulla.
Il silenzio bipartisan sulla questione umanitaria si sostanzia della
condiscendenza bipartisan dei mass media: i morti non fanno più scandalo,
non fanno più inorridire il civilissimo occidente, sono derubricati a dato
sociologico, insito nella fisiologia del conflitto. Come il neoliberismo
anche i morti diventano un fenomeno naturale, che "non merita due parole su
un giornale". Questa situazione è destinata ad aggravarsi decisamente: il
Cnt ha fatto un ultimatum e tra una settimana comincerà a bombardare la
città di Sirte. La città è piena di civili e questo vuol dire che ci sarà un
altro massacro. Il Cnt inoltre ha affermato che non vuole osservatori
internazionali nemmeno disarmati perché in Libia non sarebbe in corso una
guerra civile ma semplicemente un processo di liberazione dal tiranno.
L'azione del Cnt in Libia è destinata quindi a
produrre un massacro di dimensioni ben maggiori di quello che ha originato
il conflitto. Nessuno potrà dire che non sapeva. Né l'Onu, né il
governo, né il Presidente della Repubblica, né il Pd. Siamo ancora in tempo
a fermare questo massacro ma per questo servono gesti chiari e decisi. Noi
eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa oggi.
Pensiamo che la costruzione di una Libia
democratica - senza il dittatore Gheddafi e le sue camarille e senza
diventare un protettorato dei bombardatori - sia l'unico obiettivo
legittimo. Per questo chiediamo una cosa sola: la cessazione immediata dei
bombardamenti e l'apertura di una trattativa per porre immediatamente fine
al conflitto. E chiediamo al governo italiano e al Presidente della
Repubblica di porre fine unilateralmente alle azioni militari e di imporre
una trattativa.
Liberazione – 2.9.11
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877
vedi commento
del compagno Gaspare Sciortino su questo articolo:
"La
sinistra (eclettica plurale) dopo lunga agonia, è definitivamente morta
a Tripoli"
Gaspare Sciortino in
L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed
europea all'imperialismo nota
pubblicata su fb il 3
settembre 2011 che è un commento
all'articolo del segretario di Rifondazione
Comunista su Liberazione il 2 settembre
_____________________________
Su
Liberazione dell' 8-4-2011
nell’articolo
«La
primavera araba andrà avanti malgrado quello che succede in Libia»
Guido Caldiron
intervista Tahar Ben Jelloun
- In questo contesto in Libia si è sviluppato l'intervento
internazionale che è stato presentato come un appoggio alla rivolta e un
tentativo di fermare Gheddafi. In molti credono però che nessuna azione
armata possa servire davvero a fermare una guerra e a costruire la pace.
Cosa ne pensa?
-Se devo essere sincero credo che in realtà l'intervento sia stato
tardivo, nel senso che le armate di Gheddafi dovevano essere fermate
prima che spargessero tanto sangue. In ogni caso, a mio giudizio, questo
intervento
era assolutamente necessario
perché credo
che se si fosse lasciato Gheddafi libero di fare ciò che voleva avremmo
assistito a vere e proprie stragi.. (………) l'intervento "umanitario" è
stato del tutto improvvisato e accompagnato da molti errori dell'Europa:
penso però sia lo stesso servito a salvare molte vite umane.
