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LOTTE DI
CLASSE
E COSTITUZIONE Diagnosi
dell’Italia
repubblicana
4/12/2016
LA COSTITUZIONE SOCIALISTA IN
URSS
E IL COSTITUZIONALISMO ITALIANO
di Paolo Spena
Questo articolo nasce in occasione
del 77° anniversario dell’adozione in Unione Sovietica della
cosiddetta “costituzione staliniana” del 1936, per riflettere sulla concezione
che i comunisti debbono avere dell’idea di Costituzione, e aprire una necessaria
autocritica su quanto prodotto in questi anni da parte di chi, dal pulpito della
sinistra più o meno radicale, faceva della “difesa della costituzione” il
proprio cavallo di battaglia.
La costituzione sovietica del 1936 fu in
effetti quanto di più straordinario potesse essere elaborato in quegli anni.
Essa portava con sé, assieme a tutte le innovazioni riguardanti la società e l’economia
sovietica, un modo del tutto innovativo di intendere l’idea di Costituzione, del
tutto diverso dalla concezione che se ne aveva nel resto del mondo. La
differenza fra la costituzione sovietica e le costituzioni borghesi, affermava
Stalin nel suo rapporto sul progetto di costituzione in URSS, era la differenza
che correva fra una “costituzione” nel senso della parola e un programma, fra
una costatazione delle conquiste del presente e la dichiarazione di intenti
sulle conquiste future.
Può essere interessante confrontare oggi il
progetto di costituzione in URSS con il progetto di Costituzione della
Repubblica Italiana che veniva avviato appena 10 anni dopo. I rapporti di
forza all’interno dell’Assemblea Costituente furono relativamente favorevoli per
socialisti e comunisti (è opportuno ricordare come il PCI fosse allora il più
grande partito comunista d’occidente), che da minoranza riuscirono a imprimere
un carattere sociale nella nostra Costituzione più che in ogni altra
Costituzione del mondo occidentale. Dovendo esprimere questo concetto in termini
marxisti, diremmo che la nostra Costituzione è la cristallizzazione giuridica
dei rapporti di forza sviluppatisi all’interno dell’Assemblea Costituente. Gli
irriducibili difensori della “costituzione nata dalla Resistenza” elogiano le
bellissime enunciazioni della nostra costituzione (la “repubblica fondata sul
lavoro”, l’eguaglianza sostanziale, il diritto al lavoro, ecc), ma il loro
limite sta nel non riuscire ad analizzare dialetticamente la sua natura. Quella
italiana resta una costituzione borghese, che difende l’effettività dei “diritti
borghesi” già conquistati (specie il diritto alla proprietà), e limita i diritti
sociali a enunciati ideali di giustizia ed uguaglianza che lo Stato dovrebbe
perseguire. Molti di questi enunciati sono, come accennato, più avanzati
rispetto alle altre costituzioni europee, proprio grazie alla maggiore forza dei
comunisti del nostro paese, ma la nostra Costituzione resta ad oggi un
“programma” che sancisce sulla carta dei diritti non effettivi.
L’errore storico dei comunisti e del PCI (a partire dalla
segreteria Togliatti) in Italia fu l’aver inteso la Svolta di Salerno non come
un giusto passaggio tattico adeguato alle condizioni che oggettivamente non
erano mature per la presa del potere, ma come una strategia politica che si
tradusse nell’idea della “via italiana al socialismo”. Questo errore portò
all’idea che le nuove conquiste per le classi popolari potessero essere ottenute
tramite la “difesa della Costituzione nata dalla Resistenza”, che da sola
sarebbe bastata a rendere effettivi i diritti enunciati. Si stava di fatto
rinunciando, nel nome della difesa della Costituzone, ad una strategia offensiva
che mirasse alla progressiva avanzata dei lavoratori fino alla presa del potere
e alla costruzione del socialismo, uniche vere garanzie per dare un carattere di
irreversibilità a conquiste sociali che all’interno del capitalismo sono
destinate a restare precarie e revocabili. Coerente rispetto a quella situazione
era il concetto di “costituzione materiale” formulato dal giurista democristiano
Costantino Mortati, che assegnava ai partiti politici il ruolo di sorreggere gli
obiettivi individuati dalla Costituzione e farsene garanti, ammettendo dunque
che l’effettività dei principi costituzionali era strettamente legata alla
presenza al Governo di forze politiche realmente interessate a farli
valere. La dissoluzione del PCI, che con tutti i suoi innumerevoli difetti
contribuiva alla progressiva (seppur limitata) attuazione di alcuni di questi
principi, è una delle cause che oggi ha portato alla totale insignificanza di
quelli che oggi sono solo dei falsi enunciati che restano sulla carta. Nella
“repubblica fondata sul lavoro” il diritto al lavoro non è riconosciuto
nell’effettivo, così come diritti come il diritto all’abitare, allo studio o
alla salute sono subordinati ad altri fattori come il profitto di terzi.
