ARCHIVIO STAMPA |
La Sicilia e il Milazzismo e la "Relazione di minoranza" firmata da Pio La Torre e Cesare Terranova! di G. F.
vedi dal blog di Salvatore Lo leggio: Sicilia: il fantasma del milazzismo.
e Storie di Sicilia di Fara Misuraca "Silvio Milazzo, il “milazzismo”, il petrolio e l’autonomia"
da
FRANCESCO RENDA e dalla Relazione di minoranza
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Senato della Repubblica — 567 — Camera dei Deputati
LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
RELAZIONE DI MINORANZA
dei deputati LA TORRE, BENEDETTI, MALAGUGINI e dei
senatori ADAMOLI, CHIAROMONTE, LUGNANO, MAFFIOLETTI
nonché del deputato TERRANOVA
Da Francesco Renda Storia della Mafia Sigma
edizioni 1997
pag. 369/370
L’on. La Torre: “La formazione dei governi Milazzo era sin dall’inizio
limitata da condizioni negative (quali la convergenza sul piano parlamen-
tare della destra missina, quasi subito per altro riassorbita all’alleanza
con la Dc, e il carattere contraddittorio della linea politica e della forma-
zione milazziana). Errori successivi - e deplorevoli elementi trasfomisti-
ci e di provocazione - contribuirono ad offuscare il reale valore democra-
tico e autonomistico di quella battaglia, favorendone sia incomprensioni
sia interessate falsificazioni...E naturale che in quel clima di profondo
sommovimento della vita sociale e politica dell”isola alcune frange
mafiose abbiano cercato di trovare addentellati con esponenti del nuovo
govemo. Ma è un diversivo l’affermazione della relazione che quello fu
il periodo della massima espansione del potere mafioso” (386).
Anche chi scrive, allora deputato regionale e segretario responsa-
bile della Cgil siciliana, può testimoniare di aver sentito parlare del-
l’intervento mafioso sia in senso favorevole al govemo Milazzo sia in
senso contrario. Ma si trattò pur sempre di fatti marginali, che non
ebbero incidenza (o ebbero incidenza episodica) sul1’insieme delle
motivazioni politiche che diedero origine e caratterizzarono l”<<opera-
zione Milazzo».
L’ <<operazione Milazzo», in effetti, ebbe il risultato non già di
contenere, bensì di accelerare l’evoluzione della situazione politica
generale in senso antimafioso.
386 – La Torre Relazione di minoranza, p. 580
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Senato della Repubblica — 567 — Camera dei Deputati
LEGISLATURA VI — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI
RELAZIONE DI MINORANZA
dei deputati LA TORRE, BENEDETTI, MALAGUGINI e dei
senatori ADAMOLI, CHIAROMONTE, LUGNANO, MAFFIOLETTI
nonché del deputato TERRANOVA
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Fr. Renda in Storia della Sicilia volume terzo pag.431 parla
di “complotto ordito all’Albergo delle Palme”,
ivi a pag.432 scrive “L’aggressione calunniosa al governo Milazzo (la trappola nella quale fu fatto cadere) ottenne, infatti, il risultato di precipitarla…..”
Nella citata RELAZIONE di MINORANZA pag.580 così continua La Torre:
"Lo schieramento di forze che si costituì attorno a Milazzo si dimostrò inefficace per la sua insufficienza .parlamentare e per la sua eterogeneità di «governare la Sicilia. Si manifestarono ritardi nel capire i limiti di quello schieramento e si alimentarono illusioni su quello che era possibile fare in quelle condizioni. .Ma in quel breve periodo, sotto
la spinta dei partiti di sinistra, furono attuate alcune esemplari iniziative antimamafia:
1) la cacciata di Genco Russo e Vanni Sacco dai consorzi di bonifica;
2) l'inchiesta sull'ERAS della Commissione presieduta dal giudice Merra (agli atti della Commissione).
Il sistema di potere mafioso ricevette, invece, nuovo alimento dal modo in cui, da parte di alcuni settori della grande industria, dell’agraria siciliana e della DC, si operò |per rovesciare il governo Milazzo
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Ivi a pag.579 si legge:
C'è da rilevare che dopo il primo dibattito svoltosi nella Commissione veniva presentato dal Presidente un nuovo testo della relazione. Constatammo, con sorpresa, che erano state aggiunte delle pagine biografiche riguardanti alcune persone del mondo politico ed economico siciliano che non figuravano nella prima stesura e che non avevano nessun rapporto col fenomeno mafioso. Si tratta dal deputato socialista Salvatore Fagone, dell'avvocato Vito Guarrasi e dell'ingegnere Domenico La Caverà. Tali nomi erano stati indicati a fini diversivi dai cornmissari della destra fascista. Si trattava quindi e si tratta di un evidente cedimento a forze di destra e a gruppi interessati a intorbidire le acque. Successivamente il Presidente accettava di depennare dalla rosa dei nuovi nomi quello del deputato socialista Fagone mentre, pur negando che avessero alcun legame con la mafia e pur ridimensionando i rilievi precedentemente fatti, ha voluto lasciare nella sua relazione gli altri due nomi. Intanto, come dimostreremo più avanti, La Caverà rappresenta la borghesia imprenditoriale siciliana che tenta di opporsi alla politica dei grandi gruppi monopolistici e rimane schiacciata. Diverso il caso Guarrasi che è il tipico professionista abituato a rendere i suoi servizi ad alto livello tecnico e professionale. Ma come lui ci sono decine di uomini in .Sicilia. La differenza fra Guarrasi e gli altri consiste nel fatto che Guarrasi ha reso servizi anche alle sinistre. Ecco perché si infierisce contro di lui e non contro gli altri che più organicamente e stabilmente hanno espresso il sistema di potere mafioso: il notaio Angilella, il notaio Margiotta, l'avvocato Orlando Cascio, il professor Chiazzese, il professor Scaduto, l'avvocato Noto Sardegna, l'avvocato Cacopardo, eccetera. Ma qui l'obiettivo è più ambizioso. Dalla relazione della maggioranza risulterebbe che il punto di massima espansione della potenza della mafia in Sicilia sarebbe quello del governo regionale presieduto dall'onorevole Silvio Milazzo (14 mesi che 'vanno dall'ottobre 1958 al dicembre 1959). Si tratta .di un falso storico. La rivolta siciliana del 1958 è contro il sistema di potere arrogante, integralista, antidemocratico, clientelare e mafioso del gruppo dirigente fanfaniano in Sicilia.