________________
Libia
caccia ai migranti, impiccagioni ed esecuzioni sommarie
J’accuse di Amnesty ai ribelli:
«Sono criminali di guerra»
Ieri Hillary Clinton denunciava gli «stupri usati da Gheddafi come arma
di guerra». Ma l’ong smentisce:
«Non c’è nessuna prova o testimonianza»
Daniele Zaccaria
«I diplomatici di Bengazi continuano a pensare
che le forze fedeli a Gheddafi siano formate da mostri, mentre considerano i
ribelli del Cnt delle persone magnifiche, ma le cose non stanno esattamente
così». Il report di Donatella Rovera, “inviata” di Amnesty International in
Cirenaica per tre mesi, ci racconta un conflitto molto diverso da quello
descritto da gran parte dei media occidentali. Un conflitto in cui la
propaganda incrociata avvolge i fatti in una cortina di falsità in cui
delitti e repressioni sono prerogativa naturale di entrambi gli
schieramenti. E’ proprio su questi fatti che si infrange la vacua retorica
dell’Onu e la rappresentazione manichea con cui viene quotidianamente
raccontata la guerra libica. D’altra parte per giustificare la missione
della Nato bisognava convincere l’opinione pubblica internazionale che nel
Mediterraneo sta andando in scena l’ennesimo capitolo dell’eterna lotta tra
il bene il male. Va da sé che le avanzate del deserto delle truppe
lealiste, l’assedio di Misurata, la battaglia di Ajdabiya hanno dato luogo a
autentici massacri di civili: «le forze di Tripoli hanno sparato più volte e
in modo indiscriminato sui civili inermi, hanno bombardato diverse città
dell’est, estorcendo confessioni con la forza e realizzando esecuzioni
sommarie», spiega Rovera, la quale denuncia anche l’impiego di bombe a
frammentazione e di mine antiuomo, armi bandite da tutte le convenzioni
internazionali. Ma il numero delle vittime non corrisponde ai catastrofici
bilanci annunciati nelle prime settimane: «A Bengazi si è parlato
inizialmente di duemila morti in realtà ne abbiamo recensiti tra 100 e 110,
la stessa proporzione si può applicare anche ad altre città». Persino le
terribili accuse rilanciate ieri dalla segretaria di Stato Hillary Clinton,
che parla di «stupri usati da Gheddafi come arma di guerra» non trovano
riscontro nel report di Amnesty. «Se ne è parlato molto, ma finora non
abbiamo raccolto alcuna prova o testimonianza diretta di questi stupri».
Peccato che i giornali on line di mezzo mondo riportavano a titoli cubitali
e con dovizia di particolari le parole di Clinton, ignorando o quasi il
rapporto dell’organizzazione umanitaria. Specularmente, in pochi hanno
illuminato le numerose zone d’ombra in cui agiscono le milizie del Cnt. In
special modo la condizione di terrore in cui vivono le decine di migliaia di
migranti subsahariani, assimilati sempre più spesso ai mercenari
filo-lealisti. «Gli immigrati centroafricani stanno subendo attacchi atroci
e inammissibili e le autorità politiche del Cnt hanno la grave responsabilità di aver
creato nella popolazione la psicosi mercenari. Molti di essi sono stati
linciati senza alcun motivo, altri sono stati impiccati nelle piazze
pubbliche, altri ancora ritrovati cadaveri ai bordi delle strade con le mani
legate e una pallottola nel cranio», continua Donatella Rovera descrivendo i
dettagli di questa assurda caccia alle streghe che si sta abbattendo sui
lavoratori subsahariani. Oltre alle purghe contro i migranti ci sono diversi
crimini di guerra commessi contro i soldati di Gheddafi catturati in
battaglia, prigionieri che in teoria avrebbero dovuto essere arrestati, ma
che in più di un’occasione hanno subito esecuzioni sommarie: «Abbiamo
recensito decine di casi del genere anche se il Cnt condanna formalmente
queste pratiche a causa della cattiva pubblicità ora deve assumersi le
proprie responsabilità ed intervenire». L’ultimo passaggio del report è un
appello alle potenze occidentali: «Americani ed europei hanno deciso di
sostenere i ribelli del Cnt e di entrare in guerra, è giunto il momento di
esercitare la loro influenza per far cessare questi crimini».
Liberazione 18 giugno 2011 pag.7
http://lettura-giornale.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=18/06/2011
___________________________
(*) Giuseppina - Fabio Amato
Profilo
di Fabio Amato ·
Bacheca di Giuseppina ,.-
-
Caro
Fabio, ricordo vagamente che c'è stato qualche
compagno di RC che ha riconosciuto che la
rivolta in Libia era cosa ben diversa dalla
"Primavera araba" di Egitto e Tunisia. Sto
cercando, senza successo, un articolo di
Liberazione dove se ne parli, mi puoi aiutare
tu?
Grazie.
Scrive Ramon nell'articolo citato: in Libia non c’è stata, come in
Tunisia e in Egitto, una rivolta popolare spontanea provocata dalla
crisi bensì un’insurrezione a base territoriale (quanto ispirata e fomentata
da potenze straniere e da un parte dello stesso regime libico si vedrà
presto) guidata dall’ex ministro della giustizia di Gheddafi e da un tale
Mahmud Jibril.