L’Italia ripudia la guerra, ma basta mandare i soldati in guerra con regole
d’ingaggio previste per le missioni di pace. Si finanziano le scuole private
invece delle scuole pubbliche, nonostante la Costituzione affermi che
l’istruzione privata non debba comportare oneri per lo Stato. Questa è la natura
della Costituzione Italiana e di ogni costituzione borghese, ed è ciò che i suoi
strenui difensori, ancora legati alla deriva togliattiana che fu l’inizio del
disastro per i comunisti in Italia, non riescono a capire.
Il progetto di Costituzione in Unione
Sovietica, che aveva luogo ben 10 anni prima, si apriva con presupposti del
tutto differenti. Già in questi presupposti risiedeva la profonda diversità di
quel paese rispetto a tutti gli altri paesi del mondo. La Commissione della
Costituzione, istituita in seguito a una decisione speciale del VII Congresso
dei Soviet, aveva il compito di «adeguare la Costituzione (del 1924, ndr)
all’attuale rapporto tra le forze di classe nell’URSS» (Stalin, Sul progetto di
costituzione dell’URSS, 1936). Nello stesso rapporto, Stalin affermava che «il
progetto della nuova Costituzione costituisce un bilancio della via percorsa, un
bilancio delle conquiste già ottenute. Esso è, perciò, la registrazione e la
sanzione legislativa di quello che è stato già ottenuto e conquistato.» La
Commissione aprì i suoi lavori proprio analizzando le trasformazioni avvenute
nella società sovietica a partire dal 1924, anno in cui fu redatta la
precedente Costituzione. Nei 12 anni che separavano i due momenti
costituenti, la lotta di classe del popolo sovietico aveva dato i suoi frutti. I
kulaki che tanto avevano oppresso i contadini fino a causare la carestia del
1932-33 erano stati ormai sconfitti, e nell’agricoltura era diventata
predominante la forma di proprietà cooperativa dei colcos. Era nata inoltre la
nuova industria pesante, fondata sulla proprietà socialista. Questi eventi
avevano comportato l’enorme innalzamento della qualità della vita, e la
conquista di innumerevoli diritti di cui i lavoratori ora potevano godere. Le
fabbriche lavoravano senza capitalisti, i campi erano coltivati da contadini
senza padroni. La Costituzione del 1924 preparava la società sovietica alla
lotta di classe che avrebbe avuto luogo negli anni successivi; la Costituzione
del 1936 nasceva per rendere immortali le conquiste ottenute da questa lotta. Un
semplice ma significativo emblema di questo intento fu l’eliminazione dell’uso
della parola “proletariato” e la sua sostituzione con “lavoratori” o “operai e
contadini”, tanto nel testo costituzionale quanto in tutti i documenti che si
riferissero alla contemporaneità: il proletariato era la classe che non
possedeva i mezzi di produzione in un sistema in cui la proprietà di questi
mezzi era privata; in URSS la proprietà dei mezzi di produzione era collettiva,
dunque non si poteva più chiamare la classe operaia “proletariato”. Ben più
importanti di questa semplice “politica lessicale” furono poi i riconoscimenti
delle trasformazioni economiche e sociali: i primi articoli della nuova
Costituzione trasformavano in legge fondamentale dello Stato le realtà ottenute
con la lotta, cioè la proprietà socialista collettiva delle industrie, e la
proprietà cooperativa dei colcos, sancendo il principio “da ognuno secondo le
sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. È altrettanto importante notare
come la nuova Costituzione non parlasse del futuro raggiungimento del comunismo,
o comunque di traguardi progressivi non ancora raggiunti. Coerentemente con
quanto avrebbe esposto da Stalin in Problemi economici del socialismo nell’URSS
(1952), ad esempio, nella nuova Costituzione non si faceva riferimento alla
proprietà collettiva dei terreni agricoli, poiché la base economica del
socialismo (cioè lo sviluppo delle forze produttive) non era ancora matura per
l’instaurazione di questa nuova forma di proprietà socialista; allo stesso modo
e per lo stesso motivo non si faceva riferimento alla ripartizione in base ai
bisogni piuttosto che al lavoro.