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Relazione di Minoranza
pag.579
“C'è da rilevare che dopo il primo dibattito svoltosi nella Commissione veniva
presentato dal Presidente un nuovo testo della relazione. Constatammo, con
sorpresa, che erano state aggiunte delle pagine biografiche riguardanti alcune
persone del mondo politico ed economico siciliano che non figuravano nella prima
stesura e che non avevano nessun rapporto col fenomeno mafioso. Si tratta dal
deputato socialista Salvatore Fagone, dell'avvocato Vito Guarrasi e
dell'ingegnere Domenico La Caverà. Tali nomi erano stati indicati a fini
diversivi dai cornmissari della destra fascista. Si trattava quindi e si tratta
di un evidente cedimento a forze di destra e a gruppi interessati a intorbidire
le acque. Successivamente il Presidente accettava di depennare dalla rosa dei
nuovi nomi quello del deputato socialista Fagone mentre, pur negando che
avessero alcun legame con la mafia e pur ridimensionando i rilievi
precedentemente fatti, ha voluto lasciare nella sua relazione gli altri due
nomi. Intanto, come dimostreremo più avanti, La Caverà rappresenta la borghesia
imprenditoriale siciliana che tenta di opporsi alla politica dei grandi gruppi
monopolistici e rimane schiacciata. Diverso il caso Guarrasi che è il tipico
professionista abituato a rendere i suoi servizi ad alto livello tecnico e
professionale. Ma come lui ci sono decine di uomini in .Sicilia. La differenza
fra Guarrasi e gli altri consiste nel fatto che Guarrasi ha reso servizi anche
alle sinistre. Ecco perché si infierisce contro di lui e non contro gli altri
che più organicamente e stabilmente hanno espresso il sistema di potere mafioso:
il notaio Angilella, il notaio Margiotta, l'avvocato Orlando Cascio, il
professor Chiazzese, il professor Scaduto, l'avvocato Noto Sardegna, l'avvocato
Cacopardo, eccetera. Ma qui l'obiettivo è più ambizioso. Dalla relazione della
maggioranza risulterebbe che il punto di massima espansione della potenza della
mafia in Sicilia sarebbe quello del governo regionale presieduto dall'onorevole
Silvio Milazzo (14 mesi che 'vanno dall'ottobre 1958 al dicembre 1959). Si
tratta .di un falso storico. La rivolta siciliana del 1958 è contro il sistema
di potere arrogante, integralista, antidemocratico, clientelare e mafioso del
gruppo dirigente fanfaniano in Sicilia.”
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http://digital.sturzo.it/manifesto/1041951
http://digital.sturzo.it/manifesto/1041954
http://digital.sturzo.it/manifesto/1041974
caso Silvio Milazzo Sicilia
http://digital.sturzo.it/ricerca?searchFld=caso+silvio+Milazzo+Sicilia&searchType=simple&paginate_pageNum=1
telegioenale sicilia:
http://digital.sturzo.it/audiovisivi/150314995
Il governo Milazzo suscitò le critiche di molti, e persino
Palmiro Togliatti venne
invitato ad esprimere un parere: contrariamente a quello che ci si potrebbe
aspettare, egli difese l'operato di Macaluso.
http://it.wikipedia.org/wiki/Emanuele_Macaluso
Va detto però dire che la scelta di Macaluso non fu un “errore” del PCI
siciliano, ma fu figlia diretta della teoria del fronte antimonopolista
in coerenza alla concezione dello Stato, quale Stato dei monopoli,
e non, invece, quale era ed è, espressione e mediazione dell’interesse generale
capitalistico.
Teoria, questa dello “Stato dei monopoli”, propria della III internazionale. Ed
è per questo motivo che
Togliatti, come ricorda Marino in “Storia della mafia”, in coerente
applicazione di detta teoria, in un convegno tenutosi a Palermo a cavallo
dell’operazione Milazzo, diede a questa un fondamento teorico-politico, perché,
si disse, veniva così costituito un fronte contro la rapina della Sicilia da
parte dei monopoli, da parte dello Stato dei monopoli.