ANPI Libia: un intervento nei limiti Onu
“L’ANPI, in relazione agli eventi tragici che in questo momento
stanno
colpendo la Libia e alle iniziative militari in corso, rifiuta
il ricorso alla guerra in ogni forma, quale modalità di
soluzione delle controversie internazionali”.
La posizione dell’Associazione partigiani è stata ribadita dal
presidente nazionale Raimondo Ricci in una dichiarazione in cui
si sottolinea tuttavia che “in considerazione della risoluzione
adottata dall’ONU che ha giustificato l’intervento militare
limitato esclusivamente alla difesa delle popolazioni in
rivolta contro un potere assoluto e dittatoriale che le sta
massacrando, sia da condividere il suddetto intervento
nei limiti e con le finalità espressamente e specificamente
approvate dal Consiglio di sicurezza dell’ONU”.
“L’ANPI - ha inoltre aggiunto Raimondo Ricci - invita i governi
dei Paesi che hanno posto a disposizione le proprie forze
militari, ad attuare gli interventi nel più rigoroso rispetto
della risoluzione ONU e con la precipua e fondamentale
attenzione alla tutela della vita e della integrità delle
popolazioni nella speranza che le ragioni del buon senso e
dell’equilibrio consentano al più presto di convenire tutte le
parti al tavolo delle trattative”.
L'insostenibile adesione della sinistra italiana ed europea all'imperialismo.
pubblicata da Gaspare Sciortino il giorno Sabato 3 settembre 2011 alle ore 11.43
·
“Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa
oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal
dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei
bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Prendiamo atto che non è così per
coloro che hanno fatto l’ennesima guerra umanitaria e la distanza da loro non è
solo politica ma anche morale”. Le precedenti parole sono del segretario di
Rifondazione Comunista in un articolo pubblicato su Liberazione il 2 settembre.
Nell'articolo il segretario di Rifondazione espone anche un punto di vista
corretto circa l'ipocrisia della guerra umanitaria in realtà fatta per il puro
interesse di impadronirsi del petrolio libico da parte dell'alleanza atlantica
così come della resistibile menzogna sottesa alla risoluzione n. 1973 con la
quale si dovevano “proteggere i civili. Parla naturalmente anche
dell'informazione con l'elmetto e dell'attuale scomparsa del protagonismo
dell'Onu nell'attuale frangente delle carneficine compiute dai mercenari della
Nato, dopo aver aperto e legittimato lo scenario di aggressione e guerra..
Ma il punto dirimente dell'intero articolo che ne costituisce la sintesi e
l'indirizzo politico è il passo finale da me citato. “Pensiamo che la
costruzione di una Libia democratica, liberata dal dittatore Gheddafi e dalle
sue camarille senza diventare un protettorato dei bombardatori sia l’unico
obiettivo legittimo.”
Quindi nei fatti Ferrero concorda che era un obbiettivo legittimo costruire,
da parte di soggetti terzi, diversi dal popolo libico, una Libia “democratica”.
A questo punto l'interventismo della Nato e dei suoi bombardieri potrebbe essere
soltanto un incidente di percorso, una contraddizione che poteva essere evitata!
Bisognava, in effetti...”liberare la Libia dal dittatore Gheddafi e dalle sue
camarrille !” In questa breve frase è concentrata tutta la miseria del pensiero
della sinistra italiana (ma anche europea...leggere analoghi articoli del
quotidiano dei comunisti francesi) e la sua perdita di orientamento nell'attuale
assetto unipolare del pianeta contrapposto ai nuovi poli emergenti (Cina, India,
Venezuela, nonché la vecchia Russia).
Nei fatti si confessa in maniera abbastanza palese l'adesione all'orizzonte
euroamericano sia in termini ideologici, cioè i valori della democrazia e dei
diritti civili, sia in termini economici il cui grimaldello è proprio la guerra
imperialista, della quale però non si accetta l'efferatezza e l'ipocrisia !
Niente male Ferrero!
Adesso credo sia chiaro perchè la sinistra italiana, non ha mosso un dito
(con l'onorevole eccezione della piccola area organizzata dell'Ernesto che
quantomeno si è spesa in un'opera di controinformazione militante sui social
network) prima e durante l'aggressione imperialista. Non a caso anche Ferrara
(esponente di una destra antinterventista quantomeno a parole) se ne è accorto
dalle pagine del suo quotidiano e ha potuto sbeffeggiare i pacifisti per la loro
adesione all'oltranzismo della fazione democratica americana.