Nel complesso, la Costituzione del 1936
fu un coerente spaccato della società sovietica e delle conquiste del popolo
sovietico. Essa era realmente una “costituzione”, pensata non per costruire
castelli di carta con dichiarazioni inconsistenti, ma per gettare le solide
fondamenta di una nuova società la cui edificazione era finalmente iniziata dopo
anni di lotte, per la prima volta nella storia.
Ben dieci anni prima che la Costituzione
Italiana enunciasse sulla carta dei diritti che oggi valgono per un numero
sempre minore di cittadini, la Costituzione Sovietica scolpiva nella pietra le
prime conquiste del socialismo, con l’intento di renderle non solo diritti
intoccabili, ma solidi appoggi verso conquiste sempre maggiori alla causa della
liberazione dell’uomo dalla schiavitù. In questo sta la sua spinta propulsiva e
la sua inesauribile attualità. Essa appartiene al passato, ma ora che dinanzi
alla crisi del capitalismo ogni articolo della nostra Costituzione perde
significato, viene da pensare come i cittadini di quel gelido paese dell’Est in
realtà, e forse inconsapevolmente, vissero nel futuro.
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Costituzione della R.S.F.S.R
http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=42719511
Sul progetto di Costituzione dell'URSS
http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=7161907
COSTITUZIONE (LEGGE FONDAMENTALE)
DELL’UNIONE DELLE REPUBBLICHE
SOCIALISTE SOVIETICHE (1936)
http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/1936120...tuzione_ita.pdf
Costituzione dell'Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche (1947)
http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=7162526
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www.resistenze.org - segnalazioni resistenti - libri - 14-02-08 - n. 215
http://www.resistenze.org/sito/se/li/seli8b14-002665.htm
Sarà tra poco in libreria (distribuito dalla PDE)
Salvatore D’Albergo - Andrea Catone
LOTTE DI CLASSE E COSTITUZIONE
Diagnosi dell’Italia repubblicana
Edizioni La città del Sole, Napoli, 2008 - pp. 375, euro 18,00
[Per organizzare presentazioni-dibattito e ottenerne copia: scrivere ad andreacatone@alice.it o andrea_catone_bari@alice.it / tel. 0805562663 - 3889226560]
Quando e perché si comincia a parlare di riforme della costituzione? Qual è il contesto internazionale in cui si collocano i mutamenti rilevanti del testo costituzionale?
Diversamente da quanto è stato continuamente detto dai fautori dell’“ammodernamento” della costituzione, presentato come un’esigenza tecnica di adeguare alcune norme ai nuovi tempi, le costituzioni non sono un fatto meramente tecnico, rispecchiano i rapporti tra le classi, possono avere un segno progressivo o regressivo. Nessun mutamento è neutro, indifferente al contesto sociale e alla lotta di classe. Il terreno costituzionale come campo della lotta di classe è stato spesso trascurato dalla cultura marxista e la lotta sulla e per la costituzione è stata isolata dal contesto socio-politico complessivo. Il che ha delegato e consegnato il più delle volte la difesa della costituzione al solo costituzionalismo progressista, precludendo la possibilità di un’analisi marxista dei rapporti sociali e delle forze in campo che hanno operato e operano per la modifica o lo stravolgimento della costituzione.