Fu una sfida che Togliatti
sostenne in prima persona. Contro di noi si scatenò un’autentica
guerra: il governo nazionale usò i servizi segreti, il cardinale Ruffini
predicava contro Milazzo tutte le domeniche. Volevamo trasformare la Sicilia in
una società industriale. Invece la conservazione voleva mantenere il
sottosviluppo. Fummo sconfitti e i ritardi, le clientele e gli sprechi di oggi
sono conseguenze del lungo immobilismo».
http://www.unita.it/politica/macaluso-pci-comunista-intervista-sardo-partito-unita-pd-togliatti-socialisti-1.558706?page=3
il Pci regionale, guidato da Emanuele Macaluso, ma con l’indubbia benedizione
di Togliatti, varo’ una
sorprendente alleanza con i fascisti per sconfiggere il candidato ufficiale
della Democristiana cristiana e portare sullo scranno piu’ alto Silvio Milazzo,
un democristiano che sapeva ammantare le sue ambizioni con “ i cosiddetti
interessi superiori dei siciliani”…… “Come avrebbe reagito Togliatti?
Non ci furono reazioni ufficiali, quell’iniziativa fu
regionalizzata, mentre il suo autore, due anni piu’ tardi, entrava nella
direzione del Pci avviando una straordinaria politica di collaborazione con
Parlmiro Togliatti, Luigi Longo ed Enrico Berlinguer.
Per saperne di più:
http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2013_05_31/Il-milazzismo-di-Togliatti-le-nuove-maggioranze-di-Berlinguer-e-la-questione-morale/
Per saperne di più:
http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2013_05_31/Il-milazzismo-di-Togliatti-le-nuove-maggioranze-di-Berlinguer-e-la-questione-morale/
Il milazzismo non è mai esistito e non è mai diventato ideologia. E' stato il
senso di colpa di certa sinistra a dare una significazione negativa al periodo
di ribellione della Sicilia capitanato da Silvio Milazzo denominandolo
spregiadivamente "milazzismo". Invece fu un tentativo serio di espugnare il
potere dalla DC e farne qualcosa di diverso. Milazzo parlò delle "montagne di
miseria" che la Sicilia doveva appianare. Il governo Milazzo per il
periodo che durò mise all'angolo la DC e tentò di
fare qualcosa per la Sicilia riuscendoci-.
Fu abbattuto da una congiura ordita dai servizi
segreti che si servirono di un deputato-civetta che si offriva per un milione di
lire di allora a sostegno della maggioranza risicatissima del governo Milazzo.
Dopo il governo Milazzo da Majorana della
Nicchiara in poi abbiamo avuto governi che hanno portato la Sicilia alla
condizione fallimentare in cui versa oggoi- Oggi l'autonomia siciliana è
fallita. Presto vedremo gli ufficiali giudiziari a Sala D'Ercole.
http://www.spazioamico.it/l%27angolo%20di%20Pietro.htm#milazzismo
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dal blog di Salvatore Lo leggio:
Sicilia: il fantasma del milazzismo.
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2009/12/sicilia-il-fantasma-del-milazzismo.html
La scelta del presidente della Regione siciliana
Raffaele Lombardo di chiedere al Pd l'appoggio esterno per risovere la crisi e
costituire una nuova giunta e l'orientamento probabilmente favorevole del
partito di Lupo e Bersani ha fatto parlare di "milazzismo".
Sono passati più di cinquant'anni da quando alla carica che è oggi di Lombardo venne eletto Silvio Milazzo di Caltagirone, fino ad allora democristiano. Guidava una giunta che comprendeva democristiani dissidenti, monarchici, missini, repubblicani, socialdemocratici e godeva dell'appoggio del Pci e del Psi. Non era esattamente quello che dopo si intese per "milazzismo", cioè una collaborazione tra estrema destra ed estrema sinistra, era piuttosto quella che oggi si chiamerebbe una maggioranza "trasversale".
Fu una pura operazione di potere? No. C'era un tema che cementava, almeno nella fase iniziale, quella variopinta coalizione, il sicilianismo, cioè l'idea che la Sicilia tutta unita dovesse rivendicare dal governo centrale più risorse, più poteri, più libertà e percorrere una propria via al riscatto economico, distinta rispetto alle stesse regioni del Sud Italia.
Milazzo rappresentava essenzialmente interessi di grande e media proprietà agraria, di piccole banche, al tempo molto forti nel calatino e in altre aree della Sicilia orientale; ma era anche un allievo del concittadino don Sturzo, a suo modo fedele al maestro più di quanto il maestro non fosse fedele a se stesso. Il fondatore del Ppi, in effetti, tra i democristiani di Caltagirone aveva Scelba come pupillo e criticò fortemente la secessione dalla Dc e l'elezione a presidente di Silvio Milazzo. Ma il neopresidente della regione rivendicava a sè l'originario e originale pensiero di Sturzo, colui che, insieme a Togliatti, aveva elaborato teoricamente e politicamente l'idea dell'autonomia siciliana come risposta alle tentazioni separatiste e strumento di autogoverno. "Il popolo siciliano ha sete di libertà" - usavano dire con parole assai simili il capo comunista e l'ideologo del cattolicesimo politico.