Il pacifismo senza se e senza ma di ieri (Iraq, Serbia) che non riusciva a
distinguere tra aggressore e aggredito, ma che ad ogni modo portò in piazza
centinaia di migliaia di persone si è trasformato in astensionismo critico (né
con la Nato né con Gheddafi) circa la contesa geopolitica considerata affare
interno agli assetti imperiali.
Nei fatti una posizione “foglia di fico” che nasconde la sostanziale adesione
all'orizzonte strategico occidentale e atlantico (in politica non fare equivale
ad aderire a qualcosa d'altro!) e l'adesione ad un' indifferenzialismo cinico e
neoqualunquista quando, addirittura, non suffragato da analisi sedicente
marxista (vedi le risibili produzioni di Antonio Moscato e Sinistra Critica
nonché dei sedicenti trotzkisti francesi consulenti di Sarkozy che avvalorano la
tesi della rivoluzione Libica e scoprono nientedimeno le magliette di Che
Guevara tra i “ribelli”).
Non intendo spendere una parola in questa breve nota circa le ragioni
geostrategiche dell'imperialismo nell'attuale fase di drammatica crisi del
capitalismo occidentale come foriere dell'ennesimo scenario di aggressione e di
guerra di inizio secolo. Presuppongo che i lettori di questa nota siano
sufficientemente colti e informati.
Intendo piuttosto focalizzare l'attenzione su alcuni punti che a mio parere
sono dirimenti per tutti coloro che vogliono continuare a credere nella
possibilità della costruzione di una forza comunista modernamente attrezzata
all'attuale fase.
a) la sinistra (eclettica plurale) dopo lunga agonia, è definitivamente morta
a Tripoli e non è il caso di riesumarla.
b)I comunisti se vogliono avere un futuro (quantomeno di riorganizzazione nel
breve periodo) devono riattrezzarsi sull'analisi di fase del nuovo assetto
imperialista, in potenza multipolare, e riscoprire un riposizionamento, momento
per momento, a fianco della lotta degli stati sovrani e legittimi aggrediti,
abbandonando l'equidistanza pelosa e lo scimmiottamento dei contenuti
dell'avversario (...sono dittature, manca la democrazia, non ci sono i diritti
civili ...e tutte le altre nobili amenità propagandate dalle tv di Obama e degli
sceicchi dell'Arabia Saudita che naturalmente di diritti e democrazia ne fanno
un grande esercizio a Guantanamo o nelle bidonville di Detroit oppure nelle
repressioni militari nel Golfo Persico e della penisola arabica).
c) L'imperialismo euroatlantico, nel quale il nostro paese è inserito nel
reparto degli ufficiali di complemento senza potere decisionale, insieme
all'esercizio della guerra permanente neocoloniale,per l'acquisizione delle
fonti d'energia, insieme all'esercizio del banditismo predatorio per la
sottrazione dei capitali (vedi fondi congelati della Libia) attua nelle sue
cittadelle la definitiva graduale eliminazione dell'anomalia storica dello stato
sociale novecentesco. L'avversario è lo stesso in Libia e in Italia.
I pentiti del comunismo novecentesco in servizio permanente effettivo (PD) e
i gruppi di opinione delle formazioni democratiche ad essi legate (Di Pietro,
Sel, ecc) costituiscono il polo politico che più coerentemente rappresenta il
precedente blocco di interessi di cui al punto c. Inoltre costituiscono la punta
avanzata e di sfondamento ideologico in seno al conflitto organizzato in
funzione di un suo deragliamento verso falsi obbiettivi quali le campagne
fintamente moralizzatrici, l'antipolitica, il leaderismo acritico e delegante
nonché l'ennesima ristrutturazione delle regole elettive verso la completa
blindatura del maggioritario.
d) Paradossalmente la destra presenta delle evidenti fratture al suo interno,
sostanziate dall'agitazione dei gruppi di interessi populistico-protezionisti
della Lega e dalle lobby che vedevano di buon grado una saldatura con l'asse
Berlino-Mosca.
e) E' da rigettare per tutti coloro che ambiscono soltanto a costruire
un'opposizione all'imperialismo con base di massa continuare a farneticare di
alleanze democratiche (nei fatti con i partiti organizzati e le lobby
dell'avversario).