Gli agenti del capitale, per ottenere il pieno e assoluto comando sul lavoro, hanno sistematicamente puntato a smantellare anche quelle costruzioni giuridiche che nel corso dei decenni precedenti la lotta di classe dei lavoratori aveva contribuito ad edificare. Di qui l’attacco alla legislazione del lavoro, ma, soprattutto, alla legge fondamentale, alla Costituzione nata dalla resistenza antifascista che fa dell’Italia, unico paese del mondo capitalistico dell’Occidente, una “repubblica fondata sul lavoro”.
Come è scritto in modo ampio e argomentato nel cap. I di questo volume, la costituzione repubblicana, approvata a larghissima maggioranza dall’assemblea costituente alla fine del 1947, era un unicum tra le costituzioni occidentali dei paesi capitalistici, per il carattere sociale che l’azione dei comunisti e dei socialisti, ma anche di una parte dei popolari democristiani, vi aveva impresso. Negli altri paesi occidentali, invece, prevalsero costituzioni liberaldemocratiche. Anche in Francia, dove la borghesia riuscì a rovesciare la prima costituzione postbellica e ad imporne un’altra contro i comunisti, per non parlare della Germania federale, dove i comunisti furono messi al bando e tutta l’architettura costituzionale fu influenzata dai vincitori-occupatori angloamericani (nonché da De Gaulle). La costituzione italiana era l’unica che pensasse in termini sostanziali la democrazia fondata sui lavoratori, sul lavoro e non sul capitale, e che ponesse vincoli al diritto assoluto di proprietà e proponesse lo stato non come guardiano notturno, ma promotore e organizzatore di imprese economiche finalizzate allo sviluppo sociale e non esclusivamente orientate al profitto.
La costituzione italiana costituiva un’anomalia che i rappresentanti del grande capitale hanno cercato di eliminare, per collocare l’Italia nella piena “normalità” della nuova fase capitalistica mondiale. Quest’ultima richiedeva il superamento di ogni barriera di protezione nazionale, l’abolizione del capitalismo di stato nazionale - che si basava su una più o meno estesa area di economia sotto controllo totale o prevalente dello stato - in modo che ogni impresa potesse essere a disposizione del capitale transnazionale, senza i vincoli posti dagli stati.
Tutto l’insieme dei processi di trasformazione della struttura economico-sociale italiana, delle classi e della loro “nomenclatura” partitica – globalizzazione e costituzione del mercato mondiale, con l’esigenza di rompere i vincoli economici posti dagli stati nazionali, privatizzando tutto il possibile del settore pubblico; strapotere, con la demolizione dei partiti operai e la corporativizzazione del sindacato, del capitale sul lavoro e conseguente forte compressione dei salari, che consente al “nanocapitalismo” italiano, in assenza di innovazioni tecnologiche e dimensioni di impresa paragonabili a quelle dei concorrenti europei, di mantenere alcune quote di mercato – si relaziona dialetticamente con lo smantellamento della costituzione repubblicana.
La storia delle trasformazioni costituzionali del periodo post 89 va letta alla luce della relazione marxiana tra struttura e sovrastruttura. Non si tratta di una relazione meccanica, lineare, univoca, né di un riflesso senza mediazioni dell’azione della struttura sulla sovrastruttura (per cui le modificazioni nella struttura economica produrrebbero direttamente trasformazioni nella sovrastruttura istituzionale). Vi è piuttosto un’interrelazione profonda tra i diversi piani delle diverse storie – dell’economia, della lotta politica e partitica, dell’ideologia, delle “riforme costituzionali” – che si svolgono, ciascuna con le proprie peculiarità e una propria relativa autonoma logica. Così, i mutamenti del capitalismo mondiale spingono a superare l’anomalia italiana di una costituzione democratico-sociale e il suo sistema storico di partiti, e il mutamento del sistema politico incide profondamente sul volto del capitalismo italiano, con uno straordinario smantellamento del settore di economia pubblica. Le trasformazioni costituzionali sono il prodotto e al contempo il motore – interagiscono – dell’attacco capitalistico contro il lavoro e il settore dell’economia pubblica, in funzione dell’integrazione subalterna nella Unione europea e nel mercato mondiale.