Un elemento anticentralistico e "antiromano" era del resto alla base della scissione di cui Milazzo si era trovato alla testa. Tra i democristiani che lasciarono il partito per fondare insieme con il deputato di Caltagone l'Unione siciliana cristiano sociale, ce n'erano di moderati come lui e il canicattinese Signorino, ce n'erano di orientamento liberaldemocratico come Francesco Pignatone, e c'erano sindacalisti della Cisl come Luigi Vajola, che volevano precorrere i tempi dell'unità con la Cgil.
Era il tempo in cui a Roma era in atto il tentativo di Amintore Fanfani di concentrare in sè i ruoli di segretario nazionale della Dc e di capo del governo, non senza qualche simpatia per il presidenzialismo alla De Gaulle. Il "cavallo di razza" aretino era accusato di voler imporre alla Sicilia i suoi proconsoli (in particolare l'agrigentino Giuseppe La Loggia, predecessore di Milazzo nella guida della regione) e di voler entrare minutamente nelle cose di Sicilia. Signorino, ad esempio, soleva dire nei comizi che Fanfani voleva fargli sposare una propria sorella piuttosto brutta. Non si è mai capito se fosse una battuta. Il sindaco di Agrigento Lauretta, anche lui passato agli uscocchi, lamentava intrusioni fanfaniane financo nella rinomata sagra del Mandorlo in fiore.
Si trattava, come è evidente, più che di idee di umori e di risentimenti assai variegati, di cui Milazzo si faceva interprete. Il tentativo del più colto e intelligente dei "milazziani", Pignatone, che nel 1959 rinunciò alla candidatura a Sala d'Ercole per fare il segretario dell'Uscs e dare una fisionomia politica al neonato partito, era anche per questo destinato a fallire.
Fremiti di ribellione percorrevano intanto vari settori sociali della Sicilia, quasi tutti interni al blocco costruito intorno alla Dc. Non solo tra gli agrari, ma tra i piccoli proprietari della "bonomiana" c'era insofferenza verso i primi accordi europei che sacrificavano l'agricoltura siciliana, sicchè molte sezioni della Coldiretti divennero centri organizzativi del nuovo partito. Tra gli industriali, in prevalenza piccoli, si sognavano incentivi robusti e perfino una sorta di protezionismo regionale; si arrivò così alla secessione dalla Confindustria con la costituzione della Sicindustria, guidata da Mimì La Cavera. Una scissione significativa si realizzò nel "sindacato bianco" della Cisl. Ad appoggiare la ribellione di Milazzo c'era infine, nonostante la sua amicizia con Fanfani, Enrico Mattei, insofferente verso tanti democristiani isolani asserviti alle "sette sorelle", le multinazionali dei carburanti, che osteggiavano la costituzione di un grande polo petrolifero dell'Eni a Gela.
E la mafia? Le storie non ci dicono moltissimo sugli atteggiamenti di Cosa nostra che nei suoi rapporti con il mondo politico è sempre stata insieme prudente e spregiudicata. Probabilmente i boss non abbandonarono gli antichi referenti e, nel contempo, ne cercarono di nuovi. Di sicuro non ci fu ostilità. Lo dimostra il ruolo esplicito giocato nell'operazione Milazzo da un "grande vecchio", l'avvocato Vito Guarrasi. Costui era insieme professionista dei grandi boss e delle grandi famiglie aristocratiche e borghesi di Sicilia ed il suo nome ricorre in quasi tutti i "grandi misteri" siciliani dalla morte misteriosa di Enrico Mattei alla scandalo Bazan che riguardò il Banco di Sicilia, fino al rapimento del giornalista Mauro De Mauro. Qualcuno esplicitamente scrisse di lui come "la testa del serpente". Di sicuro non era nemico dei mafiosi.
Del resto, se la "mafia militare" restò guardinga, il milazzismo non dispiaceva di sicuro alla "borghesia mafiosa", quel ceto diffuso di proprietari, professionisti, imprenditori, che nelle città e nei paesi di Sicilia drenava a proprio vantaggio i Piani verdi e le risorse della Cassa per il Mezzogiorno e che spadroneggiava coi sistemi antichi della clientela e della subordinazione personale. Il "sicilianismo" interclassista era sempre stata l'ideologia di questo mondo, che per qualche tempo aveva perfino simpatizzato per i separatisti: "la Sicilia prima di tutto" e "Siciliani uniti" erano motti utili ad aggregare al carro pezzi di popolo, specie tra i ceti popolari urbani.
Perchè il Pci e il Psi (quest'ultimo con qualche dubbio) accettarono di sostenere i "governi di unità autonomistica" guidati da Milazzo? Il Psi di Nenni era in mezzo al guado che l'avrebbe portato all'incontro, nel centro-sinistra, con tutta la Democrazia cristiana e temeva che la Sicilia fosse elemento di disturbo, ma nell'isola non pochi suoi quadri aspiravano a cimentarsi in esperienze di governo e, d'altra parte, subivano l'egemonia del Pci. Togliatti, dal canto suo, era un politico puro, piuttosto alieno dalle questioni sociali, e considerava quella siciliana una verifica della sua principale ipotesi per portare il Pci al governo: la costituzione di un secondo partito cattolico. Poco importava che questo secondo partito non fosse propriamente "di sinistra". Era già tanto che fosse, seppur vagamente, antiamericano.