Viceversa va scoperto e sperimentato un percorso inedito di alleanza
democratica con tutti coloro che hanno a cuore l'indipendenza politica ed
economica dall'imperialismo, secondo percorsi di sganciamento (vedere
l'interessante movimento in Grecia rappresentato coerentemente dal KKE) e
sollecitando l'aggregazione politica di organismi che abbiano l'obbiettivo della
difesa dell'economia nazionale dalla fase predatoria e banditesca
dell'imperialismo finanziario.
g) si pone all'ordine del giorno la necessità della ricostruzione del partito
comunista, capace di innescare una battaglia di cambiamento radicale rispetto
alle attuali linee politiche dei due partiti comunisti esistenti in Italia, per
la riunificazione, sconfiggendo al loro interno le illusioni del radicalismo
post-moderno manovrato dall'imperialismo. E' necessario ricostruire interesse
nel paese circa la trasformazione radicale in senso socialista come obbiettivo
attuale e risposta alla crisi del capitalismo euroatlantico.
gaspare sciortino 3/9/11
http://www.facebook.com/note.php?note_id=10150305209947579
https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150305209947579
Di seguito l'articolo di Ferrero su Liberazione:
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=387
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877
commento su fb li 20.1.2013 anche qui
Citazioni del colonnello Gheddafi (dai
"Vuoti di memoria" di Alberto Piccinini)
dal blog di Salvatore Lo Leggio
http://salvatoreloleggio.blogspot.com/
Dai “Vuoti di memoria”, la rubrica di citazioni
che sul “manifesto” ottimamente cura Alberto Piccinini, per salvarci
dall’amnesia e dalle crisi d’identità, ho ripreso questi due brani, assai
lontani nel tempo l'uno dall'altro, del colonnello Gheddafi, l'uno e l'altro
trascelti nel mese di agosto scorso. Le logiche che il capo libico segue mi
appaiono molto lontane da quelle dominanti in Occidente, ma non mi sembra
affatto il matto che raccontano. (S.L.L.)
"Reagan" (Intervento alla Tv libica – 1985)
Tripoli, 17 apr - Il colonnello Muammar
Gheddafi ha parlato iersera alla televisione libica. Dopo un saluto alle
popolazioni arabe, Gheddafi ha chiesto alla nazione araba di interrompere le
relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Egli ha plaudito alla posizione dei
paesi arabi che hanno manifestato contro l'aggressione. Ed ha detto che ciò da
corpo, fattivamente, all'unità araba. Gheddafi ha poi detto: «Allah è il più
grande. Più grande dell'America, più grande del patto Nato. La grandezza, qui, è
di un piccolo stato che fronteggia da solo le flotte americane e nordatlantiche.
Noi in Libia - ha sottolineato - non abbiamo ordinato di uccidere nessuno, e non
siamo responsabili delle operazioni avvenute in Europa od altrove». «Noi in
Libia lavoriamo per unificare la nazione araba e per liberare l'intera Palestina
e non siamo né degli assassini né terroristi come asserisce Reagan». Egli ha
aggiunto: «E' Reagan l'infanticida. E' lui che ha mandato i suoi aerei per
distruggere le nostre case, le nostre scuole, le nostre fattorie ed ammazzare i
nostri bambini e le nostre donne. Noi non lasceremo il nostro lavoro per
realizzare l'unità della nazione araba e non ci spaventeranno le incursioni
degli aerei di Reagan, che delira per folle violenza». Il colonnello Gheddafi ha
poi elogiato la posizione della Francia che ha rifiutato l'uso del proprio
spazio aereo agli aerei americani che hanno attaccato il popolo arabo libico. (Ansa-Jana,
17 aprile 1986)
“il manifesto” 27 agosto 2011
Auguriamo (Intervento all’Università La
Sapienza di Roma, 2009)
Supponiamo che facciano una legge sul
trattamento da riservare agli immigrati: tutto il popolo italiano studierà la
legge seduto su delle sedie. Questi sono i congressi del popolo. E ogni
congresso esprimerà la propria opinione sulla legge che sta esaminando. Poi