Dalla quarta di copertina
L'arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale dev'essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. [Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel]
"Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa". Così Licio Gelli, intervistato da La Repubblica del 28 settembre 2003. Il Piano della Loggia massonica P.2, il cosiddetto Piano di rinascita democratica, prefigurava la formazione di due poli - entrambi moderati, liberal-conservatore l’uno e social-laburista l’altro - capaci di sostituire il dissolto sistema partitico (la cosiddetta “partitocrazia”), senza alcuna conflittualità di classe e senza alcuna ideologia. Un sistema del tutto estraneo all’idea di democrazia conflittuale pensata dai costituenti: riduzione dei poteri del parlamento, presidenzialismo, limitazione del diritto di sciopero, criminalizzazione della conflittualità sociale. Sul piano ideologico-simbolico, ma con forte valore politico, vi è la rottura con l’atto di nascita della costituzione: la Resistenza.
Il libro affronta l’intreccio tra storia delle lotte di classe e storia delle “riforme costituzionali” volte a demolire la costituzione repubblicana che, unica nel panorama dei paesi occidentali, disegnava una democrazia sociale.
Il 1993 l’abolizione del sistema elettorale proporzionale segna il passaggio al bipolarismo maggioritario attuale in cui i due poli di centro-destra e centro-sinistra, ad onta di uno scontro durissimo intorno al governo del paese, hanno attuato politiche convergenti nella demolizione dello stato sociale, privatizzazioni delle imprese pubbliche, precarizzazione del lavoro e stravolgimento della forma di stato disegnata dalla Costituzione. Quella Costituzione che il secco NO al referendum del 25-26 giugno 2006 ha invece voluto difendere e rilanciare, sconfiggendo l’intento perseguito da destra e da sinistra di introdurre modelli di “revisione” dell’intera Seconda Parte della Costituzione, per delegittimare la Prima Parte e gli stessi Principi Fondamentali.
INDICE
I. DALLA RESISTENZA ALLA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO
Dal referendum di giugno 2006: difendere e rilanciare la Costituzione
Alle origini della costituzione democratico-sociale del 1948
Una “forma di stato” volta ad andare oltre i limiti dello “stato di diritto sociale”
Nel lavoro costituente non hanno dato grande aiuto i giuristi…
Il nesso nazionale/internazionale nella Costituzione
La questione cattolica e il discusso articolo 7
La “democrazia organizzata”. Il ruolo dei partiti
Cittadini e lavoratori
Carattere alternativo del modello di forma di governo della repubblica fondata sul lavoro rispetto ai modelli britannico, statunitense, francese e tedesco
La strategia istituzionale della Seconda Parte della costituzione coerente con la strategia sociale della Prima Parte: precedenza del Parlamento rispetto a governo e presidente della repubblica
La struttura del parlamento: bicameralismo “paritario” versus federalismo
Il ruolo del Presidente della repubblica è scisso da quello dell’esecutivo
Centralità del parlamento. Differenze sostanziali rispetto ai modelli anglosassone, tedesco e francese
Il potere esecutivo. Consiglio dei ministri e pubblica amministrazione come sezioni di una medesima struttura istituzionale
Il ruolo della Magistratura nell’architettura costituzionale
La “repubblica delle autonomie” in una prospettiva di sovranità popolare diffusa sul territorio
Referendum e Corte costituzionale Le riserve dei comunisti
Il procedimento di revisione costituzionale
II. LA DEMOCRAZIA SOCIALE TRA RILANCIO E DELEGITTIMAZIONE
Le contraddizioni del processo di attuazione della Costituzione
Anni ’50. La strategia delle classi proprietarie di “neutralizzazione” della costituzione
La conventio ad excludendum
L’ambigua distinzione di Mortati tra “costituzione formale” e “costituzione materiale”
Dopo il 18 aprile 1948. La DC conquista la maggioranza assoluta ma non riesce a dare stabilità politica