Il segretario del Pci in Sicilia, Emanuele Macaluso, era un politico intelligente con un passato di sindacalista. La costituzione del governo Milazzo, nella sua logica, avrebbe potuto e dovuto accentuare l'intervento pubblico in economia con la formazione di enti regionali e, tra l'altro, garantire le principali isole operaie legate al Pci (dai cantieri navali alle miniere, soprattutto di zolfo, all'industria molitoria e pastaria).
Sia Macaluso che Togliatti conoscevano perfettamente i rischi dell'operazione, ma, da comunisti d'altri tempi ("i comunisti sono fatti di una pasta speciale" - aveva detto Stalin), accettavano il rischio, l'uno come una scommessa per la modernizzazione della Sicilia, l'altro come prefigurazione di scenari nazionali. Dopo le elezioni del 1959 che videro un piccolo arretramento del Pci e del Psi, ma anche un forte successo dell'Uscs , Macaluso al Comitato regionale presentò quel risultato come una vittoria: "Ha vinto l'unità delle forze autonomiste".
Quest'unità durò poco, in tutto un anno e mezzo (ottobre 58 - febbraio 60), e finì malamente. Un deputato Dc (tal Santalco) attirò in una trappola un esponente dei milazziani, Ludovico Corrao, mostrandosi disposto a un cambio di campo, se si fosse venuti incontro a delle sue esigenze economiche. Il colloquio, in cui Corrao appariva più che possibilista, fu registrato, pubblicato e buttò fango su tutta l'esperienza milazziana.
Il racconto qui fatto, forse un po' lungo, serviva a spiegare in chiave storica l'esperimento milazziano, onde verificare eventuali analogie con l'oggi.
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2009/12/sicilia-il-fantasma-del-milazzismo.html
La trappola delle palme
Ed è qui che nel 1957 si tenne l’ultimi summit di mafia tra
Cosa Nostra siciliana e i boss americani. Ed è qui che nel 1960 si consumò
quello che nella storia è lo scandalo dell’Hotel delle Palme che decretò la fine
dell’esperienza del milazzismo in Sicilia. Nelle stanze liberty dell’albergo un
deputato Dc, Carmelo Santalco, si finse disponibile a vendersi a Silvio Milazzo,
allora presidente della Regione, per tramite del suo braccio destro Ludovico
Corraro che cadde nella trappola. Santalco denunciò all’Ars il tentativo di
corruzione politica e il governo Milazzo morì.
http://www.televideoagrigento.tv/pages/palermo-chiude-lo-storico-hotel-delle-palme-di-palermo-la-societ%C3%A0-che-gestisce-la-struttura-ha-gi%C3%A0-avviato-le-lettere-di-licenziamento
Fr. Renda in Storia della Sicilia volume terzo pag.431 parla
di “complotto ordito all’Albergo delle Palme”,
ivi a pag.432 scrive “L’aggressione calunniosa al governo Milazzo (la trappola nella quale fu fatto cadere) ottenne, infatti, il risultato di precipitarla…..”
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http://legislature.camera.it/_dati/leg06/lavori/stampati/pdf/023_001001.pdf
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La rivolta autonomista di Silvio Milazzo
09 giugno 2012 - 20:18 di REDAZIONE
Caduto La Loggia fra le intemperie del Parlamento, la DC tenta di perpetuare i soliti equilibri candidando alla Presidenza l’On. Giudice nel segno della continuità. Ma la frattura tra fanfaniani e autonomisti era arrivata ad un punto di non ritorno. Silvio Milazzo, già assessore all’Agricoltura, padre della Riforma Agraria siciliana ed allievo politico di Sturzo, molto più estremo di Alessi nel suo autonomismo, spalleggiato dalla Sicindustria, si era dimesso dal Governo immediatamente prima di La Loggia; Restivo, nel frattempo eletto deputato, con le sue insuperabili capacità diplomatiche, era venuto a mancare dallo scacchiere regionale. Fu così che, a sorpresa, l’Assemblea Regionale il 23 ottobre 1958 incoronò Presidente proprio Milazzo con un’alleanza trasversale tra la componente autonomista della DC, le opposizioni di sinistra (socialisti e comunisti) e quelle di destra (monarchici e neofascisti).
La stampa nazionale gridò allo scandalo e al trasformismo. A Milazzo fu intimato di dimettersi entro ventiquattr’ore, ma il dissidente resistette, uscendo con i suoi dalla Democrazia Cristiana, e sfidando apertamente il Governo romano nel nome dell’Autonomia. La frattura, a lungo temuta, era ormai aperta. Milazzo chiama al Governo i partiti che lo hanno sostenuto. Solo il Partito Comunista di Emanuele Macaluso, consapevole dell’importanza di inserirsi in una compagine di governo proprio negli anni peggiori della Guerra Fredda, si limita a indicare una componente governativa tra gli indipendenti di sinistra ma restando all’appoggio esterno. Sorprende la vocazione autonomista del Movimento Sociale di Cataldo Grammatico all’estrema destra, che dimostra grande pragmatismo in un momento in cui sembrava, anche in Italia, che l’unico modo di uscire dalla crisi del Centro fosse l’apertura ai partiti di destra da parte della Democrazia Cristiana.