tutti i delegati di questi congressi giungeranno a Roma, ci saranno 2.000
persone e ognuno porterà l'opinione del suo congresso espressa durante la
discussione. Poi vengono formulate queste opinioni insieme per farne uscire
un'unica legge dove vengono osservate e tenute in considerazione le opinioni di
tutto il popolo. (...) L'alternanza del potere vuol dire che c'è della gente che
si prende e si trasmette il potere tra di loro. Se ci fosse democrazia non ci
sarebbe un'alternanza di potere. La democrazia significa il popolo che detiene
il potere. Come fa a consegnarlo a uno? Il popolo reale ha il potere. È per la
democrazia popolare diretta. Come potrebbe eleggere delle persone perché lo
governassero? Qualsiasi popolo che sia giunto al potere come lo è il popolo
libico non lo cederà assolutamente. Il popolo libico è ormai arrivato alla fine
del cammino, ossia l'esercizio della democrazia popolare diretta. Auguriamo che
la raggiungano anche il popolo italiano e gli altri popoli del mondo. (Muhammar
Gheddafi, discorso all'Università La Sapienza, Roma, 12 giugno 2009)
“il manifesto” 25 agosto 2011
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L'anti-Nato di Chavez e Gheddafi Nasce la "Sato": patto fra Africa e America
Latina su strategia militare, finanza e energia
L’anti-Nato si chiama Sato e a fondarla sull’Isola Margarita sono stati
Muammar Gheddafi e Hugo Chavez. Il nome nasce dalla mente del leader libico,
intenzionato a creare una «Nato del Sud» fondata sull’alleanza strategica fra la
maggioranza delle nazioni dell’America Latina e dell’Africa, ovvero le due
sponde dell’Atlantico del Sud. Il vero motore dell’iniziativa è però il
presidente venezuelano, che ha già fatto capire che cosa ha in mente siglando
una raffica di patti di cooperazione energetica con Sud Africa, Mauritania,
Namibia, Niger, Sudan e Capo Verde. Al summit sull’Isola Margarita erano
presenti circa 60 capi di Stato e di governo che, nella dichiarazione finale
co-redatta da Gheddafi e Chavez, si sono impegnati a realizzare la «Sato»
procedendo a tappe accelerate su tre binari paralleli: cooperazione
strategico-militare, accordi bancari-finanziari e progetti comuni nel settore
dell’energia e delle miniere. È la nuova frontiera della partnership Sud-Sud,
una riedizione rafforzata del fronte dei non allineati che negli Anni 60 ebbe
per protagonisti l’egiziano Nasser, lo jugoslavo Tito e l’indiano Nehru. Ciò che
distingue la «Sato» è la volontà di portare da subito la sfida alle maggiori
potenze industriali reduci dal G20 di Pittsburgh. «Dobbiamo ridurre la nostra
dipendenza da Stati Uniti e Unione Europea, al fine di coronare
l’autodeterminazione dei popoli» promette Gheddafi, mentre il presidente
dell’Ecuador, Rafael Correa, identifica il primo strumento di lotta: «I nostri
60 Paesi riuniti sommano la maggior riserva di acqua dolce del Pianeta, ci
chiamano Paesi poveri ma in realtà siamo molto ricchi, se ne accorgeranno
presto». Sugli aspetti strategici, Gheddafi e Chavez garantiscono che «la Sato
porterà più sicurezza della Nato», perché «l’emisfero settentrionale del Pianeta
vive in una situazione di costante paura a causa del terrorismo che le maggiori
potenze hanno creato da sole». Fra i soci fondatori del nuovo club c’è anche
l’ultraottantenne Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe colpito dalle
sanzioni dell’Onu e in cerca di un rapido riscatto: parla di «nuovo orizzonte
per le relazioni internazionali» grazie a «un’alleanza contro l’imperialismo che
ha i numeri per farsi rispettare anche nella battaglia per la riforma del
Consiglio di Sicurezza».
http://www.lastampa.it/2009/09/30/blogs/finestra-sull-america/l-anti-nato-di-chavez-e-gheddafi-Bxe0XL7Vp7vJCqaRAi5EWL
Una volta Chávez disse di Gheddafi: «È per la Libia quello che Bolivar è per
il Venezuela».