1953. Sconfitta della “legge truffa”
Agonia del centrismo
La presidenza Gronchi
Il Ministero delle partecipazioni statali
Istituzione della Corte Costituzionale e del Csm
Luglio 1960. Dalla sollevazione popolare contro il governo DC MSI matura la svolta del centro sinistra
Ricorso sistematico alle crisi extraparlamentari La “programmazione” economica negli anni del centro-sinistra
La cosiddetta “crisi del parlamento”…
1968-69. La “nuova sinistra” assimila la costituzione di democrazia-sociale a tutti i modelli dello “stato del capitale” dominati variamente dalla borghesia
Creazione delle regioni a statuto ordinario e programmazione
1971. Riforma dei regolamenti del parlamento
Lo statuto dei lavoratori
L’obiettivo del controllo degli investimenti della grande impresa
Leggi di opposto segno nella fase di intense lotte sociali della prima metà degli anni ‘70
Il dibattito teorico nella dottrina giuridica
La lotta del PCI sulle partecipazioni statali e il sistema radiotelevisivo
1975. La controffensiva della loggia massonica P2
Concezione “alternativa” del diritto e “centralità/autonomia” del parlamento negli anni ’70
Concezione “alternativa” del diritto e “centralità/autonomia” del parlamento negli anni ’70
Il sottile attacco di Norberto Bobbio alla democrazia sociale della Costituzione
La torsione del Pci
“Legge finanziaria” e riforma sanitaria
Verso lo snaturamento del sistema democratico
La politica delle “privatizzazioni”
Anni ’80. La prima “Bicamerale” Bozzi e le ideologie di stravolgimento della Costituzione
Alternanza versus alternativa
Spostamento dell’asse del conflitto ed uso reiterato del referendum
Dalla metà degli anni ’80 al 1993: verso lo scardinamento del sistema costituzionale
La legge n. 400 del 1988, chiave di volta dell’involuzione degli atti di governo
Anni ’90. Disarmo ideologico e stravolgimento della Costituzione
Il Trattato di Maastricht. Il capitale sovranazionale europeo all’attacco della Costituzione italiana
Il maggioritario uninominale. Modifica della forma di governo di comuni province e regioni. Referendum e Corte Costituzionale usati per la delegittimazione della costituzione
L’entrata in campo di Berlusconi
“Premierato” e “federalismo” per sostituire la “repubblica del mercato” alla “repubblica del lavoro”
Rilanciare una lotta culturale e politica per sconfiggere destra sociale e destra politica
III. L’ITALIA DOPO LA “GUERRA FREDDA”
I due “campi” alla fine della seconda guerra mondiale
L’offensiva neoliberista e la crisi del socialismo reale
Il terremoto geopolitico del 1989
La strategia degli USA dopo la vittoria nella “guerra fredda”
L’Europa del capitale
L’Italia dopo il 1989
Il capitalismo italiano sotto la pressione della “globalizzazione”
Lo smantellamento del sistema delle partecipazioni statali
La liquidazione del Pci
Verso il sindacato neocorporativo: il lavoro sotto attacco
L’opposizione politica e sindacale del proletariato nell’Italia post guerra fredda
Il ruolo del Prc
I sindacati
Lo smantellamento della Costituzione repubblicana
La lotta di classe intorno alla Costituzione italiana e le “riforme costituzionali”
La controffensiva reazionaria al decennio di lotte 1967-1977
Trasformazioni costituzionali per togliere al proletariato possibilità di rappresentanza politica e per regolare le contraddizioni tra le frazioni della classe dominante
Il dibattito a sinistra sulle riforme costituzionali degli anni ’80: la “legge truffa” non è più un tabù
La strategia referendaria di smantellamento della Costituzione
Mani pulite
1993
Italia, unico paese dell’Occidente attraversato da un terremoto politico
Il “partito democratico” quale nomenclatura effettiva della classe capitalistica europeista
Il “berlusconismo”
Lo scontro tra i due “poli”
Alla ricerca di una nuova forma di stato funzionale alla borghesia europeista
L’infinita “transizione” costituzionale italiana: alla ricerca del “bipolarismo maggioritario”
IV. CRONOLOGIA
Amedeo Curatoli Sul Referendum