I proclami e le ambizioni di dare finalmente attuazione radicale allo Statuto di Autonomia sono sinceri. Si vuole riattivare il cantiere Sicilia di Alessi e la “Questione Sicilia” è rilanciata, ma Milazzo forse sopravvaluta le proprie forze e lo stesso Sturzo lo sconfessa; Alessi non lo segue. Lo scontro frontale con l’Italia durerà non più di quanto erano durate le rivolte indipendentiste dell’Ottocento contro il Borbone. Alla fine la “santa alleanza” tra Confindustria, Chiesa cattolica, Stato italiano, politici siciliani unitari e interessi strategici degli Stati Uniti avrebbe avuto ragione su di un fronte fragile, eterogeneo, facile all’infiltrazione e tendente endemicamente all’anarchia. Ma le iniziative portate avanti restano sempre di grande importanza. Milazzo si muove tra un tentativo di lanciare un’industrializzazione della Sicilia autonoma dai grandi interessi dei monopoli nazionali, e una serie di interventi sociali in una Sicilia ancora in molti angoli primitiva e post-feudale.
Ma tanto per cominciare, già a novembre, il cardinale Ruffini, arcivescovo di Palermo, si pronuncia per la scomunica dei cattolici che collaboravano con i partiti marxisti. Ad aprile del 1959 la scomunica sarebbe arrivata ufficialmente dal Sant’Uffizio, già sotto il papa “buono” Giovanni XXIII, come ai tempi del Medio Evo; come allora i “re” siciliani disobbedienti, così ancora in pieno ventesimo secolo l’isola eretica veniva colpita da interdetto. A poco valevano le professioni esterne esasperate di fede degli autonomisti cattolici, la loro aperta adesione alle forme di devozione popolare, la “acchianata” di Silvio Milazzo al santuario di Santa Rosalia. Di fatti concreti il Governo Milazzo, ma anche di documenti finanziari ordinari, non fu in grado di portarne molti a compimento. La guerra continua cui fu costretto ne logorò infine le forze.
A dicembre Milazzo e i suoi costituiscono comunque l’Unione Siciliana Cristiano-Sociale, un partito democristiano regionale sull’esempio bavarese o sudtirolese. Gli autonomisti rifiutarono l’accostamento all’indipendentismo, che consideravano esaurito nella sua spinta propulsiva dopo la conquista dell’Autonomia. Ma rivendicarono anche la proficua collaborazione della prima legislatura con gli ex-indipendentisti di cui rifiutavano sdegnosamente la criminalizzazione. Milazzo, come i non pochi “perdenti” della storia siciliana, quasi tutti nel segno della rivolta contro i poteri forti esterni, avrebbe goduto negli anni a venire di una pessima cronaca e storiografia che lo avrebbe colmato di palate di fango; fango fatto della stessa materia e delle stesse accuse che bene si addirebbero proprio ai “vincitori”. Si è parlato di una vena “mafiosa”, “maleodorante” del milazzismo. Non si può escludere che in un governo d’emergenza e fragile non siano mancati tentativi interessati di infiltrazione, ma – lasciando parlare i fatti – quando in Parlamento si discusse sull’opportunità di costituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, fu proprio la componente fanfaniana della DC, quella dell’On. Gioia, ad opporsi a questa sana opera di pulizia. Gli storici e i giornalisti di regime hanno occultato la sincerità delle aspirazioni dell’autonomismo milazziano, tanto quanto hanno occultato il vile personalismo dei tanti che, quando capirono che stava per cadere, saltarono sul carro del nuovo vincitore in cambio di qualche piatto di lenticchie.
Ad ogni modo, fra i pochi provvedimenti che il primo governo riuscì a condurre in porto vi fu quello del riordino dell’Ente per la Riforma Agraria. Sul piano industriale Milazzo fu fianco a fianco della Sicindustria di La Cavera, ma non riuscì ad emanciparsi del tutto dal neocolonialismo dell’ENI, sul quale si era già incamminata la politica di La Loggia. L’ENI di Enrico Mattei era uno dei pochi “poteri forti” dell’Italia che, proprio per la sua autonomia, “dava confidenza” al governo Milazzo e questi non poteva permettersi di isolarsi del tutto. Peraltro vi era una oggettiva convergenza di strategie tra l’industrialismo nazionalista di Mattei e il regionalismo di Milazzo, il cui braccio destro, Corrao, arrivò ad aprire all’Unione Sovietica, proprio ai tempi della terribile crisi di Cuba che stava precipitando il mondo nella III guerra mondiale. Entrambi mettevano in discussione, da punti di vista diversi, lo strapotere americano in Italia e nel Mediterraneo. Di entrambi in qualche modo non si sentì più parlare in breve tempo. C’è un legame tra le due cose? Possiamo solo intuirlo.
Le elezioni del 1959 segnano un successo elettorale per l’Unione Siciliana Cristiano Sociale che, al suo debutto, con il 10,6 % e 9 deputati si rivela il terzo partito dell’Isola. Ma i Democrsitiani assorbono bene il colpo saccheggiando l’elettorato monarchico e moderato ormai in via di dissoluzione (solo 3 deputati monarchici e 2 liberali), conquistando il 38,6 % e 34 seggi, e sono ancora il primo partito, questa volta con un elettorato definitivamente moderato, ben in grado di organizzare con calma una “riconquista” della Regione. A sinistra comunisti e socialisti complessivamente confermano la loro forza con 32 deputati, così come, all’estremo opposto il Movimento Sociale Italiano con i suoi 9 deputati. Il centro-sinistra invece è praticamente scomparso, con appena un deputato socialdemocratico. Con i voti determinanti delle destre fu eletto Presidente dell’Assemblea il democristiano Stagno d’Alcontres, anche per la solidarietà aristocratica che lo legava ai monarchici.