Per Chavez, Gheddafi "è stato un lottatore lungo tutta la sua vita" e gli
Stati Uniti ed i loro alleati europei "stanno incendiando il mondo".
"Un grande rivoluzionario, un grande combattente e ora un martire" con queste
parole il presidente venezuelano Hugo Chavez ha voluto ricordare la figura del
leader libico Muhammar Gheddafi, ucciso dagli insorti ieri nella città di Sirte
dove si stava nascondendo. Il presidente venezuelano ha voluto collegare la fine
del presidente ad un avvertimento agli Stati Uniti d'America: "questa storia in
Libia sta appena iniziando, perché lì c'è un popolo, c'è dignità. L'impero Usa
non potrà dominare il mondo" ha concluso il presidente Chavez.
http://it.peacereporter.net/articolo/31144/Libia,+reazioni+dal+mondo.+Chavez%3A+%27Gheddafi+un+rivoluzionario,+adesso+martire%27
Meno male che era una guerra umanitaria
(Editoriale da Liberazione di venerdì 2 settembre 2011)
La Libia è lo
specchio del degrado delle classi dirigenti a livello mondiale. L’ONU
qualche mese fa ha benedetto la guerra dando il via libera ai bombardamenti
contro Gheddafi. Lo ha fatto violando la sua carta costitutiva, che la
obbligava ad aprire una trattativa tra le parti. Contravvenendo ai suoi
scopi e ai suoi principi l’ONU ha accettato il fatto compiuto della guerra
ovviamente in nome di scopi umanitari: fermare i massacri. Adesso che la
guerra è stata vinta dalla parte appoggiata dai bombardieri, cosa fa l’ONU?
Nulla. In Libia sono in corso vendette e man mano che il conflitto procede
cambia il suo scopo. Adesso veniamo a sapere che il problema è uccidere
Gheddafi e che per ottenere questo obiettivo il conflitto può proseguire e
con esso la distruzione e gli ammazzamenti. Cosa ha da dire su questo l’ONU?
Nulla. E le nazioni occidentali che hanno bombardato, cosa fanno? I più
furbi e scaltri, come la Francia, hanno organizzato una Conferenza che
dietro le belle dichiarazioni di principio è finalizzata unicamente alla
spartizione del bottino di guerra.
Al padrone di casa andrà la fetta più grande
delle forniture petrolifere: gli altri sono in fila per prendere o
difendere. E’ il caso del governo italiano che, confermando il detto
“Francia o Spagna purché se magna”, dopo l’ennesima giravolta stanno
cercando di mantenere con i nuovi padroni i contratti che avevano con i
vecchi. Ovviamente chi è interessato a fare buoni accordi per lo
sfruttamento dei giacimenti petroliferi o di gas naturali non può certo
mettersi a fare le pulci se viene compiuta qualche strage di troppo o se la
guerra assume un profilo diverso da quella con cui era cominciata.
C’è un che di disgustoso in questa distanza tra le roboanti dichiarazioni
umanitarie che hanno giustificato l’intervento militare e il totale
disinteresse concreto per la vita delle persone che viene dimostrato oggi.
Vite umane in cambio di petrolio, questo è il mercanteggiamento in corso
oggi a Parigi.
Per quanto riguarda l’Italia le responsabilità di questa situazione non
riguardano solo il governo. Coinvolgono l’opposizione parlamentare – PD in
primis – e coinvolgono il Presidente della Repubblica. Che cosa ha da dire
oggi Giorgio Napolitano di fronte ai massacri in corso in Libia e alla
palese assenza di una soluzione politica che la nostra carta Costituzionale
fissa come il punto fondante dei rapporti internazionali? Nulla. Il silenzio
bipartisan sulla questione umanitaria si sostanzia della condiscendenza
bipartisan dei mass media: i morti non fanno più scandalo, non fanno più
inorridire il civilissimo occidente, sono derubricati a dato sociologico,
insito nella fisiologia del conflitto. Come il neoliberismo anche i morti
diventano un fenomeno naturale, che “non merita due parole su un giornale”.
Noi eravamo per la trattativa prima della guerra, siamo per la trattativa
oggi. Pensiamo che la costruzione di una Libia democratica, liberata dal
dittatore Gheddafi e dalle sue camarille senza diventare un protettorato dei
bombardatori sia l’unico obiettivo legittimo. Prendiamo atto che non è così
per coloro che hanno fatto l’ennesima guerra umanitaria e la distanza da
loro non è solo politica ma anche morale.
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877
L'ultimo
discorso di Gheddafi
Io che ho vissuto 6 anni a Tripoli, in Libia, fino al 2011, sono testimone
di ciò che lui dice nel discorso e del concetto di democrazia con i comitati
popolari che io vedevo!
"Per 40 anni, o forse di più, ho fatto tutto quello che ho potuto per dare
al popolo case, ospedali, scuole.
E quando avevano fame, gli ho dato cibo. Ho trasformato Bengasi da un
deserto in terra fertile, ho resistito agli attacchi del cowboy Reagan
quando, tentando di uccidermi, ha ucciso un’orfana, mia figlia adottiva, una
povera bambina innocente.
Ho aiutato i miei fratelli e le mie sorelle africani con denaro per l’Unione
Africana. Ho fatto di tutto per aiutare il popolo a comprendere il concetto
di vera democrazia, nella quale i comitati popolari governano il nostro
paese.
Per alcuni tutto questo non bastava mai, gente che aveva case di 10 stanze,
abbigliamento e mobilio ricchi. Egoisti come sono, chiedevano sèmpre di più
a spese degli altri, erano sempre insoddisfatti e dicevano agli Statunitensi
e ad altri visitatori che volevano “democrazia” e “libertà”.
Non si volevano rendere conto che si tratta di un sistèma di tagliagole,
dove il cane più grosso divora tutto. Si facevano incantare da queste
parole, non rendendosi conto che negli Usa non c’erano medicine libere,
ospedali liberi, case libere, istruzione libera, cibo garantito. Per costoro
non bastava nulla che facessi, ma per gli altri ero il figlio di Gamal Abdel
Nasser, l’unico vero leader arabo e musulmano che avessimo avuto dai tempi
di Saladino, un uomo che restituì il Canale di Suez al suo popolo come io ho
rivendicato la Libia per il mio popolo. Sono state le sue orme che ho
cercato di seguire, per mantenere il mio popolo libero dal dominio
coloniale, dai predoni che ci vorrebbero derubare.
Ora sono sotto attacco della più grande forza militare della storia. Il mio
piccolo figlio africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al
nostro paese, le nostre libere abitazioni, la nostra libera medicina, la
nostra libera istruzione, il nostro cibo sicuro, e sostituirlo con il
ladrocinio stile Usa chiamato “capitalismo”. Ma noi tutti, nel Terzo Mondo,
sappiamo cosa ciò significhi. Significa che le imprese governano i paesi, il
mondo, e che i popoli soffrono.
Così per me non c’è alternativa, devo resistere e, se Allah vorrà, morirò
seguendone la via, la via che ha arricchito il nostro paese di campi
fertili, viveri, salute e ci ha perfino consentito di aiutare i nostri
fratelli africani e arabi a lavorare qui con noi, nella Giamahiria libica.
Non desidero morire, ma se dovessi arrivarci, per salvare questa terra, il
mio popolo, le migliaia di miei figli, che allora sia.
Lasciate che questo testamento sia la mia voce al mondo. Dica che mi sono
opposto agli attacchi dei crociati Nato, alla crudeltà, al tradimento,
all’Occidente e alle sue ambizioni colonialiste. Che ho resistito insieme ai
miei fratelli africani, ai miei veri fratelli arabi e musulmani.
Ho cercato di fare luce. Quando altrove si costruivano palazzi, ho vissuto
in una casa modesta e in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a
Sirte, non ho sprecato le nostre ricchezze nazionali e, come Saladino, il
nostro grande condottiero musulmano che salvò Gerusalemme per l’Islàm, ho
preso poco per me…
In Occidente qualcuno mi ha definito “pazzo” e “demente”. Conoscono la
verità, ma continuano a mentire. Sanno che la nostra terra è indipendente e
libera, non soggetta al colonialismo. Sanno che la mia visione e il mio
cammino sono sempre stati onesti e nell’interesse del mio popolo. Sanno che
lotterò fino all’ultimo respiro per mantenerci liberi. Che Dio ci aiuti."
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Gheddafi è stato ucciso