Milazzo, così, aveva vinto come partito ma aveva perso come maggioranza. Avrebbe dovuto, a questo punto, aprirsi ad una dialettica parlamentare, accettando un compromesso con la DC in cambio della sopravvivenza politica, ovvero guidare una agguerrita opposizione. Preferì tentare di continuare a governare senza maggioranza, avventurandosi su un terreno sempre più scivoloso. Ruppe con i missini, ma imbarcò al governo i monarchici per separarli dai democristiani. Le sinistre restarono all’appoggio esterno, con mal di pancia crescenti da parte dei socialisti, che tra milazzisti e comunisti si sentivano schiacciati, e che forse non vedevano l’ora di interrompere la loro lunga lontananza dal governo. In questo modo si navigò, un po’ a vista, per tutto il 1959, logorando a poco a poco lo slancio iniziale del governo e del movimento. La DC siciliana di D’Angelo poteva ricucire tranquillamente poco a poco le fila della sua centralità, lasciando che il governo si screditasse da solo per il suo immobilismo. A dicembre i socialisti, a lungo “corteggiati” dai democristiani con future promesse strutturali di alleanza, abbandonano Milazzo. Questi riesce a sopravvivere grazie all’astensione dei neofascisti, questa volta preoccupati dalle aperture democristiane ai socialisti. Ma il Governo Milazzo essenzialmente non aveva i numeri in Parlamento per governare. Arrivò appena a febbraio del 1960 ad approvare i provvedimenti per celebrare i 100 anni dell’Unità d’Italia (proprio lui) che un’imboscata parlamentare, forse non a caso mentre Corrao si trovava in Unione Sovietica, per un viaggio diplomatico politico-economico, lo fece cadere per sempre.
La DC, sfilata abilmente la componente socialista dalla maggioranza autonomista, punta tutto sull’ala moderata (gli agrari) dell’USCS, insofferente di questa imbarazzante alleanza a sinistra. Con consumata abilità diplomatica si possono “comprare” politicamente le forze avverse a Milazzo, una ad una e poi, con un coup de theâtre, simulare al contrario con una trappola un tentativo di corruzione da parte degli autonomisti ai danni di un democristiano, l’on. Santalco. Con ogni probabilità, infatti, fu simulata una “tentazione” di corruzione, in un momento difficilissimo per Milazzo, di un deputato democristiano che avrebbe manifestato la sua volontà di “vendersi” per una cifra tutto sommato irrisoria. Era un’esca, una trappola. Gli autonomisti caddero però nel tranello, dimostrando tutta la propria inesperienza. E l’On. Santalco poté così denunciare platealmente in Assemblea il tentativo di corruzione, mostrando l’assegno. Ne seguì un polverone mediatico in cui la stampa nazionale contribuì al linciaggio morale di Milazzo, il quale fu costretto a dimettersi.
Chi fossero i veri “compensati” lo si evince però dal Governo regionale che seguì, guidato proprio dall’autonomista “dissidente” Majorana della Nicchiara che, insieme ai democristiani, ai liberali, ai monarchici e ai missini, e con la significativa astensione dei socialisti, guidò un governo di transizione fino al giugno del 1961. Ma era, appunto, solo una transizione verso il centro-sinistra che da tempo costituiva l’accordo sotterraneo tra socialisti e democristiani per far fuori l’autonomismo. Tale accordo doveva essere consumato con gradualità: i socialisti erano ancora un partito marxista e non potevano di punto in bianco allearsi con gli storici “nemici di classe”. Così, sempre per compensare i “soldati” che avevano abbattuto l’eretico Milazzo, al principe della Nicchiara seguì proprio il socialista Corallo, con un governo “balneare” del 1960 di minoranza, che i comunisti, egemoni con i socialisti nelle commissioni sin dall’inizio della legislatura, contribuirono a tenere in vita.
La Sicilia però fu nel complesso compensata bene dallo Stato per aver disarcionato l’autonomista. Questo fu il migliore lascito dell’esperienza. La ritrovata governabilità consentì di approvare una legge elettorale per l’elezione dei consigli comunali e la costituzione di un’altra finanziaria regionale, questa volta dedicata proprio agli idrocarburi: l’AZASI, una piccola ENI siciliana. Fu approvata una importante legge sugli appalti nel 1961 e furono istituiti gli uffici periferici finanziari e del demanio della Regione.
In questo frangente, nel luglio del 1960, Palermo partecipò ai violenti scontri che in tutta Italia portarono alla caduta del Governo Tambroni, fondato sulla collaborazione tra MSI e DC. Si apriva così a tutta l’Italia quello che era stato l’esperimento siciliano del Centro-Sinistra. Perduta una fisionomia politica propria la Sicilia dovette ridursi a “succursale” dell’Italia, anzi a “laboratorio politico”, come si disse allora per giustificare ancora in qualche modo la persistenza di un’autonomia politica che si avviava a perdere i suoi istituti più utili.
I veri “regali” sarebbero arrivati più tardi, solo quando la DC sarebbe tornata saldamente al comando. Nessun decreto attuativo dello Statuto fu emanato in questa stagione, se non – paradossalmente – soltanto quello sullo scioglimento anticipato della legislatura e sulla possibilità di commissariare la Regione da parte dello Stato; ciò che, allora, si credeva dovesse avvenire per la continua ingovernabilità dell’Assemblea. Ma la “Restaurazione” rese non necessario questo strumento.
E di Milazzo cosa ne fu? Nel dicembre del 1960 si dimise dall’Assemblea. Gli autonomisti, in rotta, si spaccarono tra i centristi di Milazzo e i progressisti di Corrao, l’ala sinistra, che costituirono il Partito Autonomista Cristiano Sociale. Si presentarono divisi tanto alle politiche quanto alle regionali del 1963, e questo ne determinò, fra gli altri motivi, la totale disfatta. Il PACS riuscì a far eleggere qualche rappresentante nelle file del partito comunista, dove poi decisero di confluire con il loro patrimonio autonomista. Milazzo, invece, si ritirò a vita privata.
L’esperienza milazzista rivelò un limite profondo dell’esperienza politica siciliana: la DC, che perseguiva ora apertamente un modello sociale clientelare e di sviluppo assistenziale, in ogni caso subalterno all’economia del Nord Italia ed alle istanze centraliste dello Stato, era certamente egemone nell’elettorato. In fondo erano i Siciliani che, narcotizzati dal benessere senza sviluppo, preferivano in larga maggioranza integrarsi senza troppe differenze nel sistema economico, politico, sociale e culturale italiano. La Sicilia, che tanti secoli aveva lottato per la sua indipendenza o per il suo autogoverno, sembrava avviarsi a dissolvere la propria identità e a cambiare definitivamente pelle proprio ora che uno strumento di autogoverno lo aveva veramente a disposizione. Non si può certo fare un torto ai democristiani di aver rappresentato questa parte preponderante della società siciliana.
Il gioco politico degli anni che vanno dal 1958 al 1960, visto col microscopio, offre uno spaccato assai deludente degli interessi personali e di parte delle varie forze in lotta, con il complesso gioco, non sempre da condannare, delle mezze ali (monarchici e socialisti) e delle ali estreme (missini e comunisti) del mondo politico siciliano. Troppo forti erano allora gli steccati ideologici perché un’alternativa “amministrativa”, nel nome dell’Autonomia, si potesse creare al monopolio DC. Ma non c’è dubbio che la sconfitta del milazzismo fece assai male alla democrazia siciliana, perché sancì l’impossibilità di ricambio politico, il dominio assoluto del partito unico del potere, e con esso di una lotta incessante di correnti e di gruppi di interesse, sempre più oscuri. Visto da lontano e nel suo complesso sembra un “colpo di coda” dell’Autonomismo, come versione indebolita del precedente Separatismo. È la reazione coraggiosa, ma anche inesperta e disperata, di una Sicilia che tenta di svincolarsi dal destino di colonia interna. Ma è anche la dimostrazione che l’Autonomismo era nato, già nel 1946, come “di governo”, ed era incapace di fortificarsi all’opposizione con una lunga guerra di trincea condotta insieme alla parte sana del Popolo Siciliano. L’opposizione antisistema era lasciata a comunisti e fascisti e, per i sicilianisti, non restava che accodarsi come “indipendenti” in questo o in quello schieramento, limitandosi a tirare un po’ la coperta quando possibile.
Ma, come in altre rivolte autonomiste, come anche nel lontano 1848, anche questa rivolta lasciò una traccia per lungo tempo. Lo Stato avrebbe di lì a poco concesso alla Sicilia risorse finanziarie importanti e la strategia industriale interventista della Regione non si sarebbe esaurita. Queste politiche e queste risorse, in mani più avvedute, avrebbero comunque costituito una marcia in più per la Sicilia, ed effettivamente per tutto il decennio successivo alla sconfitta di Milazzo il differenziale tra Sicilia e Italia continuò a ridursi. Ma questa spinta propulsiva, in assenza di forze genuinamente autonomiste, si sarebbe trasformata ben presto in una massa di sprechi clientelari e privilegi di casta, e comunque avrebbe consumato rapidamente la propria spinta propulsiva. Le conquiste istituzionali, assai parziali e distorte, degli anni ’60 da parte della Regione siciliana, frutto indiretto della rivolta milazzista, sarebbero però arrivate quasi ai giorni nostri.
http://www.siciliainformazioni.com/redazione/70243/2la-rivolta-autonomista-di-silvio-milazzo
Da il Portale del sud:
http://www.ilportaledelsud.org/silvio_milazzo.htm#_ftnref1
"..contro Milazzo intervenne l’apparato nazionale della Democrazia cristiana che esautorò Fanfani (cambiare per continuare) e lo sostituì con Segni (alla presidenza del consiglio) e con Moro (alla presidenza del partito). Intervenne pure il Sant’Uffizio! Il Cardinale Ottaviani non solo riconferma la scomunica ai comunisti ma la estende ai socialisti e ai cristiano-sociali di Sicilia! Tutti questi provvedimenti servivano ad impedire che la discrepanza siciliana si estendesse in altre regioni, e ci riuscirono."